45 resultados para conflitto, interprete, professionalità


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L’elaborato esamina il tema del concorso e del conflitto tra contratti collettivi di diverso livello nel settore privato. Partendo da un’impostazione complessiva del fenomeno della contrattazione collettiva, oltre che da una riflessione sulla natura e sul ruolo della contrattazione integrativa, il lavoro si propone di individuare un criterio di risoluzione del conflitto. In una prima parte della ricerca sono stati individuati e studiati i modelli di rapporti tra livelli definiti negli accordi interconfederali e nei contratti di categoria. Nello studio della regolamentazione interna al sistema sindacale si è considerato la natura delle relative clausole. Queste ultime hanno valenza obbligatoria e, per tale motivo, non sono idonee a risolvere l’eventuale conflitto tra livelli contrattuali. Si è reso quindi necessario considerare i criteri esterni di risoluzione del conflitto elaborati dalla dottrina e della giurisprudenza. Tra i vari criteri elaborati, ci si è soffermati sul criterio di specialità, sulla sua natura e sulla sua funzione. Più nello specifico, si è ritenuto il principio di specialità un principio generale dell’ordinamento giuridico, applicabile anche al conflitto tra contratti di diverso livello. Alla luce del principio di specialità, si è ricostruito il rapporto tra livelli, anche in ipotesi di contrattazione separata e di negoziazione operante su rinvio legislativo. Infine, nell’ultimo capitolo si è esaminato l’art. 8 della L. 148/2011. Ci si è interrogati sulla compatibilità di tale norma con l’impostazione complessiva del tema del rapporto tra contratti di diverso livello e sui suoi riflessi sulla questione del conflitto.

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La tesi affronta il tema degli istituti e degli strumenti di tutela della condizione di disoccupazione. In mancanza d’una nozione giuridica generale di disoccupazione, l’obiettivo è quello di ricercare gli elementi comuni ai differenti istituti in grado di definire l’ambito della protezione garantita alla persona priva d’impiego. Lo studio fornisce, dapprima, una complessiva ricognizione storico-critica degli strumenti per il sostegno del reddito nelle ipotesi di mancanza di lavoro. L’esame dei modelli d’intervento legislativo evidenzia finalità, caratteristiche e criticità dei singoli istituti, sia di quelli più consolidati, che degli interventi più recenti. La seconda parte della tesi si propone d’integrare la ricognizione delle forme di tutela economica con l’analisi delle politiche attive nel mercato del lavoro e degli interventi a sostegno all’occupabilità. L’intento è di verificare le modalità attraverso le quali l’ordinamento tenta di collegare tutela del reddito e promozione dell’occupazione. La ricerca affronta anche la questione dei limiti alla libertà di circolazione nell’Unione Europea dei cittadini non lavoratori, nonché il condizionamento determinato dalle misure che riducono o scoraggiano l’esportabilità delle prestazioni previdenziali negli altri Paesi europei. La parte finale si propone d’individuare gli elementi che caratterizzano il complesso degli istituti analizzati, al fine di verificare a quale evento giuridico l’ordinamento offra protezione. Lo studio identifica due elementi rilevanti: la condizione di “mancanza di lavoro”, che accomuna l’intervento per la disoccupazione e quello a favore dei rapporti di lavoro sospesi, nonché l’attualità dello stato di disoccupazione, parametro generale per gli interventi protettivi. L’analisi svolta sottolinea, però, che i meccanismi di c.d. condizionalità per l’accesso alle prestazioni economiche e ai servizi per l’impiego non consentono un’adeguata promozione della qualità del lavoro e della professionalità del lavoratore. La tesi individua un possibile terreno di sviluppo della protezione della condizione del disoccupato nell’integrazione tra strumenti di sostegno all’impiego e interventi a base universalistica.

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Oggetto della ricerca è il museo Wilhelm Lehmbruck di Duisburg, un'opera dell'architetto Manfred Lehmbruck, progettata e realizzata tra il 1957 e il 1964. Questa architettura, che ospita la produzione artistica del noto scultore Wilhelm Lehmbruck, padre di Manfred, è tra i primi musei edificati ex novo nella Repubblica Federale Tedesca dopo la seconda guerra mondiale. Il mito di Wilhelm Lehmbruck, costruito negli anni per donare una identità culturale alla città industriale di Duisburg, si rinvigorì nel secondo dopoguerra in seno ad una più generale tendenza sorta nella Repubblica di Bonn verso la rivalutazione dell'arte moderna, dichiarata “degenerata” dal nazionalsocialismo. Ricollegarsi all'arte e all'architettura moderna degli anni venti era in quel momento funzionale al ridisegno di un volto nuovo e democratico del giovane stato tedesco, che cercava legittimazione proclamandosi erede della mitica e gloriosa Repubblica di Weimar. Dopo anni di dibattiti sulla ricostruzione, l'architettura del neues Bauen sembrava l'unico modo in cui la Repubblica Federale potesse presentarsi al mondo, anche se la realtà del paese era assai più complessa e svelava il “doppio volto” che connotò questo stato a partire dal 1945. Le numerose dicotomie che popolarono presto la tabula rasa nata dalle ceneri del conflitto (memoria/oblio, tradizione/modernità, continuità/discontinuità con il recente e infausto passato) trovano espressione nella storia e nella particolare architettura del museo di Duisburg, che può essere quindi interpretato come un'opera paradigmatica per comprendere la nuova identità della Repubblica Federale, un'identità che la rese capace di risorgere dopo l' “anno zero”, ricercando nel miracolo economico uno strumento di redenzione da un passato vergognoso, che doveva essere taciuto, dimenticato, lasciato alle spalle.

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La presente ricerca si fonda su un’attenta ed approfondita analisi della normativa vigente in Italia in materia di procreazione medicalmente assistita (P.M.A.), con particolare riferimento al divieto assoluto di P.M.A. eterologa, di cui all’art. 4, comma 3, L. 19 febbraio 2004, n. 40, consentita invece – sia pure con la previsione di limitazioni differenti – nella quasi totalità dei paesi europei. Dopo aver esaminato la “questione etica” del ricorso alle tecniche di fecondazione assistita e le normative vigenti in Europa in materia di P.M.A. eterologa, il presente lavoro analizza i profili civilistici della L. n. 40/2004 ed i conseguenti dubbi interpretativi che la normativa italiana pone in materia di fecondazione eterologa, con specifico riguardo al consenso prestato dai coniugi o conviventi, al divieto di disconoscimento di paternità e di anonimato della madre ed, infine, al diritto del nato da fecondazione eterologa di conoscere le proprie origini biologiche. Ne consegue che, in una materia che coinvolge la sfera più intima e personale della vita privata e familiare, quale quella della P.M.A., il legislatore avrebbe dovuto intervenire con misura, individuando soluzioni ragionevoli ed equilibrate nel rispetto della pluralità di etiche contrapposte ed interessi in conflitto. Attraverso una capillare analisi della recente giurisprudenza nazionale ed europea, la presente ricerca mira, dunque, a valutare possibili prospettive di superamento del divieto assoluto di P.M.A. eterologa previsto dalla L. n. 40/2004. I risultati a cui la presente indagine ha consentito di pervenire dimostrano quanto sia opportuna l’adozione in Italia di un “modello liberale”, in cui sia lecita anche la fecondazione eterologa (con la previsione di limiti e condizioni volti a tutelare primariamente il superiore interesse del nascituro), onde consentire l’adeguamento al nuovo concetto di “genitorialità” ormai prevalente e l’arresto del cd. “turismo procreativo”.

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La tesi tematizza come proprio oggetto di indagine i percorsi di partecipazione politica e civica dei giovani nei contesti di transizione alla vita adulta, concentrandosi sull’influenza delle relazioni tra generazioni su tali espressioni di coinvolgimento. L’approfondimento empirico consiste in una ricerca qualitativa condotta presso il quartiere Navile di Bologna nel 2012. Basandosi sull’approccio metodologico della grounded theory, essa ha coinvolto un campione di giovani e un campione di adulti per loro significativi attraverso interviste semistrutturate. Dall’analisi emerge una rilevante disaffezione giovanile nei confronti della politica che, tuttavia, non traduce in un rifiuto del coinvolgimento, ma in una “partecipazione con riserva” espressa attraverso atteggiamenti tutt’altro che passivi nei confronti della politica formale - basati sulla logica della riforma, della resistenza o della ribellione - e mediante un forte investimento in attività partecipative non convenzionali (associazionismo e coinvolgimento). A fare da sfondo all’interesse partecipativo dei giovani si colloca una lettura negativa della propria condizione presente ed un conseguente conflitto intergenerazionale piuttosto manifesto, che si riflette sulle stesse modalità di attivazione. La politica, nelle sue espressioni più strettamente formali, viene interpretata come un ‘territorio adulto’, gestito secondo logiche che lasciano poco spazio ai giovani i quali, per tale ragione, scelgono di attivarsi secondo modalità alternative in cui il confronto con l’altro, quando presente, avviene prevalentemente tra pari o su basi avvertite come più paritarie. Il distanziamento dei giovani dalla politica formale riflette quindi una parallela presa di distanza dagli adulti, i quali risultano smarriti nello svolgimento delle loro funzioni di modello e di riconoscimento. La loro ambivalenza rispetto ai giovani - ossia il continuo oscillare tra il profondo pessimismo e il cieco ottimismo, tra la guida direttiva e la deresponsabilizzazione - si traduce in un riconoscimento parziale delle reali potenzialità ed esigenze dei giovani come cittadini ed adulti emergenti.

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Questa ricerca intende esaminare l'impatto della circolazione transfrontaliera dei servizi sul bilanciamento tra regole di mercato e politiche sociali. L'analisi di questa tensione costituisce il punto di partenza per una riflessione più ampia che si propone di comprendere come la conciliazione tra solidarietà e competitività e, più generalmente, tra esigenze di protezione sociale degli Stati membri e tradizionali competenze comunitarie nell'ambito del mercato comune, possa operare nel settore dei servizi. Un mercato comune dei servizi in costante espansione in senso transfrontaliero ha indubbiamente effetti non trascurabili sul piano sociale ed in particolare sul diritto del lavoro consolidatosi nelle tradizioni costituzionali degli Stati membri. La necessità di conciliare solidarietà e competitività alla base del concetto di economia sociale ed il rinnovato accento sulla dimensione sociale dell'Unione accolto nel Trattato di Lisbona dovrebbero promuovere una convivenza armoniosa tra un'integrazione europea di carattere principalmente economico ed i residui spazi di intervento statale a tutela dei mercati nazionali del lavoro. Prima di analizzare cause ed effetti di tale potenziale conflitto nell'ambito del mercato europeo dei servizi risulta necessario fornire un panorama del quadro normativo applicabile agli operatori economici che intendano fornire a titolo temporaneo una prestazione in uno Stato membro diverso da quello di stabilimento. Nell'ambito di tale disamina, dedicata alle fonti conflittuali del diritto europeo applicabili ai prestatori di servizi, individueremo le condizioni che devono rispettare gli operatori per esercitare un'attività in uno Stato membro diverso da quello di origine (Parte I). Potremo quindi illustrare come l'esercizio delle libertà comunitarie di circolazione da parte delle imprese europee abbia fatto emergere le contraddizioni ed i limiti del funzionamento del mercato comune rispetto alla fruizione dei diritti sociali da parte dei lavoratori locali e distaccati (Parte II).

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La presente tesi ha come scopo quello di individuare alcune problematiche relative all’esercizio e alla limitazione del diritto alla libertà di espressione nel contesto delle attività globali di sorveglianza e controllo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Tali attività, poste in essere da parte degli Stati e da parte degli operatori privati, sono favorite dal nebuloso rapporto tra norme di fonte pubblica, privata e informatica, e sono invece osteggiate dal ricorso, collettivo e individuale, alle possibilità offerte dalle tecnologie stesse per la conduzione di attività in anonimato e segretezza. La sorveglianza globale nel contesto delle privatizzazioni si serve del codice e dell’autonomia privata, così come la resistenza digitale ricorre alle competenze informatiche e agli spazi di autonomia d’azione dell’individuo. In questo contesto, la garanzia dell’esistenza e dell’esercizio dei diritti fondamentali dell’individuo, tra tutti il diritto alla libertà di espressione e il diritto alla tutela della riservatezza, passa per l’adozione di tecniche e pratiche di autotutela attraverso l’utilizzo di sistemi di cifratura e comunicazioni anonime. L’individuo, in questo conflitto tecnico e sociale, si trova a dover difendere l’esercizio dei propri diritti e finanche l’adempimento ai propri doveri, quando attinenti a particolari figure professionali o sociali, quali avvocati, operatori di giustizia, giornalisti, o anche semplicemente genitori. In conclusione dell’elaborato si propongono alcune riflessioni sulla formazione della cittadinanza e del mondo professionale, da parte dei giuristi delle nuove tecnologie, all’uso cosciente, consapevole e responsabile delle nuove tecnologie dell’informazione, con lo stimolo ad orientare altresì le proprie attività alla tutela e alla promozione dei diritti umani fondamentali, democratici, costituzionali, civili e sociali.

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Il lavoro propone un’analisi critica delle disciplina italiana ed europea della consulenza in materia di investimenti. Si considerano innanzitutto le problematiche generali del rapporto tra cliente e intermediario nella prestazione della consulenza, con particolare riferimento ad asimmetrie informative e conflitti di interesse. Si discute, in particolare, il tradizionale paradigma regolamentare fondato sulla trasparenza: le indicazioni della finanza comportamentale suggeriscono, infatti, un intervento normativo più deciso, volto a caratterizzare in maniera fiduciaria la relazione tra cliente e intermediario. Dopo aver analizzato, alla stregua dei modelli teorici illustrati in precedenza, l’evoluzione storica della disciplina della consulenza nell’ordinamento italiano, si sottolinea il ruolo svolto dall’autorità di vigilanza nella sistematizzazione dell’istituto, nel contempo rilevando, tuttavia, la complessiva insufficienza delle norme vigenti al fine di un’adeguata tutela dell’investitore. Si esamina poi la disciplina introdotta dalla MiFID, con specifica attenzione alle implicazioni sistematiche dell’estensione della nozione di consulenza operata dalle autorità di vigilanza: la nuova configurazione del servizio ha determinato un’intensificazione dei doveri fiduciari imposti agli intermediari, testimoniando un superamento del paradigma di trasparenza e un percorso indirizzato verso un approccio maggiormente interventista sul lato dell’offerta. Le conclusioni sono, peraltro, nel senso di uno sviluppo solo parziale di tale processo, risultando dubbio il valore per il cliente di una consulenza non indipendente e potenzialmente esposta, soprattutto negli intermediari polifunzionali, al conflitto di interessi. Particolare enfasi viene posta sulla necessità di introdurre un’effettiva consulenza indipendente, pur nelle difficoltà che la relativa disciplina incontra, anche in ragione delle caratteristiche specifiche del mercato, nell’ordinamento italiano.

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This work seeks to understand what kind of impact educational policies have had on the secondary school students among internally displaced persons (IDPs) and their identity reconstruction in Georgia. The study offers a snapshot of the current situation based on desk study and interviews conducted among a sample of secondary school IDP pupils. In the final chapter, the findings will be reflected against the broader political context in Georgia and beyond. The study is interdisciplinary and its methodology is based on social identity theory. I shall compare two groups of IDPs who were displaced as a result of two separate conflicts. The IDPs displaced as a result of conflict in Abkhazia in 1992–1994 are named as old caseload IDPs. The second group of IDPs were displaced after a conflict in South Ossetia in 2008. Additionally, I shall touch upon the situation of the pupils among the returnees, a group of Georgian old caseload IDPs, who have spontaneously returned to de facto Abkhazia. According to the interviews, the secondary school student IDPs identify themselves strongly with the Georgian state, but their group identities are less prevailing. Particularly the old case load IDP students are fully integrated in local communities. Moreover, there seems not to be any tangible bond between the old and new caseload IDP students. The schools have neither tried nor managed to preserve IDP identities which would, for instance, make political mobilisation likely along these lines. Right to education is a human right enshrined in a number of international conventions to which the IDPs are also entitled. Access to education or its denial has a deep impact on individual and societal development. Furthermore, education has a major role in (re)constructing personal as well as national identity.

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L’elaborato propone una riflessione rispetto all’atto giuridico del consenso informato quale strumento garante dell’esercizio del diritto alla salute per i migranti. Attraverso una riflessione antropologica rispetto alla natura, alla costruzione e alla logica dei diritti universali, verranno analizzate le normative nazionali, europee ed internazionali a tutela del diritto alla salute per i migranti; l’obiettivo della ricerca è indagare l’eventuale scarto tra normative e politiche garantiste nei confronti della salute migrante e l’esistenza di barriere strutturali che impediscono un pieno esercizio del diritto alla salute. L’ipotesi di ricerca si basa sulla reale capacità performativa del consenso informato, proposto solitamente sia come strumento volto ad assicurare la piena professionalità dell’operatore sanitario nell’informare il paziente circa i rischi e i benefici di un determinato trattamento sanitario, sia come garante del principio di autonomia. La ricerca, attraverso un’analisi quanti-qualitativa, ha interrogato il proprio campo, rappresentato da un reparto di ginecologia ed ostetrica, rispetto alle modalità pratiche di porre in essere la firma nei moduli del consenso informato, con particolare attenzione alle specificità proprie delle pazienti migranti. Attraverso l’osservazione partecipante è stato quindi possibile riflettere su aspetti rilevanti, quali le dinamiche quotidiane che vengono a crearsi tra personale sanitario e pazienti, le caratteristiche e i limiti del servizio di mediazione sanitaria, le azioni pratiche della medicina difensiva. In questo senso il tema del “consenso informato”, indagato facendo interagire discipline quali l’antropologia, la bioetica, la filosofia e la sociologia, si è posto sia come lente di lettura privilegiata per comprendere le dinamiche relazionali ad oggi esistenti tra professionisti sanitari e popolazione migrante, ancora vittima di diseguaglianze strutturali, ma altresì come “innesco potenziale” di nuove modalità di intendere la relazione medico-paziente.

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La tesi di dottorato ha come oggetto il pensiero sociologico di Georg Simmel con particolare riferimento alla sua interpretazione nei diversi indirizzi di ricerca della sociologia relazionale contemporanea. In particolare, si propone una rilettura del contributo simmeliano alla luce del paradigma relazionale della sociologia di Pierpaolo Donati. Il lavoro di ricerca è stato condotto secondo una rigorosa ricognizione testuale dell’opus simmeliano e della bibliografia critica internazionale sull'argomento in oggetto. A partire dalla nozione di relazione sociale, si dipana l’analisi della proposta sociologica simmeliana: il termine tedesco Wechselwirkung (azione reciproca) racchiude la complessa semantica con cui assume senso l’intera teoria sociologica simmeliana. Simmel è il primo "sociologo relazionale", come sostenuto da Donati, e in questa ricerca si cerca di mostrare le evidenze della validità di tale asserzione. Nella formulazione simmeliana si trovano importanti indizi teorici che permettono di rielaborare la relazione nei termini di una “forma sociale vitale”. Questo significa che la relazione sociale trova la sua ragion d’essere in quanto fenomeno umano che si determina a partire dalle nozioni di “spirito” (Geist) e “vita”(Leben). Nel primo capitolo si chiarisce la natura di questa relazione sociale in rapporto alle varie proposte sociologiche relazionali in campo internazionale. Nel secondo capitolo si analizza in maniera critica la (ri)formulazione simmeliana della relazione come scambio (nella forma simbolica del denaro) e le interpretazioni relazionali che si sono succedute a partire da questo cambio di rotta. Nel terzo capitolo vengono passate in rassegna le principali figure relazionali (la vita della metropoli, la moda, il conflitto, il povero, lo straniero) con le quali si confronta il sociologo berlinese. Nel quarto capitolo si propone di rileggere fenomeni sociali e culturali come forme relazionali in riferimento alla sfera dell’arte e della teologia (religione).

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I Comuni incarnano idealmente delle piazze in cui il dibattito politico può svilupparsi in assenza di particolari filtri ed intermediazioni, con un rapporto diretto tra cittadini ed istituzioni. Essi costituiscono uno snodo di centrale importanza nell'esercizio della sovranità popolare e, al contempo, sono terreno fertile per la sperimentazione di modelli di partecipazione democratica. Prendendo come punto di vista l'esperienza dei Comuni italiani, si è scelto di focalizzare l'attenzione su uno degli strumenti “istituzionali” – nonché uno tra i più tradizionali – di partecipazione popolare, ovvero il referendum, nelle diverse forme ed accezioni che rientrano nel campo semantico di tale espressione. Questa è generalmente impiegata per indicare tutte quelle votazioni popolari non elettive su questioni politicamente rilevanti, formulate attraverso un quesito con due o più risposte alternative tra loro. L'analisi della disciplina legislativa degli istituti di partecipazione negli enti locali e lo studio delle disposizioni statutarie e regolamentari previste dai singoli Comuni, nonché le informazioni raccolte da alcuni casi di studio, rappresentano, in questo contesto, l'occasione per indagare le caratteristiche peculiari dell'istituto referendario, la sua effettività ed il suo impatto sulla forma di governo. In particolare, si è verificata positivamente la compatibilità del referendum, classificato dalla prevalente dottrina come istituto di democrazia diretta, con le forme attuali di democrazia rappresentativa. Si è tentato, altresì, un accostamento ai concetti di democrazia partecipativa e deliberativa, evidenziando come manchi del tutto, nel procedimento referendario (che pure è dotato di massima inclusività) un momento di confronto “deliberativo”. Il raffronto tra le esperienze riscontrate nei diversi Comuni ha consentito, inoltre, di ricercare le cause di alcuni aspetti critici (scarsa affluenza, mancata trasformazione del voto in decisioni politiche, aumento del conflitto) e, al contempo, di individuarne possibili soluzioni, tracciate sulla scorta delle migliori pratiche rilevate.

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La ricerca affronta il rapporto tra il Partito comunista italiano e le organizzazioni della sinistra extraparlamentare nate nel biennio 1968-1969. Sulla base di documentazione d’archivio e fonti a stampa, vengono ricostruite ed analizzate le relazioni tra questi due soggetti nel periodo compreso tra la fine degli anni Sessanta e la metà del decennio successivo, quando i principali gruppi politici della sinistra extraparlamentare si dotarono di una struttura organizzativa più stabile che segnava una discontinuità con l’esperienza precedente. Nel corso della prima metà degli anni Settanta, i rapporti tra il PCI e queste organizzazioni furono complessi e talvolta contraddittori. Il conflitto si consumò prevalentemente sulla reciproca pretesa di possedere l’esclusiva rappresentanza politica del fermento sociale che attraversava il paese in quegli anni: il PCI rappresentando se stesso come l’unica forza politica capace di mediare tra movimenti sociali e istituzioni; i gruppi della sinistra parlamentare come «avanguardie» di un irrealizzabile progetto «rivoluzionario».

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La presente ricerca ha un duplice obiettivo. Primo, individuare i modi in cui lingue e identità culturali diverse sono state rappresentate al cinema. Secondo, identificare le diverse strade imboccate dai professionisti del doppiaggio italiano quando si trovano a confrontarsi con un film in cui si parlano più lingue. La ricerca propone un approccio multidisciplinare che combina i contributi teorici sviluppati nel campo degli studi di traduzione audiovisiva con le modalità di analisi più comunemente utilizzate dalla semiotica del cinema. L'analisi si basa su un campione di 224 film multilingue prodotti dall'inizio degli anni Trenta alla fine degli anni Duemila. Particolare attenzione viene indirizzata al quadro teorico all'interno del quale viene interpretato il ruolo che il multilinguismo assume al cinema. Vengono identificate tre funzioni principali: conflitto, confusione e resa realistica. Un altro elemento chiave nell'analisi è costituito dal genere cinematografico prevalente a cui è possibile ricondurre ciascuno dei film selezionati. Sono individuati tre generi principali: il film drammatico, la commedia e il thriller. Nel film drammatico il multilinguismo agisce come un veicolo che produce e accentua il conflitto, mentre nella commedia esso di solito diventa un dispositivo comico che crea confusione e umorismo. Nel cinema thriller, invece, il multilinguismo funziona essenzialmente come un veicolo di suspense. Per quanto riguarda le soluzioni traduttive adottate nel doppiaggio italiano del cinema multilingue, sono rilevate tre macro-strategie: la conservazione, la neutralizzazione e la riduzione dell'originale dimensione multilingue. Ciascuna di queste tre strategie è passata a vaglio critico. Se nel primo caso si tratta di un tentativo di riprodurre fedelmente le originali situazioni multilingue rappresentate nel film, negli altri due casi si tratta di soluzioni che risentono fortemente delle specificità del doppiaggio come modalità di traduzione degli audiovisivi (fattori ideologici ed economici, nonché il problema tecnico dell'armonizzazione delle voci per i personaggi bilingue).

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Caratteristica comune ai regimi di consolidamento previsti dai diversi ordinamenti, è quella di consentire la compensazione tra utili e perdite di società residenti, e, di negare, o rendere particolarmente difficoltosa, la stessa compensazione, quando le perdite sono maturate da società non residenti. La non considerazione delle perdite comporta una tassazione al lordo del gruppo multinazionale, per mezzo della quale, non si colpisce il reddito effettivo dei soggetti che vi appartengono. L’effetto immediato è quello di disincentivare i gruppi a travalicare i confini nazionali. Ciò impedisce il funzionamento del Mercato unico, a scapito della libertà di stabilimento prevista dagli artt. 49-54 del TFUE. Le previsioni ivi contenute sono infatti dirette, oltre ad assicurare a società straniere il beneficio della disciplina dello Stato membro ospitante, a proibire altresì allo Stato di origine di ostacolare lo stabilimento in un altro Stato membro dei propri cittadini o delle società costituite conformemente alla propria legislazione. Gli Stati membri giustificano la discriminazione tra società residenti e non residenti alla luce della riserva di competenza tributaria ad essi riconosciuta dall’ordinamento europeo in materia delle imposte dirette, dunque, in base all’equilibrata ripartizione del potere impositivo. In assenza di qualsiasi riferimento normativo, va ascritto alla Corte di Giustizia il ruolo di interprete del diritto europeo. La Suprema Corte, con una serie di importanti pronunce, ha infatti sindacato la compatibilità con il diritto comunitario dei vari regimi interni che negano la compensazione transfrontaliera delle perdite. Nel verificare la compatibilità con il diritto comunitario di tali discipline, la Corte ha tentato di raggiungere un (difficile) equilibrio tra due interessi completamenti contrapposti: quello comunitario, riconducibile al rispetto della libertà di stabilimento, quello degli Stati membri, che rivendicano il diritto di esercitare il proprio potere impositivo.