7 resultados para Prosa salvadoreña

em Université de Lausanne, Switzerland


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Zusammenfassung In Wien hat Ilse Aichinger (*1921) das Glück der Kindheit erlebt und die Verfolgung durch die Nazis, die ihre jüdischen Verwandten ermordeten. Aichingers Texte zu Wien, die zwischen 1945 und 2005 entstanden sind, suchen in der Topographie der Stadt nach den vergangenen Zeiten und abwesenden Menschen. Sie bilden ein singuläres Erinnerungsprojekt, das einer »Vergangenheitsbewältigung« aus gesicherter Position ein Gedenken entgegengesetzt, das mitsamt seinen Gegenständen im Fluss bliebt. Das Schreiben über Wien bildet einen gewichtigen Strang in einem Werk, das durch Brüche und Lücken gekennzeichnet ist, einen kleinen, immer neu erzählten Stoff und eine immense Spanne an Textformen. In seiner Entwicklung vom Frühwerk, das auf ein emphatisch sich selbst setzendes, existentialistisches Subjekt zentriert ist, zu dem feuilletonistischen Projekt einer »Autobiographie ohne Ich« spiegeln sich 50 Jahre deutscher Literatur- und Kulturgeschichte. Die Einleitung widmet sich der topographischen Poetologie, mit der Ilse Aichinger, Paul Celan, Günter Eich und Ingeborg Bachmann im Diskurs der Standort- und Richtungsbestimmung der Nachkriegsjahre einen eigenen Akzent setzen. Kapitel 1 rekonstruiert am Beispiel der Erzählung Das Plakat (1948) das Raum-, Zeichenund Lektüremodell, das Aichingers hochgradig selbstreferentiellen Texte sowohl abbilden als auch in ihrer Struktur realisieren. Kapitel 2 gewinnt über die Lokalisierung der Schauplätze des Romans Die größere Hoffnung (1948/60) in der Wiener Topographie Aufschluss über die Form des Romans. Der Weg des Romans durch die Stadt integriert die räumlich und zeitlich diskontinuierlichen Kapitel zu einem übergreifenden Ganzen. Kapitel 3 widmet sich den szenischen Dialogen Zu keiner Stunde (1957), die durch ihre Titel in Wien lokalisiert sind. Zeichnet Die größere Hoffnung eine Topographie des Terrors, gehen die Dialoge von Orten der Kunst und des Gedenkens aus und thematisieren die Bedingungen eines Erinnerns, das lebendig bleibt. Kapitel 4 zeichnet nach, wie in den Prosagedichten im Band Kurzschlüsse (1954/2001) und in der autobiographischen Prosa in Kleist, Moos, Fasane (1987) die Gegenwartsebene eines erinnernden Ichs entsteht, die sich zunehmend dynamisiert und mit dem Schreibvorgang verbindet. Kapitel 5 beschäftigt sich mit dem feuilletonistischen Spätwerk, in dem mit dem Kino und dem Café auch die Orte des Erinnerns und Schreibens Teil der Wiener Topographie werden. Film und Verhängnis. Blitzlichter auf ein Leben (2001) ist eine Autobiographie, die auf das Verschwinden der eigenen Person zielt.

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La tesi propone l'edizione critica dele traduzioni del Bellum Catilinae e del Bellum Iugurthinum di Sallustio eseguite dall'umanista ferrarese Ludovico Carbone intorno agli anni '70 del Quattrocento. I testi sono accompagnati dagli apparati delle varianti e delle correzioni d'autore; dal testo latino dell'edizione Ernout, con la segnalazione in corsivo delle parti in cui pare evidente che l'umanista aveva di fronte un testo latino diverso; e da note di commento in cui si riportano eventualmente lezioni della tradizione dell'opera sallustiana che potrebbero essere all'origine della traduzione. Nell'introduzione viene delineato il ruolo svolto da Ludovico Carbone nella Ferrara del secondo Quattrocento, tra corte, università e vita cittadina; particolare attenzione è data alle osservazioni sulla lingua italiana dell'umanista e alla sua frequentazione della letteratura in volgare. L'esame della tradizione e della diffusione dell'opera di Sallustio ha lo scopo di comprendere il significato della scelta operata dal traduttore e di cercar di capire che tipo di modello poteva trovarsi di fronte. I due volgarizzamenti sono inseriti nel contesto storico e culturale di Ferrara, che vide in questi anni un'intensa attività di traduzione - spesso su diretta richiesta del principe -, tra i cui autori si distinsero Matteo Maria Boiardo e Niccolò Leoniceno. Inoltre, per una comprensione più completa dell'operazione del Carbone, viene ricostruita la figura del dedicatario delle due traduzioni, Alberto d'Este, e la sua importanza all'interno della storia di Ferrara sia dal punto di vista politico che cultuale; operazione che permette di aggiungere elementi utili a una datazione più precisa delle opere qui pubblicate. Una parte centrale del lavoro riguarda l'analisi delle modalità di traduzione che mostra come l'operazione del Carbone, pur mantenendosi molto rispettosa del testo di partenza, abbia ambizioni letterarie. Lo sforzo del traduttore è incentrato in particolar modo sulla resa dei vocaboli e sul ritmo del periodare. E' interessante notare come l'umanista, la cui prosa latina ha un periodare ampio e ricco di subordinate su modello ciceroniano, in volgare mantenga queste caratteristiche stilistiche solo nelle lettere dedicatorie, mentre nella traduzione il suo stile si uniforma in gran parte al modello di Sallustio. La Nota al testo dà conto dei rapporti tra i manoscritti e dei criteri di edizione delle due opere. Nella Nota linguistica si trova un'analisi sistematica e approfondita della lingua del manoscritto autografo del Catilinario, mentre per gli altri manoscritti sono segnalati gli usi linguistici solo in funzione di una loro collocazione geografica. Un esame contrastivo delle abitudini linguistiche dei copisti rispetto a quelle del Carbone è alla base della scelta del manoscritto da utilizzare per l'edizione del Giugurtino, per il quale non si dispone di un autografo. Un capitolo è dedicato all'analisi delle varianti evolutive del manoscritto londinese contenente il Catilinario. Lo studio del lessico utilizzato nelle traduzioni ha portato alla costituzione del Glossario, che - attraverso un confronto con numerosi vocabolari e testi di area ferrarese o limitrofa - registra e illustra le più significative forme dialettali, i tecnicismi e i latinismi particolarmente crudi, rari o il cui significato si discosta da quello assunto più frequentemente in volgare. Si segnalano alcuni termini le cui prime attestazioni compaiono nella lingua volgare proprio in questo periodo.

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Mostrando qualche reticenza nel riferire a se stesso il termine di 'narratore', Bassani ama definirsi soprattutto 'poeta' e 'saggista'. Nei saggi del volume Di là dal cuore, la voce in prima persona costruisce il proprio statuto di legittimità di 'genere'. L'esperienza saggistica, ci fa capire Bassani, non è un settore marginale della sua produzione, ma un punto di vista privilegiato per osservare l'insieme della sua opera di scrittore. In questo senso, i saggi accuratamente riuniti dall'autore, nonostante l'apparente occasionalità, formano un percorso unitario che si pone 'alla pari' nei confronti della prosa narrativa. Tra gli elementi di coerenza della prosa saggistica di Bassani si rilevano, in particolare, il posizionamento esplicito dell'io e la necessità del riferimento al vissuto, biografico e storico.