49 resultados para instaurazione di referenti, continuità tematica, ripresa anaforica
Resumo:
Gli scavi effettuati a Classe, a sud di Ravenna, presso i siti archeologici dell'area portuale e della Basilica di San Severo, hanno portato alla luce un numero abbondante di moneta, 2564 dall'area portuale e 224 dalla basilica, un totale di 2788 reperti monetali, di cui solo 863 sono leggibili e databili. La datazione dei materiali dell’area portuale, fondata agli inizi del V secolo, parte dal II secolo a.C. fino all’VIII secolo d.C.. La maggior parte dei reperti è relativa al periodo tra il IV e il VII secolo, il momento di massima importanza del porto commerciale, con testimonianza di scambi con altri porti del bacino mediterraneo, in particolare con l’Africa del Nord e il Vicino Oriente. La documentazione proveniente dalla Basilica di San Severo, fondata alla fine del VI secolo per la custodia delle reliquie del santo, mostra un trend diverso dal precedente, con monetazione che copre un arco cronologico dal I secolo a.C. fino al XIV secolo d.C.. La continuità dell’insediamento è dimostrato dall’evidenza numismatica, seppur scarsa, fino alla costruzione del monastero a sud della basilica, l’area dalla quale provengono la maggior parte delle monete. I quantitativi importanti di monetazione tardoantica, ostrogota e bizantina, in particolare di tipi specifici come il Felix Ravenna, ipoteticamente coniato a Roma, oppure il ½ e il 1/4 di follis di produzione saloniana emesso da Giustiniano I, hanno concesso uno studio dettagliato per quello che riguarda il peso, le dimensioni e lo stile di produzione di queste emissioni. Questi dati e la loro distribuizione sul territorio ha suggerito nuove ipotesi per quello che riguarda la produzione di questi due tipi presso la zecca di Ravenna. Un altro dato importante è il rinvenimento di emissioni di Costantino VIII, alcune rare e altre sconosciute, rinvenute solo nel territorio limitrofo a Classe e Ravenna.
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Oggetto di questo lavoro è un’analisi dettagliata di un campione ristretto di riprese televisive della Quinta Sinfonia di Beethoven, con l’obiettivo di far emergere il loro meccanismo costruttivo, in senso sia tecnico sia culturale. Premessa dell’indagine è che ciascuna ripresa sia frutto di un’autorialità specifica che si sovrappone alle due già presenti in ogni esecuzione della Quinta Sinfonia, quella del compositore e quella dell’interprete, definita perciò «terza autorialità» riassumendo nella nozione la somma di contributi specifici che portano alla produzione di una ripresa (consulente musicale, regista, operatori di ripresa). La ricerca esamina i rapporti che volta a volta si stabiliscono fra i tre diversi piani autoriali, ma non mira a una ricostruzione filologica: l’obiettivo non è ricostruire le intenzioni dell’autore materiale quanto di far emergere dall’esame della registrazione della ripresa, così com’è data a noi oggi (spesso in una versione già più volte rimediata, in genere sotto forma di dvd commercializzato), scelte tecniche, musicali e culturali che potevano anche essere inconsapevoli. L’analisi dettagliata delle riprese conferma l’ipotesi di partenza che ci sia una sorta di sistema convenzionale, quasi una «solita forma» o approccio standardizzato, che sottende la gran parte delle riprese; gli elementi che si possono definire convenzionali, sia per la presenza sia per la modalità di trattamento, sono diversi, ma sono soprattutto due gli aspetti che sembrano esserne costitutivi: il legame con il rito del concerto, che viene rispettato e reincarnato televisivamente, con la costruzione di una propria, specifica aura; e la presenza di un paradigma implicito e sostanzialmente ineludibile che pone la maggior parte delle riprese televisive entro l’alveo della concezione della musica classica come musica pura, astratta, che deve essere compresa nei suoi propri termini.
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Per Viollet-le-Duc lo “stile” «è la manifestazione di un ideale fondato su un principio» dove per principio si intende il principio d’ordine della struttura, quest’ultimo deve rispondere direttamente alla Legge dell’”unità” che deve essere sempre rispettata nell’ideazione dell’opera architettonica. A partire da questo nodo centrale del pensiero viollettiano, la presente ricerca si è posta come obiettivo quello dell’esplorazione dei legami fra teoria e prassi nell’opera di Viollet-le-Duc, nei quali lo “stile” ricorre come un "fil rouge" costante, presentandosi come una possibile inedita chiave di lettura di questa figura protagonista della storia del restauro e dell’architettura dell’Ottocento. Il lavoro di ricerca si é dunque concentrato su una nuova lettura dei documenti sia editi che inediti, oltre che su un’accurata ricognizione bibliografica e documentaria, e sullo studio diretto delle architetture. La ricerca archivistica si é dedicata in particolare sull’analisi sistematica dei disegni originali di progetto e delle relazioni tecniche delle opere di Viollet-le- Duc. A partire da questa prima ricognizione, sono stati selezionati due casi- studio ritenuti particolarmente significativi nell’ambito della tematica scelta: il progetto di restauro della chiesa della Madeleine a Vézelay (1840-1859) e il progetto della Maison Milon in rue Douai a Parigi (1857-1860). Attraverso il parallelo lavoro di analisi dei casi-studio e degli scritti di Viollet- le-Duc, si è cercato di verificare le possibili corrispondenze tra teoria e prassi operativa: confrontando i progetti sia con le opere teoriche, sia con la concreta testimonianza degli edifici realizzati.
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Il lavoro di tesi nasce con l'intento di realizzare un'analisi unitaria della tematica dei ragazzi selvaggi al fine di evidenziare il valore e le ripercussioni di quanto oggigiorno può emergere dal portare avanti lo studio dei ragazzi selvaggi da una prospettiva pedagogico-educativa. L’espressione ragazzo selvaggio viene tradizionalmente usata per riferirsi a quei bambini/e cresciuti per un lungo periodo in compagnia di animali o in luoghi isolati. Nel corso del tempo altre accezioni sono comparse e l’utilizzo di tale espressione ha assunto significati diversi in base ai contesti di riferimento e alle eventuali connessioni con la tematica del selvaggio in generale. Questa tematica si colloca al crocevia tra più aree di ricerca; gli incroci sono come territori di confine, luoghi in cui è facile smarrirsi, ma sono anche luoghi di incontro, di confronto, di scambio, luoghi che conducono a nuova conoscenza. Affrontare, come in questo caso, un argomento di ricerca ricco di aspetti analizzabili da più punti di vista, implica la necessità di riferirsi a più prospettive d'indagine e di rapportarsi con differenti ambiti di studio. Ciò non deve però tradursi in un’inclusione indistinta e giustapponente delle diverse letture del fenomeno e degli elementi connessi alla ricerca. Il presente lavoro cerca pertanto di adottare un orientamento olistico alla tematica dei ragazzi selvaggi avvalendosi di uno sguardo di matrice pedagogico-educativa. L’obiettivo generale della ricerca si articola in tre sotto-obiettivi, identificabili nello specifico come: - realizzare un’analisi del fenomeno dei ragazzi selvaggi che metta in luce gli apporti della tematica all’evoluzione della storia della pedagogia; - far emergere ed evidenziare le connessioni della tematica a problematiche educative attualmente rilevanti ed oggetto del dibattito pedagogico contemporaneo; - analizzare i punti di contatto tra le ricerche sui feral children e le evidenze emerse dagli studi in campo neuroscientifico.
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Riconoscendo l’importanza delle traduzioni all’interno della cosiddetta repubblica democratica dell’infanzia, il lavoro analizza le prime traduzioni tedesche e italiane del classico della letteratura per l’infanzia I ragazzi della Via Pál di Ferenc Molnár, al fine di metterne in luce i processi non solo prettamente traduttivi, ma anche più ampiamente culturali, che hanno influenzato la prima ricezione del romanzo in due contesti linguistici spesso legati per tradizione storico-letteraria alla letteratura ungherese. Rispettando la descrizione ormai comunemente accettata della letteratura per ragazzi come luogo di interazione tra più sistemi – principalmente quello letterario, quello pedagogico e quello sociale –, il lavoro ricostruisce innanzitutto le dinamiche proprie dei periodi storici di interesse, focalizzando l’attenzione sulla discussione circa l’educazione patriottica e militare del bambino. In relazione a questa tematica si approfondisce l’aspetto della “leggerezza” nell’opera di Molnár, ricostruendo attraverso le recensioni del tempo la prima ricezione del romanzo in Ungheria e presentando i temi del patriottismo e del gioco alla guerra in dialogo con le caratteristiche linguistico-formali del romanzo. I risultati raggiunti – una relativizzazione dell’intento prettamente pedagogico a vantaggio di una visione critica della società e del militarismo a tutti i costi – vengono messi alla prova delle traduzioni. L’analisi critica si basa su un esame degli elementi paratestuali, sull’individuazione di processi di neutralizzazione dell’alterità culturale e infine sull’esame delle isotopie del “gioco alla guerra” e dei “simboli della patria”. Si mostra come, pur senza un intervento censorio o manipolazioni sensibili al testo, molte traduzioni italiane accentuano l’aspetto patriottico e militaresco in chiave pedagogica. Soprattutto in Italia, il romanzo viene uniformato così al contesto letterario ed educativo dell’epoca, mentre in area tedesca la ricezione nell’ambito della letteratura per ragazzi sembra aprire al genere del romanzo delle bande.
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Ferrara è tra le città con le quali Piero Bottoni (1903-1973) ha istaurato un rapporto proficuo e duraturo che gli permise di elaborare molti progetti e che fu costante lungo quasi tutta la parabola professionale dell’autore milanese. Giunto nella città estense nei primi anni Trenta, vi lavorò nei tre decenni successivi elaborando progetti che spaziavano dalla scala dell’arredamento d’interni fino a quella urbana; i diciannove progetti studiati, tutti situati all’interno del centro storico della città, hanno come tema comune la relazione tra nuova architettura e città esistente. Osservando un ampio spettro di interventi che abbracciava la progettazione sull'esistente come quella del nuovo, Bottoni propone una visione dell'architettura senza suddivisioni disciplinari intendendo il restauro e la costruzione del nuovo come parti di un processo progettuale unitario. Sullo sfondo di questa vicenda, la cultura ferrarese tra le due guerre e nel Dopoguerra si caratterizza per il continuo tentativo di rendere attuale la propria storia rinascimentale effettuando operazioni di riscoperta che con continuità, a discapito dei cambiamenti politici, contraddistinguono le esperienze culturali condotte nel corso del Novecento. Con la contemporanea presenza durante gli anni Cinquanta e Sessanta di Bottoni, Zevi, Pane, Michelucci, Piccinato, Samonà, Bassani e Ragghianti, tutti impegnati nella costruzione dell’immagine storiografica della Ferrara rinascimentale, i caratteri di questa stagione culturale si fondono con i temi centrali del dibattito architettonico italiano e con quello per la salvaguardia dei centri storici. L’analisi dell’opera ferrarese di Piero Bottoni è così l’occasione per mostrare da un lato un carattere peculiare della sua architettura e, dall’altro, di studiare un contesto cultuale provinciale al fine di mostrare i punti di contatto tra le personalità presenti a Ferrara in quegli anni, di osservarne le reciproche influenze e di distinguere gli scambi avvenuti tra i principali centri della cultura architettonica italiana e un ambito geografico solo apparentemente secondario.
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La formazione, in ambito sanitario, è considerata una grande leva di orientamento dei comportamenti, ma la metodologia tradizionale di formazione frontale non è la più efficace, in particolare nella formazione continua o “long-life education”. L’obiettivo primario della tesi è verificare se l’utilizzo della metodologia dello “studio di caso”, di norma utilizzata nella ricerca empirica, può favorire, nel personale sanitario, l’apprendimento di metodi e strumenti di tipo organizzativo-gestionale, partendo dalla descrizione di processi, decisioni, risultati conseguiti in contesti reali. Sono stati progettati e realizzati 4 studi di caso con metodologia descrittiva, tre nell’Azienda USL di Piacenza e uno nell’Azienda USL di Bologna, con oggetti di studio differenti: la continuità di cura in una coorte di pazienti con stroke e l’utilizzo di strumenti di monitoraggio delle condizioni di autonomia; l’adozione di un approccio “patient-centred” nella presa in carico domiciliare di una persona con BPCO e il suo caregiver; la percezione che caregiver e Medici di Medicina Generale o altri professionisti hanno della rete aziendale Demenze e Alzheimer; la ricaduta della formazione di Pediatri di Libera Scelta sull’attività clinica. I casi di studio sono stati corredati da note di indirizzo per i docenti e sono stati sottoposti a quattro referee per la valutazione dei contenuti e della metodologia. Il secondo caso è stato somministrato a 130 professionisti sanitari all’interno di percorso di valutazione delle competenze e dei potenziali realizzato nell’AUSL di Bologna. I referee hanno commentato i casi e gli strumenti di lettura organizzativa, sottolineando la fruibilità, approvando la metodologia utilizzata, la coniugazione tra ambiti clinico-assistenziali e organizzativi, e le teaching note. Alla fine di ogni caso è presente la valutazione di ogni referee.
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La ricerca si propone di mostrare come il pensiero gramsciano sia stato riferimento prioritario di due intellettuali argentini in esilio in Messico dal 1976 al 1983: Juan Carlos Portantiero e José Maria Aricó. In quel periodo incentrarono le loro elaborazioni teorico-politiche sull’analisi della relazione tra Stato, società civile, democrazia e socialismo, partendo da una prospettiva gramsciana. Il fallimento della guerra di movimento in Argentina nei primi anni settanta li condusse a riflettere su strategie alternative di transizione al socialismo, il cui punto focale fu il concetto di "Egemonia". A partire dal 1975 indirizzarono la ripresa del pensiero di Gramsci alla creazione di un progetto politico adatto ad un contesto sempre più "occidentale", caratterizzato dalla presenza di una "società civile complessa", in cui risultava necessario combattere "guerre di posizione" e non "guerre di movimento". La prospettiva che connotò questo approccio alle riflessioni gramsciane rappresenta il culmine di un percorso che iniziarono negli anni ’50, quando sorsero i primi studi del pensiero gramsciano in Argentina. Sin da allora, Aricó e Portantiero si occuparono di Gramsci insieme al dirigente del PC argentino Agosti e continuarono a farlo anche durante gli anni sessanta e i primi anni settanta sulla rivista Pasado y Presente. Fu, però, nel periodo dell’esilio che ne ripresero il pensiero considerandolo nella sua totalità, a partire dagli scritti giovanili sino ai Quaderni del Carcere, rielaborandolo in maniera originale e costruendo una propria proposta di cammino verso socialismo nell' "occidente periferico" dell'Argentina, influenzati dall'azione del Partito Comunista Italiano.
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Numerose ricerche indicano i modelli di cure integrate come la migliore soluzione per costruire un sistema più efficace ed efficiente nella risposta ai bisogni del paziente con tumore, spesso, però, l’integrazione è considerata da una prospettiva principalmente clinica, come l’adozione di linee guida nei percorsi della diagnosi e del trattamento assistenziale o la promozione di gruppi di lavoro per specifiche patologie, trascurando la prospettiva del paziente e la valutazione della sua esperienza nei servizi. Il presente lavoro si propone di esaminare la relazione tra l’integrazione delle cure oncologiche e l’esperienza del paziente; com'è rappresentato il suo coinvolgimento e quali siano i campi di partecipazione nel percorso oncologico, infine se sia possibile misurare l’esperienza vissuta. L’indagine è stata svolta sia attraverso la revisione e l’analisi della letteratura sia attraverso un caso di studio, condotto all'interno della Rete Oncologica di Area Vasta Romagna, tramite la somministrazione di un questionario a 310 pazienti con neoplasia al colon retto o alla mammella. Dai risultati, emerge un quadro generale positivo della relazione tra l’organizzazione a rete dei servizi oncologici e l’esperienza del paziente. In particolare, è stato possibile evidenziare quattro principali nodi organizzativi che introducono la prospettiva del paziente: “individual care provider”,“team care provider”,“mixed approach”,“continuity and quality of care”. Inoltre, è stato possibile delineare un campo semantico coerente del concetto di coinvolgimento del paziente in oncologia e individuare quattro campi di applicazione, lungo tutte le fasi del percorso: “prevenzione”, “trattamento”,“cura”,“ricerca”. Infine, è stato possibile identificare nel concetto di continuità di cura il modo in cui i singoli pazienti sperimentano l’integrazione o il coordinamento delle cure e analizzare differenti aspetti del vissuto della persona e dell’organizzazione.
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La tesi esamina il trattamento drammatico e musicale del soggetto di Semiramide in una delle sue prime trasposizioni operistiche: "La Semirami" di Giovanni Andrea Moniglia (Firenze 1625-1700) e Antonio Cesti (Arezzo 1623 - Firenze 1669). Quest’opera è legata ai più importanti centri d’influenza dell’attività compositiva di Cesti – Firenze, Innsbruck, Vienna e Venezia – e riassume tutti i mondi produttivi della sua carriera, divisa fra gli ambienti di corte e i teatri cittadini veneziani. L’opera fu commissionata nel 1665 per le nozze dell’arciduca d’Austria Sigismondo Francesco a Innsbruck, ma fu rappresentata solo nel 1667 alla corte di Leopoldo I a Vienna, e infine ripresa a Venezia al teatro di S. Moisè nel 1674 con una serie di ritocchi e il nuovo titolo "La schiava fortunata": Giulio Cesare Corradi revisionò il testo e Marc’Antonio Ziani aggiornò la musica. La tesi contiene una prima parte di studio dell’opera suddivisa in cinque capitoli, in cui offro: una panoramica aggiornata della biografia del compositore aretino e la contestualizzazione della "Semirami" nella sua carriera, con particolare attenzione alla genesi e alle fasi evolutive del dramma; l’analisi drammaturgica e musicale dell’opera, in cui esamino le scelte compositive di Cesti in rapporto al testo poetico dato; infine la fortuna della "Semirami" con l’allestimento veneziano del 1674 e le sue riprese. Un capitolo è dedicato interamente alla fortuna del soggetto di Semiramide nel Seicento operistico. La seconda parte della tesi contiene l’edizione dei testi poetici della "Semiramide" (Firenze 1690), della "Semirami" (Vienna 1667) e della "Schiava fortunata" (Venezia 1674) con la presentazione delle aggiunte e sostituzioni riscontrate nei testimoni relativi agli allestimenti successivi, fino al 1693.
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L’elaborato ha ad oggetto lo studio della tematica inerente alla prevenzione e alla risoluzione dei conflitti di giurisdizione tra autorità giudiziarie appartenenti a Paesi membri dell’Unione europea, in presenza di un reato caratterizzato da elementi di transnazionalità. In questi casi è necessario elaborare alcuni canoni idonei a individuare per tempo l’autorità giudiziaria competente a condurre l’attività di accertamento. Tale esigenza sorge a causa della lacunosità ed insufficienza dell’attuale normativa (Decisione quadro 2009/948/GAI) sotto molteplici profili: il riferimento è tanto alla carenza di tassatività e cogenza dei criteri necessari a radicare la giurisdizione in un determinato Stato, quanto all’irrilevanza, nelle dinamiche inerenti alla scelta del foro, dei diritti di difesa dell’indagato. In questa prospettiva, occorre dunque trovare un punto di equilibrio tra le istanze repressive e quelle di tutela dei diritti fondamentali: detto altrimenti, l’esigenza di evitare di prevenire “zone franche” nello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – anche alla luce della libertà di movimento dei soggetti e dunque dei criminali – non può comportare la lesione della sfera giuridica del cittadino europeo. Il presente lavoro di ricerca, sulla scorta dell'analisi tanto dei principi quanto delle regole attualmente vigenti, si pone l'obiettivo di individuare delle guidelines in linea con il portato garantistico della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea ed efficaci per assolvere il mandato presente all’art. 82, § 1, lett. b) TFUE: ossia di prevenire e risolvere i conflitti di giurisdizione.
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Questo progetto di Dottorato si focalizza sulle dinamiche di formazione della città etrusca di Felsina. In un primo momento è stata effettuata una disamina dei punti più critici di questa tematica. Successivamente sono stati affrontati tre contesti in larga parte inediti. Si tratta degli abitati della Fiera e di Caserma Battistini, oltre all'area di Villa Cassarini. Grazie allo studio di questi siti, è stato possibile delineare come il processo poleogenetico di Felsina prende avvio già con la fase finale del Bronzo Finale, momento in cui l'area attorno Bologna viene ripopolata. Agli inizi dell'età del Ferro si svilupperanno numerosi abitati nell'area attorno al futuro centro, che avevano stretti rapporti fra loro in termini di cultura materiale e scelte insediative. Con il passaggio all'VIII sec. a.C. si osserva un rafforzamento dell'area centrale, che nell'arco di mezzo secolo porterà ad un ulteriore accentramento di popolazione nell'area che di lì a poco diventerà la sede della città etrusca di Felsina, esito ultimo di un lungo processo di poleogenesi.
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Il trapianto di cellule staminali emopoietiche rappresenta la terapia di scelta per numerose patologie ematologiche. Tuttavia, la mortalità da trapianto (non relapse mortality-NRM), ha limitato per lungo tempo il suo utilizzo in pazienti di età >65 anni. L’età non può più essere considerata una controindicazione assoluta al trapianto e il suo utilizzo in fasce di età un tempo ritenute non idonee è in sensibile aumento. La NRM è legata a tre ordini di complicanze: immunologiche (malattia del trapianto contro l’ospite, Graft versus-Host Disease -GVHD-), infettive e tossiche. La tossicità d’organo è direttamente correlata alla intensità del condizionamento che quindi viene ridotta in caso di comorbidità e nel paziente anziano. Tuttavia, ridurre l’intensità del condizionamento significa anche aumentare il rischio di ripresa della malattia ematologica di base e quindi tale aggiustamento deve essere fatto in funzione di indici di invecchiamento e di comorbidità, al fine di non ridurre la potenzialità curativa del trapianto. Per valutare le comorbidità abbiamo uno score altamente predittivo (Hematopoietic Cell Transplant-Comorbidity Index, di Sorror), mentre per valutare l’invecchiamento c’è una grande necessità clinica di marcatori innovativi di età biologica. Il presente lavoro ha l’obiettivo di valutare, nei pazienti sottoposti a trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche per tutte le indicazioni ematologiche, lo stato di metilazione del DNA, indice di età biologica. Lo scopo è di correlare l’epigenoma al rischio trapiantologico del singolo individuo.
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Le conseguenze del management algoritmico sui lavoratori sono note tra gli studiosi, ma poche ricerche indagano le possibilità di agency, soprattutto a livello individuale, nella gig-economy. A partire dalla quotidianità del lavoro, l’obiettivo è analizzare le forme di agency esercitate dai platform workers nel settore della logistica dell'ultimo miglio. La ricerca si basa su un'etnografia multi-situata condotta in due paesi molto distanti e riguardante due diversi servizi urbani di piattaforma: il food-delivery in Italia (Bologna, Torino) e il ride-hailing in Argentina (Buenos Aires). Nonostante le differenze, il lavoro di campo ha mostrato diverse continuità tra i contesti geografici. Innanzitutto, le tecnologie digitali giocano un ruolo ambivalente nell'ambiente di lavoro: se la tecnologia è usata dalle aziende per disciplinare il lavoro, costituisce però anche uno strumento che può essere impiegato a vantaggio dei lavoratori. Sia nel ride-hailing che nelle piattaforme di food-delivery, infatti, i lavoratori esprimono la loro agency condividendo pratiche di rimaneggiamento e tattiche per aggirare il despotismo algoritmico. In secondo luogo, la ricerca ha portato alla luce una gran varietà di attività economiche sviluppate ai margini dell'economia di piattaforma. In entrambi i casi le piattaforme intersecano vivacemente le economie informali urbane e alimentano circuiti informali di lavoro, come evidenziato dall'elevata presenza di scambi illeciti: ad esempio, vendita di account, hacking-bots, caporalato digitale. Tutt'altro che avviare un processo di formalizzazione, quindi, la piattaforma sussume e riproduce l’insieme di condizioni produttive e riproduttive dell'informalità (viração), offrendo impieghi intermittenti e insicuri a una massa di lavoratori-usa-e-getta disponibile al sottoimpiego. In conclusione, le piattaforme vengono definite come infrastrutture barocche, intendendo con il barocco tanto la natura ibrida dell'azione che mescola forme di neoliberismo-dal-basso con pratiche di solidarietà tra pari, quanto la progressiva ristrutturazione dei processi di accumulazione all’insegna di una rinnovata interdipendenza tra formale e informale nelle infrastrutture del «mondo a domicilio».
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L’insorgere della pandemia da COVID-19 ha comportato una pesante riorganizzazione delle strutture ospedaliere e lo stesso sistema delle cure oncologiche è stato ripensato cercando di garantire, da un lato, la sicurezza dei pazienti e del personale sanitario e, dall’altro, la continuità delle cure. Il progetto analizza l’impatto di questa riorganizzazione sulle traiettorie di malattia dei pazienti oncologici e sul lavoro di cura dei diversi attori coinvolti nella definizione di queste traiettorie. La ricerca, focalizzata sul contesto ospedaliero emiliano-romagnolo, si è svolta tramite la realizzazione di interviste qualitative a personale sanitario ospedaliero, associazioni di volontariato, pazienti e caregiver. La gestione del rischio Covid ha comportato un consistente impegno in termini di safety work da parte del personale sanitario. Inoltre, le limitazioni degli accessi agli ambienti ospedalieri, imposte come misure di sicurezza, hanno comportato l’esclusione di familiari e associazioni di volontariato dagli ospedali e, di conseguenza, una maggiore solitudine del paziente in tutte le fasi del percorso di cura. L’assistenza fornita da queste figure ricomprende una componente di “lavoro invisibile” che la situazione pandemica ha permesso di far emergere. Infatti, i familiari supportano indirettamente e informalmente il lavoro del personale sanitario all’interno dello stesso ambiente ospedaliero. I professionisti intervistati hanno riconosciuto il venir meno di questo supporto. La risposta del personale ospedaliero, e infermieristico in particolare, si è articolata in due direzioni al fine di sopperire a queste mancanze: da un lato, incrementando la componente di sentimental work, e quindi di supporto emotivo ai pazienti; dall’altro, attraverso buone pratiche orientate a rispondere ai bisogni dei pazienti, intesi non solo in senso biomedico, ma anche psicologico e relazionale. Possiamo quindi concludere che, sotto certi aspetti, la pandemia è stata contrastata con una maggiore umanizzazione delle cure oncologiche e una maggiore attenzione ai bisogni dei pazienti intesi nella loro interezza e complessità.