18 resultados para architect


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Architettura e musica. Spazio e tempo. Suono. Esperienza. Queste le parole chiave da cui ha preso avvio la mia ricerca. Tutto è iniziato dall’intuizione dell’esistenza di un legame tra due discipline cui ho dedicato molto tempo e studio, completando due percorsi accademici paralleli, la Facoltà di architettura e il Conservatorio. Dopo un lavoro d’individuazione e analisi degli infiniti spunti di riflessione che il tema offriva, ho focalizzato l’attenzione su uno degli esempi più emblematici di collaborazione tra un architetto e un musicista realizzatasi nel Novecento: Prometeo, tragedia dell’ascolto (1984), composta da Luigi Nono con la collaborazione di Massimo Cacciari e Renzo Piano. Attraverso lo studio di Prometeo ho potuto affrontare la trattazione di molte delle possibili declinazioni del rapporto interdisciplinare tra musica e architettura. La ricerca si è svolta principalmente sullo studio dei materiali conservati presso l’Archivio Luigi Nono e l’archivio della Fondazione Renzo Piano. La tesi è organizzata in tre parti: una prima parte in cui si affronta il tema del ruolo dello spazio nelle opere di Nono precedenti a Prometeo, facendo emergere l’importanza dell’ambiente culturale e sonoro veneziano; una seconda parte in cui si approfondisce il processo compositivo che ha portato alle rappresentazioni di Prometeo a Venezia, Milano e a Parigi; una terza parte in cui si prende in considerazione quanto avvenuto dopo Prometeo e si riflette sui contributi che questa esperienza può portare alla progettazione di spazi per la musica, analizzando diversi allestimenti dell’opera senza arca e prendendo in considerazione i progetti dell’auditorium dell’International Art Village di Akiyoshidai e della sala della nuova Philharmonie di Parigi. Lo studio dell’esperienza di Prometeo ha lo scopo di stimolare la curiosità verso la ricerca e la sperimentazione di quegli infiniti possibili della composizione architettonica e musicale di cui parla Nono.

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Il tema principale affrontato dalla presente ricerca è quello dell’architettura della città; attraverso lo studio dei progetti urbani redatti dall’architetto Willem Marinus Dudok per la città di Hilversum, la tesi vuole confermare l’ipotesi che la costruzione dei “luoghi urbani” collettivi è il fulcro dell’idea di architettura che porta alla costruzione della città. La ricerca si propone di studiare il contributo dato da Dudok al progetto dello sviluppo urbano della città olandese, considerando un arco temporale che va dal 1915, anno in cui l’architetto viene designato a ricoprire la carica di direttore del locale ufficio Lavori Pubblici, al 1954, anno simbolico della sua nomina a cittadino onorario di Hilversum. Il lavoro di ricerca vuole individuare quelle caratteristiche formali e tipologiche, insite nei quartieri progettati dall’architetto olandese, in grado di definire una struttura urbana capace di sostenere un ragionamento architettonico indipendente dal luogo e dal tempo, un ragionamento impostato sulla definizione della forma urbis. Non desidera certo delineare un modello, vista la consapevolezza che ogni progetto ha un proprio luogo e un proprio tempo, cerca di tratteggiare, piuttosto, uno scenario possibile per il progetto urbano, capace di assurgere ad exemplum per la costruzione della città. I progetti analizzati riguardano edifici residenziali e spazi urbani per la collettività; questi rappresentano veri e propri nuclei aggregativi per la costruzione dei complessi di alloggi popolari, dei quali definiscono la scena fissa delle vicende umane. Lo studio di questi quartieri rappresenta, pertanto, il tentativo di decodificare un “modo” di comporre la città dal quale sia possibile estrapolare temi validi e di carattere generale che permettano di formalizzare una serie di utili insegnamenti, tramite i quali poter pensare alla realizzazione della stessa, nella convinzione che “la qualità del progetto consiste nella qualità dei caratteri del tema e nel loro riconoscimento nelle forme dell’architettura”.

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La presente Tesi di Dottorato intende affrontare una lettura critica della Casa in Belvederestraße 60, realizzata dall’architetto Oswald Mathias Ungers (Kaisersesch, 12 luglio 1926 – Köln, 30 settembre 2007), nel 1958-’59 a Köln-Müngersdorf, come studio per sé ed abitazione per la propria famiglia. Questo primo oggetto della ricerca viene considerato evidente espressione delle convinzioni formali e compositive dell’architetto, negli anni Cinquanta e Sessanta. A differenza di altri progetti residenziali coevi ed antecedenti, frutto di un’elaborazione autonoma, la prima casa che costruisce per sé riflette una maggiore libertà di pensiero, dettata dalla coincidenza delle figure di progettista e committente; a ciò si aggiunge anche una precisa volontà dichiarativa ed ideologica. Proprio quest’ultimo aspetto permette di introdurre il secondo oggetto della Tesi: il manifesto “ideologico”, Zu einer neuen Architektur, scritto dallo stesso Oswald Mathias Ungers e da Reinhard Gieselmann, alla fine del 1960; un breve testo che espone, con toni perentori ed inappellabili, il punto di vista dei due architetti nei confronti di un panorama architettonico e critico, caratterizzato da una sterilità di pensiero dilagante, a causa dell’egemonia costruttiva funzionalista. La ricerca indaga quindi le forti reciprocità delle due opere: casa e testo, viste in chiave di “manifesto scritto e manifesto costruito”. Il primo legame tra i due soggetti è senza dubbio la concomitanza temporale, (tra il 1958 ed il 1960) associata ad un rapporto causa-effetto, tale per cui il manifesto viene redatto a difesa delle aspre critiche scaturite dalla pubblicazione della casa sulla rivista Bauwelt. Il secondo nesso è la possibilità di comprendere le accezioni effettive dei termini impiegati nella redazione del testo, attraverso le forme di una delle opere maggiormente personali dell’architetto, estraendone il senso e conferendogli un’immagine architettonica. Si vuole creare così un rapporto biunivoco di traducibilità, dell’architettura nello scritto e della semantica ungersiana in azioni compositive.