70 resultados para Esso (tavaramerkki)
Resumo:
Numerosi studi hanno mostrato come i meccanismi epigenetici di regolazione della cromatina svolgano un ruolo centrale nel controllare la trascrizione genica. E’ stato infatti dimostrato che complessi inibitori come SWI/SNF e gli enzimi ad esso associati quali istone deacetilasi (HDAC) e protein arginin-metiltrasferasi (PRMT), siano coinvolti nel controllo della crescita, differenziazione e proliferazione cellulare. Diversi studi hanno mostrato come i meccanismi epigenetici di controllo della trascrizione genica svolgano un ruolo di primo piano nel promuovere la sopravvivenza cellulare in leucemie/linfomi di derivazione dai linfociti B come la leucemia linfatica cronica, il linfoma mantellare ed i linfomi associati al virus di Epstein-Barr (EBV). Tuttavia, molto poco e’ conosciuto circa i meccanismi epigenetici di controllo della trascrizione che divengono operativi e che contribuiscono al processo di trasformazione dei linfociti B. PRMT5 e’ un enzima che di-metila specificamente residui argininici sugli istoni (H) 3 (H3R8) ed 4 (H4R3). PRMT5 ed HDAC lavorano in concerto per reprimere la trascrizione di specifici geni oncosoppressori. In questo progetto sono stati studiati i meccanismi e le conseguenze dell’iperespressione di PRMT5 durante il processo di trasformazione dei linfociti B indotto da EBV, e’ stata dimostrata l’importanza di questo enzima nel processo di trasformazione, e sono stati studiati nuovi metodi per inibirne l’espressione/attivita’. In particolare si e’ dimostrato che l’espressione di PRMT5 e’ ridotta o assente in linfociti B normali (o attivati da stimoli fisiologici) ed elevata in linee cellulari linfoblastoidi immortalizzate o completamente trasformate. Elevati livelli citosolici di PRMT5 sono detectabili dopo 4 giorni dall’infezione di linfociti B normali con EBV, PRMT5 e’ detectabile a livello nucleare, dove esercita la sua funzione repressoria la trascrizione, a partire dal giorno 8. L’utilizzo di specifici small interference RNAs (siRNA) in linee cellulari linfoblastoidi ha permesso di dimostrare la riduzione dell’espressione di PRMT5, la riduzione della metilazione degli istoni target di PRMT5, inibizione della proliferazione cellulare e abbassamento della soglia di sensibilita’ cellulare a stimoli pro-apoptotici. Esperimenti di co-immunoprecipitazione cromatinica hanno permesso di evidenziare che in queste cellule PRMT5 e’ parte di un complesso proteico a funzione inibitoria e che questo complesso si lega alla regione promotrice di specifici geni oncosoppressori quali ST7, GAS e NM23, inibendone la trascrizione. Si e’ inoltre provveduto a sviluppare una categoria di inibitori allosterici di PRMT5: l’attivita’ terapeutica/la specificita’ in vitro e la modalita’ di somministrazione ottimale in modelli murini di linfoma non-Hodgkin, sono in corso di valutazione.
Resumo:
Nelle attuali organizzazioni sanitarie non è raro trovare operatori sanitari i quali ritengono che la relazione con il paziente consista nell'avere adeguate competenze tecniche inerenti la professione e nell'applicarle con attenzione e diligenza. Peraltro si tende ad invocare il “fattore umano”, ma si lamenta poi che l’operatore si rapporti col paziente in modo asettico e spersonalizzato. Da un punto di vista scientifico il termine “relazione” in psicologia si riferisce essenzialmente ai significati impliciti e quasi sempre non consapevoli veicolati da qualunque relazione: dipende pertanto dalla struttura psichica dei due interlocutori investendo in particolare la sfera dell’affettività e procede per processi comunicativi che travalicano il linguaggio verbale e con esso le intenzioni razionali e coscienti. La relazione interpersonale quindi rientra nel più ampio quadro dei processi di comunicazione: sono questi o meglio i relativi veicoli comunicazionali, che ci dicono della qualità delle relazioni e non viceversa e cioè che i processi comunicazionali vengano regolati in funzione della relazione che si vuole avere (Imbasciati, Margiotta, 2005). Molti studi in materia hanno dimostrato come, oltre alle competenze tecnicamente caratterizzanti la figura dell’infermiere, altre competenze, di natura squisitamente relazionale, giochino un ruolo fondamentale nel processo di ospedalizzazione e nella massimizzazione dell’aderenza al trattamento da parte del paziente, la cui non osservanza è spesso causa di fallimenti terapeutici e origine di aumentati costi sanitari e sociali. Questo aspetto è però spesso messo in discussione a favore di un maggiore accento sugli aspetti tecnico professionali. Da un “modello delle competenze” inteso tecnicisticamente prende origine infatti un protocollo di assistenza infermieristica basato sull’applicazione sistematica del problem solving method: un protocollo preciso (diagnosi e pianificazione) guida l’interazione professionale fra infermiere e la persona assistita. A lato di questa procedura il processo di assistenza infermieristica riconosce però anche un versante relazionale, spesso a torto detto umanistico riferendosi alla soggettività dei protagonisti interagenti: il professionista e il beneficiario dell’assistenza intesi nella loro globalità bio-fisiologica, psicologica e socio culturale. Nel pensiero infermieristico il significato della parola relazione viene però in genere tradotto come corrispondenza continua infermiere-paziente, basata sulle dimensioni personali del bisogno di assistenza infermieristica e caratterizzata da un modo di procedere dialogico e personalizzato centrato però sugli aspetti assistenziali, in cui dall’incontro degli interlocutori si determinerebbe la natura delle cure da fornire ed i mezzi con cui metterle in opera (Colliere, 1992; Motta, 2000). Nell’orientamento infermieristico viene affermata dunque la presenza di una relazione. Ma di che relazione si tratta? Quali sono le capacità necessarie per avere una buona relazione? E cosa si intende per “bisogni personali”? Innanzitutto occorre stabilire cosa sia la buona relazione. La buona o cattiva relazione è il prodotto della modalità con cui l’operatore entra comunque in interazione con il proprio paziente ed è modulata essenzialmente dalle capacità che la sua struttura, consapevole o no, mette in campo. DISEGNO DELLA LA RICERCA – 1° STUDIO Obiettivo del primo studio della presente ricerca, è un’osservazione delle capacità relazionali rilevabili nel rapporto infermiere/paziente, rapporto che si presume essere un caring. Si è voluto fissare l’attenzione principalmente su quelle dimensioni che possono costituire le capacità relazionali dell’infermiere. Questo basandoci anche su un confronto con le aspettative di relazione del paziente e cercando di esplorare quali collegamenti vi siano tra le une e le altre. La relazione e soprattutto la buona relazione non la si può stabilire con la buona volontà, né con la cosiddetta sensibilità umana, ma necessita di capacità che non tutti hanno e che per essere acquisite necessitano di un tipo di formazione che incida sulle strutture profonde della personalità. E’ possibile ipotizzare che la personalità e le sue dimensioni siano il contenitore e gli elementi di base sui quali fare crescere e sviluppare capacità relazionali mature. Le dimensioni di personalità risultano quindi lo snodo principale da cui la ricerca può produrre i suoi risultati e da cui si è orientata per individuare gli strumenti di misura. La motivazione della nostra scelta dello strumento è da ricercare quindi nel tentativo di esplorare l’incidenza delle dimensioni e sottodimensioni di personalità. Tra queste si è ritenuto importante il costrutto dell’Alessitimia, caratteristico nel possesso e quindi nell’utilizzo, più o meno adeguato, di capacità relazionali nel processo di caring,
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Il presente lavoro si occupa dell’analisi numerica di combustione di gas a basso potere calorifico (gas di sintesi derivanti da pirolisi di biomasse). L’analisi è stata condotta su due principali geometrie di camera di combustione. La prima è un bruciatore sperimentale da laboratorio adatto allo studio delle proprietà di combustione del singas. Esso è introdotto in camera separatamente rispetto ad una corrente d’aria comburente al fine di realizzare una combustione non-premiscelata diffusiva in presenza di swirl. La seconda geometria presa in considerazione è la camera di combustione anulare installata sulla microturbina a gas Elliott TA 80 per la quale si dispone di un modello installato al banco al fine dell’esecuzione di prove sperimentali. I principali obbiettivi conseguiti nello studio sono stati la determinazione numerica del campo di moto a freddo su entrambe le geometrie per poi realizzare simulazioni in combustione mediante l’utilizzo di diversi modelli di combustione. In particolare è stato approfondito lo studio dei modelli steady laminar flamelet ed unsteady flamelet con cui sono state esaminate le distribuzioni di temperatura e delle grandezze tipiche di combustione in camera, confrontando i risultati numerici ottenuti con altri modelli di combustione (Eddy Dissipation ed ED-FR) e con i dati sperimentali a disposizione. Di importanza fondamentale è stata l’analisi delle emissioni inquinanti, realizzata per entrambe le geometrie, che mostra l’entità di tali emissioni e la loro tipologia. Relativamente a questo punto, il maggior interesse si sposta sui risultati ottenuti numericamente nel caso della microturbina, per la quale sono a disposizione misure di emissione ottenute sperimentalmente. Sempre per questa geometria è stato inoltre eseguito il confronto fra microturbina alimentata con singas a confronto con le prestazioni emissive ottenute con il gas naturale. Nel corso dei tre anni, l’esecuzione delle simulazioni e l’analisi critica dei risultati ha suggerito alcuni limiti e semplificazioni eseguite sulle griglie di calcolo realizzate per lo studio numerico. Al fine di eliminare o limitare le semplificazioni o le inesattezze, le geometrie dei combustori e le griglie di calcolo sono state migliorate ed ottimizzate. In merito alle simulazioni realizzate sulla geometria del combustore della microturbina Elliott TA 80 è stata condotta dapprima l’analisi numerica di combustione a pieno carico per poi analizzare le prestazioni ai carichi parziali. Il tutto appoggiandosi a tecniche di simulazione RANS ed ipotizzando alimentazioni a gas naturale e singas derivato da biomasse. Nell’ultimo anno di dottorato è stato dedicato tempo all’approfondimento e allo studio della tecnica Large Eddy Simulation per testarne una applicazione alla geometria del bruciatore sperimentale di laboratorio. In tale simulazione è stato implementato l’SGS model di Smagorinsky-Lilly completo di combustione con modelli flamelet. Dai risultati sono stati estrapolati i profili di temperatura a confronto con i risultati sperimentali e con i risultati RANS. Il tutto in diverse simulazioni a diverso valore del time-step imposto. L’analisi LES, per quanto migliorabile, ha fornito risultati sufficientemente precisi lasciando per il futuro la possibilità di approfondire nuovi modelli adatti all’applicazione diretta sulla MTG.
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La tesi affronta un tema di importanza crescente nell’organizzazione economico-produttiva nel quale assume forte rilevo pure la dimensione giuslavoristica. Nei fenomeni di integrazione delle attività d’impresa, infatti, si verifica in modo sempre più ampio una utilizzazione «indiretta» di forza lavoro, per cui diventa cruciale la questione del trattamento da applicare ai rapporti di lavoro «decentrati» Con un approccio che tiene conto dei risultati delle scienze organizzative, si analizzano anzitutto le modalità tipiche delle esternalizzazioni succedutesi nell’evoluzione economico-organizzativa negli ultimi decenni. Vi è una modalità “primaria” o “perfetta”, nella quale è dedotto ad oggetto un opus, giusta lo schema dell’art. 1655 cod. civ., per cui la dinamica del rapporto obbligatorio è integralmente governata dal contratto; vi è altresì una modalità “secondaria” o “relazionale”, che si manifesta nella forma di organizzazioni integrate allargate alla partecipazione di più imprese. In queste, la lunga durata del vincolo obbligatorio impedisce che il contratto sia ex se capace di prevedere, già nel momento genetico, ogni evenienza che investirà lo svolgimento concreto del rapporto. Per questo le esternalizzazioni “relazionali” sono le più interessanti per il diritto del lavoro: i soggetti economici (decentrante e decentrato) articolano relazioni strutturate e di lungo periodo, in cui si determina una stabile interconnessione tra le varie componenti organizzative, nonché un prolungato utilizzo, ad opera del committente, delle prestazioni rese dai dipendenti del fornitore. Dall’indefinitezza circa l’oggetto delle obbligazioni incombenti a carico del debitore dell’opus o servizio – conseguente alla lunga durata della relazione col committente – si delineano però due diversi scenari del rapporto negoziale: esso può essere retto da solidarietà, partnership collaborativa e condivisione di obiettivi comuni (contractual integration “orizzontale”); oppure può essere informato a dinamiche di potere e di condizionamento verso le imprese decentrate ed i loro prestatori di opere impegnati nell’esecuzione del segmento di attività esternalizzato (contractual integration “gerarchica” o “verticale”).
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Questa tesi parte da un evento “minore” della storia del XIX secolo per tendere, poi, ad alcuni obiettivi particolari. L’evento è costituito da uno strano funerale postumo, quello di Piero Maroncelli, carbonaro finito alla Spielberg, graziato, poi emigrato in Francia e in America, il cui corpo viene sepolto a New York nell’estate del 1846. Quarant’anni dopo, nel 1886, i resti di Maroncelli vengono esumati e – attraverso una “trafila” particolare, di cui è protagonista la Massoneria, da una sponda all’altra dell’Atlantico – solennemente trasferiti nella città natale di Forlì, dove vengono collocati nel pantheon del cimitero monumentale, inaugurato per l’occasione. Gli eventi celebrativi che si consumano a New York e a Forlì sono molto diversi fra loro, anche se avvengono quasi in contemporanea e sotto regie politiche ispirate dal medesimo radicalismo anticlericale. E’ chiaro che Maroncelli è un simbolo e un pretesto: simbolo di un’italianità transnazionale, composta di un “corpo” in transito, fuori dello spazio nazionale, ma appartenente alla patria (quella grande e quella piccola); pretesto per acquisire e rafforzare legami politici, mercè mobilitazioni di massa in un caso fondate sul festival, sulla festa en plein air, nell’altro sui rituali del cordoglio per i “martiri” dell’indipendenza. L’opportunità di comparare questi due contesti – l’Italia, colta nella sua periferia radicale e la New York della Tammany Hall -, non sulla base di ipotesi astratte, ma nella concretezza di un “caso di studio” reale e simultaneo, consente di riflettere sulla pervasività dell’ideologia democratica nella sua accezione ottocentesca, standardizzata dalla Massoneria, e, d’altro canto, sui riti del consenso, colti nelle rispettive tipicità locali. Un gioco di similitudini e di dissomiglianze, quindi. Circa gli obiettivi particolari – al di là della ricostruzione del “caso” Maroncelli -, ho cercato di sondare alcuni temi, proponendone una ricostruzione in primo luogo storiografica. Da un lato, il tema dell’esilio e del trapianto delle esperienze di vita e di relazione al di fuori del proprio contesto d’origine. Maroncelli utilizza, come strumento di identitario e di accreditamento, il fourierismo; la generazione appena successiva alla sua, grazie alla Giovine Italia, possiede già un codice interno, autoctono, cui fare riferimento; alla metà degli anni Cinquanta, ad esso si affiancherà, con successo crescente, la lettura “diplomatica” di ascendenza sabauda. Dall’altro, ho riflettuto sull’aspetto legato ai funerali politici, al cordoglio pubblico, al trasferimento postumo dei corpi. La letteratura disponibile, al riguardo, è assai ricca, e tale da consentire una precisa classificazione del “caso” Maroncelli all’interno di una tipologia della morte laica, ben delineata nell’Italia dell’Ottocento e del primo Novecento. E poi, ancora, ho preso in esame le dinamiche “festive” e di massa, approfondendo quelle legate al mondo dell’emigrazione italiana a Mew York, così distante nel 1886 dall’élite colta di quarant’anni prima, eppure così centrale per il controllo politico della città. Dinamiche alle quali fa da contrappunto, sul versante forlivese, la visione del mondo radicale e massonico locale, dominato dalla figura di Aurelio Saffi e dal suo tentativo di plasmare un’immagine morale e patriottica della città da lasciare ai posteri. Quasi un’ossessione, per il vecchio triumviro della Repubblica romana (morirà nel 1890), che interviene sulla toponomastica, sull’edilizia cemeteriale, sui pantheon civico, sui “ricordi” patriottici. Ho utilizzato fonti secondarie e di prima mano. Anche sulle prime, quantitativamente assai significative, mi sono misurata con un lavoro di composizione e di lettura comparata prima mai tentato. La giustapposizione di chiavi di lettura apparentemente distanti, ma giustificate dalla natura proteiforme e complicata del nostro “caso”, apre, a mio giudizio, interessanti prospettive di ricerca. Circa le fonti di prima mano, ho attinto ai fondi disponibili su Maroncelli presso la Biblioteca comunale di Forlì, alle raccolte del Grande Oriente d’Italia a Roma, a periodici italoamericani assai rari, sparsi in diverse biblioteche italiane, da Milano a Roma. Mi rendo conto che la quantità dei materiali reperiti, sovente molto eterogenei, avrebbero imposto una lettura delle fonti più accurata di quella che, in questa fase della ricerca, sono riuscita a condurre. E’ vero, però, che le suggestioni già recuperabili ad un’analisi mirata al contenuto principale – le feste, la propaganda, il cordoglio – consentono la tessitura di una narrazione non forzata, nella quale il ricordo della Repubblica romana viaggia da una sponda all’altra dell’Atlantica, insieme ai resti di Maroncelli; nella quale il rituale massonico funge da facilitatore e da “mediatore culturale”; nella quale, infine, il linguaggio patriottico e la koinè democratica trans-nazionale riescono incredibilmente a produrre o a incarnare identità. Per quanto tempo? La risposta, nel caso forlivese, è relativamente facile; in quello della “colonia” italiana di New York, presto alterata nella sua connotazione demografica dalla grande emigrazione transoceanica, le cose appaiono più complesse. E, tuttavia, nel 1911, cinquantesimo dell’Unità, qualcuno, nella grande metropoli americana, si sarebbe ricordato di Maroncelli, sia pure in un contesto e con finalità del tutto diverse rispetto al 1886: segno che qualcosa, sotto traccia, era sopravvissuto.
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Scopo dell’elaborato risulta l’analisi del rapporto tra atto politico e motivazione politica. Partendo da una ricostruzione storica, l’obiettivo del lavoro è mettere in luce i profili problematici ed i riflessi che l’atto politico – tema apparentemente sopito tanto a livello dottrinale, quanto giurisprudenziale - ricomincia, soprattutto grazie a un certo numero di recenti pronunce dei giudici amministrativi, ad avere, fornendo nuovi spunti di riflessione. Proprio questa nuova tendenza giurisprudenziale, diventa l’oggetto di analisi del terzo capitolo. In esso si esamina il repertorio di casistica giurisprudenziale in materia di atti di alta amministrazione. In breve, tale capitolo viene orientato all’esame di tutte quelle tipologie di atti emergenti dalla valutazione caso per caso effettuata dalla giurisprudenza che, nel tempo, sono state fatte rientrare nel novero degli atti di alta amministrazione, al fine di mettere in evidenza la necessità di un riequilibrio della categoria dell’atto di alta amministrazione, che ormai sembra non apparire più rispondente alla ratio della sua previsione, verso l’emersione di una nuova categoria: il provvedimento amministrativo a motivazione politica. In particolare, si sostiene come non si possano ritenere rientranti tra gli atti di alta amministrazione quegli atti a carattere puntuale a motivazione politica, cioè sorretti da ragioni di fiduciarietà politica, quali, ad esempio, le nomine di carattere fiduciario, strettamente informate dalla contingenza politica. Evidentemente, se tale base giustificativa costituisce la ratio sottesa alla legittimità di tali nomine, non si comprende la ragione per cui l’atto di revoca degli incarichi derivanti da tali nomine sia sottoposto ad un sindacato di ragionevolezza cui sfugge la nomina stessa da cui origina. Ed allora non può non ammettersi che anche l’atto di revoca possa essere sorretto da una motivazione politica perché, altrimenti, perderebbe ragione d’essere anche la nomina stessa. La corrispondenza di disciplina tra nomina e revoca si renderebbe necessaria in quanto, in caso contrario, risulterebbero vanificate fin dall’inizio le esigenze garantiste da assicurare ai singoli e si rischierebbe di bloccare il corretto esercizio della funzione di governo. Si propone, allora, la prospettazione della nuova categoria del provvedimento amministrativo a motivazione politica come quella categoria che, contraddistinta dal carattere della fiduciarietà, venga in soccorso agli organi politici per un recupero effettivo del loro ruolo senza impingere con le esigenze di tutela dei singoli. L’ultimo capitolo della tesi, quindi, si incentra su “Il provvedimento a motivazione politica: una nuova categoria della politicità”. Si tenta di ricostruirne il particolare regime di disciplina, mettendo in evidenza i limiti e le deroghe alle previsioni della l. n. 241/1990, nonchè la peculiarietà di ritenere integrato il requisito della motivazione nella forma del “venir meno della fiducia”. Scopo dell’ultima parte del lavoro diviene, quindi, quello di comprendere quale volto assume la politicità degli atti nell’ordinamento contemporaneo. Si ipotizzano, infatti, tre facce della politicità degli atti, dislocate su tre diversi livelli: atto politico, atto di alta amministrazione e provvedimento amministrativo a motivazione politica.
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Le vesti e le insegne degli imperatori nonché degli alti dignitari, sono ornate e “appesantite” da pietre preziose, lì disposte non a caso. Esse spesso divengono emblemi dei personaggi che le portano e offrono loro virtù e qualità che spesso si ricollegano anche a caratteristiche di alto valore ideologico. Già dai tempi pre-biblici le pietre sono considerate creature vive, messe in corrispondenza con gli astri, secondo la dottrina della simpathia. Questa concezione perdura anche nel Medioevo: infatti, nei vari lapidari vi sono pietre capaci di generare, e pietre “incinte”; esistono pietre dalle virtù talismaniche e taumaturgiche; altre guariscono, allontanano i mali, ottengono il favore dei potenti, consentono di portare a felice compimento tutto quel che si intraprende; rendono eloquenti, simpatici, graditi. Tornando all’ambito imperiale, l’imperatore per governare deve manifestare qualità che vengono condivise anche da Dio, quali la filantrophia, l’eunomia; rispettare la taxis; essere capace di autocontrollo; mostrare pietà; essere filocristos, vittorioso, misericordioso; essere temperante e giusto. Alcune di queste qualità gli vengono offerte anche dall’uso delle pietre preziose; così ad esempio il diamante dà forza e coraggio: preserva l’integrità del carattere e la buona fede; il rubino allude alla fiamma della carità; lo zaffiro è simbolo della ricchezza e dei cieli, custode dell’innocenza e della verità; lo smeraldo è anche esso simbolo della fede e allude simbolicamente alla capacità di intuire e trasmettere il messaggio divino propria del personaggio che ne è adornato. Le fonti prese in esame anche se vengono separate da un’arco di tempo grande e non rispecchiano un limite cronologico fisso, neccessario per ogni ricerca, tuttavia permettono di delineare il percorso evolutivo delle virtù delle gemme attraverso i secoli; e quindi di avere un’ idea molto più chiara sulla concezione delle pietre stesse, e su come, col passare degli anni, queste virtù si evolvono o svaniscono.
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Il lavoro presentato ha come oggetto la ricostruzione tridimensionale della città di Bologna nella sua fase rinascimentale. Tale lavoro vuole fornire un modello 3D delle architetture e degli spazi urbani utilizzabile sia per scopi di ricerca nell’ambito della storia delle città sia per un uso didattico-divulgativo nel settore del turismo culturale. La base del lavoro è una fonte iconografica di grande importanza: l’affresco raffigurante Bologna risalente al 1575 e situato in Vaticano; questa è una veduta a volo d’uccello di grandi dimensioni dell’intero tessuto urbano bolognese all’interno della terza cerchia di mura. In esso sono rappresentate in maniera particolareggiata le architetture civili e ecclesiastiche, gli spazi ortivi e cortilivi interni agli isolati e alcune importanti strutture urbane presenti in città alla fine del Cinquecento, come l’area portuale e i canali interni alla città, oggi non più visibili. La ricostruzione tridimensionale è stata realizzata tramite Blender, software per la modellazione 3D opensource, attraverso le fasi di modellazione, texturing e creazione materiali (mediante campionamento delle principali cromie presenti nell’affresco), illuminazione e animazione. Una parte della modellazione è stata poi testata all’interno di un GIS per verificare l’utilizzo delle geometrie 3D come elementi collegabili ad altre fonti storiche relative allo sviluppo urbano e quindi sfruttabili per la ricerca storica. Grande attenzione infine è stata data all’uso dei modelli virtuali a scopo didattico-divulgativo e per il turismo culturale. La modellazione è stata utilizzata all’interno di un motore grafico 3D per costruire un ambiente virtuale interattivo nel quale un utente anche non esperto possa muoversi per esplorare gli spazi urbani della Bologna del Cinquecento. In ultimo è stato impostato lo sviluppo di un’applicazione per sistemi mobile (Iphone e Ipad) al fine di fornire uno strumento per la conoscenza della città storica in mobilità, attraverso la comparazione dello stato attuale con quello ricostruito virtualmente.
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Il presente lavoro di ricerca ha per oggetto il tema della diffusione urbana. Dopo una breve ricostruzione delle varie definizioni presenti in letteratura sul fenomeno - sia qualitative che quantitative - e una descrizione dei limiti di volta in volta presenti all’interno di tali definizioni, si procede con la descrizione dell’evoluzione storica dello sprawl urbano all’interno del mondo occidentale. Una volta definito e contestualizzato storicamente l’oggetto della ricerca, ne vengono analizzate le cause e il complesso sistema di conseguenze che tale fenomeno urbano porta con sé. Successivamente vengono presentate le principali teorie sociologiche attraverso le quali può essere interpretato il fenomeno dello sprawl urbano e vengono descritte le varie forme con cui si può esprimere lo sprawl urbano: non esiste infatti uniformità tra i vari paesaggi suburbani, ma una grande diversità interna alle varie forme in cui si manifesta il fenomeno della dispersione insediativa. Se quanto finora esaminato, soprattutto a livello bibliografico, è riconducibile alla letteratura nordamericana, arrivati a questo punto del lavoro, l’attenzione viene spostata sul continente europeo, prendendo in esame l’emergere del periurbano all’interno del nostro continente e tentando di descrivere sia le contiguità che le differenze tra il fenomeno dell’urban sprawl e quello del periurbano. Infine, adottando un procedimento “ad imbuto”, il lavoro si sofferma sulla situazione del nostro paese in merito alla tematica in questione. L’ultima sezione della ricerca prevede una parte di lavoro empirico. Se, come è emerso nel quadro teorico, molti sono gli elementi che caratterizzano il tema dello sprawl urbano e del periurbano, si è voluto andare a verificare se, ed eventualmente quali, degli elementi descritti, sono presenti in un’area ben delimitata del territorio bolognese, per cercare di capire se si possa parlare di un “periurbano bolognese” e quali caratteristiche esso presenti.
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Il lavoro di ricerca prende le mosse da una premessa di ordine economico. Il fenomeno delle reti di impresa, infatti, nasce dalla realtà economica dei mercati. In tale contesto non può prescindere dal delineare un quadro della situazione- anche di crisi- congiunturale che ha visto coinvolte specialmente le imprese italiane. In tale prospettiva, si è reso necessario indagare il fenomeno della globalizzazione, con riferimento alle sue origini,caratteristiche e conseguenze. Ci si sofferma poi sulla ricostruzione dogmatica del fenomeno. Si parte dalla ricostruzione dello stesso in termini di contratto plurilaterale- sia esso con comunione di scopo oppure plurilaterale di scambio- per criticare tale impostazione, non del tutto soddisfacente, in quanto ritenuto remissiva di fronte alla attuale vis espansiva del contratto plurilaterale. Più convincente appare lo schema del collegamento contrattuale, che ha il pregio di preservare l’autonomia e l’indipendenza degli imprenditori aderenti, pur inseriti nel contesto di un’operazione economica unitaria, volta a perseguire uno scopo comune, l’“interesse di rete”, considerato meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico ex art. 1322 2.co. c.c. In effetti il contratto ben si presta a disegnare modelli di rete sia con distribuzione simmetrica del potere decisionale, sia con distribuzione asimmetrica, vale a dire con un elevato livello di gerarchia interna. Non può d’altra parte non ravvisarsi un’affinità con le ipotesi di collegamento contrattuale in fase di produzione, consistente nel delegare ad un terzo parte della produzione, e nella fase distributiva, per cui la distribuzione avviene attraverso reti di contratti. Si affronta la materia della responsabilità della rete, impostando il problema sotto due profili: la responsabilità interna ed esterna. La prima viene risolta sulla base dell’affidamento reciproco maturato da ogni imprenditore. La seconda viene distinta in responsabilità extracontrattuale, ricondotta nella fattispecie all’art. 2050 c.c., e contrattuale.
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Il tema della ricerca ha riguardato preliminarmente la definizione di farmaco descritta nel d.lgs. n. 219 del 2006 (Codice dei farmaci per uso umano). Oltre al danno prodotto da farmaci, la ricerca ha approfondito anche la tutela ex ante ed ex post riguardante la produzione di dispositivi medici (Direttiva della Comunità Economica Europea n. 42 del 1993 e Direttiva della Comunità Economica Europea n. 374 del 1985). E’ stato necessario soffermarsi sull’analisi del concetto di precauzione per il quale nell’ambito di attività produttive, come quelle che cagionano inquinamento ambientale, o “pericolose per la salute umana” come quelle riguardanti la produzione di alimenti e farmaci, è necessario eliminare i rischi non conosciuti nella produzione di questi ultimi al fine di garantire una tutela completa della salute. L’analisi della Direttiva della Comunità Economica Europea n. 374 del 1985 nei suoi aspetti innovativi ha riguardato l’esame dei casi di danno da farmaco (Trib. Roma, 20 Giugno 2002, Trib. Roma 27 Giugno 1987, Trib. Milano 19 Novembre 1987, Cassazione Civile n. 6241 del 1987): profilo critico è quello riguardante la prova liberatoria, mentre l'art. 2050 prevede che «si debbano adottare tutte le misure necessarie per evitare il danno», l'art. 118, lett. e), c. cons.) prevede una serie di casi di esonero di responsabilità del produttore (tra cui il rischio di sviluppo). Dall'analisi emerge poi la necessità da parte del produttore di continuo utilizzo del duty to warn (Art. 117 del Codice del Consumo lett. A e B ): esso consiste nel dovere continuo di informazione del produttore tramite i suoi rappresentanti e il bugiardino presente nelle confezioni dei farmaci. Tale dovere è ancor più importante nel caso della farmacogenetica, infatti, al fine di evitare reazioni avverse nel bugiardino di alcuni farmaci verrà prescritta la necessità di effettuare un test genetico prima dell’assunzione.
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Il core catalitico della DNA polimerasi III, composto dalle tre subunità α, ε e θ, è il complesso minimo responsabile della replicazione del DNA cromosomiale in Escherichia coli. Nell'oloenzima, α ed ε possiedono rispettivamente un'attività 5'-3' polimerasica ed un'attività 3'-5' esonucleasica, mentre θ non ha funzioni enzimatiche. Il presente studio si è concentrato sulle regioni del core che interagiscono direttamente con ε, ovvero θ (interagente all'estremità N-terminale di ε) e il dominio PHP di α (interagente all'estremità C-terminale di ε), delle quali non è stato sinora identificato il ruolo. Al fine di assegnare loro una funzione sono state seguite tre linee di ricerca parallele. Innanzitutto il ruolo di θ è stato studiato utilizzando approcci ex-vivo ed in vivo. I risultati presentati in questo studio mostrano che θ incrementa significativamente la stabilità della subunità ε, intrinsecamente labile. Durante gli esperimenti condotti è stata anche identificata una nuova forma dimerica di ε. Per quanto la funzione del dimero non sia definita, si è dimostrato che esso è attivamente dissociato da θ, che potrebbe quindi fungere da suo regolatore. Inoltre, è stato ritrovato e caratterizzato il primo fenotipo di θ associato alla crescita. Per quanto concerne il dominio PHP, si è dimostrato che esso possiede un'attività pirofosfatasica utilizzando un nuovo saggio, progettato per seguire le cinetiche di reazione catalizzate da enzimi rilascianti fosfato o pirofosfato. L'idrolisi del pirofosfato catalizzata dal PHP è stata dimostrata in grado di sostenere l'attività polimerasica di α in vitro, il che suggerisce il suo possibile ruolo in vivo durante la replicazione del DNA. Infine, è stata messa a punto una nuova procedura per la coespressione e purificazione del complesso α-ε-θ
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La ricerca inquadra all’interno dell’opera dell’autore, lo specifico tema della residenza. Esso costituisce il campo di applicazione del progetto di architettura, in cui più efficacemente ricercare i tratti caratteristici del metodo progettuale dell’architetto, chiave di lettura dello studio proposto. Il processo che giunge alla costituzione materiale dell’architettura, viene considerato nelle fasi in cui è scomposto, negli strumenti che adotta, negli obbiettivi che si pone, nel rapporto con i sistemi produttivi, per come affronta il tema della forma e del programma e confrontato con la vasta letteratura presente nel pensiero di alcuni autori vicini a Ignazio Gardella. Si definiscono in tal modo i tratti di una metodologia fortemente connotata dal realismo, che rende coerente una ricerca empirica e razionale, legata ad un’idea di architettura classica, di matrice illuministica e attenta alle istanze della modernità, all’interno della quale si realizza l’eteronomia linguistica che caratterizza uno dei tratti caratteristici delle architetture di Ignazio Gardella; aspetto più volte interpretato come appartenenza ai movimenti del novecento, che intersecano costantemente la lunga carriera dell’architetto. L’analisi dell’opera della residenza è condotta non per casi esemplari, ma sulla totalità dei progetti che si avvale anche di contributi inediti. Essa è intesa come percorso di ricerca personale sui processi compositivi e sull’uso del linguaggio e permette un riposizionamento della figura di Gardella, in relazione al farsi dell’architettura, della sua realizzazione e non alla volontà di assecondare stili o norme a-priori. E’ la dimensione pratica, del mestiere, quella che meglio si presta all’interpretazione dei progetti di Gardella. Le residenze dell’architetto si mostrano per la capacità di adattarsi ai vincoli del luogo, del committente, della tecnologia, attraverso la re-interpretazione formale e il trasferimento da un tema all’altro, degli elementi essenziali che mostrano attraverso la loro immagine, una precisa idea di casa e di architettura, non autoriale, ma riconoscibile e a-temporale.
Resumo:
Oggetto della ricerca è lo studio del National Institute of Design (NID), progettato da Gautam Sarabhai e sua sorella Gira, ad Ahmedabad, assunta a paradigma del nuovo corso della politica che il Primo Ministro Nehru espresse nei primi decenni del governo postcoloniale. Obiettivo della tesi è di analizzare il fenomeno che unisce modernità e tradizione in architettura. La modernità indiana, infatti, nacque e si sviluppò con i caratteri di un Giano bifronte: da un lato, la politica del Primo Ministro Nehru favorì lo sviluppo dell’industria e della scienza; dall’altro, la visione di Gandhi mirava alla riscoperta del locale, delle tradizioni e dell’artigianato. Questi orientamenti influenzarono l’architettura postcoloniale. Negli anni ‘50 e ’60 Ahmedabad divenne la culla dell’architettura moderna indiana. Kanvinde, i Sarabhai, Correa, Doshi, Raje trovarono qui le condizioni per costruire la propria identità come progettisti e come intellettuali. I motori che resero possibile questo fermento furono principalmente due: una committenza di imprenditori illuminati, desiderosi di modernizzare la città; la presenza ad Ahmedabad, a partire dal 1951, dei maestri dell’architettura moderna, tra cui i più noti furono Le Corbusier e Kahn, invitati da quella stessa committenza, per la quale realizzarono edifici di notevole rilevanza. Ad Ahmedabad si confrontarono con forza entrambe le visioni dell’India moderna. Lo sforzo maggiore degli architetti indiani si espresse nel tentativo di conciliare i due aspetti, quelli che derivavano dalle influenze internazionali e quelli che provenivano dallo spirito della tradizione. Il progetto del NID è uno dei migliori esempi di questo esercizio di sintesi. Esso recupera nella composizione spaziale la lezione di Wright, Le Corbusier, Kahn, Eames ibridandola con elementi della tradizione indiana. Nell’uso sapiente della struttura modulare e a padiglione, della griglia ordinatrice a base quadrata, dell’integrazione costante fra spazi aperti, natura e architettura affiorano nell’edificio del NID echi di una cultura millenaria.
Resumo:
Il territorio italiano presenta una grandissima ricchezza nel campo dei Beni Culturali, sia mobili che immobili; si tratta di un patrimonio di grande importanza che va gestito e tutelato nel migliore dei modi e con strumenti adeguati, anche in relazione ai problemi ad esso legati in termini di manutenzione e di salvaguardia dai fattori di rischio a cui può essere esposto. Per una buona conoscenza del Patrimonio Culturale, è fondamentale un’acquisizione preliminare di informazioni condotte in modo sistematico e unitario, che siano diffuse ed organiche, ma anche utili ad una valutazione preventiva e ad una successiva programmazione degli interventi di restauro di tipo conservativo. In questo ambito, l'impiego delle tecniche e tecnologie geomatiche nel campo dei Beni Culturali, può fornire un valido contributo, che va dalla catalogazione e documentazione del bene culturale al suo controllo e monitoraggio. Oggigiorno il crescente sviluppo di nuove tecnologie digitali, accompagnato dai notevoli passi avanti compiuti dalle discipline della geomatica (in primo luogo topografiche e fotogrammetriche), rende possibile una efficace integrazione tra varie tecniche, favorita anche dalla diffusione di soluzioni per l’interscambio dati e per la comunicazione tra differenti dispositivi. Lo studio oggetto della presente tesi si propone, di approfondire gli aspetti legati all’uso delle tecniche e tecnologie della Geomatica, per mettere in risalto le condizioni di un bene ed il suo stato di degrado. Per la gestione e la salvaguardia di un bene culturale , si presenta il SIT Carta del Rischio che evidenzia le pericolosità legate al patrimonio, e come esse sommate alla vulnerabilità di un singolo bene, contribuiscano all’individuazione del grado di rischio. di approfondire gli aspetti legati all’uso delle tecniche e tecnologie delle Geomatica, per mettere in risalto le condizioni di un bene ed il suo stato di degrado.