329 resultados para giochi favorevoli e non favorevoli criterio di Kelly


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Obiettivi: Valutare la modalità  più efficace per la riabilitazione funzionale del limbo libero di fibula "single strut", dopo ampie resezioni per patologia neoplastica maligna del cavo orale. Metodi: Da una casistica di 62 ricostruzioni microvascolari con limbo libero di fibula, 11 casi sono stati selezionati per essere riabilitati mediante protesi dentale a supporto implantare. 6 casi sono stati trattati senza ulteriori procedure chirurgiche ad eccezione dell'implantologia (gruppo 1), affrontando il deficit di verticalità  della fibula attraverso la protesi dentaria, mentre i restanti casi sono stati trattati con la distrazione osteogenetica (DO) della fibula prima della riabilitazione protesica (gruppo 2). Il deficit di verticalità  fibula/mandibola è stato misurato. I criteri di valutazione utilizzati includono la misurazione clinica e radiografica del livello osseo e dei tessuti molli peri-implantari, ed il livello di soddisfazione del paziente attraverso un questionario appositamente redatto. Risultati: Tutte le riabilitazioni protesiche sono costituite da protesi dentali avvitate su impianti. L'età  media è di 52 anni, il rapporto uomini/donne è di 6/5. Il numero medio di impianti inseriti nelle fibule è di 5. Il periodo massimo di follow-up dopo il carico masticatorio è stato di 30 mesi per il gruppo 1 e di 38.5 mesi (17-81) di media per il gruppo 2. Non abbiamo riportato complicazioni chirurgiche. Nessun impianto è stato rimosso dai pazienti del gruppo 1, la perdita media di osso peri-implantare registrata è stata di 1,5 mm. Nel gruppo 2 sono stati riportati un caso di tipping linguale del vettore di distrazione durante la fase di consolidazione e un caso di frattura della corticale basale in assenza di formazione di nuovo osso. L'incremento medio di osso in verticalità è stato di 13,6 mm (12-15). 4 impianti su 32 (12.5%) sono andati persi dopo il periodo di follow-up. Il riassorbimento medio peri-implantare, è stato di 2,5 mm. Conclusioni: Le soluzioni più utilizzate per superare il deficit di verticalità  del limbo libero di fibula consistono nell'allestimento del lembo libero di cresta iliaca, nel posizionare la fibula in posizione ideale da un punto di vista protesico a discapito del profilo osseo basale, l'utilizzo del lembo di fibula nella versione descritta come "double barrel", nella distrazione osteogenetica della fibula. La nostra esperienza concerne il lembo libero di fibula che nella patologia neoplastica maligna utilizziamo nella versione "single strut", per mantenere disponibili tutte le potenzialità  di lunghezza del peduncolo vascolare, senza necessità  di innesti di vena. Entrambe le soluzioni, la protesi dentale ortopedica e la distrazione osteogenetica seguita da protesi, entrambe avvitate su impianti, costituiscono soluzioni soddisfacenti per la riabilitazione funzionale della fibula al di là  del suo deficit di verticalità . La prima soluzione ha preso spunto dall'osservazione dei buoni risultati della protesi dentale su impianti corti, avendo un paragonabile rapporto corona/radice, la DO applicata alla fibula, sebbene sia risultata una metodica con un numero di complicazioni più elevato ed un maggior livello di riassorbimento di osso peri-implantare, costituisce in ogni caso una valida opzione riabilitativa, specialmente in caso di notevole discrepanza mandibulo/fibulare. Decisiva è la scelta del percorso terapeutico dopo una accurata valutazione di ogni singolo caso. Vengono illustrati i criteri di selezione provenienti dalla nostra esperienza.

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L’Azienda USL di Bologna è la più grande della regione ed è una delle più grandi in Italia: serve una popolazione di 836.697 abitanti ed è distribuita su 50 comuni. E’ stata istituita il 1° gennaio 2004 con la Legge della Regione Emilia Romagna n. 21 del 20/10/2003 che ha unificato i Comuni di tre Aziende USL: “Città di Bologna”, “Bologna Sud” e “Bologna Nord” (ad eccezione del Comune di Medicina che dall’Area Nord è entrato a far parte dell’Azienda USL di Imola che ha mantenuto un’autonoma configurazione giuridica). Il territorio dell’Azienda USL di Bologna si estende per 2915,4 Kmq ed è caratterizzato dalla particolare ubicazione geografica dei suoi distretti. Al Distretto prettamente urbano, quale quello di Bologna Città si affiancano nell’Area Nord i Distretti di pianura quali Pianura Est e Pianura Ovest, mentre nell’Area Sud si collocano i Distretti con territorio più collinare, quali quelli di Casalecchio di Reno e San Lazzaro di Savena ed il Distretto di Porretta Terme che si caratterizza per l’alta percentuale di territorio montuoso. L’unificazione di territori diversi per caratteristiche orografiche, demografiche e socioeconomiche, ha comportato una maggiore complessità rispetto al passato in termini di governo delle condizioni di equità. La rimodulazione istituzionale ed organizzativa dell’offerta dei sevizi sanitari ha comportato il gravoso compito di razionalizzarne la distribuzione, tenendo conto delle peculiarità del contesto. Alcuni studi di fattibilità precedenti l’unificazione, avevano rilevato come attraverso la costituzione di un’Azienda USL unica si sarebbero potuti più agevolmente perseguire gli obiettivi collegati alle prospettive di sviluppo e di ulteriore qualificazione del sistema dei servizi delle Aziende USL dell’area bolognese, con benefici per il complessivo servizio sanitario regionale. Le tre Aziende precedentemente operanti nell’area bolognese erano percepite come inadeguate, per dimensioni, a supportare uno sviluppo dei servizi ritenuto indispensabile per la popolazione ma, che, se singolarmente realizzato, avrebbe condotto ad una inutile duplicazione di servizi già presenti. Attraverso l’integrazione delle attività di acquisizione dei fattori produttivi e di gestione dei servizi delle tre Aziende, si sarebbero potute ragionevolmente conseguire economie più consistenti rispetto a quanto in precedenza ottenuto attraverso il coordinamento volontario di tali processi da parte delle tre Direzioni. L’istituzione della nuova Azienda unica, conformemente al Piano sanitario regionale si proponeva di: o accelerare i processi di integrazione e di redistribuzione dell’offerta dei servizi territoriali, tenendo conto della progressiva divaricazione fra i cambiamenti demografici, che segnavano un crescente deflusso dal centro storico verso le periferie, ed i flussi legati alle attività lavorative, che si muovevano in senso contrario; o riorganizzare i servizi sanitari in una logica di rete e di sistema, condizione necessaria per assicurare l’equità di accesso ai servizi e alle cure, in stretta interlocuzione con gli Enti Locali titolari dei servizi sociali; o favorire il raggiungimento dell’equilibrio finanziario dell’Azienda e contribuire in modo significativo alla sostenibilità finanziaria dell’intero sistema sanitario regionale. L’entità delle risorse impegnate nell’Area bolognese e le dimensioni del bilancio della nuova Azienda unificata offrivano la possibilità di realizzare economie di scala e di scopo, attraverso la concentrazione e/o la creazione di sinergie fra funzioni e attività, sia in ambito ospedaliero, sia territoriale, con un chiaro effetto sull’equilibrio del bilancio dell’intero Servizio sanitario regionale. A cinque anni dalla sua costituzione, l’Azienda USL di Bologna, ha completato una significativa fase del complessivo processo riorganizzativo superando le principali difficoltà dovute alla fusione di tre Aziende diverse, non solo per collocazione geografica e sistemi di gestione, ma anche per la cultura dei propri componenti. La tesi affronta il tema dell’analisi dell’impatto della fusione sugli assetti organizzativi aziendali attraverso uno sviluppo così articolato: o la sistematizzazione delle principali teorie e modelli organizzativi con particolare attenzione alla loro contestualizzazione nella realtà delle organizzazioni professionali di tipo sanitario; o l’analisi principali aspetti della complessità del sistema tecnico, sociale, culturale e valoriale delle organizzazioni sanitarie; o l’esame dello sviluppo organizzativo dell’Azienda USL di Bologna attraverso la lettura combinata dell’Atto e del Regolamento Organizzativo Aziendali esaminati alla luce della normativa vigente, con particolare attenzione all’articolazione distrettuale e all’organizzazione Dipartimentale per cogliere gli aspetti di specificità che hanno caratterizzano il disegno organizzativo globalmente declinato. o l’esposizione degli esiti di un questionario progettato, in accordo con la Direzione Sanitaria Aziendale, allo scopo di raccogliere significativi elementi per valutare l’impatto della riorganizzazione dipartimentale rispetto ai tre ruoli designati in “staff “alle Direzioni degli otto Dipartimenti Ospedalieri dell’AUSL di Bologna, a tre anni dalla loro formale istituzione. La raccolta dei dati è stata attuata tramite la somministrazione diretta, ai soggetti indagati, di un questionario costituito da numerosi quesiti a risposta chiusa, integrati da domande aperte finalizzate all’approfondimento delle dimensioni di ruolo che più frequentemente possono presentare aspetti di criticità. Il progetto ha previsto la rielaborazione aggregata dei dati e la diffusione degli esiti della ricerca: alla Direzione Sanitaria Aziendale, alle Direzioni Dipartimentali ospedaliere ed a tutti i soggetti coinvolti nell’indagine stessa per poi riesaminare in una discussione allargata i temi di maggiore interesse e le criticità emersi. Gli esiti sono esposti in una serie di tabelle con i principali indicatori e vengono adeguatamente illustrati.

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Il problema della sicurezza/insicurezza delle città, dalle grandi metropoli sino ai più piccoli centri urbani, ha sollecitato negli ultimi anni un’attenzione crescente da parte degli studiosi, degli analisti, degli organi di informazione, delle singole comunità. La delinquenza metropolitana viene oggi diffusamente considerata «un aspetto usuale della società moderna»: «un fatto – o meglio un insieme di fatti – che non richiede nessuna speciale motivazione o predisposizione, nessuna patologia o anormalità, e che è iscritto nella routine della vita economica e sociale». Svincolata dagli schemi positivistici, la dottrina criminologica ha maturato una nuova «cultura del controllo sociale» che ha messo in risalto, rispetto ad ogni visione enfatizzante del reo, l’esigenza di pianificare adeguate politiche e pratiche di prevenzione della devianza urbana attraverso «tutto l’insieme di istituzioni sociali, di strategie e di sanzioni, che mirano a ottenere la conformità di comportamento nella sfera normativa penalmente tutelata». Tale obiettivo viene generalmente perseguito dagli organismi istituzionali, locali e centrali, con diverse modalità annoverabili nel quadro degli interventi di: prevenzione sociale in cui si includono iniziative volte ad arginare la valenza dei fattori criminogeni, incidendo sulle circostanze sociali ed economiche che determinano l’insorgenza e la proliferazione delle condotte delittuose negli ambienti urbani; prevenzione giovanile con cui si tende a migliorare le capacità cognitive e relazionali del minore, in maniera tale da controllare un suo eventuale comportamento aggressivo, e ad insegnare a genitori e docenti come gestire, senza traumi ed ulteriori motivi di tensione, eventuali situazioni di crisi e di conflittualità interpersonale ed interfamiliare che coinvolgano adolescenti; prevenzione situazionale con cui si mira a disincentivare la propensione al delitto, aumentando le difficoltà pratiche ed il rischio di essere scoperti e sanzionati che – ovviamente – viene ponderato dal reo. Nella loro quotidianità, le “politiche di controllo sociale” si sono tuttavia espresse in diversi contesti – ed anche nel nostro Paese - in maniera a tratti assai discutibile e, comunque, con risultati non sempre apprezzabili quando non - addirittura – controproducenti. La violenta repressione dei soggetti ritenuti “devianti” (zero tolerance policy), l’ulteriore ghettizzazione di individui di per sé già emarginati dal contesto sociale, l’edificazione di interi quartieri fortificati, chiusi anche simbolicamente dal resto della comunità urbana, si sono rivelate, più che misure efficaci nel contrasto alla criminalità, come dei «cortocircuiti semplificatori in rapporto alla complessità dell’insieme dei problemi posti dall’insicurezza». L’apologia della paura è venuta così a riflettersi, anche fisicamente, nelle forme architettoniche delle nuove città fortificate ed ipersorvegliate; in quelle gated-communities in cui l’individuo non esita a sacrificare una componente essenziale della propria libertà, della propria privacy, delle proprie possibilità di contatto diretto con l’altro da sé, sull’altare di un sistema di controllo che malcela, a sua volta, implacabili contraddizioni. Nei pressanti interrogativi circa la percezione, la diffusione e la padronanza del rischio nella società contemporanea - glocale, postmoderna, tardomoderna, surmoderna o della “seconda modernità”, a seconda del punto di vista al quale si aderisce – va colto l’eco delle diverse concezioni della sicurezza urbana, intesa sia in senso oggettivo, quale «situazione che, in modo obiettivo e verificabile, non comporta l’esposizione a fattori di rischio», che in senso soggettivo, quale «risultante psicologica di un complesso insieme di fattori, tra cui anche indicatori oggettivi di sicurezza ma soprattutto modelli culturali, stili di vita, caratteristiche di personalità, pregiudizi, e così via». Le amministrazioni locali sono direttamente chiamate a garantire questo bisogno primario di sicurezza che promana dagli individui, assumendo un ruolo di primo piano nell’adozione di innovative politiche per la sicurezza urbana che siano fra loro complementari, funzionalmente differenziate, integrali (in quanto parte della politica di protezione integrale di tutti i diritti), integrate (perché rivolte a soggetti e responsabilità diverse), sussidiarie (perché non valgono a sostituire i meccanismi spontanei di prevenzione e controllo della devianza che si sviluppano nella società), partecipative e multidimensionali (perché attuate con il concorso di organismi comunali, regionali, provinciali, nazionali e sovranazionali). Questa nuova assunzione di responsabilità da parte delle Amministrazioni di prossimità contribuisce a sancire il passaggio epocale «da una tradizionale attività di governo a una di governance» che deriva «da un’azione integrata di una molteplicità di soggetti e si esercita tanto secondo procedure precostituite, quanto per una libera scelta di dar vita a una coalizione che vada a vantaggio di ciascuno degli attori e della società urbana nel suo complesso». All’analisi dei diversi sistemi di governance della sicurezza urbana che hanno trovato applicazione e sperimentazione in Italia, negli ultimi anni, e in particolare negli ambienti territoriali e comunitari di Roma e del Lazio che appaiono, per molti versi, esemplificativi della complessa realtà metropolitana del nostro tempo, è dedicata questa ricerca. Risulterà immediatamente chiaro come il paradigma teorico entro il quale si dipana il percorso di questo studio sia riconducibile agli orientamenti della psicologia topologica di Kurt Lewin, introdotti nella letteratura sociocriminologica dall’opera di Augusto Balloni. Il provvidenziale crollo di antichi steccati di divisione, l’avvento di internet e, quindi, la deflagrante estensione delle frontiere degli «ambienti psicologici» in cui è destinata a svilupparsi, nel bene ma anche nel male, la personalità umana non hanno scalfito, a nostro sommesso avviso, l’attualità e la validità della «teoria del campo» lewiniana per cui il comportamento degli individui (C) appare anche a noi, oggi, condizionato dalla stretta interrelazione che sussiste fra le proprie connotazioni soggettive (P) e il proprio ambiente di riferimento (A), all’interno di un particolare «spazio di vita». Su queste basi, il nostro itinerario concettuale prende avvio dall’analisi dell’ambiente urbano, quale componente essenziale del più ampio «ambiente psicologico» e quale cornice straordinariamente ricca di elementi di “con-formazione” dei comportamenti sociali, per poi soffermarsi sulla disamina delle pulsioni e dei sentimenti soggettivi che agitano le persone nei controversi spazi di vita del nostro tempo. Particolare attenzione viene inoltre riservata all’approfondimento, a tratti anche critico, della normativa vigente in materia di «sicurezza urbana», nella ferma convinzione che proprio nel diritto – ed in special modo nell’ordinamento penale – vada colto il riflesso e la misura del grado di civiltà ma anche delle tensioni e delle contraddizioni sociali che tormentano la nostra epoca. Notevoli spunti ed un contributo essenziale per l’elaborazione della parte di ricerca empirica sono derivati dall’intensa attività di analisi sociale espletata (in collaborazione con l’ANCI) nell’ambito dell’Osservatorio Tecnico Scientifico per la Sicurezza e la Legalità della Regione Lazio, un organismo di supporto della Presidenza della Giunta Regionale del Lazio al quale compete, ai sensi dell’art. 8 della legge regionale n. 15 del 2001, la funzione specifica di provvedere al monitoraggio costante dei fenomeni criminali nel Lazio.

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Il tennis è uno sport molto diffuso che negli ultimi trent’anni ha subito molti cambiamenti. Con l’avvento di nuovi materiali più leggeri e maneggevoli la velocità della palla è aumentata notevolmente, rendendo così necessario una modifica a livello tecnico dei colpi fondamentali. Dalla ricerca bibliografica sono emerse interessanti indicazioni su angoli e posizioni corporee ideali da mantenere durante le varie fasi dei colpi, confrontando i giocatori di altissimo livello. Non vi sono invece indicazioni per i maestri di tennis su quali siano i parametri più importanti da allenare a seconda del livello di gioco del proprio atleta. Lo scopo di questa tesi è quello di individuare quali siano le variabili tecniche che influenzano i colpi del diritto e del servizio confrontando atleti di genere differente, giocatori di livello di gioco diverso (esperti, intermedi, principianti) e dopo un anno di attività programmata. Confrontando giocatori adulti di genere diverso, è emerso che le principali differenze sono legate alle variabili di prestazione (velocità della palla e della racchetta) per entrambi i colpi. Questi dati sono simili a quelli riscontrati nel test del lancio della palla, un gesto non influenzato dalla tecnica del colpo. Le differenze tecniche di genere sono poco rilevanti ed attribuibili alla diversa interpretazione dei soggetti. Nel confronto di atleti di vario livello di gioco le variabili di prestazione presentano evidenti differenze, che possono essere messe in relazione con alcune differenze tecniche rilevate nei gesti specifici. Nel servizio i principianti tendono a direzionare l’arto superiore dominante verso la zona bersaglio, abducendo maggiormente la spalla ed avendo il centro della racchetta più a destra rispetto al polso. Inoltre, effettuano un caricamento minore degli arti inferiori, del tronco e del gomito. Per quanto riguarda il diritto si possono evidenziare queste differenze: l’arto superiore è sempre maggiormente esteso per il gruppo dei principianti; il tronco, nei giocatori più abili viene utilizzato in maniera più marcata, durante la fase di caricamento, in movimenti di torsione e di inclinazione laterale. Gli altri due gruppi hanno maggior difficoltà nell’eseguire queste azioni preparatorie, in particolare gli atleti principianti. Dopo un anno di attività programmata sono stati evidenziati miglioramenti prestativi. Anche dal punto di vista tecnico sono state notate delle differenze che possono spiegare il miglioramento della performance nei colpi. Nel servizio l’arto superiore si estende maggiormente per colpire la palla più in alto possibile. Nel diritto sono da sottolineare soprattutto i miglioramenti dei movimenti del tronco in torsione ed in inclinazione laterale. Quindi l’atleta si avvicina progressivamente ad un’esecuzione tecnica corretta. In conclusione, dal punto di vista tecnico non sono state rilevate grosse differenze tra i due generi che possano spiegare le differenze di performance. Perciò questa è legata più ad un fattore di forza che dovrà essere allenata con un programma specifico. Nel confronto fra i vari livelli di gioco e gli effetti di un anno di pratica si possono individuare variabili tecniche che mostrano differenze significative tra i gruppi sperimentali. Gli evoluti utilizzano tutto il corpo per effettuare dei colpi più potenti, utilizzando in maniera tecnicamente più valida gli arti inferiori, il tronco e l’arto superiore. I principianti utilizzano prevalentemente l’arto superiore con contributi meno evidenti degli altri segmenti. Dopo un anno di attività i soggetti esaminati hanno dimostrato di saper utilizzare meglio il tronco e l’arto superiore e ciò può spiegare il miglioramento della performance. Si può ipotizzare che, per il corretto utilizzo degli arti inferiori, sia necessario un tempo più lungo di apprendimento oppure un allenamento più specifico.

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La ricerca approfondisce le modalità  di applicazione degli standard di qualità  nell'ambito del servizio sportivo, qualità  certificata attraverso sistemi convenzionali o auto verificata attraverso strumenti quali carte di servizio. L'applicazione e verifica dei sistemi di qualità  ad un servizio, seppur non considerato pubblico ma comunque di interesse generale, deve essere messa in relazione con i risultati che il servizio stesso si prefigge sia dal punto di vista del privato (o pubblico) che gestisce ed esercita l'attività  sportiva, sia dal punto di vista del cittadino che lo utilizza. Pertanto la ricerca è stata dedicata all'incidenza della qualità  nei miglioramenti del benessere psico-fisico dell'utente e all'eventuale efficacia della stessa come strumento di marketing per la diffusione del servizio. Sono state prese in esame tre diverse realtà  sportive, tre piscine. Due delle quali, dopo una prima rilevazione esplorativa, si sono dotate di una Carta dei Servizi. La terza piscina è invece gestita da una società  certificata ISO 9001. Sono stati proposti ed elaborati oltre 800 questionari dai quali sono emerse interessanti indicazioni su quanto e come la qualità  del servizio sia stato percepito dall'utente sotto forma di miglioramento del proprio stato psico-fisico ma anche di come sia ritenuta indispensabile una attenzione del gestore verso l'utente affinchè egli possa considerare utile l'attività  motoria dal punto di vista del miglioramento del proprio benessere. Più in particolare, attraverso l'utilizzo dell'analisi fattoriale prima e di modelli Lisrel poi, si è ottenuta una riduzione della complessità  del numero di fattori che spiegano il fenomeno. Questi fattori sono stati messi in correlazione con il livello di soddisfazione complessiva degli utenti e, dalle due rilevazioni per le quali il modello Lisrel ha restituito dati attendibili, è emerso come il fattore "servizi per gli utenti", comprendente aspetti quali lo spazio in acqua e la comodità  degli spogliatoi, sia quello che ha una maggior correlazione con la soddisfazione complessiva. La Carta dei Servizi, pur ritenuta utile dagli utenti che la conoscono, risulta uno strumento poco conosciuto ed in generale privo di appeal anche dal punto di vista del marketing. Nella percezione dell'utente questo strumento non contribuisce al miglioramento del proprio stato psico-fisico. E' interessante rilevare, invece, che gli utenti che conoscono la Certificazione di qualità  hanno una miglior percezione del servizio. In generale i molteplici interessi commerciali legati alle certificazioni o "autocertificazioni" hanno generato, in questi ultimi anni, confusione nelle società  sportive e negli enti che gestiscono impianti sportivi tra il concetto di qualità  (come cultura e occasione di miglioramento) e quello di "certificazione di qualità". In tale contesto "l'apparire" è divenuto più importante dell'"essere" perchè, la maggiore attenzione all'uso di tecniche piuttosto che all'approfondimento dei principi manageriali grazie ai quali è possibile fare qualità , ha finito per banalizzarne il concetto. Ma se il cliente/utente (interno o esterno) è insoddisfatto nonostante il rispetto di standard e specifiche da parte dell'azienda si può ancora parlare di qualità ?

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In questa Tesi vengono trattati alcuni temi relativi alla modellizzazione matematica delle Transizioni di Fase, il cui filo conduttore è la descrizione basata su un parametro d'ordine, originato dalla Teoria di Landau. Dopo aver presentato in maniera generale un modo di approccio alla dinamica delle transizioni mediante campo di fase, con particolare attenzione al problema della consistenza termodinamica nelle situazioni non isoterme, si considerano tre applicazioni di tale metodo a transizioni di fase specifiche: la transizione ferromagnetica, la transizione superconduttrice e la transizione martensitica nelle leghe a memoria di forma (SMA). Il contributo maggiore viene fornito nello studio di quest'ultima transizione di fase per la quale si è elaborato un modello a campo di fase termodinamicamente consistente, atto a descriverne le proprietà termomeccaniche essenziali.

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Lo studio condotto si propone l’approfondimento delle conoscenze sui processi di evoluzione spontanea di comunità vegetali erbacee di origine secondaria in cinque siti all’interno di un’area protetta del Parco di Monte Sole (Bologna, Italia), dove, come molte aree rurali marginali in Italia e in Europa, la cessazione o riduzione delle tradizionali pratiche gestionali negli ultimi cinquant’anni, ha determinato lo sviluppo di fitocenosi di ridotto valore floristico e produttivo. Tali siti si trovano in due aree distinte all’interno del parco, denominate Zannini e Stanzano, selezionate in quanto rappresentative di situazioni di comunità del Mesobrometo. Due siti appartenenti alla prima area e uno appartenente alla seconda, sono gestiti con sfalcio annuale, i rimanenti non hanno nessun tipo di gestione. Lo stato delle comunità erbacee di tali siti è stato valutato secondo più punti di vista. E’ stata fatta una caratterizzazione vegetazionale dei siti, mediante rilievo lineare secondo la metodologia Daget-Poissonet, permettendo una prima valutazione relativa al numero di specie presenti e alla loro abbondanza all’interno della comunità vegetale, determinando i Contributi Specifici delle famiglie principali e delle specie dominanti (B. pinnatum, B. erectus e D. glomerata). La produttività è stata calcolata utilizzando un indice di qualità foraggera, il Valore Pastorale, e con la determinazione della produzione di Fitomassa totale, Fitomassa fotosintetizzante e Necromassa. A questo proposito sono state trovate correlazioni negative tra la presenza di Graminacee, in particolare di B. pinnatum, e i Contributi Specifici delle altre specie, soprattutto a causa dello spesso strato di fitomassa e necromassa prodotto dallo stesso B. pinnatum che impedisce meccanicamente l’insediamento e la crescita di altre piante. E’ stata inoltre approfonditamente sviluppata un terza caratterizzazione, che si propone di quantificare la diversità funzionale dei siti medesimi, interpretando le risposte della vegetazione a fattori globali di cambiamento, sia abiotici che biotici, per cogliere gli effetti delle variazioni ambientali in atto sulla comunità, e più in generale, sull’intero ecosistema. In particolare, nello studio condotto, sono stati proposti alcuni caratteri funzionali, cosiddetti functional traits, scelti perché correlati all’acquisizione e alla conservazione delle risorse, e quindi al trade-off dei nutrienti all’interno della pianta, ossia: Superficie Fogliare Specifica, SLA, Tenore di Sostanza Secca, LDMC, Concentrazione di Azoto Fogliare, LNC, Contenuto in Fibra, LFC, separato nelle componenti di Emicellulosa, Cellulosa, Lignina e Ceneri. Questi caratteri sono stati misurati in relazione a tre specie dominanti: B. pinnatum, B. erectus e D. glomerata. Si tratta di specie comunemente presenti nelle praterie semi-mesofile dell’Appennino Settentrionale, ma caratterizzate da differenti proprietà ecologiche e adattative: B. pinnatum e B. erectus sono considerati competitori stress-toleranti, tipicamente di ambienti poveri di risorse, mentre D. glomerata, è una specie più mesofila, caratteristica di ambienti produttivi. Attraverso l’analisi dei traits in riferimento alle diverse strategie di queste specie, sono stati descritti specifici adattamenti alle variazioni delle condizioni ambientali, ed in particolare in risposta al periodo di stress durante l’estate dovuto a deficit idrico e in risposta alla diversa modalità di gestione dei siti, ossia alla pratica o meno dello sfalcio annuale. Tra i caratteri funzionali esaminati, è stato identificato LDMC come il migliore per descrivere le specie, in quanto più facilmente misurabile, meno variabile, e direttamente correlato con altri traits come SLA e le componenti della fibra. E’ stato quindi proposto il calcolo di un indice globale per caratterizzare i siti in esame, che tenesse conto di tutti questi aspetti, riunendo insieme sia i parametri di tipo vegetativo e produttivo, che i parametri funzionali. Tale indice ha permesso di disporre i siti lungo un gradiente e di cogliere differenti risposte in relazione a variazioni stagionali tra primavera o autunno e in relazione al tipo di gestione, valutando le posizioni occupate dai siti stessi e la modalità dei loro eventuali spostamenti lungo questo gradiente. Al fine di chiarire se le variazioni dei traits rilevate fossero dovute ad adattamento fenotipico dei singoli individui alle condizioni ambientali, o piuttosto fossero dovute a differenziazione genotipica tra popolazioni cresciute in siti diversi, è stato proposto un esperimento in condizioni controllate. All’interno di un’area naturale in UK, le Chiltern Hills, sono stati selezionati cinque siti, caratterizzati da diverse età di abbandono: Bradenham Road MaiColtivato e Small Dean MaiColtivato, di cui non si conosce storia di coltivazione, caratterizzati rispettivamente da vegetazione arborea e arbustiva prevalente, Butterfly Bank 1970, non più coltivato dal 1970, oggi prateria seminaturale occasionalmente pascolata, Park Wood 2001, non più coltivato dal 2001, oggi prateria seminaturale mantenuta con sfalcio annuale, e infine Manor Farm Coltivato, attualmente arato e coltivato. L’esperimento è stato condotto facendo crescere i semi delle tre specie più comuni, B. sylvaticum, D. glomerata e H. lanatus provenienti dai primi quattro siti, e semi delle stesse specie acquistati commercialmente, nei cinque differenti tipi di suolo dei medesimi siti. Sono stati misurati quattro caratteri funzionali: Massa Radicale Secca (DRM), Massa Epigea Secca (DBM), Superficie Fogliare Secca (SLA) e Tenore di Sostanza Secca (LDMC). I risultati ottenuti hanno evidenziato che ci sono significative differenze tra le popolazioni di una stessa specie ma con diversa provenienza, e tra individui appartenenti alla stessa popolazione se fatti crescere in suoli diversi. Tuttavia, queste differenze, sembrano essere dovute ad adattamenti locali legati alla presenza di nutrienti, in particolare N e P, nel suolo piuttosto che a sostanziali variazioni genotipiche tra popolazioni. Anche per questi siti è stato costruito un gradiente sulla base dei quattro caratteri funzionali analizzati. La disposizione dei siti lungo il gradiente ha evidenziato tre gruppi distinti: i siti più giovani, Park Wood 2001 e Manor Farm Coltivato, nettamente separati da Butterfly Bank 1970, e seguiti infine da Small Dean MaiColtivato e Bradenham Road MaiColtivato. L’applicazione di un indice così proposto potrebbe rivelarsi un utile strumento per descrivere ed indagare lo stato della prateria e dei processi evolutivi in atto, al fine di meglio comprendere e dominare tali dinamiche per proporre sistemi di gestione che ne consentano la conservazione anche in assenza delle tradizionali cure colturali.

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This PhD thesis aims at providing an evaluation of EU Cohesion policy impact on regional growth. It employs methodologies and data sources never before applied for this purpose. Main contributions to the literature concerning EU regional policy effectiveness have been extensively analysed. Moreover, having carried out an overview of the current literature on Cohesion Policy, we deduce that this work introduces innovative features in the field. The work enriches the current literature with regards to two aspects. The first aspect concerns the use of the instrument of Regression Discontinuity Design in order to examine the presence of a different outcome in terms of growth between Objectives 1 regions and non-Objective 1 regions at the cut-off point (75 percent of EU-15 GDP per capita in PPS) during the two programming periods, 1994-1999 and 2000-2006. The results confirm a significant difference higher than 0.5 percent per year between the two groups. The other empirical evaluation regards the study of a cross-section regression model based on the convergence theory that analyses the dependence relation between regional per capita growth and EU Cohesion policy expenditure in several fields of interventions. We have built a very fine dataset of spending variables (certified expenditure), using sources of data directly provided from the Regional Policy Directorate of the European Commission.

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Considerando la figura di Orfeo, si mette in luce la ricezione del mito della morte di questo personaggio leggendario nell’arte simbolista, con particolare attenzione per Gustave Moreau. Il lavoro di ricerca vuole approfondire anche la natura epistemologica e metodologica dello studio della sopravvivenza dei classici, prediligendo i processi di tipo comparatistico e quelli che si rifanno alla grande categoria dei Cultural Studies, intendendo attraversare i confini, le barriere, le frontiere, i limiti delle discipline tradizionalmente intese. Viene cosí presa in considerazione anche l’interazione tra cultura verbale, scritta, letteraria e cultura visuale, sottolineando i meccanismi di transtestualità, nelle loro valenze e potenzialità di ibridazione e contaminazione. Si punta, dunque, non solo sulla superificie tematica specifica ma anche sulla filigrana dei procedimenti di legittimazione scientifica e della prasseologia di questa specifica area filologica transdisciplinare.

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Cosa e’ stato fatto e il fine della ricerca in questi tre anni si è esaminato il materiale edito sui sarcofagi del periodo in esame, sui culti funerari, i problemi religiosi ed artistici. Per trovare confronti validi si sono resi necessari alcuni viaggi sia in Italia che all’estero. Lo scopo della ricerca è stato quello di “leggere” i messaggi insiti nelle figurazioni delle casse dei sarcofagi, per comprendere meglio la scelta dei committenti verso determinati temi e la ricezione di questi ultimi da parte del pubblico. La tomba, infatti, è l’ultima traccia che l’uomo lascia di sé ed è quindi importante cercare di determinare l’impatto psicologico del monumento funerario sul proprietario, che spesso lo acquistava quando ancora era in vita, e sui familiari in visita alla tomba durante la celebrazione dei riti per i defunti. Nell’ultimo anno, infine, si è provveduto a scrivere la tesi suddivindendo i capitoli e i pezzi in base all’argomento delle figurazioni (mitologici, di virtù, etc.). I capitoli introduttivi Nel primo capitolo di introduzione si è cercato di dare un affresco per sommi capi del periodo storico in esame da Caracalla a Teodosio e della Chiesa di III e IV secolo, mettendo in luce la profonda crisi che gravava sull’Impero e le varie correnti che frammentavano il cristianesimo. In particolare alcune dispute, come quella riguardante i lapsi, sarà alla base di ipotesi interpretative riguardanti la raffigurazione del rifiuto dei tre giovani Ebrei davanti a Nabuchodonosor. Nel capitolo seguente vengono esaminati i riti funerari e il ruolo dei sarcofagi in tali contesti, evidenziando le diverse situazioni emotive degli osservatori dei pezzi e, quindi, l’importanza dei temi trattati nelle casse. I capitolo Questo capitolo tratta dei sarcofagi mitologici. Dopo una breve introduzione, dove viene spiegata l’entrata in uso dei pezzi in questione, si passa alla discussione dei temi, suddivisi in paragrafi. La prima classe di materiali è qualla con la “caduta di Fetonte” la cui interpretazione sembra chiara: una tragedia familiare. Il compianto sul corpo di un ragazzo morto anzi tempo, al quale partecipa tutto il cosmo. L’afflizione dei familiari è immane e sembra priva di una possibile consolazione. L’unico richiamo a riprendere a vivere è solo quello del dovere (Mercurio che richiama Helios ai propri impegni). La seconda classe è data dalle scene di rapimento divino visto come consolazione e speranza in un aldilà felice, come quelle di Proserpina e Ila. Nella trasposizione della storia di Ila è interessante anche notare il fatto che le ninfe rapitrici del giovane – defunto abbiano le sembianze delle parenti già morte e di un fanciullo, probabilmente la madre, la nonna e un fratello deceduto anzi tempo. La terza classe presenta il tema del distacco e dell’esaltazione delle virtù del defunto nelle vesti dei cacciatori mitici Mealeagro, Ippolito e Adone tutti giovani, forti e coraggiosi. In questi sarcofagi ancor più che negli altri il motivo della giovinezza negata a causa della morte è fondamentale per sottolineare ancora di più la disperazione e il dolore dei genitori rimasti in vita. Nella seguente categoria le virtù del defunto sono ancora il tema dominante, ma in chiave diversa: in questo caso l’eroe è Ercole, intento ad affrontare le sue fatiche. L’interpretazione è la virtù del defunto che lo ha portato a vincere tutte le difficoltà incontrate durante la propria vita, come dimostrerebbe anche l’immagine del semidio rappresentato in età diverse da un’impresa all’altra. Vi è poi la categoria del sonno e della morte, con i miti di Endimione, Arianna e Rea Silvia, analizzato anche sotto un punto di vista psicologico di aiuto per il superamento del dolore per la perdita di un figlio, un marito, o, ancora, della sposa. Accanto ai sarcofagi con immagini di carattere narrativo, vi sono numerosi rilievi con personaggi mitici, che non raccontano una storia, ma si limitano a descrivere situazioni e stati d’animo di felicità. Tali figurazioni si possono dividere in due grandi gruppi: quelle con cortei marini e quelle con il tiaso dionisiaco, facendo dell’amore il tema specifico dei rilievi. Il fatto che quello del tiaso marino abbia avuto così tanta fortuna, forse, per la numerosa letteratura che metteva in relazione l’Aldilà con l’acqua: l’Isola dei Beati oltre l’Oceano, viaggi per mare verso il mondo dei morti. Certo in questo tipo di sarcofagi non vi sono esplicitate queste credenze, ma sembrano più che altro esaltare le gioie della vita. Forse il tutto può essere spiegato con la coesistenza, nei familiari del defunto, della memoria retrospettiva e della proiezione fiduciosa nel futuro. Sostanzialmente era un modo per evocare situazioni gioiose e di godimento sensibile, riferendole ai morti in chiave beneaugurale. Per quanto rigurda il tiaso di Bacco, la sua fortuna è stata dettata dal fatto che il suo culto è sempre stato molto attivo. Bacco era dio della festa, dell’estasi, del vino, era il grande liberatore, partecipe della crescita e della fioritura, il grande forestiero , che faceva saltare gli ordinamenti prestabiliti, i confini della città con la campagna e le convenzioni sociali. Era il dio della follia, al quale le menadi si abbandonavano nella danza rituale, che aggrediva le belve, amante della natura, ma che penetra nella città, sconvolgendola. Del suo seguito facevano parte esseri ibridi, a metà tra l’ordine e la bestialità e animali feroci ammansiti dal vino. I suoi nemici hanno avuto destini orribili di indicibile crudeltà, ma chi si è affidato anima e corpo a lui ha avuto gioia, voluttà, allegria e pienezza di vita. Pur essendo un valente combattente, ha caratteri languidi e a tratti femminei, con forme floride e capelli lunghi, ebbro e inebriante. Col passare del tempo la conquista indiana di alessandro si intrecciò al mito bacchico e, a lungo andare, tutti i caratteri oscuri e minacciosi della divinità scomparirono del tutto. Un esame sistematico dei temi iconografici riconducibili al mito di Bacco non è per nulla facile, in quanto l’oggetto principale delle raffigurazioni è per lo più il tiaso o come corteo festoso, o come gruppi di figure danzanti e musicanti, o, ancora, intento nella vendemmia. Ciò che interessava agli scultori era l’atmosfera gioiosa del tiaso, al punto che anche un episodio importante, come abbiamo visto, del ritrovamento di Arianna si pèerde completamente dentro al corteo, affollatissimo di personaggi. Questo perché, come si è detto anche al riguardo dei corte marini, per creare immagini il più possibile fitte e gravide di possibilità associative. Altro contesto iconografico dionisiaco è quello degli amori con Arianna. Sui sarcofagi l’amore della coppia divina è raffigurato come una forma di stupore e rapimento alla vista dell’altro, un amore fatto di sguardi, come quello del marito sulla tomba della consorte. Un altro tema , che esalta l’amore, è senza ombra di dubbio quello di Achille e Pentesilea, allegoria dell’amore coniugale. Altra classe è qualla con il mito di Enomao, che celebra il coraggio virile e l’attitudine alla vittoria del defunto e, se è presente la scena di matrimonio con Ippodamia, l’amore verso la sposa. Infine vi sono i sarcofagi delle Muse: esaltazione della cultura e della saggezza del morto. II capitolo Accanto ad i grandi ambiti mitologici dei due tiasi del capitolo precedente era la natura a lanciare un messaggio di vita prospera e pacifica. Gli aspetti iconografici diq uesto tema sono due: le stagioni e la vita in un ambiente bucolico. Nonostante la varietà iconografica del soggetto, l’idea di fondo rimane invariata: le stagioni portano ai morti i loro doni affinchè possano goderne tutto l’anno per l’eternità. Per quanto riguarda le immagini bucoliche sono ispirate alla vita dei pastori di ovini, ma ovviamente non a quella reale: i committenti di tali sarcofagi non avevano mai vissuto con i pastori, né pensavano di farlo i loro parenti. Le immagini realistiche di contadini, pastori, pescatori, tutte figure di infimo livello sociale, avevano assunto tratti idilliaci sotto l’influsso della poesia ellenistica. Tutte queste visioni di felicità mancano di riferimenti concreti sia temporali che geografici. Qui non vi sono protagonisti e situazioni dialogiche con l’osservatore esterno, attraverso la ritrattistica. I defunti se appaiono sono all’interno di un tondo al centro della cassa. Nei contesti bucolici, che andranno via, via, prendendo sempre più piede nel III secolo, come in quelli filosofici, spariscono del tutto le scene di lutto e di cordoglio. Le immagini dovevano essere un invito a godersi la vita, ma dovevano anche dire qualcosa del defunto. In una visione retrospettiva, forse, si potrebbero intendere come una dichiarazione che il morto, in vita, non si era fatto mancare nulla. Nel caso opposto, poteve invece essere un augurio ad un’esistenza felice nell’aldilà. III capitolo Qui vengono trattati i sarcofagi con l’esaltazione e l’autorappresentazione del defunto e delle sue virtù in contesti demitizzati. Tra i valori ricorrenti, esaltati nei sarcofagi vi è l’amore coniugale espresso dal tema della dextrarum iunctio, simbolo del matrimonio, la cultura, il potere, la saggezza, il coraggio, esplicitato dalle cacce ad animali feroci, il valore guerriero e la giustizia, dati soprattutto dalle scene di battaglia e di giudizio sui vinti. IV capitolo In questo capitolo si è provato a dare una nuova chiave di lettura ai sarcofagi imperiali di S. Elena e di Costantina. Nel primo caso si tratterebbe della vittoria eterna sul male, mentre nel secondo era un augurio di vita felice nell’aldilà in comunione con Dio e la resurrezione nel giorno del giudizio. V capitolo Il capitolo tratta le mediae voces, quei pezzi che non trovano una facile collocazione in ambito religioso poiché presentano temi neutri o ambivalenti, come quelli del buon pastore, di Prometeo, dell’orante. VI capitolo Qui trovano spazio i sarcofagi cristiani, dove sono scolpite varie scene tratte dalle Sacre Scritture. Anche in questo caso si andati al di là della semplice analisi stilistica per cercare di leggere il messaggio contenuto dalle sculture. Si sono scoperte preghiere, speranze e polemiche con le correnti cristiane considerate eretiche o “traditrici” della vera fede, contro la tradizionale interpretazione che voleva le figurazioni essenzialmente didascaliche. VII capitolo Qui vengono esposte le conclusioni da un punto di vista sociologico e psicologico.

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The main reasons for the attention focused on ceramics as possible structural materials are their wear resistance and the ability to operate with limited oxidation and ablation at temperatures above 2000°C. Hence, this work is devoted to the study of two classes of materials which can satisfy these requirements: silicon carbide -based ceramics (SiC) for wear applications and borides and carbides of transition metals for ultra-high temperatures applications (UHTCs). SiC-based materials: Silicon carbide is a hard ceramic, which finds applications in many industrial sectors, from heat production, to automotive engineering and metals processing. In view of new fields of uses, SiC-based ceramics were produced with addition of 10-30 vol% of MoSi2, in order to obtain electro conductive ceramics. MoSi2, indeed, is an intermetallic compound which possesses high temperature oxidation resistance, high electrical conductivity (21·10-6 Ω·cm), relatively low density (6.31 g/cm3), high melting point (2030°C) and high stiffness (440 GPa). The SiC-based ceramics were hot pressed at 1900°C with addition of Al2O3-Y2O3 or Y2O3-AlN as sintering additives. The microstructure of the composites and of the reference materials, SiC and MoSi2, were studied by means of conventional analytical techniques, such as X-ray diffraction (XRD), scanning electron microscopy (SEM) and energy dispersive spectroscopy (SEM-EDS). The composites showed a homogeneous microstructure, with good dispersion of the secondary phases and low residual porosity. The following thermo-mechanical properties of the SiC-based materials were measured: Vickers hardness (HV), Young’s modulus (E), fracture toughness (KIc) and room to high temperature flexural strength (σ). The mechanical properties of the composites were compared to those of two monolithic SiC and MoSi2 materials and resulted in a higher stiffness, fracture toughness and slightly higher flexural resistance. Tribological tests were also performed in two configurations disco-on-pin and slideron cylinder, aiming at studying the wear behaviour of SiC-MoSi2 composites with Al2O3 as counterfacing materials. The tests pointed out that the addition of MoSi2 was detrimental owing to a lower hardness in comparison with the pure SiC matrix. On the contrary, electrical measurements revealed that the addition of 30 vol% of MoSi2, rendered the composite electroconductive, lowering the electrical resistance of three orders of magnitude. Ultra High Temperature Ceramics: Carbides, borides and nitrides of transition metals (Ti, Zr, Hf, Ta, Nb, Mo) possess very high melting points and interesting engineering properties, such as high hardness (20-25 GPa), high stiffness (400-500 GPa), flexural strengths which remain unaltered from room temperature to 1500°C and excellent corrosion resistance in aggressive environment. All these properties place the UHTCs as potential candidates for the development of manoeuvrable hypersonic flight vehicles with sharp leading edges. To this scope Zr- and Hf- carbide and boride materials were produced with addition of 5-20 vol% of MoSi2. This secondary phase enabled the achievement of full dense composites at temperature lower than 2000°C and without the application of pressure. Besides the conventional microstructure analyses XRD and SEM-EDS, transmission electron microscopy (TEM) was employed to explore the microstructure on a small length scale to disclose the effective densification mechanisms. A thorough literature analysis revealed that neither detailed TEM work nor reports on densification mechanisms are available for this class of materials, which however are essential to optimize the sintering aids utilized and the processing parameters applied. Microstructural analyses, along with thermodynamics and crystallographic considerations, led to disclose of the effective role of MoSi2 during sintering of Zrand Hf- carbides and borides. Among the investigated mechanical properties (HV, E, KIc, σ from room temperature to 1500°C), the high temperature flexural strength was improved due to the protective and sealing effect of a silica-based glassy phase, especially for the borides. Nanoindentation tests were also performed on HfC-MoSi2 composites in order to extract hardness and elastic modulus of the single phases. Finally, arc jet tests on HfC- and HfB2-based composites confirmed the excellent oxidation behaviour of these materials under temperature exceeding 2000°C; no cracking or spallation occurred and the modified layer was only 80-90 μm thick.

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L’irrigidimento del contesto regolamentare europeo dovuto all’attuale condizione di contaminazione diffusa dell’ambiente, riscontrata in Italia e in molti altri paesi europei, ha visto l’esigenza sempre più pressante di razionalizzare le dosi dei fitofarmaci utilizzati in agricoltura. Lo sviluppo e l’utilizzo di nuovi prodotti coadiuvanti come specifici antideriva per erbicidi, rappresenta in questo senso, un’importante risorsa su cui si inizia a fare affidamento. In Francia, per esempio, già da alcuni anni ci sono normative che obbligano l’utilizzo in agricoltura di tali prodotti, mentre in Italia non si hanno ancora direttive precise a riguardo. In tal contesto l’obiettivo principale di questa ricerca, effettuata in collaborazione con la ditta Intrachem, è stato quello di studiare alcune caratteristiche funzionali relative a due prodotti, che verranno lanciati a breve sul mercato, come specifici antideriva per erbicidi. In particolar modo è stato fatto uno studio per verificare se ed eventualmente come, questi coadiuvanti (Gondor e Zarado) possono influenzare l’attività del principio attivo a cui vengono aggiunti, apportando variazioni relative alla sua efficacia. Lo schema di lavoro seguito ha previsto una prima fase di saggio dove venivano effettuati test dose-risposta, utilizzando diversi erbicidi a diverse concentrazioni. I test sono stati effettuati su alcune malerbe mono e dicotiledoni. In ciascuna di queste prove è stata valutata e confrontata la percentuale di sopravvivenza e il peso dei sopravvissuti tra le tesi trattate. Le tesi prevedevano trattamenti con erbicida e trattamenti con erbicida più uno dei due coadiuvanti. Nella seconda fase si è effettuato un approfondimento sulle tesi che hanno mostrato i risultati più interessanti, per capirne possibilmente le basi fisiologiche. In particolare si è verificato se l’aggiunta dei due antideriva potesse determinare cambiamenti durante la fase di assorbimento e di traslocazione del principio attivo all’interno della piantina, utilizzando molecole radiomarcate con C14. Dai risultati ottenuti si è potuto evidenziare come l’aggiunta dei coadiuvanti possa rendere più efficace l’azione dell’erbicida nei casi in cui le infestanti non vengono completamente controllate dagli stessi (stadio vegetativo troppo avanzato e resistenza all’erbicida). Non è stato sempre verificato che ad un miglioramento dell’efficacia coincida un aumento dell’assorbimento e della traslocazione del principio attivo, all’interno della pianta. In conclusione si è potuto constatare che Gondor e Zarado oltre a svolgere la loro funzione antideriva, non influenzano negativamente l’efficacia dell’erbicida, salvo poche eccezioni, ma al contrario possono potenziarne l’azione, nelle situazioni “border line”.

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Il Medio Oriente è una regione in cui le scarse risorse idriche giocano un ruolo fondamentale nei rapporti e nelle relazioni tra gli Stati. Soprattutto nell'area di Israele, Palestina e Giordania la natura transfrontaliera delle fonti idriche condivise è considerata da qualche ricercatore come un catalizzatore del più ampio conflitto arabo-israeliano. Altri studiosi, tuttavia, vedono nella cooperazione regionale sulle risorse idriche un potenziale cammino verso una pace duratura veicolata dalla natura interdipendente delle fonti idriche comuni a più territori. Dato che l'acqua è l'elemento che per molti aspetti contribuisce allo sviluppo sociale ed economico e dato che le fonti idriche sotterranee e di superficie non conoscono confini e si muovono liberamente nel territorio, la cooperazione tra gli Stati rivieraschi delle risorse idriche dovrebbe arrivare a prevalere sul conflitto. Unica nel suo genere, l'ong trilaterale israelo-palestinese giordana Friends of the Earth Middle East, FoEME, ha fatto proprio tale auspicio e dal 1994 punta a sviluppare progetti di cooperazione per la salvaguardia del patrimonio naturale dell'area del bacino del fiume Giordano e del Mar Morto. Attraverso l'esperienza del Progetto Good Water Neighbors, GWN, avviato nel 2002, sta lavorando ad una serie di iniziative nel campo dell'environmental awareness e del social empowerment a favore di comunità  israeliane, palestinesi e giordane transfrontaliere che condividono risorse idriche sotterranee o di superficie. Operando inizialmente a livello locale per identificare i problemi idrico-ambientali di ogni comunità  selezionata e lavorare con i cittadini (ragazzi, famiglie e amministratori municipali) per migliorare la conoscenza idrica locale attraverso attività  di educazione ambientale, di water awareness e piani di sviluppo urbano eco-compatibile, il Progetto GWN ha facilitato a livello transfrontaliero i rapporti tra le comunità  confinanti abbattendo la barriera di sfiducia e sospetto che normalmente impedisce relazioni pacifiche, ha coadiuvato l'analisi dei problemi idrici comuni cercando di risolverli attraverso uno sforzo programmatico condiviso e sostenibile, per giungere infine a livello regionale ad incoraggiare la gestione idrica comune attraverso lo scambio di informazioni, il dialogo e lo sforzo/impegno cooperativo congiunto tra gli attori parte del GWN al fine di incentivare la pace attraverso l'interesse comune della tutela delle fonti idriche condivise. Gli approcci di local development e participation, le azioni di confidence building e il peacebuilding attraverso la tutela ambientale applicati con il metodo di bottom up all'interno di un contesto non pacificato come quello del conflitto arabo-israeliano, fanno del Progetto GWN un esperimento innovativo e originale. Le comunità  israeliane, palestinesi e giordane selezionate hanno imparato a migliorare le proprie condizioni idrico-ambiennali cooperando assieme e sfruttando l'interdipendenza dalle fonti idriche condivise, avviando nel contempo rapporti pacifici con società  sempre considerate nemiche. La sfida è stata quella di far comprendere le potenzialità  di una cooperazione locale, in vista di un coordinamento regionale e di uno sforzo comune in grado di generare un beneficio collettivo. La lezione appresa finora durante questi primi sette anni di Progetto è stata quella di capire che non è necessario attendere la fine del conflitto per poter essere di aiuto alle proprie comunità  o per un benessere personale, ma si può agire subito, anche nel pieno dell'Intifada al-Aqsa e con i coprifuoco.

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La risposta emodinamica all'esercizio dinamico è stata oggetto di numerosi studi scientifici. Poca attenzione è stata invece rivolta agli aggiustamenti cardiovascolari che si verificano quando si interrompe uno sforzo dinamico. Al cessare dell' esercizio, la frequenza cardiaca e la contrattilità miocardica subiscono un decremento repentino e vengono rilasciati in quantità i prodotti finali del metabolismo muscolare, come lattato, ioni idrogeno, adenosina, sostanze in grado di indurre vasodilatazione nei gruppi muscolari precedentemente attivati determinando una riduzione del precarico, post-carico cardiaco, contrattilità miocardica e una dilatazione delle arteriole periferiche, così da mantenere le resistenze vascolari periferiche a un basso livello. Inoltre, si verificano alterazioni della concentrazione ematica di elettroliti, diminuzione delle catecolamine circolanti e si verifica un ipertono vagale : tutti questi fenomeni possono avere un effetto significativo sullo stato emodinamico. In questo studio si voleva valutare in che misura l’eventuale effetto ipotensivo dovuto all’esercizio fosse legato all’intensità del carico lavorativo applicato ed alla sua durata. Il campione esaminato comprendeva 20 soggetti maschi attivi. I soggetti venivano sottoposti a quattro test in giornate diverse. La prova da sforzo preliminare consisteva in una prova da sforzo triangolare massimale eseguita al cicloergometro con un protocollo incrementale di 30 Watt al minuto. Il test si articolava in una prima fase della durata di 3 minuti nei quali venivano registrati i dati basali, in una seconda fase della durata di tre minuti in cui il soggetto compiva un riscaldamento al cicloergometro, che precedeva l’inizio dello sforzo, ad un carico di 20 W. Al termine della prova venivano calcolati il massimo carico lavorativo raggiunto (Wmax) ed il valore di soglia anaerobica (SA). Dopo la prova da sforzo preliminare il soggetto effettuava 3 esercizi rettangolari di diversa intensità in maniera randomizzata così strutturati: test 70% SA; test 130% SA, 130% Wmax : prove da sforzo rettangolari ad un carico lavorativo pari alla percentuale indicatain relazione ai valori di SA e Wmax ottenuti nella prova da sforzo preliminare. Tali test duravano dieci minuti o fino all'esaurimento del soggetto. Le prova erano precedute da tre minuti di riposo e da tre minuti di riscaldamento. Il recupero aveva una durata di 30 minuti. La PA veniva misurata ogni 5 minuti durante lo sforzo, ogni minuto nei primi 5 minuti di recupero e successivamente ogni 5 minuti fino alla conclusione del recupero. Dai risultati emerge come l'effetto ipotensivo sia stato più marcato nel recupero dall'intensità di carico lavorativo meno elevata, cioè dopo il test 70%SA. C'è da considerare che la più bassa intensità di sforzo permetteva di praticare un esercizio significativamente più lungo rispetto ai test 130%SA e 130%Wmax. È quindi verosimile che anche la durata dell'esercizio e non solo la sua intensità abbia avuto un ruolo fondamentale nel determinare l'ipotensione nel recupero evidenziata in questo studio. L’effetto ipotensivo più evidente si è manifestato nelle prove a più bassa intensità ma con carico lavorativo totale più elevato. I dati supportano la tendenza a considerare non tanto l’intensità e la durata dell’esercizio in modo isolato, quanto piuttosto il carico lavorativo totale (intensità x durata). L'effetto ipotensivo registrato nello studio è da ascriversi soprattutto ad una persistente vasodilatazione susseguente allo sforzo. Infatti, nel recupero dal test 70%SA, le RVP si mantenevano basse rispetto ai valori di riposo. Tale dato potrebbe avere un grande valore clinico nella prescrizione dell'attività fisica più idonea nei soggetti ipertesi,che potrebbero beneficiare di un eventuale effetto ipotensivo successivo all'attività praticata. Pertanto in futuro bisognerà estendere lo studio ai soggetti ipertesi. La conferma di tale risultato in questi soggetti permetterebbe di scegliere correttamente l'intensità e la durata del carico lavorativo, in modo da calibrare lo sforzo al grado di patologia del soggetto.