267 resultados para Tesi, Gestione Aziendale, Strategia


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Introduzione L’importanza clinica, sociale ed economica del trattamento dell’ipertensione arteriosa richiede la messa in opera di strumenti di monitoraggio dell’uso dei farmaci antiipertensivi che consentano di verificare la trasferibilità alla pratica clinica dei dati ottenuti nelle sperimentazioni. L’attuazione di una adatta strategia terapeutica non è un fenomeno semplice da realizzare perché le condizioni in cui opera il Medico di Medicina Generale sono profondamente differenti da quelle che si predispongono nell’esecuzione degli studi randomizzati e controllati. Emerge, pertanto, la necessità di conoscere le modalità con cui le evidenze scientifiche trovano reale applicazione nella pratica clinica routinaria, identificando quei fattori di disturbo che, nei contesti reali, limitano l’efficacia e l’appropriatezza clinica. Nell’ambito della terapia farmacologica antiipertensiva, uno di questi fattori di disturbo è costituito dalla ridotta aderenza al trattamento. Su questo tema, recenti studi osservazionali hanno individuato le caratteristiche del paziente associate a bassi livelli di compliance; altri hanno focalizzato l’attenzione sulle caratteristiche del medico e sulla sua capacità di comunicare ai propri assistiti l’importanza del trattamento farmacologico. Dalle attuali evidenze scientifiche, tuttavia, non emerge con chiarezza il peso relativo dei due diversi attori, paziente e medico, nel determinare i livelli di compliance nel trattamento delle patologie croniche. Obiettivi Gli obiettivi principali di questo lavoro sono: 1) valutare quanta parte della variabilità totale è attribuibile al livello-paziente e quanta parte della variabilità è attribuibile al livello-medico; 2) spiegare la variabilità totale in funzione delle caratteristiche del paziente e in funzione delle caratteristiche del medico. Materiale e metodi Un gruppo di Medici di Medicina Generale che dipendono dall’Azienda Unità Sanitaria Locale di Ravenna si è volontariamente proposto di partecipare allo studio. Sono stati arruolati tutti i pazienti che presentavano almeno una misurazione di pressione arteriosa nel periodo compreso fra il 01/01/1997 e il 31/12/2002. A partire dalla prima prescrizione di farmaci antiipertensivi successiva o coincidente alla data di arruolamento, gli assistiti sono stati osservati per 365 giorni al fine di misurare la persistenza in trattamento. La durata del trattamento antiipertensivo è stata calcolata come segue: giorni intercorsi tra la prima e l’ultima prescrizione + proiezione, stimata sulla base delle Dosi Definite Giornaliere, dell’ultima prescrizione. Sono stati definiti persistenti i soggetti che presentavano una durata del trattamento maggiore di 273 giorni. Analisi statistica I dati utilizzati per questo lavoro presentano una struttura gerarchica nella quale i pazienti risultano “annidati” all’interno dei propri Medici di Medicina Generale. In questo contesto, le osservazioni individuali non sono del tutto indipendenti poiché i pazienti iscritti allo stesso Medico di Medicina Generale tenderanno ad essere tra loro simili a causa della “storia comune” che condividono. I test statistici tradizionali sono fortemente basati sull’assunto di indipendenza tra le osservazioni. Se questa ipotesi risulta violata, le stime degli errori standard prodotte dai test statistici convenzionali sono troppo piccole e, di conseguenza, i risultati che si ottengono appaiono “impropriamente” significativi. Al fine di gestire la non indipendenza delle osservazioni, valutare simultaneamente variabili che “provengono” da diversi livelli della gerarchia e al fine di stimare le componenti della varianza per i due livelli del sistema, la persistenza in trattamento antiipertensivo è stata analizzata attraverso modelli lineari generalizzati multilivello e attraverso modelli per l’analisi della sopravvivenza con effetti casuali (shared frailties model). Discussione dei risultati I risultati di questo studio mostrano che il 19% dei trattati con antiipertensivi ha interrotto la terapia farmacologica durante i 365 giorni di follow-up. Nei nuovi trattati, la percentuale di interruzione terapeutica ammontava al 28%. Le caratteristiche-paziente individuate dall’analisi multilivello indicano come la probabilità di interrompere il trattamento sia più elevata nei soggetti che presentano una situazione clinica generale migliore (giovane età, assenza di trattamenti concomitanti, bassi livelli di pressione arteriosa diastolica). Questi soggetti, oltre a non essere abituati ad assumere altre terapie croniche, percepiscono in minor misura i potenziali benefici del trattamento antiipertensivo e tenderanno a interrompere la terapia farmacologica alla comparsa dei primi effetti collaterali. Il modello ha inoltre evidenziato come i nuovi trattati presentino una più elevata probabilità di interruzione terapeutica, verosimilmente spiegata dalla difficoltà di abituarsi all’assunzione cronica del farmaco in una fase di assestamento della terapia in cui i principi attivi di prima scelta potrebbero non adattarsi pienamente, in termini di tollerabilità, alle caratteristiche del paziente. Anche la classe di farmaco di prima scelta riveste un ruolo essenziale nella determinazione dei livelli di compliance. Il fenomeno è probabilmente legato ai diversi profili di tollerabilità delle numerose alternative terapeutiche. L’appropriato riconoscimento dei predittori-paziente di discontinuità (risk profiling) e la loro valutazione globale nella pratica clinica quotidiana potrebbe contribuire a migliorare il rapporto medico-paziente e incrementare i livelli di compliance al trattamento. L’analisi delle componenti della varianza ha evidenziato come il 18% della variabilità nella persistenza in trattamento antiipertensivo sia attribuibile al livello Medico di Medicina Generale. Controllando per le differenze demografiche e cliniche tra gli assistiti dei diversi medici, la quota di variabilità attribuibile al livello medico risultava pari al 13%. La capacità empatica dei prescrittori nel comunicare ai propri pazienti l’importanza della terapia farmacologica riveste un ruolo importante nel determinare i livelli di compliance al trattamento. La crescente presenza, nella formazione dei medici, di corsi di carattere psicologico finalizzati a migliorare il rapporto medico-paziente potrebbe, inoltre, spiegare la relazione inversa, particolarmente evidente nella sottoanalisi effettuata sui nuovi trattati, tra età del medico e persistenza in trattamento. La proporzione non trascurabile di variabilità spiegata dalla struttura in gruppi degli assistiti evidenzia l’opportunità e la necessità di investire nella formazione dei Medici di Medicina Generale con l’obiettivo di sensibilizzare ed “educare” i medici alla motivazione ma anche al monitoraggio dei soggetti trattati, alla sistematica valutazione in pratica clinica dei predittori-paziente di discontinuità e a un appropriato utilizzo della classe di farmaco di prima scelta. Limiti dello studio Uno dei possibili limiti di questo studio risiede nella ridotta rappresentatività del campione di medici (la partecipazione al progetto era su base volontaria) e di pazienti (la presenza di almeno una misurazione di pressione arteriosa, dettata dai criteri di arruolamento, potrebbe aver distorto il campione analizzato, selezionando i pazienti che si recano dal proprio medico con maggior frequenza). Questo potrebbe spiegare la minore incidenza di interruzioni terapeutiche rispetto a studi condotti, nella stessa area geografica, mediante database amministrativi di popolazione. Conclusioni L’analisi dei dati contenuti nei database della medicina generale ha consentito di valutare l’impiego dei farmaci antiipertensivi nella pratica clinica e di stabilire la necessità di porre una maggiore attenzione nella pianificazione e nell’ottenimento dell’obiettivo che il trattamento si prefigge. Alla luce dei risultati emersi da questa valutazione, sarebbe di grande utilità la conduzione di ulteriori studi osservazionali volti a sostenere il progressivo miglioramento della gestione e del trattamento dei pazienti a rischio cardiovascolare nell’ambito della medicina generale.

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In order to protect river water quality, highly affected in urban areas by continuos as intermittent immissions, it is necessary to adopt measures to intercept and treat these polluted flows. In particular during rain events, river water quality is affected by CSOs activation. Built in order to protect the sewer system and the WWTP by increased flows due to heavy rains, CSOs divert excess flows to the receiving water body. On the basis of several scientific papers, and of direct evidences as well, that demonstrate the detrimental effect of CSOs discharges, also the legislative framework moved towards a stream standard point of view. The WFD (EU/69/2000) sets new goals for receiving water quality, and groundwater as well, through an integrated immission/emissions phylosophy, in which emission limits are associated with effluent standards, based on the receiving water characteristics and their specific use. For surface waters the objective is that of a “good” ecological and chemical quality status. A surface water is defined as of good ecological quality if there is only slight departure from the biological community that would be expected in conditions of minimal anthropogenic impact. Each Member State authority is responsible for preparing and implementing a River Basin Management Plan to achieve the good ecological quality, and comply with WFD requirements. In order to cope with WFD targets, and thus to improve urban receiving water quality, a CSOs control strategy need to be implemented. Temporarily storing the overflow (or at least part of it) into tanks and treating it in the WWTP, after the end of the storm, showed good results in reducing total pollutant mass spilled into the receiving river. Italian State Authority, in order to comply with WFD statements, sets general framework, and each Region has to adopt a Water Remediation Plan (PTA, Piano Tutela Acque), setting goals, methods, and terms, to improve river water quality. Emilia Romagna PTA sets 25% reduction up to 2008, and 50% reduction up to 2015 fo total pollutants masses delivered by CSOs spills. In order to plan remediation actions, a deep insight into spills dynamics is thus of great importance. The present thesis tries to understand spills dynamics through a numerical and an experimental approach. A four months monitoring and sampling campaign was set on the Bologna sewer network, and on the Navile Channel, that is the WWTP receiving water , and that receives flows from up to 28 CSOs during rain events. On the other hand, the full model of the sewer network, was build with the commercial software InfoWorks CS. The model was either calibrated with the data from the monitoring and sampling campaign. Through further model simulations interdependencies among masses spilled, rain characteristics and basin characteristics are looked for. The thesis can be seen as a basis for further insighs and for planning remediation actions.

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The full exploitation of multi-hop multi-path connectivity opportunities offered by heterogeneous wireless interfaces could enable innovative Always Best Served (ABS) deployment scenarios where mobile clients dynamically self-organize to offer/exploit Internet connectivity at best. Only novel middleware solutions based on heterogeneous context information can seamlessly enable this scenario: middleware solutions should i) provide a translucent access to low-level components, to achieve both fully aware and simplified pre-configured interactions, ii) permit to fully exploit communication interface capabilities, i.e., not only getting but also providing connectivity in a peer-to-peer fashion, thus relieving final users and application developers from the burden of directly managing wireless interface heterogeneity, and iii) consider user mobility as crucial context information evaluating at provision time the suitability of available Internet points of access differently when the mobile client is still or in motion. The novelty of this research work resides in three primary points. First of all, it proposes a novel model and taxonomy providing a common vocabulary to easily describe and position solutions in the area of context-aware autonomic management of preferred network opportunities. Secondly, it presents PoSIM, a context-aware middleware for the synergic exploitation and control of heterogeneous positioning systems that facilitates the development and portability of location-based services. PoSIM is translucent, i.e., it can provide application developers with differentiated visibility of data characteristics and control possibilities of available positioning solutions, thus dynamically adapting to application-specific deployment requirements and enabling cross-layer management decisions. Finally, it provides the MMHC solution for the self-organization of multi-hop multi-path heterogeneous connectivity. MMHC considers a limited set of practical indicators on node mobility and wireless network characteristics for a coarsegrained estimation of expected reliability/quality of multi-hop paths available at runtime. In particular, MMHC manages the durability/throughput-aware formation and selection of different multi-hop paths simultaneously. Furthermore, MMHC provides a novel solution based on adaptive buffers, proactively managed based on handover prediction, to support continuous services, especially by pre-fetching multimedia contents to avoid streaming interruptions.

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This research has been triggered by an emergent trend in customer behavior: customers have rapidly expanded their channel experiences and preferences beyond traditional channels (such as stores) and they expect the company with which they do business to have a presence on all these channels. This evidence has produced an increasing interest in multichannel customer behavior and it has motivated several researchers to study the customers’ channel choices dynamics in multichannel environment. We study how the consumer decision process for channel choice and response to marketing communications evolves for a cohort of new customers. We assume a newly acquired customer’s decisions are described by a “trial” model, but the customer’s choice process evolves to a “post-trial” model as the customer learns his or her preferences and becomes familiar with the firm’s marketing efforts. The trial and post-trial decision processes are each described by different multinomial logit choice models, and the evolution from the trial to post-trial model is determined by a customer-level geometric distribution that captures the time it takes for the customer to make the transition. We utilize data for a major retailer who sells in three channels – retail store, the Internet, and via catalog. The model is estimated using Bayesian methods that allow for cross-customer heterogeneity. This allows us to have distinct parameters estimates for a trial and an after trial stages and to estimate the quickness of this transit at the individual level. The results show for example that the customer decision process indeed does evolve over time. Customers differ in the duration of the trial period and marketing has a different impact on channel choice in the trial and post-trial stages. Furthermore, we show that some people switch channel decision processes while others don’t and we found that several factors have an impact on the probability to switch decision process. Insights from this study can help managers tailor their marketing communication strategy as customers gain channel choice experience. Managers may also have insights on the timing of the direct marketing communications. They can predict the duration of the trial phase at individual level detecting the customers with a quick, long or even absent trial phase. They can even predict if the customer will change or not his decision process over time, and they can influence the switching process using specific marketing tools

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This Doctoral Thesis focuses on the study of individual behaviours as a result of organizational affiliation. The objective is to assess the Entrepreneurial Orientation of individuals proving the existence of a set of antecedents to that measure returning a structural model of its micro-foundation. Relying on the developed measurement model, I address the issue whether some Entrepreneurs experience different behaviours as a result of their academic affiliation, comparing a sample of ‘Academic Entrepreneurs’ to a control sample of ‘Private Entrepreneurs’ affiliated to a matched sample of Academic Spin-offs and Private Start-ups. Building on the Theory of the Planned Behaviour, proposed by Ajzen (1991), I present a model of causal antecedents of Entrepreneurial Orientation on constructs extensively used and validated, both from a theoretical and empirical perspective, in sociological and psychological studies. I focus my investigation on five major domains: (a) Situationally Specific Motivation, (b) Personal Traits and Characteristics, (c) Individual Skills, (d) Perception of the Business Environment and (e) Entrepreneurial Orientation Related Dimensions. I rely on a sample of 200 Entrepreneurs, affiliated to a matched sample of 72 Academic Spin-offs and Private Start-ups. Firms are matched by Industry, Year of Establishment and Localization and they are all located in the Emilia Romagna region, in northern Italy. I’ve gathered data by face to face interviews and used a Structural Equation Modeling technique (Lisrel 8.80, Joreskog, K., & Sorbom, D. 2006) to perform the empirical analysis. The results show that Entrepreneurial Orientation is a multi-dimensional micro-founded construct which can be better represented by a Second-Order Model. The t-tests on the latent means reveal that the Academic Entrepreneurs differ in terms of: Risk taking, Passion, Procedural and Organizational Skills, Perception of the Government, Context and University Supports. The Structural models also reveal that the main differences between the two groups lay in the predicting power of Technical Skills, Perceived Context Support and Perceived University Support in explaining the Entrepreneurial Orientation Related Dimensions.

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Technological progress has been enabling companies to add disparate features to their existing products. This research investigates the effect of adding more features on consumers’ evaluation of the product, by examining in particular the role of the congruity of the features added with the base product as a variable the moderates the effect of increasing the number of features. Grounding on schema-congruity theory, I propose that the cognitive elaboration associated with the product congruity of the features added explains consumers’ evaluation as the number of new features increases. In particular, it is shown that consumers perceive a benefit from increasing the number of features only when these features are congruent with the product. The underlying mechanisms that explains this finding predicts that when the number of incongruent features increases the cognitive resources necessary to elaborate such incongruities increase and consumers are not willing to spend such resources. However, I further show that when encouraged to consider the new features thoughtfully, consumers do seem able to infer value from increasing the number of moderately incongruent features. Nonetheless, this finding does not apply for those new features that are extremely incongruent with the product. Further evidence for consumers’ ability to resolve the moderate incongruity associated with adding more features is also shown, by studying the moderating role of temporal construal. I propose that consumers perceive an increase in product evaluation as the number of moderately incongruent features increases when consumers consider purchasing the product in the distant future, whereas such an increase is not predicted for the near future scenario. I verify these effect in three experimental studies. Theoretical and managerial implications, and possible avenues of future research are also suggested.

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The abandonment of less productive fields and agro-forest activities has occured in the last decades, interesting large mountain areas in all mediterranean basin. Until the fifties, agricultural practices dealt mainly with soil surface and surface runoff control systems. However, the apparent sustainability of soil use results often in contrast with historical documents, witnessing heavy hydrogeological instability, in naturally fragile areas. The research focused on the dynamics and effects of post-coltural land abandonment in a critical mountain area of the Reno River. The Reno River rappresents a typical Tuscan-Emilian Apennines Watershed where soil erosion occurs under very different conditions depending on interactions between land use, climate, geomorphology and lithology. Landslides are largely rappresented, due to the diffusion of clay hill slopes. Recent researches suggest that climatic variability will increase as a consequence of global climate change, resulting in greater frequency and intensity of extreme weather events, which could increase rates of erosion, landslides reactivations and diffusion of calanchive basins. As far as hill slopes are concerned, instability is today basically due to intrinsic factors, as the Apennine range is a rather young formation, in geological terms, and is mainly formed by sedimentary rocks with high occurrence of clays. Therefore landslides and rockfalls are very frequent, while surface soil erosion is generally low and anyway concentrated in the low Apennine, where intensive farming is still economically worth. The study, supported by GIS use, analyses the main fisical characteristics of the area and the historical changes of land use, and focalizes the dynamics of spontaneous reafforestation. Futhermore, the research studies the results of soil bioengineering and surface water control solutions for the restablishment of landslides occured in the last period. Infact soil bioengineering has been recently used in different situations in order to consolidate slopes and hillsides and prevent erosion; when applied, it gave good results, both in terms of engineering efficiency and vegetational development, expecially if combined with a good hydraulic control, thus proving to be an actual alternative to other techniques with heavier environmental impacts. Research into the specific site features and the use of proper plant species is vital to the success of bioengineering works.

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L’Azienda USL di Bologna è la più grande della regione ed è una delle più grandi in Italia: serve una popolazione di 836.697 abitanti ed è distribuita su 50 comuni. E’ stata istituita il 1° gennaio 2004 con la Legge della Regione Emilia Romagna n. 21 del 20/10/2003 che ha unificato i Comuni di tre Aziende USL: “Città di Bologna”, “Bologna Sud” e “Bologna Nord” (ad eccezione del Comune di Medicina che dall’Area Nord è entrato a far parte dell’Azienda USL di Imola che ha mantenuto un’autonoma configurazione giuridica). Il territorio dell’Azienda USL di Bologna si estende per 2915,4 Kmq ed è caratterizzato dalla particolare ubicazione geografica dei suoi distretti. Al Distretto prettamente urbano, quale quello di Bologna Città si affiancano nell’Area Nord i Distretti di pianura quali Pianura Est e Pianura Ovest, mentre nell’Area Sud si collocano i Distretti con territorio più collinare, quali quelli di Casalecchio di Reno e San Lazzaro di Savena ed il Distretto di Porretta Terme che si caratterizza per l’alta percentuale di territorio montuoso. L’unificazione di territori diversi per caratteristiche orografiche, demografiche e socioeconomiche, ha comportato una maggiore complessità rispetto al passato in termini di governo delle condizioni di equità. La rimodulazione istituzionale ed organizzativa dell’offerta dei sevizi sanitari ha comportato il gravoso compito di razionalizzarne la distribuzione, tenendo conto delle peculiarità del contesto. Alcuni studi di fattibilità precedenti l’unificazione, avevano rilevato come attraverso la costituzione di un’Azienda USL unica si sarebbero potuti più agevolmente perseguire gli obiettivi collegati alle prospettive di sviluppo e di ulteriore qualificazione del sistema dei servizi delle Aziende USL dell’area bolognese, con benefici per il complessivo servizio sanitario regionale. Le tre Aziende precedentemente operanti nell’area bolognese erano percepite come inadeguate, per dimensioni, a supportare uno sviluppo dei servizi ritenuto indispensabile per la popolazione ma, che, se singolarmente realizzato, avrebbe condotto ad una inutile duplicazione di servizi già presenti. Attraverso l’integrazione delle attività di acquisizione dei fattori produttivi e di gestione dei servizi delle tre Aziende, si sarebbero potute ragionevolmente conseguire economie più consistenti rispetto a quanto in precedenza ottenuto attraverso il coordinamento volontario di tali processi da parte delle tre Direzioni. L’istituzione della nuova Azienda unica, conformemente al Piano sanitario regionale si proponeva di: o accelerare i processi di integrazione e di redistribuzione dell’offerta dei servizi territoriali, tenendo conto della progressiva divaricazione fra i cambiamenti demografici, che segnavano un crescente deflusso dal centro storico verso le periferie, ed i flussi legati alle attività lavorative, che si muovevano in senso contrario; o riorganizzare i servizi sanitari in una logica di rete e di sistema, condizione necessaria per assicurare l’equità di accesso ai servizi e alle cure, in stretta interlocuzione con gli Enti Locali titolari dei servizi sociali; o favorire il raggiungimento dell’equilibrio finanziario dell’Azienda e contribuire in modo significativo alla sostenibilità finanziaria dell’intero sistema sanitario regionale. L’entità delle risorse impegnate nell’Area bolognese e le dimensioni del bilancio della nuova Azienda unificata offrivano la possibilità di realizzare economie di scala e di scopo, attraverso la concentrazione e/o la creazione di sinergie fra funzioni e attività, sia in ambito ospedaliero, sia territoriale, con un chiaro effetto sull’equilibrio del bilancio dell’intero Servizio sanitario regionale. A cinque anni dalla sua costituzione, l’Azienda USL di Bologna, ha completato una significativa fase del complessivo processo riorganizzativo superando le principali difficoltà dovute alla fusione di tre Aziende diverse, non solo per collocazione geografica e sistemi di gestione, ma anche per la cultura dei propri componenti. La tesi affronta il tema dell’analisi dell’impatto della fusione sugli assetti organizzativi aziendali attraverso uno sviluppo così articolato: o la sistematizzazione delle principali teorie e modelli organizzativi con particolare attenzione alla loro contestualizzazione nella realtà delle organizzazioni professionali di tipo sanitario; o l’analisi principali aspetti della complessità del sistema tecnico, sociale, culturale e valoriale delle organizzazioni sanitarie; o l’esame dello sviluppo organizzativo dell’Azienda USL di Bologna attraverso la lettura combinata dell’Atto e del Regolamento Organizzativo Aziendali esaminati alla luce della normativa vigente, con particolare attenzione all’articolazione distrettuale e all’organizzazione Dipartimentale per cogliere gli aspetti di specificità che hanno caratterizzano il disegno organizzativo globalmente declinato. o l’esposizione degli esiti di un questionario progettato, in accordo con la Direzione Sanitaria Aziendale, allo scopo di raccogliere significativi elementi per valutare l’impatto della riorganizzazione dipartimentale rispetto ai tre ruoli designati in “staff “alle Direzioni degli otto Dipartimenti Ospedalieri dell’AUSL di Bologna, a tre anni dalla loro formale istituzione. La raccolta dei dati è stata attuata tramite la somministrazione diretta, ai soggetti indagati, di un questionario costituito da numerosi quesiti a risposta chiusa, integrati da domande aperte finalizzate all’approfondimento delle dimensioni di ruolo che più frequentemente possono presentare aspetti di criticità. Il progetto ha previsto la rielaborazione aggregata dei dati e la diffusione degli esiti della ricerca: alla Direzione Sanitaria Aziendale, alle Direzioni Dipartimentali ospedaliere ed a tutti i soggetti coinvolti nell’indagine stessa per poi riesaminare in una discussione allargata i temi di maggiore interesse e le criticità emersi. Gli esiti sono esposti in una serie di tabelle con i principali indicatori e vengono adeguatamente illustrati.

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There is a widening consensus around the fact that, in many developed countries, food production-consumption patterns are in recent years interested by a process of deep change towards diversification and re-localisation practices, as a counter-tendency to the trend to the increasing disconnection between farming and food, producers and consumers. The relevance of these initiatives doesn't certainly lie on their economic dimension, but rather in their intense diffusion and growth rate, their spontaneous and autonomous nature and, especially, their intrinsic innovative potential. These dynamics involve a wide range of actors around local food patterns, embedding short food supply chains initiatives within a more complex and wider process of rural development, based on principles of sustainability, multifunctionality and valorisation of endogenous resources. In this work we have been analysing these features through a multi-level perspective, with reference to the dynamics between niche and regime and the inherent characteristics of the innovation paths. We apply this approach, through a qualitative methodology, to the analysis of the experience of farmers’ markets and Solidarity-Based Consumers Groups (Gruppi di Acquisto Solidale) ongoing in Tuscany, seeking to highlight the dynamics that are affecting the establishment of this alternative food production-consumption model (and its related innovative potential) from within and from without. To verify if and in which conditions they can constitute a niche, a protected space where radical innovations can develop, we make reference to the three interrelated analytic dimensions of socio-technical systems: the actors (i.e. individuals. social groups, organisations), the rules and institutions system, and the artefacts (i.e. the material and immaterial contexts in which the actors move). Through it, we analyse the innovative potential of niches and the level of their structuration and , then, the mechanisms of system transition, focusing on the new dynamics within the niche and between the niche and the policy regime emerging after the growth of interest by mass-media and public institutions and their direct involvement in the initiatives. Following the development of these significant experiences, we explore more deeply social, economic, cultural, political and organisational factors affecting innovations in face-to-face interactions, underpinning the critical aspects (sharing of alternative values, coherence at individual choices level, frictions on organisational aspects, inclusion/exclusion, attitudes towards integration at territorial level), towards uncovering until to the emergence of tensions and the risks of opportunistic behaviours that might arise from their growth. Finally, a comparison with similar experiences abroad is drawn (specifically with Provence), in order to detect food for thought, potentially useful for leading regional initiativestowards transition path.

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In the recent years, consumers became more aware and sensible in respect to environment and food safety matters. They are more and more interested in organic agriculture and markets and tend to prefer ‘organic’ products more than their traditional counterparts. To increase the quality and reduce the cost of production in organic and low-input agriculture, the 6FP-European “QLIF” project investigated the use of natural products such as bio-inoculants. They are mostly composed by arbuscular mycorrhizal fungi and other microorganisms, so-called “plant probiotic” microorganisms (PPM), because they help keeping an high yield, even under abiotic and biotic stressful conditions. Italian laws (DLgs 217, 2006) have recently included them as “special fertilizers”. This thesis focuses on the use of special fertilizers when growing tomatoes with organic methods in open field conditions, and the effects they induce on yield, quality and microbial rhizospheric communities. The primary objective was to achieve a better understanding of how plant-probiotic micro-flora management could buffer future reduction of external inputs, while keeping tomato fruit yield, quality and system sustainability. We studied microbial rhizospheric communities with statistical, molecular and histological methods. This work have demonstrated that long-lasting introduction of inoculum positively affected micorrhizal colonization and resistance against pathogens. Instead repeated introduction of compost negatively affected tomato quality, likely because it destabilized the ripening process, leading to over-ripening and increasing the amount of not-marketable product. Instead. After two years without any significant difference, the third year extreme combinations of inoculum and compost inputs (low inoculum with high amounts of compost, or vice versa) increased mycorrhizal colonization. As a result, in order to reduce production costs, we recommend using only inoculum rather than compost. Secondly, this thesis analyses how mycorrhizal colonization varies in respect to different tomato cultivars and experimental field locations. We found statistically significant differences between locations and between arbuscular colonization patterns per variety. To confirm these histological findings, we started a set of molecular experiments. The thesis discusses preliminary results and recommends their continuation and refinement to gather the complete results.

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Benessere delle popolazioni, gestione sostenibile delle risorse, povertà e degrado ambientale sono dei concetti fortemente connessi in un mondo in cui il 20% della popolazione mondiale consuma più del 75% delle risorse naturali. Sin dal 1992 al Summit della Terra a Rio de Janeiro si è affermato il forte legame tra tutela dell’ambiente e riduzione della povertà, ed è anche stata riconosciuta l’importanza di un ecosistema sano per condurre una vita dignitosa, specialmente nelle zone rurali povere dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina. La natura infatti, soprattutto per le popolazioni rurali, rappresenta un bene quotidiano e prezioso, una forma essenziale per la sussistenza ed una fonte primaria di reddito. Accanto a questa constatazione vi è anche la consapevolezza che negli ultimi decenni gli ecosistemi naturali si stanno degradando ad un ritmo impressionate, senza precedenti nella storia della specie umana: consumiamo le risorse più velocemente di quanto la Terra sia capace di rigenerarle e di “metabolizzare” i nostri scarti. Allo stesso modo aumenta la povertà: attualmente ci sono 1,2 miliardi di persone che vivono con meno di un dollaro al giorno, mentre circa metà della popolazione mondiale sopravvive con meno di due dollari al giorno (UN). La connessione tra povertà ed ambiente non dipende solamente dalla scarsità di risorse che rende più difficili le condizioni di vita, ma anche dalla gestione delle stesse risorse naturali. Infatti in molti paesi o luoghi dove le risorse non sono carenti la popolazione più povera non vi ha accesso per motivi politici, economici e sociali. Inoltre se si paragona l’impronta ecologica con una misura riconosciuta dello “sviluppo umano”, l’Indice dello Sviluppo Umano (HDI) delle Nazioni Unite (Cfr. Cap 2), il rapporto dimostra chiaramente che ciò che noi accettiamo generalmente come “alto sviluppo” è molto lontano dal concetto di sviluppo sostenibile accettato universalmente, in quanto i paesi cosiddetti “sviluppati” sono quelli con una maggior impronta ecologica. Se allora lo “sviluppo” mette sotto pressione gli ecosistemi, dal cui benessere dipende direttamente il benessere dell’uomo, allora vuol dire che il concetto di “sviluppo” deve essere rivisitato, perché ha come conseguenza non il benessere del pianeta e delle popolazioni, ma il degrado ambientale e l’accrescimento delle disuguaglianze sociali. Quindi da una parte vi è la “società occidentale”, che promuove l’avanzamento della tecnologia e dell’industrializzazione per la crescita economica, spremendo un ecosistema sempre più stanco ed esausto al fine di ottenere dei benefici solo per una ristretta fetta della popolazione mondiale che segue un modello di vita consumistico degradando l’ambiente e sommergendolo di rifiuti; dall’altra parte ci sono le famiglie di contadini rurali, i “moradores” delle favelas o delle periferie delle grandi metropoli del Sud del Mondo, i senza terra, gli immigrati delle baraccopoli, i “waste pickers” delle periferie di Bombay che sopravvivono raccattando rifiuti, i profughi di guerre fatte per il controllo delle risorse, gli sfollati ambientali, gli eco-rifugiati, che vivono sotto la soglia di povertà, senza accesso alle risorse primarie per la sopravvivenza. La gestione sostenibile dell’ambiente, il produrre reddito dalla valorizzazione diretta dell’ecosistema e l’accesso alle risorse naturali sono tra gli strumenti più efficaci per migliorare le condizioni di vita degli individui, strumenti che possono anche garantire la distribuzione della ricchezza costruendo una società più equa, in quanto le merci ed i servizi dell’ecosistema fungono da beni per le comunità. La corretta gestione dell’ambiente e delle risorse quindi è di estrema importanza per la lotta alla povertà ed in questo caso il ruolo e la responsabilità dei tecnici ambientali è cruciale. Il lavoro di ricerca qui presentato, partendo dall’analisi del problema della gestione delle risorse naturali e dal suo stretto legame con la povertà, rivisitando il concetto tradizionale di “sviluppo” secondo i nuovi filoni di pensiero, vuole suggerire soluzioni e tecnologie per la gestione sostenibile delle risorse naturali che abbiano come obiettivo il benessere delle popolazioni più povere e degli ecosistemi, proponendo inoltre un metodo valutativo per la scelta delle alternative, soluzioni o tecnologie più adeguate al contesto di intervento. Dopo l’analisi dello “stato del Pianeta” (Capitolo 1) e delle risorse, sia a livello globale che a livello regionale, il secondo Capitolo prende in esame il concetto di povertà, di Paese in Via di Sviluppo (PVS), il concetto di “sviluppo sostenibile” e i nuovi filoni di pensiero: dalla teoria della Decrescita, al concetto di Sviluppo Umano. Dalla presa di coscienza dei reali fabbisogni umani, dall’analisi dello stato dell’ambiente, della povertà e delle sue diverse facce nei vari paesi, e dalla presa di coscienza del fallimento dell’economia della crescita (oggi visibile più che mai) si può comprendere che la soluzione per sconfiggere la povertà, il degrado dell’ambiente, e raggiungere lo sviluppo umano, non è il consumismo, la produzione, e nemmeno il trasferimento della tecnologia e l’industrializzazione; ma il “piccolo e bello” (F. Schumacher, 1982), ovvero gli stili di vita semplici, la tutela degli ecosistemi, e a livello tecnologico le “tecnologie appropriate”. Ed è proprio alle Tecnologie Appropriate a cui sono dedicati i Capitoli successivi (Capitolo 4 e Capitolo 5). Queste sono tecnologie semplici, a basso impatto ambientale, a basso costo, facilmente gestibili dalle comunità, tecnologie che permettono alle popolazioni più povere di avere accesso alle risorse naturali. Sono le tecnologie che meglio permettono, grazie alle loro caratteristiche, la tutela dei beni comuni naturali, quindi delle risorse e dell’ambiente, favorendo ed incentivando la partecipazione delle comunità locali e valorizzando i saperi tradizionali, grazie al coinvolgimento di tutti gli attori, al basso costo, alla sostenibilità ambientale, contribuendo all’affermazione dei diritti umani e alla salvaguardia dell’ambiente. Le Tecnologie Appropriate prese in esame sono quelle relative all’approvvigionamento idrico e alla depurazione dell’acqua tra cui: - la raccolta della nebbia, - metodi semplici per la perforazione di pozzi, - pompe a pedali e pompe manuali per l’approvvigionamento idrico, - la raccolta dell’acqua piovana, - il recupero delle sorgenti, - semplici metodi per la depurazione dell’acqua al punto d’uso (filtro in ceramica, filtro a sabbia, filtro in tessuto, disinfezione e distillazione solare). Il quinto Capitolo espone invece le Tecnolocie Appropriate per la gestione dei rifiuti nei PVS, in cui sono descritte: - soluzioni per la raccolta dei rifiuti nei PVS, - soluzioni per lo smaltimento dei rifiuti nei PVS, - semplici tecnologie per il riciclaggio dei rifiuti solidi. Il sesto Capitolo tratta tematiche riguardanti la Cooperazione Internazionale, la Cooperazione Decentrata e i progetti di Sviluppo Umano. Per progetti di sviluppo si intende, nell’ambito della Cooperazione, quei progetti che hanno come obiettivi la lotta alla povertà e il miglioramento delle condizioni di vita delle comunità beneficiarie dei PVS coinvolte nel progetto. All’interno dei progetti di cooperazione e di sviluppo umano gli interventi di tipo ambientale giocano un ruolo importante, visto che, come già detto, la povertà e il benessere delle popolazioni dipende dal benessere degli ecosistemi in cui vivono: favorire la tutela dell’ambiente, garantire l’accesso all’acqua potabile, la corretta gestione dei rifiuti e dei reflui nonché l’approvvigionamento energetico pulito sono aspetti necessari per permettere ad ogni individuo, soprattutto se vive in condizioni di “sviluppo”, di condurre una vita sana e produttiva. È importante quindi, negli interventi di sviluppo umano di carattere tecnico ed ambientale, scegliere soluzioni decentrate che prevedano l’adozione di Tecnologie Appropriate per contribuire a valorizzare l’ambiente e a tutelare la salute della comunità. I Capitoli 7 ed 8 prendono in esame i metodi per la valutazione degli interventi di sviluppo umano. Un altro aspetto fondamentale che rientra nel ruolo dei tecnici infatti è l’utilizzo di un corretto metodo valutativo per la scelta dei progetti possibili che tenga presente tutti gli aspetti, ovvero gli impatti sociali, ambientali, economici e che si cali bene alle realtà svantaggiate come quelle prese in considerazione in questo lavoro; un metodo cioè che consenta una valutazione specifica per i progetti di sviluppo umano e che possa permettere l’individuazione del progetto/intervento tecnologico e ambientale più appropriato ad ogni contesto specifico. Dall’analisi dei vari strumenti valutativi si è scelto di sviluppare un modello per la valutazione degli interventi di carattere ambientale nei progetti di Cooperazione Decentrata basato sull’Analisi Multi Criteria e sulla Analisi Gerarchica. L’oggetto di questa ricerca è stato quindi lo sviluppo di una metodologia, che tramite il supporto matematico e metodologico dell’Analisi Multi Criteria, permetta di valutare l’appropriatezza, la sostenibilità degli interventi di Sviluppo Umano di carattere ambientale, sviluppati all’interno di progetti di Cooperazione Internazionale e di Cooperazione Decentrata attraverso l’utilizzo di Tecnologie Appropriate. Nel Capitolo 9 viene proposta la metodologia, il modello di calcolo e i criteri su cui si basa la valutazione. I successivi capitoli (Capitolo 10 e Capitolo 11) sono invece dedicati alla sperimentazione della metodologia ai diversi casi studio: - “Progetto ambientale sulla gestione dei rifiuti presso i campi Profughi Saharawi”, Algeria, - “Programa 1 milhão de Cisternas, P1MC” e - “Programa Uma Terra e Duas Águas, P1+2”, Semi Arido brasiliano.

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Resumo:

This work is an analysis of integrated urban waste management in the province of Bologna. It consists of five chapters and one enclosure. Primarily, it focuses on the legislative framework at european, national and local level. Then the study analyses the situation of urban waste system adopted in the reference territory from 2003 to 2007 to show its evolution process. Chapter 3 is based on considerations about the percentage of effective recover of materials derived from separate collection that has been reached in the province of Bologna in 2006. The following chapter describes the urban waste management at national level using dates of 2005 and 2006 by APAT (National Agency for environmental protection). Then, it has been made a comparison with Emilia-Romagna and district of Bologna. Chapter 5 focuses on the description of innovative strategies introduced in the district of Bologna to increase separate collection level and optimize waste management. In particular, it analyses two sperimental projects: one based on door to door collection and the other founded on an integrated collection system which provides the application of two collection models (door to door collection in industrial areas and collection by containers in urban ones). Finally, in the enclosure, it is also descrided best practices of waste management sector about collection models, treatment plants and innovative strategies available at that moment in Europe.