33 resultados para Swan, Anni


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(Résumé de l'ouvrage) Il dualismo della vita dell'esegeta a 30 anni dalla ricostruzione di Pierre Nautin, tra documentazione e interpretazione.

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A partire dagli anni Trenta del Cinquecento la traduzione dei poeti classici in lingua volgare comincia a imporsi come un fenomeno di vasta portata nel mercato editoriale italiano. Omero, Virgilio, Stazio, ma soprattutto l'enciclopedico e lascivo Ovidio vengono liberamente riscritti e adattati per il diletto di un pubblico medio, desideroso di ritrovare i poemi antichi nel metro dell'Orlando furioso. Se molte di queste traduzioni non riuscirono a sopravvivere ai mutamenti del gusto, alcune di esse entrarono stabilmente nel canone delle versioni poetiche italiane. È il caso delle Metamorfosi ovidiane riscritte in ottava rima attorno alla metà del secolo da Giovanni Andrea dell'Anguillara, poeta della cerchia farnesiana destinato a vita tormentata ed errabonda. Digressivo, artificioso, magniloquente, l'Ovidio dell'Anguillara (cui è dedicato in gran parte questo volume) otterrà per almeno due secoli un incontrastato successo presso letterati, pittori e musicisti, da Marino a Tiepolo.

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Nel secolo scorso è emersa in Italia un'originale modalité di rappresentazione letteraria che trasfigura i caratteri dell'identità per costruire una particolare forma di alterità, un "altro sé". Infatti, a causa di uno stato di crisi identitaria dello scrittore, in Silo ne e in Carlo Levi si assiste alla costruzione di figure di alterità (il "cafone", i contadini del Sud), rappresentazioni letterarie di quei soggetti socialmente subalterni che questi scrittori volevano riscattare ed emancipare. La tematizzazione dell'autorappresentazione che si riscontra in Brancati e in Pasolini va invece in un'altra direzione, diventa il progetto di una scoperta: la formalizzazione retorica di un'identità "altra" all'interno della propria individualità, letterariamente oggettivata e formalizzata. Brancati, cosi riletto e rivalutato, mostra la crisi dell'autorappresentazione, cioè del posizionamento d'autore nel momento del passaggio dal fascismo all'antifascismo, e quindi il processo di costruzione di un'identità "altra", più forte, che renda possibile la scrittura. Il brancatismo, cioè quel fenomeno culturale legato alia fortuna della narrativa brancatiana, ha anestetizzato questa dimensione critica della scrittura brancatiana riconducendo le sue figure e le sue trame narrative all'interno del discorso dell'alterità, iunzionale a una normalizzazione e borghesizzazione della società italiana del dopoguerra.La tesi propone quindi una teoria della rappresentazione italiana nel Novecento che, prendendo le mosse dalla critica postcoloniale, individua un'originale modalità di rappresentazione per cui gli elementi di "identità" vengono letterariamente trasfigurati in un'"alterità". Individuata questa esperienza, spiccano con inedita intensità le proposte di Carlo Levi per una nuova Italia, che incorporasse il sostrato "primitivo" nell'Italia contemporanea e futura; la progettualità delle esperienze artistiche di Pasolini dagli anni '50 alia sua scomparsa; e il percorso di Sciascia dall'acuta e innovativa riflessione sul pirandellismo degli esordi al ripiegamento sulla "sicilitudine" degli anni '80.

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Résumé La ricerca del dibattito sul restauro nella Firenze del Novecento copre un arco temporale piuttosto lungo, che va dall'istituzione del Gabinetto dei restauri fiorentino, avvenuta tra il 1932 e il 1934 sino al 1966, anno della drammatica alluvione che travolse il patrimonio storico e artistico della città di Firenze. Sono più di trent'anni densi di storia, in cui grazie alla tradizionale vocazione artigiana messa in atto di volta in volta attraverso metodiche sperimentali, il Gabinetto dei restauri fiorentino, organizzato da Ugo Procacci affrontò dapprima l'emergenza bellica e, grazie alle esperienze maturate in quella circostanza, fronteggiò i danni provocati alle opere d'arte alluvionate. Lo scopo della ricerca è stato proprio quello di individuare gli aspetti ancora attuali del dibattito sul restauro e sulla conservazione. Filo conduttore è stato il dibattito sull'unificazione dei princìpi del restauro in Italia e quindi, dei suoi riflessi a Firenze. Nella prima parte della ricerca, trattando degli inizi dell'attività del Gabinetto dei restauri di Firenze era inevitabile studiare i riflessi che la creazione dell'Istituto Centrale del Restauro ha avuto sull'ambiente fiorentino. L'incombere della seconda guerra mondiale ebbe un peso determinante nell'accelerare i tempi di attuazione di un simile progetto: si temeva fortemente per le sorti del patrimonio artistico italiano e alle Soprintendenze sarebbe spettato il compito di mettere in salvo il maggior numero possibile di opere d'arte nei rifugi antiaerei e, successivamente, provvedere al restauro delle opere danneggiate: la questione dell'unificazione dei metodi da seguire nel campo del restauro e della conservazione delle opere d'arte era divenuta argomento di urgente attualità a guerra conclusa, soprattutto in vista del recupero delle opere danneggiate, Nella seconda parte del lavoro, trattando gli aspetti più attuali e quindi problematici della storia del restauro fiorentino, in particolare riferiti all'arco cronologico che va dalla metà degli anni Cinquanta sino alla fine degli anni Sessanta, è risultato di estremo interesse analizzare le cause e gli effetti della nota "stagione degli stacchi" e quindi l'avvio del dibattito sulla conservazione preventiva delle pitture murali esposte all'aperto. La questione relativa alla conservazione delle pitture murali esposte all'aperto, nei chiostri e nei tabernacoli, rappresentò il caso paradigmatico attorno al quale l'interesse e le soluzioni adottate per la salvaguardia dei cicli pittorici trovarono gli studiosi e i teorici del restauro italiani e stranieri per un'unica volta tutti concordi nell'avvalersi della prassi sistematica preventiva dello strappo delle pitture murali e del distacco delle sottostanti sinopie. Fu dunque questa l'unica occasione in cui si assistette ad una vera unificazione di intenti a livello nazionale.

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Sintesi II presente lavoro di ricerca, maturato nel quadro di un dottorato in storia contemporanea, propone una ricostruzione dei percorsi materiali e dei percorsi culturali degli emigrati italiani in Svizzera tra la tìne della Seconda guerra mondiale e i primi anni Settanta. Le principali fonti di prima mano adoperate nella ricerca consistono in tre diversi generi di narrazioni autobiogratìche: le fonti orali (cento interviste complessive raccolte e analizzate); le scritture epistolari (tre fondi per un totale di circa duecento lettere); le scritture scolastiche di adolescenti e giovani emigrati italiani, iscritti, tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta, ad una scuola privata del Canton Zurigo (circa seicento temi validi come prova di lingua italiana per il conseguimento della licenza media tra il 1973 e il 1974). Le fonti soggettive raccolte hanno permesso di tracciare i profili di numerosi di percorsi migratori vissuti da queste persone, lavorando, in primo luogo, sulla loro dimensione materiale, ovvero sulle tappe íìsiche, dal viaggio, alla ricerca del posto di lavoro e dell'alloggio, alla formazione di una famiglia, agli strumenti utilizzati per mantenersi in contatto con il proprio paese d'origine. Si sono poi inquadrate alcune delle possibili evoluzioni ideologiche e culturali, nei termini consentiti dallo studio della memoria e delle rappresentazioni di sé, offerte dagli emigrati stessi. In sintesi, quindi, il lavoro propone una ricostruzione di un frammento di storia dell'emigrazione italiana, con tutte le specitìcità legate a un paese di accoglienza, la Svizzera, e a un periodo storico, il Secondo dopoguerra. Alcuni dei caratteri principali dei percorsi materiali sono senz'altro legati alle peculiarità della legislazione svizzera, con la detìnizione di "straniero" che dava, le condizioni di vita che rendeva praticabili e possibili, i passaggi di tempo che imponeva per avere una permesso a tempo indeterminato, per raggiungere una certa stabilità, per ricomporre il proprio nucleo familiare. Anche alcuni fenomeni culturali erano legati a queste dimensioni specitïche, per cui non hanno riscontro, negli stessi termini, in altri contesti e in altri periodi. Accanto alle peculiarità e alle differenze che questa storia ha rispetto ad altre storie di emigrazione legate ad altri paesi e ad altri contesti, dal lavoro emergono processi e fenomeni di interesse più generale, qualora ci si interessi di fenomeni migratori, di conflitti, di inclusione e di esclusione di gruppi umani differenti. Alcune delle problematiche che si sono poste nella storia in analisi -per esempio quelle relative alla scolarizzazione dei minori, al rapporto tra diritto di residenza e obbligo di impiego, alla presenza di clandestini e al loro rapporto con associazioni o gruppi di assistenza legali o illegali -sono senza dubbio utili riferimenti per chi oggi voglia ragionare su problematiche analoghe poste in diversi contesti.

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La tesi di Dottorato, condotta in accordo di colutela tra l'Università di Roma Tor Vergata e l'UNIL di Losanna, ha affrontato l'analisi di un gruppo di undici disegni custodia presso la National Gallery of Scotland di Edimburgo, copie di alcuni dei più significativi mosaici medioevali delle chiese di Roma, ricostruendone la genesi, quindi le vicende legate alla committenza, e il percorso collezionistico. I disegni scozzesi, oggetto di un importante articolo di Julian Gardner pubblicato sul Burlington Magatine nel 1973, furono commissionati intorno agli anni Settanta del XVII secolo dall'antiquario romano Giovanni Giustino Ciampini (1633-1698) in connessione alla stesura della sua opera di erudizione più avvertita e famosa: i Vetera Mommenta in' quibus praecipue Musiva Opera, sacrarum, profanan,mque, Aedìum structura, ac nonnulli antiqui ritus dissertationibus iconìbusque illustrantur. La composizione dei Vetera Mommenta - un'opera riccamente illustrata che nasce per rispondere alle esigenze della ideologia della Chiesa di Roma in un momento di rinnovata crisi del sistema - impone a Ciampini di porsi da un lato nella prospettiva della più alta tradizione antiquaria cinque e seicentesca, di cui recupera i metodi di lettura e di analisi applicati allo studio delle monete e dei monumenti antichi interpretati quali prove per la ricostruzione storica, e dall'altra, come è emerso dalle mie ricerche, lo pone immediatamente in contatto con gli avamposti del più moderno metodo di indagine storica e filologica applicato alle fonti e ai documenti della storia ecclesiastica, inaugurato dall'ambiente bollandista e inaurino. I monumenti paleocristiani e medioevali assumono in quest'ottica lo status di 'fatti incontestabili', le fonti primarie attraverso le quali Ciampini ricuce le tappe salienti della storia della Chiesa, da Costantino fino al XV secolo. Nel 1700 le copie di Edimburgo arrivano nelle mani del mercante e connoisseur milanese il padre oratoriano Sebastiano Resta (1635-1714), di stanza a Roma presso la Chiesa Nuova della Vallicella dal 1660, che decide di rilegarle tutte insieme in un volume da donare al suo maggiore acquirente e patrono, il vescovo di Arezzo Giovanni Matteo Marchetti. Come spiega Resta in alcune sue lettere, il presente avrebbe dovuto costituire insieme una curiosità ed offrire un confronto: infatti «le copie delli mosaici di Roma che erano di Monsignor Ciampini» - afferma Resta - avrebbero mostrato al Marchetti «le maniere di que' tempi gottici, barbari e divoti de cristiani e [fatto] spiccare i secoli seguenti». Questa indagine infatti ha fatto riemergere aspetti della precoce attenzione di Sebastiano Resta per l'arte dei "secoli bassi", mai debitamente affrontata dagli studi. E' infatti sulla scorta di una profonda conoscenza dei testi della letteratura artistica, e in connessione alla esplosione vivacissima della controversia Malvasia/Baldinucci sul primato del risorgere delle arti in Toscana, che Sebastiano a partire dagli anni Ottanta del Seicento comincia a meditare sul Medioevo artistico con il fine di spiegare l'evoluzione del linguaggio tecnico e formale che ha condotto alla perfezione dell'atte moderna. In questa prospettiva ι disegni del XIV e XV secolo che egli riuscì ad intercettare sul mercato valgono quali testimonianze delle maniere degli artefici più antichi e sono imbastiti nei molteplici album che Resta compone nel rispetto della successione cronologica dei presunti autori, e ordinati in base alle scuole pittoriche di pertinenza. La tesi permette perciò di descrivere nelle loro diverse specificità: da un lato il modo dei conoscitori come Resta, interessati nell'opera al dato stilistico, con immediate e sensibili ricadute sul mercato, e disposti anche con passione a ricercare i documenti relativi all'opera in quanto pressati dall'urgenza di collocarla nella sequenza cronologica dello sviluppo del linguaggio formale e tecnico; dall'altro gli antiquari come Ciampini e come Bianchini, per i quali le opere del passato valgono come prove irrefutabili della ricostruzione storica, e divengono quindi esse stesse, anche nel loro statuto di copia, documento della stona. Sono due approcci che si manifestano nel Seicento, e talvolta in una medesima persona, come mostra il caso anche per questo cruciale di Giovati Pietro Bellori, ma che hanno radici cinquecentesche, di cui i protagonisti di queste vicende sono ben consapevoli: e se dietro Resta c'è palesemente Vasari, dietro Ciampini e soprattutto Bianchini c'è la più alta tradizione antiquaria del XVI secolo, da Antonio Augustin a Fulvio Orsini.

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: Objectives Physicochemical incompatibilities between intravenous drugs are a recurrent problem in intensive care units. The present study was aimed at investigating the physical compatibility of remifentanil and sufentanil with other drugs (insulin, midazolam, propofol, potassium chloride, magnesium sulfate, furosemide, heparin, monobasic potassium phosphate) that are frequently administered together intravenously. In addition, the physicochemical compatibility of three common associations of drugs was evaluated in glass tube tests and during dynamic simulated Y site administrations (remifentanil-insulin-midazolam; remifentanil-insulin-propofol; sufentanil-insulin-midazolam). Methods Physical compatibility was verified by visual inspection of the various mixtures (two, three or four drugs) in glass tubes and by pH determination of the mixtures collected during simulated Y site administrations. Solutions were considered as compatible in the absence of any visual change in the solution and of any significant variation in pH value. In addition, chemical stability was checked during in vitro dynamic simulations. The solutions were prepared in 50 ml syringes, placed on syringe pumps and connected to a Swan-Ganz catheter; the liquid collected at the tip was assayed by high performance liquid chromatography. Results In the visual examinations, only the associations of remifentanil and furosemide were incompatible. The three assayed associations were compatible in the tested proportion range over 24 h. Conclusions Remifentanil was physically compatible with the tested drugs, except for furosemide (Lasix; Sanofi-Aventis, 250 mg/25 ml) and physicochemically compatible with insulin and midazolam and insulin and propofol. Sufentanil was physically compatible with all tested drugs and physicochemically compatible with insulin and midazolam

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Spondylo-megaepiphyseal-metaphyseal dysplasia (SMMD; OMIM 613330) is a dysostosis/dysplasia caused by recessive mutations in the homeobox-containing gene, NKX3-2 (formerly known as BAPX1). Because of the rarity of the condition, its diagnostic features and natural course are not well known. We describe clinical and radiographic findings in six patients (five of which with homozygous mutations in the NKX3-2 gene) and highlight the unusual and severe changes in the cervical spine and the neurologic complications. In individuals with SMMD, the trunk and the neck are short, while the limbs, fingers and toes are disproportionately long. Radiographs show a severe ossification delay of the vertebral bodies with sagittal and coronal clefts, missing ossification of the pubic bones, large round "balloon-like" epiphyses of the long bones, and presence of multiple pseudoepiphyses at all metacarpals and phalanges. Reduced or absent ossification of the cervical vertebrae leads to cervical instability with anterior or posterior kinking of the cervical spine (swan neck-like deformity, kyknodysostosis). As a result of the cervical spine instability or deformation, five of six patients in our series suffered cervical cord injury that manifested clinically as limb spasticity. Although the number of individuals observed is small, the high incidence of cervical spine deformation in SMMD is unique among skeletal dysplasias. Early diagnosis of SMMD by recognition of the radiographic pattern might prevent of the neurologic complications via prophylactic cervical spine stabilization. © 2012 Wiley Periodicals, Inc.

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Anaemia is a chief determinant of global ill health, contributing to cognitive impairment, growth retardation and impaired physical capacity. To understand further the genetic factors influencing red blood cells, we carried out a genome-wide association study of haemoglobin concentration and related parameters in up to 135,367 individuals. Here we identify 75 independent genetic loci associated with one or more red blood cell phenotypes at P < 10(-8), which together explain 4-9% of the phenotypic variance per trait. Using expression quantitative trait loci and bioinformatic strategies, we identify 121 candidate genes enriched in functions relevant to red blood cell biology. The candidate genes are expressed preferentially in red blood cell precursors, and 43 have haematopoietic phenotypes in Mus musculus or Drosophila melanogaster. Through open-chromatin and coding-variant analyses we identify potential causal genetic variants at 41 loci. Our findings provide extensive new insights into genetic mechanisms and biological pathways controlling red blood cell formation and function.

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Superior vena cava (SVC) clamping can be required during thoracic surgery for SVC replacement or repair. In such cases, bypass techniques can be necessary to avoid hemodynamic instability, cerebral venous hypertension and hypoperfusion. Here, we report a novel and simple SVC bypass technique which does not require full systemic heparinization, specialized cannulation techniques or pumping devices and which can be applied percutaneously in the preoperative phase or intraoperatively. The preoperative shunt consisted in two Swan-Ganz catheters inserted in the jugular and femoral veins and connected by perfusion tubing with a three way stopcock. The intraoperative shunt consisted of a Pruitt(®)-catheter inserted in the left innominate vein and connected to a femoral Swan-Ganz catheter by perfusion tubing. We validated our system in seven patients undergoing SVC reconstruction. We monitored the systemic arterial blood pressures, the heart rate and vasoactive peptide requirements throughout the procedure. We also determined the neurological status and the in-hospital morbidity and mortality for each patient. Using this bypass, SVC clamping caused no hemodynamic instability, no neurological impairments and no in-hospital complications or deaths. This simple temporary SVC bypass procedure is safe and avoids hemodynamic instability and cerebral venous hypertension.

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HYPOTHESIS: Recent evidence indicates that tumor response rates after isolated limb perfusion (ILP) are improved when tumor necrosis factor (TNF) is added to the locoregional perfusion of high doses of chemotherapy. Other factors, related to the patient or the ILP procedure, may interfere with the specific role of TNF in the early hemodynamic response after ILP with TNF and high-dose chemotherapy. DESIGN: Case-control study. SETTING: Tertiary care university hospital. PATIENTS: Thirty-eight patients with a locoregionally advanced tumor of a limb treated by ILP with TNF and high-dose chemotherapy (TNF group) were compared with 31 similar patients treated by ILP with high-dose chemotherapy alone (non-TNF group). INTERVENTIONS: Swan-Ganz catheter hemodynamic recordings, patients' treatment data collection, and TNF and interleukin 6 plasma level measurements at regular intervals during the first 36 hours following ILP. MAIN OUTCOME MEASURES: Hemodynamic profile and total fluid and catecholamine administration. RESULTS: In the TNF group, significant changes were observed (P<.006): the mean arterial pressure and the systemic vascular resistance index decreased, and the temperature, heart rate, and cardiac index increased. These hemodynamic alterations started when the ILP tourniquet was released (ie, when or shortly after the systemic TNF levels were the highest). The minimal mean arterial pressure, the minimal systemic vascular resistance index, the maximal cardiac index, the intensive care unit stay, and the interleukin 6 maximal systemic levels were significantly (P<.001 for all) correlated to the log(10) of the systemic TNF level. In the non-TNF group, only a brief decrease in the blood pressure following tourniquet release and an increase in the temperature and in the heart rate were statistically significant (P<.006). Despite significantly more fluid and catecholamine administration in the TNF group, the mean arterial pressure and the systemic vascular resistance index were significantly (P<.001) lower than in the non-TNF group. CONCLUSIONS: Release of the tourniquet induces a blood pressure decrease that lasts less than 1 hour in the absence of TNF and that is distinct from the septic shock-like hemodynamic profile following TNF administration. The systemic TNF levels are correlated to this hemodynamic response, which can be observed even at low TNF levels.

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Il lungo e complesso itinerario narrativo di Luigi Meneghello è ben rappresentato dalle migliaia di documenti che compongono il suo Archivio, oggi conservati in varie sedi pubbliche: il Centro Manoscritti dell'Università di Pavia (che ha acquisito la parte più abbondante e notevole delle carte, a partire dal 1983 e grazie soprattutto al lungimirante intervento di Maria Corti) la Biblioteca dell'Università di Reading, il Museo Casabianca di Malo e l''Archivio di Scrittori Vicentini della Biblioteca Civica Bertoliana di Vicenza. Il presente lavoro è il frutto di una ricerca che si è sviluppata in due direzioni strettamente interrelate: la prima parte, di taglio storico-archivistico, riguarda il Fondo Meneghello di Pavia, anche in relazione all'intero Archivio dello scrittore; la seconda parte analizza filologicamente e criticamente il caso specifico della genesi di una delle sue opere maggiori, Pomo pero (Rizzoli, 1974), rivelando e indagando una fitta rete di connessioni nell'intera produzione narrativa. Più nel dettaglio, nel primo capitolo del lavoro (L'ARCHIVIO DI LUIGI MENEGHELLO, pp. 1-92) ho cercato di delineare il quadro complessivo dell'Archivio, segnalando i dati dei diversi Fondi sparsi, per poi concentrare l'attenzione sul Fondo pavese. Di questo Fondo ho tracciato brevemente la storia, fornendo un quadro molto dettagliato delle carte conservate, carte che ho provveduto integralmente a catalogare. La schedatura si trova alle pp. 29-92 ed è divisa in due sezioni: la prima è relativa ai materiali donati dall'autore in vita (a partire dal 1983/4 sino al 2001, per un totale di 36000 documenti); la seconda comprende i conferimenti postumi. Alle pp. 29-33 della tesi ho chiarito preliminarmente i criteri di ordinamento adottati, in gran parte dedotti dalle indicazioni e dalle linee guida del progetto Archivi Letterari Lombardi del Novecento, a cura di Simone Albonico. Il secondo capitolo (UN CASO DI FILOLOGIA D'ARCHIVIO: LA GENESI DI POMO PERO, pp. 93-166) si occupa dell'elaborata vicenda compositiva di Pomo pero, terzo romanzo, e altro scomparto dell'epopea maladense che segue al primo Libera nos a malo, ma anche se ne differenzia per tratti e tonalità non irrilevanti (in Appendice si fornisce trascrizione del testo con indici topografici e cronologici). Ho cercato di seguirne per tappe la formazione alla luce delle numerose testimonianze dell'Archivio, partendo dai primi materiali ancora rintracciabili tra le carte di Libera nos a malo, e individuando progressivamente il filo intricato dell'elaborazione testuale, tra frequenti intrecci con le altre opere e continui ripensamenti e rielaborazioni, dunque in un percorso complessivo che dal 1962 (dunque a monte dell'uscita di Libera nos a malo) va sino al 1974, a ridosso della stampa. Sono emersi anche progetti totalmente sconosciuti di testi inediti, collocabili nel fertile periodo della metà degli anni Sessanta, che conducono alla suggestiva ipotesi di un "cantiere unico" di elaborazione testuale (cfr. cap. III «CONCLUSIONI PROVVISORIE». TRA I PROGETTI DEGLI ANNI SESSANTA; L'ESPEDIENTE DEL FRATELLO; L'IPOTESI DEL CANTIERE UNICO, pp. 167-186).