226 resultados para numeri complessi riforma Gelmini storia della matematica TIMMS indicazioni nazionali
Resumo:
Il lavoro ripercorre le tracce che gli ebrei portoghesi, esuli dopo il biennio 1496-97, lasciarono nel loro cammino attraverso l'Europa. In particolare, l'interesse si concentra sulla breve parentesi italiana, che grazie all'apertura e alla disponibilità di alcuni Signori, come i Gonzaga di Mantova, i Medici, i Dogi della Serenissima e gli Este, risulta ricchissima di avvenimenti e personaggi, decisivi anche per la storia culturale del Portogallo. L'analisi parte evidenziando l'importanza che ebbe la tipografia ebraica in Portogallo all'epoca della sua introduzione nel Paese; in secondo luogo ripercorre la strada che, dal biennio del primo decreto di espulsione e del conseguente battesimo di massa, porta alla nascita dell'Inquisizione in Portogallo. Il secondo capitolo tenta di fare una ricostruzione, il più possibile completa e coerente, dei movimenti degli esuli, bollati come marrani e legati alle due maggiori famiglie, i Mendes e i Bemveniste, delineando poi il primo nucleo di quella che diventerà nel Seicento la comunità sefardita portoghese di Amsterdam, dove nasceranno le personalità dissidenti di Uriel da Costa e del suo allievo Spinoza. Il terzo capitolo introduce il tema delle opere letterarie, effettuando una rassegna dei maggiori volumi editi dalle officine tipografiche ebraiche stanziatesi in Italia fra il 1551 e il 1558, in modo particolare concentrando l'attenzione sull'attività della tipografia Usque, da cui usciranno numerosi testi di precettistica in lingua ebraica, ma soprattutto opere cruciali come la famosa «Bibbia Ferrarese» in castigliano, la «Consolação às Tribulações de Israel», di Samuel Usque e la raccolta composta dal romanzo cavalleresco «Menina e Moça» di Bernardim Ribeiro e dall'ecloga «Crisfal», di un autore ancora non accertato. L'ultimo capitolo, infine, si propone di operare una disamina di queste ultime tre opere, ritenute fondamentali per ricostruire il contesto letterario e culturale in cui la comunità giudaica in esilio agiva e proiettava le proprie speranze di futuro. Per quanto le opere appartengano a generi diversi e mostrino diverso carattere, l'ipotesi è che siano parte di un unicum filosofico e spirituale, che intendeva sostanzialmente indicare ai confratelli sparsi per l'Europa la direzione da prendere, fornendo un sostegno teoretico, psicologico ed emotivo nelle difficili condizioni di sopravvivenza, soprattutto dell'integrità religiosa, di ciascun membro della comunità.
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Il presente elaborato si occupa della storia della cerealicoltura in un percorso diacronico dal Neolitico all’Età del Ferro. Sono presentate le analisi carpologiche di 14 siti archeologici dell’Italia settentrionale, esaminati secondo le più moderne tecniche di indagine archeobotanica.
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Quello del falso è un problema con cui si sono dovuti confrontare gli specialisti di ogni epoca storica, ma che ha subito un’accelerazione e un’esasperazione con la storia del tempo presente, anche per via della simultanea presenza dei protagonisti che hanno reso più complessa una scena storica e memoriale segnata profondamente dal rapporto tra storici e testimoni e dall’articolazione della memoria pubblica e di quella privata. L’evento che più acutamente ha risentito del problema del falso in età contemporanea è certamente il genocidio degli ebrei compiuto dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale perché è proprio al cuore dell’impresa genocidiaria che è avvenuta la grande falsificazione che ha alimentato qualsiasi successivo discorso revisionista. L’emersione del testimone sulla scena pubblica ha posto pertanto in modo acuto il problema dello statuto della testimonianza rendendo l’analisi del funzionamento della memoria indispensabile per comprendere quanto un testimone sia molto più utile per la descrizione, non tanto del fatto in sé, ma del modo in cui l’evento è stato socialmente codificato, registrato e trasmesso. Il legame tra i casi esaminati, pur nella loro estrema eterogeneità, spaziando da false autobiografie, come quella di Binjamin Wilkomirski, a testi controversi, come quello di Jean-François Steiner, o da racconti contestati, come quelli di Deli Strummer e Herman Rosenblat, a narrazioni che nel tempo hanno subito importanti variazioni, come nel caso Aubrac e nelle vicende del libro di Alcide Cervi, sarà stabilito grazie alla centralità giocata, in ognuno di essi, dalla forma testimoniale e dall’altrettanto fondamentale argomentazione in termini di affaire. Il problema del falso è stato perciò indagato all’interno delle ragioni storiche e culturali che hanno determinato la formazione discorsiva che ha per soggetto il testimone e la testimonianza come più autentico punto di vista sugli eventi del passato con le relative conseguenze sul piano storico e pubblico.
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Il lavoro di tesi nasce con l'intento di realizzare un'analisi unitaria della tematica dei ragazzi selvaggi al fine di evidenziare il valore e le ripercussioni di quanto oggigiorno può emergere dal portare avanti lo studio dei ragazzi selvaggi da una prospettiva pedagogico-educativa. L’espressione ragazzo selvaggio viene tradizionalmente usata per riferirsi a quei bambini/e cresciuti per un lungo periodo in compagnia di animali o in luoghi isolati. Nel corso del tempo altre accezioni sono comparse e l’utilizzo di tale espressione ha assunto significati diversi in base ai contesti di riferimento e alle eventuali connessioni con la tematica del selvaggio in generale. Questa tematica si colloca al crocevia tra più aree di ricerca; gli incroci sono come territori di confine, luoghi in cui è facile smarrirsi, ma sono anche luoghi di incontro, di confronto, di scambio, luoghi che conducono a nuova conoscenza. Affrontare, come in questo caso, un argomento di ricerca ricco di aspetti analizzabili da più punti di vista, implica la necessità di riferirsi a più prospettive d'indagine e di rapportarsi con differenti ambiti di studio. Ciò non deve però tradursi in un’inclusione indistinta e giustapponente delle diverse letture del fenomeno e degli elementi connessi alla ricerca. Il presente lavoro cerca pertanto di adottare un orientamento olistico alla tematica dei ragazzi selvaggi avvalendosi di uno sguardo di matrice pedagogico-educativa. L’obiettivo generale della ricerca si articola in tre sotto-obiettivi, identificabili nello specifico come: - realizzare un’analisi del fenomeno dei ragazzi selvaggi che metta in luce gli apporti della tematica all’evoluzione della storia della pedagogia; - far emergere ed evidenziare le connessioni della tematica a problematiche educative attualmente rilevanti ed oggetto del dibattito pedagogico contemporaneo; - analizzare i punti di contatto tra le ricerche sui feral children e le evidenze emerse dagli studi in campo neuroscientifico.
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L’ucronia (Alternate History) è un fenomeno letterario ormai popolare e molto studiato, ma non lo sono altrettanto lo sue origini e i suoi rapporti con la storia “fatta con i se” (Counterfactual History), che risale a Erodoto e a Tito Livio. Solo nell’Ottocento alcuni autori, per vie largamente autonome, fecero della storia alternativa un genere di fiction: Louis Geoffroy con Napoléon apocryphe (1836), storia «della conquista del mondo e della monarchia universale», e Charles Renouvier con Uchronie. L’utopie dans l’histoire (1876), storia «della civiltà europea quale avrebbe potuto essere» se il cristianesimo fosse stato fermato nel II secolo. Questi testi intrattengono relazioni complesse con la letteratura dell’epoca di genere sia realistico, sia fantastico, ma altresì con fenomeni di altra natura: la storiografia, nelle sue forme e nel suo statuto epistemico, e ancor più il senso del possibile - o la filosofia della storia - derivato dall’esperienza della rivoluzione e dal confronto con le teorie utopistiche e di riforma sociale. Altri testi, prodotti in Inghilterra e negli Stati Uniti nello stesso periodo, esplorano le possibilità narrative e speculative del genere: tra questi P.s’ Correspondence di Nathaniel Hawthorne (1845), The Battle of Dorking di George Chesney (1871) e Hands Off di Edward Hale (1881); fino a una raccolta del 1931, If It Had Happened Otherwise, che anticipò molte forme e temi delle ucronie successive. Queste opere sono esaminate sia nel contesto storico e letterario in cui furono prodotte, sia con gli strumenti dell’analisi testuale. Una particolare attenzione è dedicata alle strategie di lettura prescritte dai testi, che subordinano i significati al confronto mentale tra gli eventi narrati e la serie dei fatti autentici. Le teorie sui counterfactuals prodotte in altri campi disciplinari, come la storia e la psicologia, arricchiscono la comprensione dei testi e dei loro rapporti con fenomeni extra-letterari.
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Il presente lavoro si rivolge all’analisi del ruolo delle forme metaforiche nella divulgazione della fisica contemporanea. Il focus è sugli aspetti cognitivi: come possiamo spiegare concetti fisici formalmente complessi ad un audience di non-esperti senza ‘snaturarne’ i significati disciplinari (comunicazione di ‘buona fisica’)? L’attenzione è sulla natura stessa della spiegazione e il problema riguarda la valutazione dell’efficacia della spiegazione scientifica a non-professionisti. Per affrontare tale questione, ci siamo orientati alla ricerca di strumenti formali che potessero supportarci nell’analisi linguistica dei testi. La nostra attenzione si è rivolta al possibile ruolo svolto dalle forme metaforiche nella costruzione di significati disciplinarmente validi. Si fa in particolare riferimento al ruolo svolto dalla metafora nella comprensione di nuovi significati a partire da quelli noti, aspetto fondamentale nel caso dei fenomeni di fisica contemporanea che sono lontani dalla sfera percettiva ordinaria. In particolare, è apparsa particolarmente promettente come strumento di analisi la prospettiva della teoria della metafora concettuale. Abbiamo allora affrontato il problema di ricerca analizzando diverse forme metaforiche di particolare rilievo prese da testi di divulgazione di fisica contemporanea. Nella tesi viene in particolare discussa l’analisi di un case-study dal punto di vista della metafora concettuale: una analogia di Schrödinger per la particella elementare. I risultati dell’analisi suggeriscono che la metafora concettuale possa rappresentare uno strumento promettente sia per la valutazione della qualità delle forme analogiche e metaforiche utilizzate nella spiegazione di argomenti di fisica contemporanea che per la creazione di nuove e più efficaci metafore. Inoltre questa prospettiva di analisi sembra fornirci uno strumento per caratterizzare il concetto stesso di ‘buona fisica’. Riteniamo infine che possano emergere altri risultati di ricerca interessanti approfondendo l’approccio interdisciplinare tra la linguistica e la fisica.
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La ricerca di Roberta Frigeni, svolta ad ampio spettro diacronico, è condotta su di una campionatura di specula principum - editi ed inediti - elaborati tra XII e XV secolo, e ne indaga il linguaggio quale referente privilegiato, rilevandone persistenze terminologiche e nuclei sintagmatici ricorrenti, al fine di individuare concetti utili a delineare un lessico politico proprio di questa testualità, in corrispondenza al sorgere dell’entità statale europea nel XIII secolo (con particolare riguardo all’area francese, ai regni di Luigi IX e Filippo il Bello). A partire da un’analisi critica delle tesi di Quentin Skinner circa la ‘ridefinizione paradiastolica’ del sistema delle virtù classiche entro il trattato De principatibus, lo studio innesca un percorso di indagine à rebours che - sondando il linguaggio - rintraccia nella trattatistica delle institutiones regum del XV secolo (Pontano, Patrizi, Carafa, Platina) e degli specula principum medievali (Elinando di Froidmont, Gilberto di Tournai, Vincenzo di Beauvais, Guglielmo Peraldo, Egidio Romano, Guido Vernani) una consonanza di motivi nella sintassi e nell’immaginario preposti ad illustrare le potenzialità semantiche del nome di prudentia, individuata quale unica virtù sopravvissuta alla ‘ridescrizione’ del codice etico operata da Machiavelli. Indagando i progressivi ampliamenti del campo semantico sorto attorno al nome della virtù di prudenza entro la letteratura speculare, la ricerca mostra come il dialettico rapporto con i lessemi di sapientia, astutia, fides ed experientia abbia avuto un ruolo determinante per il sorgere di un’immagine del principe emancipata dalla figura biblica del “rex sapiens”, e per la formazione di un lessico ospitale delle manifestazioni concrete del vivere politico ed economico. I processi di dilatazione e rarefazione del bacino semantico di prudentia sono, infatti, funzionali ad illustrare come il linguaggio della testualità speculare registri l’acquisizione di nuove strumentazioni teoriche grazie al rinnovamento delle fonti a disposizione lungo il secolo XIII, che - sostituendo progressivamente il più recente dossier aristotelico al solo apparato veterotestamentario - permettono di integrare la concezione delle virtù in senso operativo, adattandola alle esigenze politico-economiche dei nuovi contesti istituzionali monarchici.
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The aim of the present work is a historical survey on Gestalt trends in psychological research between late 19th and the first half of 20th century with privileged reference to sound and musical perception by means of a reconsideration of experimental and theoretical literature. Ernst Mach and Christian von Ehrenfels gave rise to the debate about Gestaltqualität which notably grew thanks to the ‘Graz School’ (Alexius Meinong, Stephan Witasek, Anton Faist, Vittorio Benussi), where the object theory and the production theory of perception were worked out. Stumpf’s research on Tonpsychologie and Franz Brentano’s tradition of ‘act psychology’ were directly involved in this debate, opposing to Wilhelm Wundt’s conception of the discipline; this clearly came to light in Stumpf’s controversy with Carl Lorenz and Wundt on Tondistanzen. Stumpf’s concept of Verschmelzung and his views about consonance and concordance led him to some disputes with Theodor Lipps and Felix Krueger, lasting more than two decades. Carl Stumpf was responsible for education of a new generation of scholars during his teaching at the Berlin University: his pupils Wolfgang Köhler, Kurt Koffka and Max Wertheimer established the so-called ‘Berlin School’ and promoted the official Gestalt theory since the 1910s. After 1922 until 1938 they gave life and led together with other distinguished scientists the «Psychologische Forschung», a scientific journal in which ‘Gestalt laws’ and many other acoustical studies on different themes (such as sound localization, successive comparison, phonetic phenomena) were exposed. During the 1920s Erich Moritz von Hornbostel gave important contributions towards the definition of an organic Tonsystem in which sound phenomena could find adequate arrangement. Last section of the work contains descriptions of Albert Wellek’s studies, Kurt Huber’s vowel researches and aspects of melody perception, apparent movement and phi-phenomenon in acoustical field. The work contains also some considerations on the relationships among tone psychology, musical psychology, Gestalt psychology, musical aesthetics and musical theory. Finally, the way Gestalt psychology changed earlier interpretations is exemplified by the decisive renewal of perception theory, the abandon of Konstanzannahme, some repercussions on theory of meaning as organization and on feelings in musical experience.
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Il progetto di tesi dottorale qui presentato intende proporsi come il proseguimento e l’approfondimento del progetto di ricerca - svoltosi tra il e il 2006 e il 2008 grazie alla collaborazione tra l’Università di Bologna, la Cineteca del Comune e dalla Fondazione Istituto Gramsci Emilia-Romagna - dal titolo Analisi e catalogazione dell’Archivio audiovisivo del PCI dell’Emilia-Romagna di proprietà dell’Istituto Gramsci. La ricerca ha indagato la menzionata collezione che costituiva, in un arco temporale che va dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta, una sorta di cineteca interna alla Federazione del Partito Comunista Italiano di Bologna, gestita da un gruppo di volontari denominato “Gruppo Audiovisivi della Federazione del PCI”. Il fondo, entrato in possesso dell’Istituto Gramsci nel 1993, è composto, oltre che da documenti cartacei, anche e sopratutto da un nutrito numero di film e documentari in grado di raccontare sia la storia dell’associazione (in particolare, delle sue relazioni con le sezioni e i circoli della regione) sia, in una prospettiva più ampia, di ricostruire il particolare rapporto che la sede centrale del partito intratteneva con una delle sue cellule regionali più importanti e rappresentative. Il lavoro svolto sul fondo Gramsci ha suscitato una serie di riflessioni che hanno costituito la base per il progetto della ricerca presentata in queste pagine: prima fra tutte, l’idea di realizzare un censimento, da effettuarsi su base regionale, per verificare quali e quanti audiovisivi di propaganda comunista fossero ancora conservati sul territorio. La ricerca, i cui esiti sono consultabili nell’appendice di questo scritto, si è concentrata prevalentemente sugli archivi e sui principali istituti di ricerca dell’Emilia-Romagna: sono questi i luoghi in cui, di fatto, le federazioni e le sezioni del PCI depositarono (o alle quali donarono) le proprie realizzazioni o le proprie collezioni audiovisive al momento della loro chiusura. Il risultato dell’indagine è un nutrito gruppo di film e documentari, registrati sui supporti più diversi e dalle provenienze più disparate: produzioni locali, regionali, nazionali (inviati dalla sede centrale del partito e dalle istituzioni addette alla propaganda), si mescolano a pellicole provenienti dall’estero - testimoni della rete di contatti, in particolare con i paesi comunisti, che il PCI aveva intessuto nel tempo - e a documenti realizzati all’interno dell’articolato contesto associazionistico italiano, composto sia da organizzazioni nazionali ben strutturate sul territorio 8 sia da entità più sporadiche, nate sull’onda di particolari avvenimenti di natura politica e sociale (per esempio i movimenti giovanili e studenteschi sorti durante il ’68). L’incontro con questa tipologia di documenti - così ricchi di informazioni differenti e capaci, per loro stessa natura, di offrire stimoli e spunti di ricerca assolutamente variegati - ha fatto sorgere una serie di domande di diversa natura, che fanno riferimento non solo all’audiovisivo in quanto tale (inteso in termini di contenuti, modalità espressive e narrative, contesto di produzione) ma anche e soprattutto alla natura e alle potenzialità dell’oggetto indagato, concepito in questo caso come una fonte. In altri termini, la raccolta e la catalogazione del materiale, insieme alle ricerche volte a ricostruirne le modalità produttive, gli argomenti, i tratti ricorrenti nell’ambito della comunicazione propagandistica, ha dato adito a una riflessione di carattere più generale, che guarda al rapporto tra mezzo cinematografico e storiografia e, più in dettaglio, all’utilizzo dell’immagine filmica come fonte per la ricerca. Il tutto inserito nel contesto della nostra epoca e, più in particolare, delle possibilità offerte dai mezzi di comunicazione contemporanei. Di fatti, il percorso di riflessione compiuto in queste pagine intende concludersi con una disamina del rapporto tra cinema e storia alla luce delle novità introdotte dalla tecnologia moderna, basata sui concetti chiave di riuso e di intermedialità. Processi di integrazione e rielaborazione mediale capaci di fornire nuove potenzialità anche ai documenti audiovisivi oggetto dei questa analisi: sia per ciò che riguarda il loro utilizzo come fonte storica, sia per quanto concerne un loro impiego nella didattica e nell’insegnamento - nel rispetto della necessaria interdisciplinarietà richiesta nell’utilizzo di questi documenti - all’interno di una più generale rivoluzione mediale che mette in discussione anche il classico concetto di “archivio”, di “fonte” e di “documento”. Nel tentativo di bilanciare i differenti aspetti che questa ricerca intende prendere in esame, la struttura del volume è stata pensata, in termini generali, come ad un percorso suddiviso in tre tappe: la prima, che guarda al passato, quando gli audiovisivi oggetto della ricerca vennero prodotti e distribuiti; una seconda sezione, che fa riferimento all’oggi, momento della riflessione e dell’analisi; per concludere in una terza area, dedicata alla disamina delle potenzialità di questi documenti alla luce delle nuove tecnologie multimediali. Un viaggio che è anche il percorso “ideale” condotto dal ricercatore: dalla scoperta all’analisi, fino alla rimessa in circolo (anche sotto un’altra forma) degli oggetti indagati, all’interno di un altrettanto ideale universo culturale capace di valorizzare qualsiasi tipo di fonte e documento. All’interno di questa struttura generale, la ricerca è stata compiuta cercando di conciliare diversi piani d’analisi, necessari per un adeguato studio dei documenti rintracciati i quali, come si è detto, si presentano estremamente articolati e sfaccettati. 9 Dal punto di vista dei contenuti, infatti, il corpus documentale presenta praticamente tutta la storia italiana del tentennio considerato: non solo storia del Partito Comunista e delle sue campagne di propaganda, ma anche storia sociale, culturale ed economica, in un percorso di crescita e di evoluzione che, dagli anni Cinquanta, portò la nazione ad assumere lo status di paese moderno. In secondo luogo, questi documenti audiovisivi sono prodotti di propaganda realizzati da un partito politico con il preciso scopo di convincere e coinvolgere le masse (degli iscritti e non). Osservarne le modalità produttive, il contesto di realizzazione e le dinamiche culturali interne alla compagine oggetto della ricerca assume un valore centrale per comprendere al meglio la natura dei documenti stessi. I quali, in ultima istanza, sono anche e soprattutto dei film, realizzati in un preciso contesto storico, che è anche storia della settima arte: più in particolare, di quella cinematografia che si propone come “alternativa” al circuito commerciale, strettamente collegata a quella “cultura di sinistra” sulla quale il PCI (almeno fino alla fine degli anni Sessanta) poté godere di un dominio incontrastato. Nel tentativo di condurre una ricerca che tenesse conto di questi differenti aspetti, il lavoro è stato suddiviso in tre sezioni distinte. La prima (che comprende i capitoli 1 e 2) sarà interamente dedicata alla ricostruzione del panorama storico all’interno del quale questi audiovisivi nacquero e vennero distribuiti. Una ricostruzione che intende osservare, in parallelo, i principali eventi della storia nazionale (siano essi di natura politica, sociale ed economica), la storia interna del Partito Comunista e, non da ultimo, la storia della cinematografia nazionale (interna ed esterna al partito). Questo non solo per fornire il contesto adeguato all’interno del quale inserire i documenti osservati, ma anche per spiegarne i contenuti: questi audiovisivi, infatti, non solo sono testimoni degli eventi salienti della storia politica nazionale, ma raccontano anche delle crisi e dei “boom” economici; della vita quotidiana della popolazione e dei suoi problemi, dell’emigrazione, della sanità e della speculazione edilizia; delle rivendicazioni sociali, del movimento delle donne, delle lotte dei giovani sessantottini. C’è, all’interno di questi materiali, tutta la storia del paese, che è contesto di produzione ma anche soggetto del racconto. Un racconto che, una volta spiegato nei contenuti, va indagato nella forma. In questo senso, il terzo capitolo di questo scritto si concentrerà sul concetto di “propaganda” e nella sua verifica pratica attraverso l’analisi dei documenti reperiti. Si cercherà quindi di realizzare una mappatura dei temi portanti della comunicazione politica comunista osservata nel suo evolversi e, in secondo luogo, di analizzare come questi stessi temi-chiave vengano di volta in volta declinati e 10 rappresentati tramite le immagini in movimento. L’alterità positiva del partito - concetto cardine che rappresenta il nucleo ideologico fondante la struttura stessa del Partito Comunista Italiano - verrà quindi osservato nelle sue variegate forme di rappresentazione, nel suo incarnare, di volta in volta, a seconda dei temi e degli argomenti rilevanti, la possibilità della pace; il buongoverno; la verità (contro la menzogna democristiana); la libertà (contro il bigottismo cattolico); la possibilità di un generale cambiamento. La realizzazione di alcuni percorsi d’analisi tra le pellicole reperite presso gli archivi della regione viene proposto, in questa sede, come l’ideale conclusione di un excursus storico che, all’interno dei capitoli precedenti, ha preso in considerazione la storia della cinematografia nazionale (in particolare del contesto produttivo alternativo a quello commerciale) e, in parallelo, l’analisi della produzione audiovisiva interna al PCI, dove si sono voluti osservare non solo gli enti e le istituzioni che internamente al partito si occupavano della cultura e della propaganda - in una distinzione terminologica non solo formale - ma anche le reti di relazioni e i contatti con il contesto cinematografico di cui si è detto. L’intenzione è duplice: da un lato, per inserire la storia del PCI e dei suoi prodotti di propaganda in un contesto socio-culturale reale, senza considerare queste produzioni - così come la vita stessa del partito - come avulsa da una realtà con la quale necessariamente entrava in contatto; in secondo luogo, per portare avanti un altro tipo di discorso, di carattere più speculativo, esplicitato all’interno del quarto capitolo. Ciò che si è voluto indagare, di fatto, non è solo la natura e i contenti di questi documenti audiovisivi, ma anche il loro ruolo nel sistema di comunicazione e di propaganda di partito, dove quest’ultima è identificata come il punto di contatto tra l’intellighenzia comunista (la cultura alta, legittima) e la cultura popolare (in termini gramsciani, subalterna). Il PCI, in questi termini, viene osservato come un microcosmo in grado di ripropone su scala ridotta le dinamiche e le problematiche tipiche della società moderna. L’analisi della storia della sua relazione con la società (cfr. capitolo 2) viene qui letta alla luce di alcune delle principali teorie della storia del consumi e delle interpretazioni circa l’avvento della società di massa. Lo scopo ultimo è quello di verificare se, con l’affermazione dell’industria culturale moderna si sia effettivamente verificata la rottura delle tradizionali divisioni di classe, della classica distinzione tra cultura alta e bassa, se esiste realmente una zona intermedia - nel caso del partito, identificata nella propaganda - in cui si attui concretamente questo rimescolamento, in cui si realizzi realmente la nascita di una “terza cultura” effettivamente nuova e dal carattere comunitario. Il quinto e ultimo capitolo di questo scritto fa invece riferimento a un altro ordine di problemi e argomenti, di cui in parte si è già detto. La ricerca, in questo caso, si è indirizzata verso una 11 riflessione circa l’oggetto stesso dello studio: l’audiovisivo come fonte. La rassegna delle diverse problematiche scaturite dal rapporto tra cinema e storia è corredata dall’analisi delle principali teorie che hanno permesso l’evoluzione di questa relazione, evidenziando di volta in volta le diverse potenzialità che essa può esprimere le sue possibilità d’impiego all’interno di ambiti di ricerca differenti. Il capitolo si completa con una panoramica circa le attuali possibilità di impiego e di riuso di queste fonti: la rassegna e l’analisi dei portali on-line aperti dai principali archivi storici nazionali (e la relativa messa a disposizione dei documenti); il progetto per la creazione di un “museo multimediale del lavoro” e, a seguire, il progetto didattico dei Learning Objects intendono fornire degli spunti per un futuro, possibile utilizzo di questi documenti audiovisivi, di cui questo scritto ha voluto porre in rilievo il valore e le numerose potenzialità.
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la ricerca ha avuto per oggetto la ricostruzione della storia e del patrimonio della biblioteca privata specializzata di San Genesio fondata nel 1931 presso la Casa "Lyda Borelli" per artisti drammatici di Bologna. La biblioteca si presenta oggi come uno dei centri di documentazione teatrale più antichi e significativi del panorama italiano: oltre 10.000 monografie, per la maggior parte concernenti testi e studi specialistici, un fondo antico (pre 1831) di oltre 2.000 volumi, una ricca collezione di periodici sul mondo dello spettacolo in collezione completa, una raccolta di copioni teatrali manoscritti e dattiloscritti di oltre 1.000 unità. La biblioteca, inoltre, comprende l'archivio storico della Casa che conserva la documentazione riguardante la vita dell'Istituto dalla sua nascita, nel 1917, numerosi fondi aggregati appartenuti a rilevanti personaggi dello spettacolo e un patrimonio fotografico unico in Italia. La tesi sintetizza i due principali filoni di ricerca seguiti durante il percorso dottorale. Il primo è quello della ricognizione delle fonti archivistiche, sia interne sia esterne all'istituto, al fine di dettagliare la lunga storia della biblioteca San Genesio, mai oggetto di altra ricostruzione complessiva. Questo obiettivo è stato raggiunto mediante la consultazione dell'intero patrimonio documentario conservato presso l'Archivio storico di Casa "Lyda Borelli" e di numerosi fondi archivistici, concernenti attori e personaggi in rapporto con la Casa, presenti in altri istituti pubblici e privati. I documenti interni alla Casa sono stati intrecciati con altri con cui sono speculari, conservati in altre istituzioni. La seconda parte della ricerca si è concentrata sull'analisi del fondo librario antico. La ricchezza della collezione, costituita da oltre trecento testi teatrali pubblicati nel XVI e XVII secolo, ha offerto un ampio campione d'indagine per ricostruire l'evoluzione dell'editoria specializzata nei primi secoli della stampa tipografica. A tal fine è stato redatto un catalogo, in cui la descrizione bibliografica è accompagnata dall'analitica registrazione degli elementi paratestuali presenti, quali dediche, avvisi ai lettori, indici, errata corrige, marginalia, note di possesso ed ex libris, elementi oggetto di forte interesse nei più accreditati e moderni studi bibliologici e di storia del libro sia italiani sia stranieri. A completamento del catalogo sono stati compilati numerosi indici al fine di moltiplicare le chiavi d'accesso e di lettura del fondo (per autori secondari, luoghi di stampa, editori e tipografi, marche tipografiche e possessori), dotando il catalogo di un apparato fotografico dei frontespizi. Questi elementi aggiuntivi rendono l'elaborato un repertorio unico per le edizioni teatrali e una fonte importante per gli studiosi della stampa in antico regime tipografico.
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La ricerca ha mirato a ricostruire storicamente quali furono le motivazioni che, tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, portarono gli amministratori della Cassa Risparmio in Bologna a progettare la creazione di un Museo d’arte e di Storia della città, delineandone quelli che furono i principali responsabili e protagonisti. Dall’analisi dei documenti conservati presso l’Archivio della Cassa di Risparmio è emerso uno studio approfondito dei protagonisti della politica artistica e culturale dell’Istituto, oltre che dei legami e delle relazioni intessute con le principali istituzioni cittadine. Lo studio si è progressivamente focalizzato su un particolare momento della storia di Bologna, quando, in seguito all’approvazione del Piano Regolatore del 1889, la città fu per oltre un trentennio sottoposta a radicali trasformazioni urbanistiche che ne cambiarono completamente l’aspetto. Tra i personaggi finora ignoti di questa storia è emerso il nome dell’ingegnere Giambattista Comelli, consigliere e vice segretario della banca alla fine del XIX secolo, che per primo, nel 1896, avanzò la proposta di creare un museo dell’Istituto. A differenza di quanto ritenuto sino ad oggi, questo avrebbe dovuto avere, nelle intenzioni originarie, esclusivamente funzione di riunire e mostrare oggetti e documenti inerenti la nascita e lo sviluppo della Cassa di Risparmio. Un museo, dunque, che ne celebrasse l’attività, mostrando alla città come la banca avesse saputo rispondere prontamente e efficacemente, anche nei momenti più critici, alle esigenze dei bolognesi. Personaggio oggi dimenticato, Comelli fu in realtà figura piuttosto nota in ambito cittadino, inserita nei principali sodalizi culturali dell’epoca, tra cui la Regia Deputazione di Storia Patria e il Comitato per Bologna Storico Artistica, assieme a quei Rubbiani, Cavazza e Zucchini, che tanta influenza ebbero, come vedremo in seguito, sugli orientamenti Si dovettero tuttavia aspettare almeno due decenni, affinché l’idea originaria di fondare un Museo della Cassa di Risparmio si evolvesse in un senso più complesso e programmatico. Le ricerche hanno infatti evidenziato che le Raccolte d’Arte della Cassa di Risparmio non avrebbero acquistato l’importanza e la consistenza che oggi ci è dato constatare senza l’intervento decisivo di un personaggio noto fino ad oggi soltanto per i suoi indubbi meriti artistici: Alfredo Baruffi. Impiegato come ragioniere della Cassa fin dai diciotto anni, il Baruffi divenne, una volta pensionato, il “conservatore” delle Collezioni della Cassa di Risparmio. Fu lui a imprimere un nuovo corso all’originaria idea di Comelli, investendo tutte le proprie energie nella raccolta di dipinti, disegni, incisioni, libri, incunaboli, autografi, fotografie e oggetti d’uso quotidiano, col proposito di creare un museo che raccontasse la storia di Bologna e delle sue ultime grandi trasformazioni urbanistiche. Attraverso l’attenta analisi dei documenti cartacei e il raffronto con le opere in collezione è stato quindi possibile ricostruire passo dopo passo la nascita di un progetto culturale di ampia portata. La formazione della raccolta fu fortemente influenzata dalle teorie neomedievaliste di Alfonso Rubbiani, oltre che dalla volontà di salvaguardare, almeno a livello documentario, la memoria storica della Bologna medievale che in quegli anni stava per essere irrimediabilmente cancellata. Le scelte che orientarono la raccolta dei materiali, recentemente confluiti per la maggior parte nelle Collezioni della Fondazione della Cassa di Risparmio in Bologna, acquistano, con questo studio una nuova valenza grazie alla scoperta degli stretti rapporti che Baruffi intrattenne coi principali rappresentanti della cerchia rubbianesca, tra cui Francesco Cavazza, Guido Zucchini e Albano Sorbelli. Con essi Baruffi partecipò infatti a numerosi sodalizi e iniziative quali il Comitato per Bologna Storico Artistica, la “Mostra Bologna che fu” e la società Francesco Francia, che segnarono profondamente l’ambiente culturale cittadino. La portata e la qualità delle scelte condotte da Baruffi nell’acquisto e raccolta dei materiali si rivela ancora oggi, a distanza di quasi un secolo, attenta e mirata per il ruolo documentario che le Raccolte avevano e hanno assunto quali preziose e spesso uniche testimonianze del recente passato cittadino. Esaminata tutta la documentazione inerente la nascita delle Raccolte, la ricerca si è ha successivamente concentrata sulla vicenda di acquisto del fondo delle incisioni carraccesche della collezione Casati. La prima parte del lavoro è consistita nel repertoriare e trascrivere tutti i documenti relativi alla transazione d’acquisto, avvenuta nel 1937, vicenda che per la sua complessità impegnò per molti mesi, in un fitto carteggio, Baruffi, la direzione della Cassa e l’antiquario milanese Cesare Fasella. Il raffronto tra documenti d’archivio, inventari e materiale grafico ha permesso di ricostituire, seppur con qualche margine di incertezza, l’intera collezione Casati, individuando quasi 700 incisioni e 22 dei 23 disegni che la componevano. L’ultima fase di studio ha visto l’inventariazione e la catalogazione delle 700 incisioni. Il catalogo è stato suddiviso per autori, partendo dalle incisioni attribuite con certezza ad Agostino e ai suoi copisti, per poi passare ad Annibale e a Ludovico e ai loro copisti. Le incisioni studiate si sono rivelate tutte di grande qualità. Alcuni esemplari sono inoltre particolarmente significativi dal punto di vista storico-critico, perché mai citati nei tre principali e più recenti repertori di stampe carraccesche. Lo studio si conclude con l’individuazione di una stretta correlazione tra il pensiero e della pratica operatività in qualità di archivista, museografo e opinionista, di un altrettanto decisivo protagonista della ricerca, lo storico dell’arte Corrado Ricci, la cui influenza esercitata nell’ambiente culturale bolognese di quegli anni è già sottolineata nel primo capitolo. La conclusione approfondisce i possibili raporti e legami tra Baruffi e Corrado Ricci i cui interventi attorno alla questione della tutela e della salvaguardia del patrimonio storico, artistico, e paesaggistico italiano furono fondamentali per la nascita di una coscienza artistica e ambientale comune e per il conseguente sviluppo di leggi ad hoc. Numerose furono infatti le occasioni d’incontro tra Baruffi e Ricci. Qesti fu socio onorario del Comitato per Bologna Storico Artistica, nonché, quando era già Direttore Generale delle Belle Arti, presidente della storica mostra “Bologna che fu”. Sia Ricci che Baruffi fecero inoltre parte di quelle iniziative volte alla difesa e alla valorizzazione del paesaggio naturale, inteso anche in un ottica di promozione turistica, che videro la nascita proprio in Emilia Romagna: nel 1889 nasce l’Associazione Pro Montibus et silvis, del 1906 è l’Associazione nazionale per i paesaggi e monumenti pittoreschi, del 1912 è la Lega Nazionale per la protezione dei monumenti naturali. Queste iniziative si concretizzarono con la fondazione a Milano nel 1913 del Comitato Nazionale per la difesa del paesaggio e i monumenti italici, costituitosi presso la sede del Touring Club Italiano. Quelle occasioni d’incontro, come pure gli scritti di Ricci, trovarono certamente un terreno fertile in Baruffi conservatore, che nella formazione delle Collezioni, come pure nelle sua attività di “promotore culturale”, ci appare oggi guidato dalle teorie e dall’esempio pratico dei due numi tutelari: Alfonso Rubbiani e Corrado Ricci. La ricerca di documentazione all’interno di archivi e biblioteche cittadine, ha infine rivelato che il ruolo svolto da Baruffi come “operatore culturale” non fu quello di semplice sodale, ma di vero protagonista della scena bolognese. Soprattutto a partire dal secondo decennio del Novecento, quando fors’anche a seguito della morte del “maestro” Rubbiani, egli divenne uno tra i personaggi più impegnati in iniziative di tutela e promozione del patrimonio artistico cittadino, antico e moderno che fosse, intese a condizionare la progettualità politica e culturale della città. In tale contesto si può ben arguire il ruolo che avrebbero assunto le Collezioni storico artistiche numismatiche, popolaresche, della Cassa di Risparmio, cui Baruffi dedicò tutta la sua carriera successiva.