22 resultados para volte dissesti vulnerabilità miglioramento strutturale
em Universita di Parma
Resumo:
L’obiettivo della presente tesi è evidenziare l’importanza dell’approccio critico alla valutazione della vulnerabilità sismica di edifici in muratura e misti Il contributo della tesi sottolinea i diversi risultati ottenuti nella modellazione di tre edifici esistenti ed uno ipotetico usando due diversi programmi basati sul modello del telaio equivalente. La modellazione delle diverse ipotesi di vincolamento ed estensione delle zone rigide ha richiesto la formulazione di quattro modelli di calcolo in Aedes PCM ed un modello in 3muri. I dati ottenuti sono stati confrontati, inoltre, con l’analisi semplificata speditiva per la valutazione della vulnerabilità a scala territoriale prevista nelle “Linee Guida per la valutazione e riduzione del rischio sismico del Patrimonio Culturale”. Si può notare che i valori ottenuti sono piuttosto diversi e che la variabilità aumenta nel caso di edifici non regolari, inoltre le evidenze legate ai danni realmente rilevati sugli edifici mostrano un profondo iato tra la previsione di danno ottenuta tramite calcolatore e le lesioni rilevate; questo costituisce un campanello d’allarme nei confronti di un approccio acritico nei confronti del mero dato numerico ed un richiamo all’importanza del processo conoscitivo. I casi di studio analizzati sono stati scelti in funzione delle caratteristiche seguenti: il primo è una struttura semplice e simmetrica nelle due direzioni che ha avuto la funzione di permettere di testare in modo controllato le ipotesi di base. Gli altri sono edifici reali: il Padiglione Morselli è un edificio in muratura a pianta a forma di C, regolare in pianta ed in elevazione solamente per quanto concerne la direzione y: questo ha permesso di raffrontare il diverso comportamento dei modelli di calcolo nelle sue direzioni; il liceo Marconi è un edificio misto in cui elementi in conglomerato cementizio armato affiancano le pareti portanti in muratura, che presenta un piano di copertura piuttosto irregolare; il Corpo 4 dell’Ospedale di Castelfranco Emilia è un edificio in muratura, a pianta regolare che presenta le medesime irregolarità nel piano sommitale del precedente. I dati ottenuti hanno dimostrato un buon accordo per la quantificazione dell’indice di sicurezza per i modelli regolari e semplici con uno scarto di circa il 30% mentre il delta si incrementa per le strutture irregolari, in particolare quando le pareti portanti in muratura vengono sostituite da elementi puntuali nei piani di copertura arrivando a valori massimi del 60%. I confronti sono stati estesi per le tre strutture anche alla modellazione proposta dalle Linee Guida per la valutazione dell’indice di sicurezza sismica a scala territoriale LV1 mostrando differenze nell’ordine del 30% per il Padiglione Morselli e del 50% per il Liceo Marconi; il metodo semplificato risulta correttamente cautelativo. È, quindi, possibile affermare che tanto più gli edifici si mostrano regolari in riferimento a masse e rigidezze, tanto più la modellazione a telaio equivalente restituisce valori in accordo tra i programmi e di più immediata comprensione. Questa evidenza può essere estesa ad altri casi reali divenendo un vero e proprio criterio operativo che consiglia la suddivisione degli edifici esistenti in muratura, solitamente molto complessi poiché frutto di successive stratificazioni, in parti più semplici, ricorrendo alle informazioni acquisite attraverso il percorso della conoscenza che diviene in questo modo uno strumento utile e vitale. La complessità dell’edificato storico deve necessariamente essere approcciata in una maniera più semplice identificando sub unità regolari per percorso dei carichi, epoca e tecnologia costruttiva e comportamento strutturale dimostrato nel corso del tempo che siano più semplici da studiare. Una chiara comprensione del comportamento delle strutture permette di agire mediante interventi puntuali e meno invasivi, rispettosi dell’esistente riconducendo, ancora una volta, l’intervento di consolidamento ai principi propri del restauro che includono i principi di minimo intervento, di riconoscibilità dello stesso, di rispetto dei materiali esistenti e l’uso di nuovi compatibili con i precedenti. Il percorso della conoscenza diviene in questo modo la chiave per liberare la complessità degli edifici storici esistenti trasformando un mero tecnicismo in una concreta operazione culturale . Il presente percorso di dottorato è stato svolto in collaborazione tra l’Università di Parma, DICATeA e lo Studio di Ingegneria Melegari mediante un percorso di Apprendistato in Alta Formazione e Ricerca.
Resumo:
Questa tesi ha lo scopo di indagare lo stato interno di materiali e strutture di diverso tipo tramite sollecitazione acustica o vibrazionale. Si sono sottoposte le strutture in esame a sollecitazione acustica (mediante speaker) o meccanica (mediante martello strumentato o altro percussore), acquisendo le onde meccaniche di ritorno con trasduttori microfonici, array microfonici, ed accelerometri. Si è valutato, di caso in caso, quale fosse la strumentazione più adeguata e quale il parametro da prendere in considerazione per effettuare una discriminazione tra oggetto integro ed oggetto danneggiato o contenente vuoti o inclusioni. Si è riflettuto sui dati raccolti allo scopo di capire quali caratteristiche accomunino strutture apparentemente diverse tra loro, e quali differenzino in realtà - rispetto alla possibilità di una efficace diagnosi acustica - strutture apparentemente simili. Si è sviluppato uno script su piattaforma MatLab® per elaborare i dati acquisiti. Tutte le analisi effettuate si basano sull'osservazione dello spettro acustico del segnale di ritorno dall'oggetto sollecitato. Ove necessario, si sono osservati la funzione di trasferimento del sistema (per il calcolo della quale si crosscorrelano i segnali di output e di input) o il waterfall. Da questa base, si sono sviluppati parametri specifici per i vari casi. Gli esami più proficui si sono effettuati sui solai, per la verifica dello sfondellamento dei laterizi. Anche lo studio su prodotti dell'industria alimentare (salami) si è rivelato molto soddisfacente, tanto da gettare le basi per la produzione di un tester da utilizzare in stabilimento per il controllo di qualità dei pezzi.
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The Firenzuola turbidite system formed during a paroxysmal phase of thrust propagation, involving the upper Serravallian deposits of the Marnoso-arenacea Formation (MAF). During this phase the coeval growth of two major tectonic structures, the M. Castellaccio thrust and the Verghereto high, played a key role, causing a closure of the inner basin and a coeval shift of the depocentre to the outer basin. This work focuses on this phase of fragmentation of the MAF basin; it is based on a new detailed high-resolution stratigraphic framework, which was used to determine the timing of growth of the involved structures and their direct influence on sediment dispersal and on the lateral and vertical turbidite facies distribution. The Firenzuola turbidite system stratigraphy is characterized by the occurrence of mass-transport complexes (MTCs) and thick sandstone accumulation in the depocentral area, which passes to finer drape over the structural highs; the differentiation between these two zones increases over time and ends with the deposition of marly units over the structural highs and the emplacement of the Visignano MTC. According to the stratigraphic pattern and turbidite facies characteristics, the Firenzuola System has been split into two phases, namely Firenzuola I and Firenzuola II: the former is quite similar to the underlying deposits, while the latter shows the main fragmentation phase, testifying the progressive isolation of the inner basin and a coeval shift of the depocentre to the outer basin. The final stratigraphic and sedimentological dataset has been used to create a quantitative high-resolution 3D facies distribution using the Petrel software platform. This model allows a detailed analysis of lateral and vertical facies variations that can be exported to several reservoirs settings in hydrocarbon exploration and exploitation areas, since facies distributions and geometries of the reservoir bodies of many sub-surface turbidite basins show a significant relationship to the syndepositional structural activity, but are beyond seismic resolution.
Reformulation of a thermostable broadly protective recombinant vaccine against human papilloma virus
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The causal relationship between Human Papilloma Virus (HPV) infection and cervical cancer has motivated the development, and further improvement, of prophylactic vaccines against this virus. 70% of cervical cancers, 80% of which in low-resources countries, are associated to HPV16 and HPV18 infection, with 13 additional HPV types, classified as high-risk, responsible for the remaining 30% of tumors. Current vaccines, Cervarix® (GlaxoSmithKline) and Gardasil®(Merk), are based on virus-like particles (VLP) obtained by self-assembly of the major capsid protein L1. Despite their undisputable immunogenicity and safety, the fact that protection afforded by these vaccines is largely limited to the cognate serotypes included in the vaccine (HPV 16 and 18, plus five additional viral types incorporated into a newly licensed nonavalent vaccine) along with high production costs and reduced thermal stability, are pushing the development of 2nd generation HPV vaccines based on minor capsid protein L2. The increase in protection broadness afforded by the use of L2 cross-neutralizing epitopes, plus a marked reduction of production costs due to bacterial expression of the antigens and a considerable increase in thermal stability could strongly enhance vaccine distribution and usage in low-resource countries. Previous studies from our group identified three tandem repeats of the L2 aa. 20-38 peptide as a strongly immunogenic epitope if exposed on the scaffold protein thioredoxin (Trx). The aim of this thesis work is the improvement of the Trx-L2 vaccine formulation with regard to cross-protection and thermostability, in order to identify an antigen suitable for a phase I clinical trial. By testing Trx from different microorganisms, we selected P. furiosus thioredoxin (PfTrx) as the optimal scaffold because of its sustained peptide epitope constraining capacity and striking thermal stability (24 hours at 100°C). Alternative production systems, such as secretory Trx-L2 expression in the yeast P. pastoris, have also been set-up and evaluated as possible means to further increase production yields, with a concomitant reduction of production costs. Limitations in immune-responsiveness caused by MHC class II polymorphisms –as observed, for example, in different mouse strains- have been overcome by introducing promiscuous T-helper (Th) epitopes, e.g., PADRE (Pan DR Epitope), at both ends of PfTrx. This allowed us to obtain fairly strong immune responses even in mice (C57BL/6) normally unresponsive to the basic Trx-L2 vaccine. Cross-protection was not increased, however. I thus designed, produced and tested a novel multi-epitope formulation consisting of 8 and 11 L2(20-38) epitopes derived from different HPV types, tandemly joined into a single thioredoxin molecule (“concatemers”). To try to further increase immunogenicity, I also fused our 8X and 11X PfTrx-L2 concatemers to the N-terminus of an engineered complement-binding protein (C4bp), capable to spontaneously assemble into ordered hepatmeric structures, previously validated as a molecular adjuvant. Fusion to C4bp indeed improved antigen presentation, with a fairly significant increase in both immunogenicity and cross-protection. Another important issue I addressed, is the reduction of vaccine doses/treatment, which can be achieved by increasing immunogenicity, while also allowing for a delayed release of the antigen. I obtained preliminary, yet quite encouraging results in this direction with the use of a novel, solid-phase vaccine formulation, consisting of the basic PfTrx-L2 vaccine and its C4bp fusion derivative adsorbed to mesoporus silica-rods (MSR).
Resumo:
Nel sesso maschile il carcinoma della prostata (CaP) è la neoplasia più frequente ed è tra le prime cause di morte per tumore. Ad oggi, sono disponibili diverse strategie terapeutiche per il trattamento del CaP, ma, come comprovato dall’ancora alta mortalità, spesso queste sono inefficaci, a causa soprattutto dello sviluppo di fenomeni di resistenza da parte delle cellule tumorali. La ricerca si sta quindi focalizzando sulla caratterizzazione di tali meccanismi di resistenza e, allo stesso tempo, sull’individuazione di combinazioni terapeutiche che siano più efficaci e capaci di superare queste resistenze. Le cellule tumorali sono fortemente dipendenti dai meccanismi connessi con l’omeostasi proteica (proteostasi), in quanto sono sottoposte a numerosi stress ambientali (ipossia, carenza di nutrienti, esposizione a chemioterapici, ecc.) e ad un’aumentata attività trascrizionale, entrambi fattori che causano un accumulo intracellulare di proteine anomale e/o mal ripiegate, le quali possono risultare dannose per la cellula e vanno quindi riparate o eliminate efficientemente. La cellula ha sviluppato diversi sistemi di controllo di qualità delle proteine, tra cui gli chaperon molecolari, il sistema di degradazione associato al reticolo endoplasmatico (ERAD), il sistema di risposta alle proteine non ripiegate (UPR) e i sistemi di degradazione come il proteasoma e l’autofagia. Uno dei possibili bersagli in cellule tumorali secretorie, come quelle del CaP, è rappresentato dal reticolo endoplasmatico (RE), organello intracellulare deputato alla sintesi, al ripiegamento e alle modificazioni post-traduzionali delle proteine di membrana e secrete. Alterazioni della protestasi a livello del RE inducono l’UPR, che svolge una duplice funzione nella cellula: primariamente funge da meccanismo omeostatico e di sopravvivenza, ma, quando l’omeostasi non è più ripristinabile e lo stimolo di attivazione dell’UPR cronicizza, può attivare vie di segnalazione che conducono alla morte cellulare programmata. La bivalenza, tipica dell’UPR, lo rende un bersaglio particolarmente interessante per promuovere la morte delle cellule tumorali: si può, infatti, sfruttare da una parte l’inibizione di componenti dell’UPR per abrogare i meccanismi adattativi e di sopravvivenza e dall’altra si può favorire il sovraccarico dell’UPR con conseguente induzione della via pro-apoptotica. Le catechine del tè verde sono composti polifenolici estratti dalle foglie di Camellia sinesis che possiedono comprovati effetti antitumorali: inibiscono la proliferazione, inducono la morte di cellule neoplastiche e riducono l’angiogenesi, l’invasione e la metastatizzazione di diversi tipi tumorali, tra cui il CaP. Diversi studi hanno osservato come il RE sia uno dei bersagli molecolari delle catechine del tè verde. In particolare, recenti studi del nostro gruppo di ricerca hanno messo in evidenza come il Polyphenon E (estratto standardizzato di catechine del tè verde) sia in grado, in modelli animali di CaP, di causare un’alterazione strutturale del RE e del Golgi, un deficit del processamento delle proteine secretorie e la conseguente induzione di uno stato di stress del RE, il quale causa a sua volta l’attivazione delle vie di segnalazione dell’UPR. Nel presente studio su due diverse linee cellulari di CaP (LNCaP e DU145) e in un nostro precedente studio su altre due linee cellulari (PNT1a e PC3) è stato confermato che il Polyphenon E è capace di indurre lo stress del RE e di determinare l’attivazione delle vie di segnalazione dell’UPR, le quali possono fungere da meccanismo di sopravvivenza, ma anche contribuire a favorire la morte cellulare indotta dalle catechine del tè verde (come nel caso delle PC3). Considerati questi effetti delle catechine del tè verde in qualità di induttori dell’UPR, abbiamo ipotizzato che la combinazione di questi polifenoli bioattivi e degli inibitori del proteasoma, anch’essi noti attivatori dell’UPR, potesse comportare un aggravamento dell’UPR stesso tale da innescare meccanismi molecolari di morte cellulare programmata. Abbiamo quindi studiato l’effetto di tale combinazione in cellule PC3 trattate con epigallocatechina-3-gallato (EGCG, la principale tra le catechine del tè verde) e due diversi inibitori del proteasoma, il bortezomib (BZM) e l’MG132. I risultati hanno dimostrato, diversamente da quanto ipotizzato, che l’EGCG quando associato agli inibitori del proteasoma non produce effetti sinergici, ma che anzi, quando viene addizionato al BZM, causa una risposta simil-antagonistica: si osserva infatti una riduzione della citotossicità e dell’effetto inibitorio sul proteasoma (accumulo di proteine poliubiquitinate) indotti dal BZM, inoltre anche l’induzione dell’UPR (aumento di GRP78, p-eIF2α, CHOP) risulta ridotta nelle cellule trattate con la combinazione di EGCG e BZM rispetto alle cellule trattate col solo BZM. Gli stessi effetti non si osservano invece nelle cellule PC3 trattate con l’EGCG in associazione con l’MG132, dove non si registra alcuna variazione dei parametri di vitalità cellulare e dei marcatori di inibizione del proteasoma e di UPR (rispetto a quelli osservati nel singolo trattamento con MG132). Essendo l’autofagia un meccanismo compensativo che si attiva in seguito all’inibizione del proteasoma o allo stress del RE, abbiamo valutato che ruolo potesse avere tale meccanismo nella risposta simil-antagonistica osservata in seguito al co-trattamento con EGCG e BZM. I nostri risultati hanno evidenziato, in cellule trattate con BZM, l’attivazione di un flusso autofagico che si intensifica quando viene addizionato l’EGCG. Tramite l’inibizione dell’autofagia mediante co-somministrazione di clorochina, è stato possibile stabilire che l’autofagia indotta dall’EGCG favorisce la sopravvivenza delle cellule sottoposte al trattamento combinato tramite la riduzione dell’UPR. Queste evidenze ci portano a concludere che per il trattamento del CaP è sconsigliabile associare le catechine del tè verde con il BZM e che in futuri studi di combinazione di questi polifenoli con composti antitumorali sarà importante valutare il ruolo dell’autofagia come possibile meccanismo di resistenza.
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Plants can defend themselves from potential pathogenic microorganisms relying on a complex interplay of signaling pathways: activation of the MAPK cascade, transcription of defense related genes, production of reactive oxygen species, nitric oxide and synthesis of other defensive compounds such as phytoalexins. These events are triggered by the recognition of pathogen’s effectors (effector-triggered immunity) or PAMPs (PAMP-triggered immunity). The Cerato Platanin Family (CPF) members are Cys-rich proteins secreted and localized on fungal cell walls, involved in several aspects of fungal development and pathogen-host interactions. Although more than hundred genes of the CPF have been identified and analyzed, the structural and functional characterization of the expressed proteins has been restricted only to few members of the family. Interestingly, those proteins have been shown to bind chitin with diverse affinity and after foliar treatment they elicit defensive mechanisms in host and non-host plants. This property turns cerato platanins into interesting candidates, worth to be studied to develop new fungal elicitors with applications in sustainable agriculture. This study focus on cerato-platanin (CP), core member of the family and on the orthologous cerato-populin (Pop1). The latter shows an identity of 62% and an overall homology of 73% with respect to CP. Both proteins are able to induce MAPKs phosphorylation, production of reactive oxygen species and nitric oxide, overexpression of defense’s related genes, programmed cell death and synthesis of phytoalexins. CP, however, when compared to Pop1, induces a faster response and, in some cases, a stronger activity on plane leaves. Aim of the present research is to verify if the dissimilarities observed in the defense elicitation activity of these proteins can be associated to their structural and dynamic features. Taking advantage of the available CP NMR structure, Pop1’s 3D one was obtained by homology modeling. Experimental residual dipolar couplings and 1H, 15N, 13C resonance assignments were used to validate the model. Previous works on CPF members, addressed the highly conserved random coil regions (loops b1-b2 and b2-b3) as sufficient and necessary to induce necrosis in plants’ leaves: that region was investigated in both Pop1 and CP. In the two proteins the loops differ, in their primary sequence, for few mutations and an insertion with a consequent diversification of the proteins’ electrostatic surface. A set of 2D and 3D NMR experiments was performed to characterize both the spatial arrangement and the dynamic features of the loops. NOE data revealed a more extended network of interactions between the loops in Pop1 than in CP. In addition, in Pop1 we identified a salt bridge Lys25/Asp52 and a strong hydrophobic interaction between Phe26/Trp53. These structural features were expected not only to affect the loops’ spatial arrangement, but also to reduce the degree of their conformational freedom. Relaxation data and the order parameter S2 indeed highlighted reduced flexibility, in particular for loop b1-b2 of Pop1. In vitro NMR experiments, where Pop1 and CP were titrated with oligosaccharides, supported the hypothesis that the loops structural and dynamic differences may be responsible for the different chitin-binding properties of the two proteins: CP selectively binds tetramers of chitin in a shallow groove on one side of the barrel defined by loops b1-b2, b2-b3 and b4-b5, Pop1, instead, interacts in a non-specific fashion with oligosaccharides. Because the region involved in chitin-binding is also responsible for the defense elicitation activity, possibly being recognized by plant's receptors, it is reasonable to expect that those structural and dynamic modifications may also justify the different extent of defense elicitation. To test that hypothesis, the initial steps of a protocol aimed to the identify a receptor for CP, in silico, are presented.
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Background: sulla base delle evidenze emerse dalle rassegne sistematiche in materia (Johnstone, 1994; Cohen et al.,1998; Robson et al., 2012; Burke et al., 2006; Ricci et al., 2015) si è ipotizzato che la formazione alla salute e sicurezza sul lavoro sia maggiormente efficace quando non è presentata come obbligatoria e venga articolata su più livelli di apprendimento, attraverso metodologie adeguate per ogni livello, con docenti che abbiano caratteristiche corrispondenti allo specifico obiettivo di apprendimento e la cui durata sia parametrata all’obiettivo stesso. Obiettivo di questa ricerca è valutare se esista e quanto sia intensa la relazione causale tra la formazione alla sicurezza sul lavoro e i suoi effetti sul miglioramento delle conoscenze, degli atteggiamenti, dei comportamenti, degli esiti per la salute, del clima di sicurezza aziendale, del controllo comportamentale percepito dai lavoratori, delle condizioni operative e procedure interne, oltre l’eventuale effetto di moderazione determinato da caratteristiche socio-demografiche dei partecipanti e dal gradimento della formazione. Metodo: la variabile indipendente è costituita dell’intervento formativo erogato, articolato in tre condizioni: formazione obbligatoria, formazione non obbligatoria, gruppo di controllo: sono stati posti a confronto due interventi di pari durata (16 settimane, per 10h complessive), realizzati con identiche modalità (step1 audio-visivo; step2 affiancamento su lavoro da parte del preposto; step3 discussione di auto-casi), ma differenziati rispetto all’essere presentati uno come formazione obbligatoria, l’altro come non obbligatoria. I due gruppi sono anche stati confrontati con un gruppo di controllo per il quale la formazione è prevista successivamente. I partecipanti sono stati assegnati in modo casuale al gruppo con obbligo formativo, senza obbligo formativo, di controllo. Sono stati presi come indicatori (variabili dipendenti) per valutare l’effetto della formazione: I livello – conoscenze: riconoscimento o produzione di un maggior numero di risposte corrette. II livello – atteggiamenti e credenze: maggiore propensione a mettere in atto comportamenti auto ed etero protettivi. III livello – comportamenti: comportamenti osservati più adeguati per la tutela della salute propria e altrui. IV livello – salute: maggior grado di benessere bio-psico-sociale auto-riferito. Le misure di esito consistono nella variazione tra la rilevazione iniziale e ogni rilevazione successiva, sulla base delle diverse misure registrate per ognuno dei quattro livelli dell’intervento formativo. Lo stesso confronto del tempo è stato realizzato per le misure del clima di sicurezza aziendale, del controllo comportamentale percepito dai lavoratori, delle condizioni operative e procedure interne, oltre l’eventuale effetto di moderazione determinato da caratteristiche socio-demografiche dei partecipanti e dal gradimento della formazione, quest’ultimo misurato solo immediatamente al termine dell’intervento. Risultati: le condizioni di intervento non differiscono in termini di efficacia, la formazione determina infatti gli stessi risultati per i partecipanti del gruppo obbligo formativo e di quello non obbligo, con una significativa differenza post-intervento rispetto al gruppo di controllo. La formazione ha un effetto forte nel miglioramento delle conoscenze che solo parzialmente decade nel tempo, ma comunque mantenendo un livello maggiore rispetto ai valori iniziali. In relazione al miglioramento di atteggiamenti e comportamenti sicuri nel lavoro al Videoterminale, l’effetto della formazione è modesto: per gli atteggiamenti si registra solo un miglioramento verso l’applicazione delle procedure come utili realmente e non come mero adempimento, ma tale effetto decade entro quattro mesi riportando i partecipanti su valori iniziali; i comportamenti invece migliorano nel tempo, ma con deboli differenze tra partecipanti alla formazione e gruppo di controllo, tuttavia tale miglioramento non decade in seguito. Non si registrano invece effetti della formazione nella direzione attesa in termini di esiti per la salute, per il miglioramento del clima di sicurezza e come maggior controllo comportamentale percepito, non risultano nemmeno dati evidenti di moderazione degli effetti dovuti a caratteristiche socio-demografiche dei partecipanti. Inoltre emerge che il gradimento per la formazione è correlato con migliori atteggiamenti (strumento audio-visivo), il miglioramento del clima di sicurezza e un maggior controllo comportamentale percepito (studio di auto-casi), ovvero gli step che hanno visto l’intervento di formatori qualificati. Infine, la formazione ha determinato migliori condizioni operative e l’adeguamento delle procedure interne. Conclusioni: la presente ricerca ci consente di affermare che la formazione erogata è stata efficace, oltre che molto gradita dai partecipanti, in particolare quando il formatore è qualificato per questa attività (step1 e 3). L’apprendimento prodotto è tanto più stabile nel tempo quanto più i contenuti sono in stretta relazione con l’esperienza lavorativa quotidiana dei partecipanti, mentre negli altri casi il decremento degli effetti è alquanto rapido, di conseguenza ribadiamo la necessità di erogare la formazione con continuità nel tempo. E’ risultato comunque modesto l’effetto della formazione per migliorare gli atteggiamenti e i comportamenti nel lavoro al VDT, ma, al di là di alcuni limiti metodologici, sono obiettivi ambiziosi che richiedono più tempo di quanto abbiamo potuto disporre in questa occasione e il cui conseguimento risente molto delle prassi reali adottate nel contesto lavorativo dopo il termine della formazione. Le evidenze finora prodotte non hanno poi chiarito in modo definitivo se attraverso la formazione si possano determinare effetti significativi nel miglioramento di esiti per la salute, anche eventualmente attraverso interventi di supporto individuale. Inoltre l’assenza di differenze significative negli effetti tra i partecipanti assegnati alla condizione di obbligo e quelli di non obbligo, eccezion fatta in direzione opposta alle attese per la misura del danno da lavoro, suggeriscono che nell’erogare la formazione, occorre sottolineare in misura molto rilevante l’importanza dell’intervento che viene realizzato, anche qualora esistesse una prescrizione normativa cogente. Infine, la ricerca ci ha fornito anche indicazioni metodologiche e misure valide che invitano ad estendere questa formazione, e la sua valutazione di efficacia, a diversi comparti economici e svariate mansioni. Nel fare questo è possibile fare riferimento, e testare nuovamente, un modello che indica la corretta percezione del rischio (conoscenza) come fattore necessario, ma non sufficiente per ottenere, con la mediazione di atteggiamenti favorevoli allo specifico comportamento, azioni sicure, attraverso le quali si rinforza l’atteggiamento e migliorano le conoscenze. La formazione, per raggiungere i propri obiettivi, deve tuttavia agire anche sui meccanismi di conformismo sociale favorevoli alla safety, questi originano da conoscenze e azioni sicure e reciprocamente le rinforzano.
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Obiettivi. Lo scopo di questo studio è di confrontare la mortalità e l’incidenza per tutte le cause, tutti i tumori, tumori specifici e per le cause non neoplastiche, in una coorte dei lavoratori impiegati nel cantiere navale di Monfalcone (GO) tra il 1974 e il 1994, con quella della popolazione generale della regione FVG e d’Italia. L’obiettivo è eseguire tali confronti considerando il livello di esposizione ad amianto, la durata di esposizione (in anni) precedente al 1985, il periodo di prima assunzione, quali principali indicatori di esposizione occupazionale ad asbesto. Obiettivo secondario è quello di contribuire alla conoscenza circa la correlazione tra esposizione ad asbesto e l’incidenza di tumori nelle principali sedi digestive. Metodi. Tramite metodo indiretto sono stati calcolati SIR (periodo 1995-2009) e SMR (periodo 1995-2012) per tumore maligno della pleura, tumore di trachea bronchi e polmone, per tutti i tumori e per malattie non neoplastiche. È stato condotto uno studio caso- controllo nested per la stima degli gli ORs rispettivamente per tumore maligno della pleura e del polmone. Sono stati applicati modelli di Poisson per la stima degli IRRs riguardanti le principali sedi digestive, utilizzando quali variabili esplicative: a) il rischio di esposizione ad asbesto legato alla mansione e b) il numero di anni di esposizione precedenti al 1985. Risultati. Nell’intera coorte (5582 uomini) gli SMR indicavano un eccesso di mortalità per tumore maligno della pleura incrementato rispettivamente di circa 7 volte (SMR= 7,03; IC95% 5,61-8,79) e di poco più di 14 volte (SMR= 14,20; IC95% 11,33-17,75) rispettivamente quando il confronto è stato fatto con la popolazione standard del FVG e dell’Italia. L’aumento della mortalità per tumore maligno della pleura risulta fortemente aumentato in tutte le stratificazioni. Gli SMR per il tumore di trachea, bronchi e polmone sono risultati essere prossimi all'unità quando le analisi sono state eseguite nell’intera coorte, mentre risultano aumentati in modo significativo rispetto alla popolazione generale quando calcolati nei soggetti a rischio medio e assunti presso i cantieri navali di Monfalcone prima del 1974 (SMR= 1,38 95%CI 1,00-1,85) e nei soggetti classificati a rischio medio e assunti nel periodo 1985-1994 (SMR= 4,88 95%CI 1,00-14,25). Analogamente, nell’intera coorte, i SIR per tumore maligno della pleura calcolati nell’intera coorte erano aumentati di oltre 7 volte (SIR= 7,65; IC95% 6,19-9,49), mentre l’incidenza del tumore di trachea bronchi e polmone non vede incrementi rispetto alla popolazione di riferimento. Coloro che hanno avuto una durata di esposizione maggiore di 30 anni prima del 1985 dimostrano un aumento dell’incidenza di tumore di trachea, bronchi e polmone (SIR=1,34 IC95% 1,00-1,77), statisticamente significativo, così come per coloro che son stati classificati a rischio medio di esposizione e assunti precedentemente al 1974 (SIR=1,46 IC95% 1,06-1,95) e per coloro che sono stati classificati ad alto rischio e assunti nel periodo 1985-1994 (SIR=5,68 IC95% 1,17-16,60). Nell’intera coorte si registra un significativo aumento di incidenza di tumore dello stomaco in coloro classificati a alto rischio (SIR= 1,47 IC95% 1,05-2,00), mentre l’incidenza di tumore del pancreas vede un incremento dell’incidenza in coloro classificati a medio rischio di esposizione ad asbesto (SIR= 2,21 IC95% 1,21-3,72). Il sottogruppo le cui informazioni risultavano mancanti mostrano un incremento del SIR, borderline ma non significativo, per tumore del colon-retto (SIR= 1,29 IC95% 0,94-1,73). Emerge un significativo aumento dell’incidenza del tumore dello stomaco in coloro con un periodo di esposizione precedente al 1985 compreso tra 10 e 20 anni (SIR= 1,71 IC95% 1,12-2,49). Anche i SIR per il tumore del pancreas vedono un incremento statisticamente significativo in coloro che hanno una durata di esposizione precedente al 1985 inferiore a 10 anni e maggiore di 30: rispettivamente i SIR sono stati di 2,23 (IC95% 1,07-4,10) e 2,57 (IC95% 1,53-4,07). I risultati relativi ai confronti interni non mostrano significatività statistica. Conclusioni. I risultati indicano che nella coorte degli uomini ex- lavoratori dei cantieri navali di Monfalcone vi era un incremento forte e statisticamente significativo della mortalità e dell’incidenza di tumore maligno della pleura rispetto sia alla popolazione generale del FVG sia a quella dell’Italia. Eccessi di mortalità ed incidenza sono stati rilevati talvolta anche per il tumore di trachea, bronchi e polmone, quando le analisi sono state condotte stratificando la coorte in gruppi omogenei di rischio. Il più elevato eccesso rispetto all’atteso sia della mortalità per tumore maligno della pleura e del tumore del polmone, che dell’incidenza, si osservava nei lavoratori con mansioni a rischio medio, seguito dal gruppo con mansioni a rischio elevato. I Risultati riguardanti l’incidenza dei tumori delle principali sedi digestive ha visto nell’intera coorte un aumento significativo dei SIR per tumore dello stomaco e del pancreas, anche quando condotti per sottogruppi. Tuttavia le stime relative agli outcome diversi dal tumore maligno della pleura e del tumore del polmone devono essere interpretate con cautela. Le associazioni positive riscontrate tramite confronti interni non presentano significatività statistica.
Resumo:
Riassunto I biomarcatori o “marcatori biologici” svolgono un ruolo fondamentale nel monitoraggio biologico. In questo lavoro ci siamo soffermati sullo studio di biomarcatori di effetto e di esposizione a xenobiotici ambientali. Nel primo caso abbiamo valutato i micro RNA (miRNA) da utilizzare per la diagnosi precoce del tumore al polmone in matrici di facile accesso, quale il CAE e il plasma, utilizzando il miRNA-21, oncogeno, e il miRNA-486, oncosoppressore. I risultati evidenziano una loro capacità di distinguere correttamente i soggetti con tumore polmonare dai soggetti sani, ipotizzando un loro utilizzo a scopo diagnostico. Nella seconda parte del lavoro di tesi sono stati studiati i biomarcatori di esposizione a benzene per valutare gli effetti dell’esposizione a concentrazioni ambientali su bambini residenti in città e a diverso livello di urbanizzazione. Lo studio ha evidenziato una correlazione dose-effetto fra le concentrazioni di benzene e dei suoi metaboliti urinari e un danno ossidativo a livello degli acidi nucleici. Tuttavia, le concentrazioni di benzene urinario non sono influenzate dal grado di industrializzazione, a differenza dell’S-PMA e degli indicatori di stress ossidativo (8-oxodGuo e 8-oxoGuo) che sembrano risentire sia della residenza che del momento del campionamento. Infine abbiamo ricercato possibili biomarcatori di esposizione a vinilcicloesene (VCH), sottoprodotto industriale nella polimerizzazione del 1,3-butadiene, poiché non sono ancora stati proposti BEI di riferimento nonostante i bassi valori di TLV-TWA (0.1 ppm) proposti dall’ACGIH. Nella prima fase del lavoro abbiamo studiato i meccanismi di tossicità del VCH tramite modelli in vitro, testando varie linee cellulari. I risultati evidenziano come la dose reale di VCH sia di molto inferiore a quella nominale per effetto dell’evaporazione. Inoltre, nelle linee cellulari più sensibili si sono evidenziati effetti citostatici, con alterazioni del ciclo cellulare, a differenza dell’esposizione agli epossidi del VCH, il VCD e l’1,2-VCHME, che determinano lisi cellulare con IC50 di 3 ordini di grandezza inferiori a quelli del VCH. La quantificazione dei metaboliti di I fase e di II fase del VCH nelle linee cellulari epatiche ha evidenziato concentrazioni di circa 1000 volte inferiori a quelle del VCH confermando come la sua tossicità sia principalmente dovuta alla produzione degli intermedi epossidici. La trasformazione nei metaboliti di II fase conferma inoltre l’effetto detossificante del metabolismo. La trasferibilità dei risultati ottenuti in vitro su sistemi in vivo fornirà le basi per poter identificare possibili metaboliti da proporre per il monitoraggio biologico di lavoratori esposti a VCH. PAROLE CHIAVE: biomarcatori di effetto e di esposizione, tumore al polmone, miRNA, benzene, vinilcicloesene.
Resumo:
Riassunto La spettrometria di massa (MS) nata negli anni ’70 trova oggi, grazie alla tecnologia Matrix-Assisted Laser Desorption Ionization-Time of Flight (MALDI-TOF), importanti applicazioni in diversi settori: biotecnologico (per la caratterizzazione ed il controllo di qualità di proteine ricombinanti ed altre macromolecole), medico–clinico (per la diagnosi di laboratorio di malattie e per lo sviluppo di nuovi trattamenti terapeutici mirati), alimentare ed ambientale. Negli ultimi anni, questa tecnologia è diventata un potente strumento anche per la diagnosi di laboratorio in microbiologia clinica, rivoluzionando il flusso di lavoro per una rapida identificazione di batteri e funghi, sostituendo l’identificazione fenotipica convenzionale basata su saggi biochimici. Attualmente mediante MALDI-TOF MS sono possibili due diversi approcci per la caratterizzazione dei microrganismi: (1) confronto degli spettri (“mass spectra”) con banche dati contenenti profili di riferimento (“database fingerprints”) e (2) “matching” di bio-marcatori con banche dati proteomiche (“proteome database”). Recentemente, la tecnologia MALDI-TOF, oltre alla sua applicazione classica nell’identificazione di microrganismi, è stata utilizzata per individuare, indirettamente, meccanismi di resistenza agli antibiotici. Primo scopo di questo studio è stato verificare e dimostrare l’efficacia identificativa della metodica MALDI-TOF MS mediante approccio di comparazione degli spettri di differenti microrganismi di interesse medico per i quali l’identificazione risultava impossibile a causa della completa assenza o presenza limitata, di spettri di riferimento all’interno della banca dati commerciale associata allo strumento. In particolare, tale scopo è stato raggiunto per i batteri appartenenti a spirochete del genere Borrelia e Leptospira, a miceti filamentosi (dermatofiti) e protozoi (Trichomonas vaginalis). Secondo scopo di questo studio è stato valutare il secondo approccio identificativo basato sulla ricerca di specifici marcatori per differenziare parassiti intestinali di interesse medico per i quali non è disponibile una banca dati commerciale di riferimento e la sua creazione risulterebbe particolarmente difficile e complessa, a causa della complessità del materiale biologico di partenza analizzato e del terreno di coltura nei quali questi protozoi sono isolati. Terzo ed ultimo scopo di questo studio è stata la valutazione dell’applicabilità della spettrometria di massa con tecnologia MALDI-TOF per lo studio delle resistenze batteriche ai carbapenemi. In particolare, è stato messo a punto un saggio di idrolisi dei carbapenemi rilevata mediante MALDI-TOF MS in grado di determinare indirettamente la produzione di carbapenemasi in Enterobacteriaceae. L’efficacia identificativa della metodica MALDI-TOF mediante l’approccio di comparazione degli spettri è stata dimostrata in primo luogo per batteri appartenenti al genere Borrelia. La banca dati commerciale dello strumento MALDI-TOF MS in uso presso il nostro laboratorio includeva solo 3 spettri di riferimento appartenenti alle specie B. burgdorferi ss, B. spielmani e B. garinii. L’implementazione del “database” con specie diverse da quelle già presenti ha permesso di colmare le lacune identificative dovute alla mancanza di spettri di riferimento di alcune tra le specie di Borrelia più diffuse in Europa (B. afzelii) e nel mondo (come ad esempio B. hermsii, e B. japonica). Inoltre l’implementazione con spettri derivanti da ceppi di riferimento di specie già presenti nel “database” ha ulteriormente migliorato l’efficacia identificativa del sistema. Come atteso, il ceppo di isolamento clinico di B. lusitaniae (specie non presente nel “database”) è stato identificato solo a livello di genere corroborando, grazie all’assenza di mis-identificazione, la robustezza della “nuova” banca dati. I risultati ottenuti analizzando i profili proteici di ceppi di Borrelia spp. di isolamento clinico, dopo integrazione del “database” commerciale, indicano che la tecnologia MALDI-TOF potrebbe essere utilizzata come rapida, economica ed affidabile alternativa ai metodi attualmente utilizzati per identificare ceppi appartenenti a questo genere. Analogamente, per il genere Leptospira dopo la creazione ex-novo della banca dati “home-made”, costruita con i 20 spettri derivati dai 20 ceppi di riferimento utilizzati, è stata ottenuta una corretta identificazione a livello di specie degli stessi ceppi ri-analizzati in un esperimento indipendente condotto in doppio cieco. Il dendrogramma costruito con i 20 MSP-Spectra implementati nella banca dati è formato da due rami principali: il primo formato dalla specie non patogena L. biflexa e dalla specie a patogenicità intermedia L. fainei ed il secondo che raggruppa insieme le specie patogene L. interrogans, L. kirschneri, L. noguchii e L. borgpetersenii. Il secondo gruppo è ulteriormente suddiviso in due rami, contenenti rispettivamente L. borgpetersenii in uno e L. interrogans, L. kirschneri e L. noguchii nell’altro. Quest’ultimo, a sua volta, è suddiviso in due rami ulteriori: il primo comprendente la sola specie L. noguchii, il secondo le specie L. interrogans e L. kirshneri non separabili tra loro. Inoltre, il dendrogramma costruito con gli MSP-Spectra dei ceppi appartenenti ai generi Borrelia e Leptospira acquisiti in questo studio, e appartenenti al genere Brachyspira (implementati in un lavoro precedentemente condotto) mostra tre gruppi principali separati tra loro, uno per ogni genere, escludendo possibili mis-identificazioni tra i 3 differenti generi di spirochete. Un’analisi più approfondita dei profili proteici ottenuti dall’analisi ha mostrato piccole differenze per ceppi della stessa specie probabilmente dovute ai diversi pattern proteici dei distinti sierotipi, come confermato dalla successiva analisi statistica, che ha evidenziato picchi sierotipo-specifici. È stato, infatti, possibile mediante la creazione di un modello statistico dedicato ottenere un “pattern” di picchi discriminanti in grado di differenziare a livello di sierotipo sia i ceppi di L. interrogans sia i ceppi di L. borgpetersenii saggiati, rispettivamente. Tuttavia, non possiamo concludere che i picchi discriminanti da noi riportati siano universalmente in grado di identificare il sierotipo dei ceppi di L. interrogans ed L. borgpetersenii; i picchi trovati, infatti, sono il risultato di un’analisi condotta su uno specifico pannello di sierotipi. È stato quindi dimostrato che attuando piccoli cambiamenti nei parametri standardizzati come l’utilizzo di un modello statistico e di un programma dedicato applicato nella routine diagnostica è possibile utilizzare la spettrometria di massa MALDI-TOF per una rapida ed economica identificazione anche a livello di sierotipo. Questo può significativamente migliorare gli approcci correntemente utilizzati per monitorare l’insorgenza di focolai epidemici e per la sorveglianza degli agenti patogeni. Analogamente a quanto dimostrato per Borrelia e Leptospira, l’implementazione della banca dati dello spettrometro di massa con spettri di riferimento di miceti filamentosi (dermatofiti) si è rilevata di particolare importanza non solo per l’identificazione di tutte le specie circolanti nella nostra area ma anche per l’identificazione di specie la cui frequenza nel nostro Paese è in aumento a causa dei flussi migratori dalla zone endemiche (M. audouinii, T. violaceum e T. sudanense). Inoltre, l’aggiornamento del “database” ha consentito di superare la mis-identificazione dei ceppi appartenenti al complesso T. mentagrophytes (T. interdigitale e T. mentagrophytes) con T. tonsurans, riscontrata prima dell’implementazione della banca dati commerciale. Il dendrogramma ottenuto dai 24 spettri implementati appartenenti a 13 specie di dermatofiti ha rivelato raggruppamenti che riflettono quelli costruiti su base filogenetica. Sulla base dei risultati ottenuti mediante sequenziamento della porzione della regione ITS del genoma fungino non è stato possibile distinguere T. interdigitale e T. mentagrophytes, conseguentemente anche gli spettri di queste due specie presentavano picchi dello stesso peso molecoalre. Da sottolineare che il dendrogramma costruito con i 12 profili proteici già inclusi nel database commerciale e con i 24 inseriti nel nuovo database non riproduce l’albero filogenetico per alcune specie del genere Tricophyton: gli spettri MSP già presenti nel database e quelli aggiunti delle specie T. interdigitale e T. mentagrophytes raggruppano separatamente. Questo potrebbe spiegare le mis-identificazioni di T. interdigitale e T. mentagrophytes con T. tonsurans ottenute prima dell’implementazione del database. L’efficacia del sistema identificativo MALDI-TOF è stata anche dimostrata per microrganismi diversi da batteri e funghi per i quali la metodica originale è stata sviluppata. Sebbene tale sistema identificativo sia stato applicato con successo a Trichomonas vaginalis è stato necessario apportare modifiche nei parametri standard previsti per l’identificazione di batteri e funghi. Le interferenze riscontrate tra i profili proteici ottenuti per i due terreni utilizzati per la coltura di questo protozoo e per i ceppi di T. vaginalis hanno, infatti, reso necessario l’utilizzo di nuovi parametri per la creazione degli spettri di riferimento (MSP-Spectra). L’importanza dello sviluppo del nuovo metodo risiede nel fatto che è possibile identificare sulla base del profilo proteico (e non sulla base di singoli marcatori) microorganismi cresciuti su terreni complessi che potrebbero presentare picchi nell'intervallo di peso molecolare utilizzato a scopo identificativo: metaboliti, pigmenti e nutrienti presenti nel terreno possono interferire con il processo di cristallizzazione e portare ad un basso punteggio identificativo. Per T. vaginalis, in particolare, la “sottrazione” di picchi dovuti a molecole riconducibili al terreno di crescita utilizzato, è stata ottenuta escludendo dall'identificazione l'intervallo di peso molecolare compreso tra 3-6 kDa, permettendo la corretta identificazione di ceppi di isolamento clinico sulla base del profilo proteico. Tuttavia, l’elevata concentrazione di parassita richiesta (105 trofozoiti/ml) per una corretta identificazione, difficilmente ottenibile in vivo, ha impedito l’identificazione di ceppi di T. vaginalis direttamente in campioni clinici. L’approccio identificativo mediante individuazione di specifici marcatori proteici (secondo approccio identificativo) è stato provato ed adottato in questo studio per l’identificazione e la differenziazione di ceppi di Entamoeba histolytica (ameba patogena) ed Entamoeba dispar (ameba non patogena), specie morfologiacamente identiche e distinguibili solo mediante saggi molecolari (PCR) aventi come bersaglio il DNA-18S, che codifica per l’RNA della subunità ribosomiale minore. Lo sviluppo di tale applicazione ha consentito di superare l’impossibilità della creazione di una banca dati dedicata, a causa della complessità del materiale fecale di partenza e del terreno di coltura impiagato per l’isolamento, e di identificare 5 picchi proteici in grado di differenziare E. histolytica da E. dispar. In particolare, l’analisi statistica ha mostrato 2 picchi specifici per E. histolytica e 3 picchi specifici per E. dispar. L’assenza dei 5 picchi discriminanti trovati per E. histolytica e E. dispar nei profili dei 3 differenti terreni di coltura utilizzati in questo studio (terreno axenico LYI-S-2 e terreno di Robinson con e senza E. coli) permettono di considerare questi picchi buoni marcatori in grado di differenziare le due specie. La corrispondenza dei picchi con il PM di due specifiche proteine di E. histolytica depositate in letteratura (Amoebapore A e un “unknown putative protein” di E. histolytica ceppo di riferimento HM-1:IMSS-A) conferma la specificità dei picchi di E. histolytica identificati mediante analisi MALDI-TOF MS. Lo stesso riscontro non è stato possibile per i picchi di E. dispar in quanto nessuna proteina del PM di interesse è presente in GenBank. Tuttavia, va ricordato che non tutte le proteine E. dispar sono state ad oggi caratterizzate e depositate in letteratura. I 5 marcatori hanno permesso di differenziare 12 dei 13 ceppi isolati da campioni di feci e cresciuti in terreno di Robinson confermando i risultati ottenuti mediante saggio di Real-Time PCR. Per un solo ceppo di isolamento clinico di E. histolytica l’identificazione, confermata mediante sequenziamento della porzione 18S-rDNA, non è stata ottenuta mediante sistema MALDI-TOF MS in quanto non sono stati trovati né i picchi corrispondenti a E. histolytica né i picchi corrispondenti a E. dispar. Per questo ceppo è possibile ipotizzare la presenza di mutazioni geno/fenotipiche a livello delle proteine individuate come marcatori specifici per E. histolytica. Per confermare questa ipotesi sarebbe necessario analizzare un numero maggiore di ceppi di isolamento clinico con analogo profilo proteico. L’analisi condotta a diversi tempi di incubazione del campione di feci positivo per E. histolytica ed E. dipar ha mostrato il ritrovamento dei 5 picchi discriminanti solo dopo 12 ore dall’inoculo del campione nel terreno iniziale di Robinson. Questo risultato suggerisce la possibile applicazione del sistema MALDI-TOF MS per identificare ceppi di isolamento clinico di E. histolytica ed E. dipar nonostante la presenza di materiale fecale che materialmente può disturbare e rendere difficile l’interpretazione dello spettro ottenuto mediante analisi MALDI-TOF MS. Infine in questo studio è stata valutata l’applicabilità della tecnologia MALDI-TOF MS come saggio fenotipico rapido per la determinazione di ceppi produttori di carbapenemasi, verificando l'avvenuta idrolisi del meropenem (carbapeneme di riferimento utilizzato in questo studio) a contatto con i ceppi di riferimento e ceppi di isolamento clinico potenzialmente produttori di carbapenemasi dopo la messa a punto di un protocollo analitico dedicato. Il saggio di idrolisi del meropenem mediante MALDI-TOF MS ha dimostrato la presenza o l’assenza indiretta di carbapenemasi nei 3 ceppi di riferimento e nei 1219 (1185 Enterobacteriaceae e 34 non-Enterobacteriaceae) ceppi di isolamento clinico inclusi nello studio. Nessuna interferenza è stata riscontrata per i ceppi di Enterobacteriaceae variamente resistenti ai tre carbapenemi ma risultati non produttori di carbapenemasi mediante i saggi fenotipici comunemente impiegati nella diagnostica routinaria di laboratorio: nessuna idrolisi del farmaco è stata infatti osservata al saggio di idrolisi mediante MALDI-TOF MS. In un solo caso (ceppo di K. pneumoniae N°1135) è stato ottenuto un profilo anomalo in quanto presenti sia i picchi del farmaco intatto che quelli del farmaco idrolizzato. Per questo ceppo resistente ai tre carbapenemi saggiati, negativo ai saggi fenotipici per la presenza di carbapenemasi, è stata dimostrata la presenza del gene blaKPC mediante Real-Time PCR. Per questo ceppo si può ipotizzare la presenza di mutazioni a carico del gene blaKPC che sebbene non interferiscano con il suo rilevamento mediante PCR (Real-Time PCR positiva), potrebbero condizionare l’attività della proteina prodotta (Saggio di Hodge modificato e Test di Sinergia negativi) riducendone la funzionalità come dimostrato, mediante analisi MALDI-TOF MS, dalla presenza dei picchi relativi sia all’idrolisi del farmaco sia dei picchi relativi al farmaco intatto. Questa ipotesi dovrebbe essere confermata mediante sequenziamento del gene blaKPC e successiva analisi strutturale della sequenza amminoacidica deducibile. L’utilizzo della tecnologia MALDI-TOF MS per la verifica dell’avvenuta idrolisi del maropenem è risultato un saggio fenotipico indiretto in grado di distinguere, al pari del test di Hodge modificato impiegato comunemente nella routine diagnostica in microbiologia, un ceppo produttore di carbapenemasi da un ceppo non produttore sia per scopi diagnostici che per la sorveglianza epidemiologica. L’impiego del MALDI-TOF MS ha mostrato, infatti, diversi vantaggi rispetto ai metodi convenzionali (Saggio di Hodge modificato e Test di Sinergia) impiegati nella routine diagnostica di laboratorio i quali richiedono personale esperto per l’interpretazione del risultato e lunghi tempi di esecuzione e di conseguenza di refertazione. La semplicità e la facilità richieste per la preparazione dei campioni e l’immediata acquisizione dei dati rendono questa tecnica un metodo accurato e rapido. Inoltre, il metodo risulta conveniente dal punto di vista economico, con un costo totale stimato di 1,00 euro per ceppo analizzato. Tutte queste considerazioni pongono questa metodologia in posizione centrale in ambito microbiologico anche nel caso del rilevamento di ceppi produttori di carbapenemasi. Indipendentemente dall’approccio identificativo utilizzato, comparato con i metodi convenzionali il MALDI-TOF MS conferisce in molti casi un guadagno in termini di tempo di lavoro tecnico (procedura pre-analititca per la preparazione dei campioni) e di tempo di ottenimento dei risultati (procedura analitica automatizzata). Questo risparmio di tempo si accentua quando sono analizzati in contemporanea un maggior numero di isolati. Inoltre, la semplicità e la facilità richieste per la preparazione dei campioni e l’immediata acquisizione dei dati rendono questo un metodo di identificazione accurato e rapido risultando più conveniente anche dal punto di vista economico, con un costo totale di 0,50 euro (materiale consumabile) per ceppo analizzato. I risultati ottenuti dimostrano che la spettrometria di massa MALDI-TOF sta diventando uno strumento importante in microbiologia clinica e sperimentale, data l’elevata efficacia identificativa, grazie alla disponibilità sia di nuove banche dati commerciali sia di aggiornamenti delle stesse da parte di diversi utenti, e la possibilità di rilevare con successo anche se in modo indiretto le antibiotico-resistenze.
Resumo:
L’allevamento in cattività dei rettili è in costante crescita negli ultimi anni e richiede conoscenze mediche sempre più specialistiche per far fronte ai numerosi problemi legati a questi animali. Il corretto approccio medico prevede una profonda conoscenza delle specie prese in esame dal momento che la maggior parte delle problematiche riproduttive di questi animali sono legate ad una non corretta gestione dei riproduttori. L’apparato riproduttore dei rettili è estremamente vario a seconda delle specie prese in considerazione. Sauri ed ofidi possiedono due organi copulatori denominati emipeni e posizionati alla base della coda caudalmente alla cloaca che vengono estroflessi alternativamente durante l’accoppiamento per veicolare lo spera all’interno della cloaca della femmina. In questi animali il segmento posteriore renale è chiamato segmento sessuale, perché contribuisce alla formazione del fluido seminale. Tale porzione, durante la stagione dell’accoppiamento, diventa più voluminosa e cambia drasticamente colore, tanto che può essere confusa con una manifestazione patologica. I cheloni al contrario possiedono un unico pene che non viene coinvolto nella minzione. In questi animali. I testicoli sono due e sono situati all’interno della cavità celomatica in posizione cranioventrale rispetto ai reni. I testicoli possono variare notevolmente sia come forma che come dimensione a seconda del periodo dell’anno. Il ciclo estrale dei rettili è regolato, come pure nei mammiferi, dagli ormoni steroidei. La variazione di questi ormoni a livello ematico è stata studiato da diversi autori con il risultato di aver dimostrato come la variazione dei dosaggi degli stessi determini l’alternanza delle varie fasi del ciclo riproduttivo. La relazione tra presenza di uova (anche placentari) ed alti livelli di progesterone suggerisce che questo ormone gioca un ruolo importante nelle riproduzione delle specie ovipare per esempio stimolando la vascolarizzazione degli ovidutti durante i tre mesi in cui si ha lo sviluppo delle uova. Il 17-beta estradiolo è stato descritto come un ormone vitellogenico grazie alla sua capacità di promuovere lo sviluppo dei follicoli e la formazione di strati protettivi dell’uovo. L’aumento del livello di estradiolo osservato esclusivamente nelle femmine in fase vitellogenica è direttamente responsabile della mobilizzazione delle riserve materne in questa fase del ciclo. Va sottolineato come il progesterone sia in effetti un antagonista dell’estradiolo, riducendo la vitellogenesi e intensificando gli scambi materno fetali a livello di ovidutto. Le prostaglandine (PG) costituiscono un gruppo di molecole di origine lipidica biologicamente attive, sintetizzate sotto varie forme chimiche. Sono noti numerosi gruppi di prostaglandine ed è risputo che pesci, anfibi, rettili e mammiferi sintetizzano una o più prostaglandine partendo da acidi grassi precursori. Queste sostanze anche nei rettili agiscono sulla mucosa dell’utero aumentandone le contrazioni e sui corpi lutei determinandone la lisi. La maturità sessuale dei rettili, dipende principalmente dalla taglia piuttosto che dall’età effettiva dell’animale. In cattività, l’alimentazione e le cure dell’allevatore, possono giocare un ruolo fondamentale nel raggiungimento della taglia necessaria all’animale per maturare sessualmente. Spesso, un animale d’allevamento raggiunge prima la maturità sessuale rispetto ai suoi simili in natura. La maggior parte dei rettili sono ovipari, ovvero depongono uova con guscio sulla sabbia o in nidi creati appositamente. La condizione di ovoviviparità è riscontrabile in alcuni rettili. Le uova, in questo caso, vengono ritenute all’interno del corpo, fino alla nascita della progenie. Questa può essere considerata una strategia evolutiva di alcuni animali, che in condizioni climatiche favorevoli effettuano l’ovo deposizione, ma se il clima non lo permette, ritengono le uova fino alla nascita della prole. Alcuni serpenti e lucertole sono vivipari, ciò significa che l’embrione si sviluppa all’interno del corpo dell’animale e che è presente una placenta. I piccoli fuoriescono dal corpo dell’animale vivi e reattivi. La partenogenesi è una modalità di riproduzione asessuata, in cui si ha lo sviluppo dell’uovo senza che sia avvenuta la fecondazione. Trenta specie di lucertole e alcuni serpenti possono riprodursi con questo metodo. Cnemidophorus uniparens, C. velox e C. teselatus alternano la partenogenesi a una riproduzione sessuata, a seconda della disponibilità del maschio. La maggior parte dei rettili non mostra alcuna cura materna per le uova o per i piccoli che vengono abbandonati al momento della nascita. Esistono tuttavia eccezioni a questa regola generale infatti alcune specie di pitoni covano le uova fino al momento della schiusa proteggendole dai predatori e garantendo la giusta temperatura e umidità. Comportamenti di guardia al nido sono poi stati documentati in numerosi rettili, sia cheloni che sauri che ofidi. Nella maggior parte delle tartarughe, la riproduzione è legata alla stagione. Condizioni favorevoli, possono essere la stagione primaverile nelle zone temperate o la stagione umida nelle aree tropicali. In cattività, per riprodurre queste condizioni, è necessario fornire, dopo un periodo di ibernazione, un aumento del fotoperiodo e della temperatura. L’ atteggiamento del maschio durante il corteggiamento è di notevole aggressività, sia nei confronti degli altri maschi, con i quali combatte copiosamente, colpendoli con la corazza e cercando di rovesciare sul dorso l’avversario, sia nei confronti della femmina. Infatti prima della copulazione, il maschio insegue la femmina, la sperona, la morde alla testa e alle zampe e infine la immobilizza contro un ostacolo. Il comportamento durante la gravidanza è facilmente riconoscibile. La femmina tende ad essere molto agitata, è aggressiva nei confronti delle altre femmine e inizia a scavare buche due settimane prima della deposizione. La femmina gravida costruisce il nido in diverse ore. Scava, con gli arti anteriori, buche nel terreno e vi depone le uova, ricoprendole di terriccio e foglie con gli arti posteriori. A volte, le tartarughe possono trattenere le uova, arrestando lo sviluppo embrionale della prole per anni quando non trovano le condizioni adatte a nidificare. Lo sperma, inoltre, può essere immagazzinato nell’ovidotto fino a sei anni, quindi la deposizione di uova fertilizzate può verificarsi senza che sia avvenuto l’accoppiamento durante quel ciclo riproduttivo. I comportamenti riproduttivi di tutte le specie di lucertole dipendono principalmente dalla variazione stagionale, correlata al cambiamento di temperatura e del fotoperiodo. Per questo, se si vuole far riprodurre questi animali in cattività, è necessario valutare per ogni specie una temperatura e un’illuminazione adeguata. Durante il periodo riproduttivo, un atteggiamento caratteristico di diverse specie di lucertole è quello di riprodurre particolari danze e movimenti ritmici della testa. In alcune specie, possiamo notare il gesto di estendere e retrarre il gozzo per mettere in evidenza la sua brillante colorazione e richiamare l’attenzione della femmina. L’aggressività dei maschi, durante la stagione dell’accoppiamento, è molto evidente, in alcuni casi però, anche le femmine tendono ad essere aggressive nei confronti delle altre femmine, specialmente durante l’ovo deposizione. La fertilizzazione è interna e durante la copulazione, gli spermatozoi sono depositati nella porzione anteriore della cloaca femminile, si spostano successivamente verso l’alto, dirigendosi nell’ovidotto, in circa 24-48 ore; qui, fertilizzano le uova che sono rilasciate nell’ovidotto dall’ovario. Negli ofidi il corteggiamento è molto importante e i comportamenti durante questa fase possono essere diversi da specie a specie. I feromoni specie specifici giocano un ruolo fondamentale nell’attrazione del partner, in particolar modo in colubridi e crotalidi. La femmina di queste specie emette una traccia odorifera, percepita e seguita dal maschio. Prima dell’accoppiamento, inoltre, il maschio si avvicina alla femmina e con la sua lingua bifida o con il mento, ne percorre tutto il corpo per captare i feromoni. Dopo tale comportamento, avviene la copulazione vera e propria con la apposizione delle cloache; gli emipeni vengono utilizzati alternativamente e volontariamente dal maschio. Durante l’ovulazione, il serpente aumenterà di volume nella sua metà posteriore e contrazioni muscolari favoriranno lo spostamento delle uova negli ovidotti. In generale, se l’animale è oviparo, avverrà una muta precedente alla ovo deposizione, che avviene prevalentemente di notte. Gli spermatozoi dei rettili sono morfologicamente simili a quelli di forme superiori di invertebrati. La fecondazione delle uova, da parte di spermatozoi immagazzinati nel tratto riproduttivo femminile, è solitamente possibile anche dopo mesi o perfino anni dall’accoppiamento. La ritenzione dei gameti maschili vitali è detta amphigonia retardata e si ritiene che questa caratteristica offra molti benefici per la sopravvivenza delle specie essendo un adattamento molto utile alle condizioni ambientali quando c’è una relativa scarsità di maschi conspecifici disponibili. Nell’allevamento dei rettili in cattività un accurato monitoraggio dei riproduttori presenta una duplice importanza. Permette di sopperire ad eventuali errori di management nel caso di mancata fertilizzazione e inoltre permette di capire quale sia il grado di sviluppo del prodotto del concepimento e quindi di stabilire quale sia il giorno previsto per la deposizione. Le moderne tecniche di monitoraggio e l’esperienza acquisita in questi ultimi anni permettono inoltre di valutare in modo preciso lo sviluppo follicolare e quindi di stabilire quale sia il periodo migliore per l’accoppiamento. Il dimorfismo sessuale nei serpenti è raro e anche quando presente è poco evidente. Solitamente nei maschi, la coda risulta essere più larga rispetto a quella della femmina in quanto nel segmento post-cloacale vi sono alloggiati gli emipeni. Il maschio inoltre, è generalmente più piccolo della femmina a parità di età. Molti cheloni sono sessualmente dimorfici sebbene i caratteri sessuali secondari siano poco apprezzabili nei soggetti giovani e diventino più evidenti dopo la pubertà. In alcune specie si deve aspettare per più di 10 anni prima che il dimorfismo sia evidente. Le tartarughe di sesso maschile tendono ad avere un pene di grosse dimensioni che può essere estroflesso in caso di situazioni particolarmente stressanti. I maschi sessualmente maturi di molte specie di tartarughe inoltre tendono ad avere una coda più lunga e più spessa rispetto alle femmine di pari dimensioni e la distanza tra il margine caudale del piastrone e l’apertura cloacale è maggiore rispetto alle femmine. Sebbene la determinazione del sesso sia spesso difficile nei soggetti giovani molti sauri adulti hanno dimorfismo sessuale evidente. Nonostante tutto comunque anche tra i sauri esistono molte specie come per esempio Tiliqua scincoides, Tiliqua intermedia, Gerrhosaurus major e Pogona vitticeps che anche in età adulta non mostrano alcun carattere sessuale secondario evidente rendendone molto difficile il riconoscimento del sesso. Per garantire un riconoscimento del sesso degli animali sono state messe a punto diverse tecniche di sessaggio che variano a seconda della specie presa in esame. L’eversione manuale degli emipeni è la più comune metodica utilizzata per il sessaggio dei giovani ofidi ed in particolare dei colubridi. I limiti di questa tecnica sono legati al fatto che può essere considerata attendibile al 100% solo nel caso di maschi riconosciuti positivi. L’eversione idrostatica degli emipeni esattamente come l’eversione manuale degli emipeni si basa sull’estroflessione di questi organi dalla base della coda, pertanto può essere utilizzata solo negli ofidi e in alcuni sauri. La procedura prevede l’iniezione di fluido sterile (preferibilmente soluzione salina isotonica) nella coda caudalmente all’eventuale posizione degli emipeni. Questa tecnica deve essere eseguita solo in casi eccezionali in quanto non è scevra da rischi. L’utilizzo di sonde cloacali è il principale metodo di sessaggio per gli ofidi adulti e per i sauri di grosse dimensioni. Per questa metodica si utilizzano sonde metalliche dello spessore adeguato al paziente e con punta smussa. Nei soggetti di genere maschile la sonda penetra agevolmente al contrario di quello che accade nelle femmine. Anche gli esami radiografici possono rendersi utili per il sessaggio di alcune specie di Varani (Varanus achanturus, V. komodoensis, V. olivaceus, V. gouldi, V. salvadorii ecc.) in quanto questi animali possiedono zone di mineralizzazione dei tessuti molli (“hemibacula”) che possono essere facilmente individuate nei maschi. Diversi studi riportano come il rapporto tra estradiolo e androgeni nel plasma o nel liquido amniotico sia un possibile metodo per identificare il genere sessuale delle tartarughe. Per effettuare il dosaggio ormonale, è necessario prelevare un campione di sangue di almeno 1 ml ad animale aspetto che rende praticamente impossibile utilizzare questo metodo di sessaggio nelle tartarughe molto piccole e nei neonati. L’ecografia, volta al ritrovamento degli emipeni, sembra essere un metodo molto preciso, per la determinazione del sesso nei serpenti. Uno studio compiuto presso il dipartimento di Scienze Medico Veterinarie dell’Università di Parma, ha dimostrato come questo metodo abbia una sensibilità, una specificità e un valore predittivo positivo e negativo pari al 100%. La radiografia con mezzo di contrasto e la tomografia computerizzata possono essere utilizzate nel sessaggio dei sauri, con buoni risultati. Uno studio, compiuto dal dipartimento di Scienze Medico Veterinarie, dell’Università di Parma, ha voluto mettere a confronto diverse tecniche di sessaggio nei sauri, tra cui l’ecografia, la radiografia con e senza mezzo di contrasto e la tomografia computerizzata con e senza mezzo di contrasto. I risultati ottenuti, hanno dimostrato come l’ecografia non sia il mezzo più affidabile per il riconoscimento degli emipeni e quindi del sesso dell’animale, mentre la radiografia e la tomografia computerizza con mezzo di contrasto siano tecniche affidabili e accurate in queste specie. Un metodo valido e facilmente realizzabile per il sessaggio dei cheloni anche prepuberi è la cistoscopia. In un recente studio la cistoscopia è stata effettuata su quindici cheloni deceduti e venticinque cheloni vivi, anestetizzati. In generale, questo metodo si è dimostrato non invasivo per le tartarughe, facilmente ripetibile in diversi tipi di tartarughe e di breve durata. Tra le principali patologie riproduttive dei rettili le distocie sono sicuramente quelle che presentano una maggior frequenza. Quando si parla di distocia nei rettili, si intendono tutte quelle situazioni in cui si ha una mancata espulsione e deposizione del prodotto del concepimento entro tempi fisiologici. Questa patologia è complessa e può dipendere da diverse cause. Inoltre può sfociare in malattie sistemiche a volte molto severe. Le distocie possono essere classificate in ostruttive e non ostruttive in base alle cause. Si parla di distocia ostruttiva quando si verificano delle condizioni per cui viene impedito il corretto passaggio delle uova lungo il tratto riproduttivo (Fig.13). Le cause possono dipendere dalla madre o dalle caratteristiche delle uova. Nel caso di distocia non ostruttiva le uova rinvenute sono solitamente di dimensioni normali e la conformazione anatomica della madre è fisiologica. L’eziologia è da ricercare in difetti comportamentali, ambientali e patologici. Non esistono sintomi specifici e patognomonici di distocia. La malattia diviene evidente e conclamata solamente in presenza di complicazioni. Gli approcci terapeutici possibili sono vari a seconda della specie animale e della situazione. Fornire un’area adeguata per la nidiata: se la distocia non è ostruttiva si può cercare di incoraggiare l’animale a deporre autonomamente le uova creando un idoneo luogo di deposizione. Il trattamento medico prevede la stimolazione della deposizione delle uova ritenute mediante l’induzione con ossitocina. L’ossitocina viene somministrata alle dosi di 1/3 UI/kg per via intramuscolare. Uno studio condotto presso l’Università veterinaria di Parma ha comparato le somministrazioni di ossitocina per via intramuscolare e per via intravenosa, confrontando le tempistiche con le quali incominciano le contrazioni e avviene la completa ovodeposizione e dimostrando come per via intravenosa sia possibile somministrare dosi più basse rispetto a quelle riportate solitamente in letteratura ottenendo comunque un ottimo risultato. Nel caso in cui il trattamento farmacologico dovesse fallire o non fosse attuabile, oppure in casi di distocia ostruttiva è possibile ricorrere alla chirurgia. Per stasi follicolare si intende la incapacità di produrre sufficiente quantità di progesterone da corpi lutei perfettamente funzionanti. Come per la distocia, l’eziologia della stasi follicolare è variegata e molto ampia: le cause possono essere sia ambientali che patologiche. La diagnosi clinica viene fatta essenzialmente per esclusione. Come per la distocia, anche in questo caso l’anamnesi e la raccolta del maggior quantitativo di informazioni è fondamentale per indirizzarsi verso il riconoscimento della patologia. Per prolasso si intende la fuoriuscita di un organo attraverso un orifizio del corpo. Nei rettili, diversi organi possono prolassare attraverso la cloaca: la porzione terminale dell’apparato gastroenterico, la vescica urinaria, il pene nel maschio (cheloni) e gli ovidutti nella femmina. In sauri e ofidi gli emipeni possono prolassare dalle rispettive tasche in seguito ad eccesiva attività sessuale97. La corretta identificazione del viscere prolassato è estremamente importante e deve essere effettuata prima di decidere qualsiasi tipologia di trattamento ed intervento. Nei casi acuti e non complicati è possibile la riduzione manuale dell’organo, dopo un accurato lavaggio e attenta pulizia. Se questo non dovesse essere possibile, l’utilizzo di lubrificanti e pomate antibiotiche garantisce all’organo una protezione efficiente. Nel caso in cui non si sia potuto intervenire celermente e l’organo sia andato incontro a infezione e congestione venosa prolungata con conseguente necrosi, l’unica soluzione è l’amputazione
Resumo:
Le formiche svolgono un importante ruolo all’interno degli ecosistemi ed alcune specie sono considerate keystone in quanto in grado di modificare la componente biotica e/o abiotica dell’ecosistema stesso. Sono animali ubiquitari che hanno colonizzato molteplici ambienti, compresi gli agroecosistemi. Negli agroecosistemi spesso svolgono un ruolo impattante determinando la diffusione o il regresso di specie di artropodi, alcune delle quali dannose alle colture. La presente ricerca tiene conto di un’ampia visione dei rapporti ecoetologici intercorrenti tra le formiche e la componente biotica di un ecosistema, utilizzando il concetto di rete multitrofica. In quest’ottica, si è pensato di costruire un sistema multitrofico costituito da una specie vegetale di interesse agrario (Cucumis sativus), dai suoi fitofagi naturali, divisi in fitomizi (afidi) (Aphis gossypii e Myzus persicae) e fitofagi masticatori (bruchi del lepidottero Mamestra brassicae), formiche (Formica pratensis) e predatori afidofagi (Aphidolets aphidimyza). Il sistema multitrofico è stato utilizzato sia per studiare l’aggressività delle formiche, sia per verificare l’esistenza di una comunicazione interspecifica tra le formiche e le piante (allelochimici). Gli studi sull’aggressività sono consistiti nel: • Verificare il livello di aggressività delle formiche nei confronti di un fitofago masticatore, competitore degli afidi nello sfruttare la pianta ospite. • Verificare se la presenza di afidi mutualisti fa variare il livello di aggressività delle formiche verso il competitore. • Verificare se esiste aggressività verso un predatore di afidi, i quali, secondo il paradigma della trofobiosi, dovrebbero essere difesi dalle formiche in cambio della melata. • Verificare se il predatore ha evoluto strategie volte ad eludere il controllo delle formiche sugli insetti che si approcciano alla colonia di afidi. Gli studi sui rapporti piante-formiche sono stati effettuati mediante olfattometro, osservando la risposta delle formiche alle sostanze volatili provenienti da piante infestate in modo differente con i fitofagi del sistema. Attraverso il trappolaggio e l’analisi gas-cromatografica delle sostanze prodotte dalle piante oggetto di studio abbiamo quindi individuato tipo e quantità di ogni composto volatile. Oltre alle piante di cetriolo, per questi esperimenti sono state utilizzate anche piante di patata (Solanum tuberosum). Dagli esperimenti sull’aggressività è risultato che le formiche manifestano un elevato potenziale predatorio, eradicando completamente la presenza dei bruchi sulle piante. Questo livello di aggressività tuttavia non cresce con la presenza degli afidi mutualisti che dovrebbero essere difesi dai competitori. Le formiche inoltre non sono in grado di sopprimere i predatori afidofagi che ipotizziamo riescano ad effettuare un camuffamento chimico, assumendo gli odori degli afidi dei quali si nutrono. I risultati degli esperimenti in olfattometro mostrano una chiara risposta positiva delle formiche verso gli odori di alcune delle piante infestate. Vi sono delle differenze nella risposta in funzione della specie di fitofago presente e della specie di pianta utilizzata. Nei trattamenti in cui erano presenti le piante di C. sativus, gli esperimenti in olfattometro hanno mostrato che le formiche rispondono in modo significativo agli odori emessi dalle piante in cui vi era la presenza del fitofago masticatore M. brassicae, solo o in associazione con A. gossypii. La presenza dei soli afidi, sia mutualisti (A. gossypii) sia non mutualisti (M. persicae), non ha invece indotto una risposta significativa nelle formiche rispetto agli odori delle piante non infestate. Nei trattamenti in cui erano presenti le piante di S. tuberosum la scelta delle formiche è stata significativa verso gli odori emessi dalle piante infestate con ciascuna delle singole specie di erbivori rispetto alle piante non infestate. Gli esperimenti sull’analisi delle sostanze volatili emesse dalle piante hanno confermato che gli organismi vegetali sono una vera centrale di produzione biochimica, infatti ben 91 composti volatili diversi sono stati individuati dall’analisi gas-cromatografica delle piante di cetriolo e 85 in quelle di patata. Dalle elaborazioni effettuate, rispettivamente 27 e 4 di essi sono prodotti esclusivamente dalle piante attaccate dai fitofagi. In generale, il cambiamento più consistente è dato dalla quantità di alcune sostanze volatili emesse dalle piante infestate rispetto a quelle integre che determina un cambiamento nei rapporti tra le sostanze che compongono i volatiles. E’ probabile che l’effetto attrattivo esercitato sulle formiche sia dato da un Blend di sostanze più che dai singoli composti presenti
Resumo:
INTRODUZIONE: L’integrazione mente-corpo applicata ad un ambito patologico predominante in questi tempi, come il cancro, è il nucleo di questa tesi. Il background teorico entro cui è inserita, è quello della Psiconeuroendocrinoimmunologia (Bottaccioli, 1995) e Psico-Oncologia. Sono state identificate, nella letteratura scientifica, le connessioni tra stati psicologici (mente) e condizioni fisiologiche (corpo). Le variabili emerse come potenzialmente protettive in pazienti che si trovano ad affrontare il cancro sono: il supporto sociale, l’immagine corporea, il coping e la Qualità della Vita, insieme all’indice fisiologico Heart Rate Variability (HRV; Shaffer & Venner, 2013). Il potenziale meccanismo della connessione tra queste variabili potrebbe essere spiegato dall’azione del Nervo Vago, come esposto nella Teoria Polivagale di Stephen Porges (2007; 2009). OBIETTIVI: Gli obiettivi principali di questo studio sono: 1. Valutare l’adattamento psicologico alla patologia in termini di supporto sociale percepito, immagine corporea, coping prevalente e qualità della vita in donne con cancro ovarico; 2. Valutare i valori di base HRV in queste donne; 3. Osservare se livelli più elevati di HRV sono associati ad un migliore adattamento psicologico alla patologia; 4. Osservare se una peggiore percezione dell’immagine corporea e l’utilizzo di strategie di coping disadattive sono associate ad una Qualità della Vita più scarsa. METODO: 38 donne affette da cancro ovarico, al momento della valutazione libere da patologia, sono state reclutate presso la clinica oncologica del reparto di Ginecologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma, Italia. Ad ogni partecipante è stato chiesto di compilare una batteria di test composta da: MSPSS, per la valutazione del supporto sociale percepito; DAS-59, per la valutazione dell’immagine corporea; MAC, per la valutazione delle strategie di coping prevalenti utilizzate verso il cancro; EORTC-QLQ30, per la valutazione della Qualità della Vita. Per ogni partecipante è stato registrato HRV di base utilizzando lo strumento emWave (HeartMath). RISULTATI PRINCIPALI: Rispondendo agli obiettivi 1 e 2, in queste donne si è rilevato una alto tasso di supporto sociale percepito, in particolare ricevuto dalla persona di riferimento. L’area rivelatasi più critica nel supporto sociale è quella degli amici. Per quanto riguarda l’immagine corporea, la porzione di campione dai 30 ai 61 anni, ha delle preoccupazioni globali legate all’immagine corporea paragonabili ai dati provenienti dalla popolazione generale con preoccupazioni riguardo l’aspetto corporeo. Invece, nella porzione di campione dai 61 anni in su, il pattern di disagio verso l’aspetto fisico sembra decisamente peggiorare. Inoltre, in questo campione, si è rilevato un disagio globale verso l’immagine corporea significativamente più alto rispetto ai valori normativi presenti in letteratura riferiti a donne con cancro al seno con o senza mastectomia (rispettivamente t(94)= -4.78; p<0.000001; t(110)= -6.81;p<0.000001). La strategia di coping più utilizzata da queste donne è lo spirito combattivo, seguito dal fatalismo. Questo campione riporta, inoltre, una Qualità della Vita complessivamente soddisfacente, con un buon livello di funzionamento sociale. L’area di funzionalità più critica risulta essere il funzionamento emotivo. Considerando i sintomi prevalenti, i più riferiti sono affaticamento, disturbi del sonno e dolore. Per definire, invece, il pattern HRV, sono stati confrontati i dati del campione con quelli presenti in letteratura, riguardanti donne con cancro ovarico. Il campione valutato in questo studio, ha un HRV SDNN (Me=28.2ms) significativamente più alto dell’altro gruppo. Tuttavia, confrontando il valore medio di questo campione con i dati normativi sulla popolazione sana (Me=50ms), i nostri valori risultano drasticamente più bassi. In ultimo, donne che hanno ricevuto diagnosi di cancro ovarico in età fertile, sembrano avere maggiore HRV, migliore funzionamento emotivo e minore sintomatologia rispetto alle donne che hanno ricevuto diagnosi non in età fertile. Focalizzando l’attenzione sulla ricerca di relazioni significative tra le variabili in esame (obiettivo 3 e 4) sono state trovate numerose correlazioni significative tra: l’età e HRV, supporto percepito , Qualità della Vita; Qualità della Vita e immagine corporea, supporto sociale, strategie di coping; strategie di coping e immagine corporea, supporto sociale; immagine corporea e supporto sociale; HRV e supporto sociale, Qualità della Vita. Per verificare la possibile connessione causale tra le variabili considerate, sono state applicate regressioni lineari semplici e multiple per verificare la bontà del modello teorico. Si è rilevato che HRV è significativamente positivamente influenzata dal supporto percepito dalla figura di riferimento, dal funzionamento di ruolo, dall’immagine corporea totale. Invece risulta negativamente influenzata dal supporto percepito dagli amici e dall’uso di strategie di coping evitanti . La qualità della vita è positivamente influenzata da: l’immagine corporea globale e l’utilizzo del fatalismo come strategia di coping prevalente. Il funzionamento emotivo è influenzato dal supporto percepito dalla figura di riferimento e dal fatalismo. DISCUSSIONI E CONCLUSIONI: Il campione Italiano valutato, sembra essere a metà strada nell’adattamento dello stato psicologico e dell’equilibrio neurovegetativo al cancro. Sicuramente queste donne vivono una vita accettabile, in quanto sopravvissute al cancro, ma sembra anche che portino con sé preoccupazioni e difficoltà, in particolare legate all’accettazione della loro condizione di sopravvissute. Infatti, il migliore adattamento si riscontra nelle donne che hanno avuto peggiori condizioni in partenza: stadio del cancro avanzato, più giovani, con diagnosi ricevuta in età fertile. Pertanto, è possibile suggerire che queste condizioni critiche forzino queste donne ad affrontare apertamente il cancro e la loro situazione di sopravvissute al cancro, portandole ad “andare avanti” piuttosto che “tornare indietro”. Facendo riferimento alle connessioni tra variabili psicologiche e fisiologiche in queste donne, si è evidenziato che HRV è influenzata dalla presenza di figure significative ma, in particolare, è presumibile che sia influenzata da un’appropriata condivisione emotiva con queste figure. Si è anche evidenziato che poter continuare ad essere efficaci nel proprio contesto personale si riflette in un maggiore HRV, probabilmente in quanto permette di preservare il senso di sé, riducendo in questo modo lo stress derivante dall’esperienza cancro. Pertanto, HRV in queste donne risulta associato con un migliore adattamento psicologico. Inoltre, si è evidenziato che in queste donne la Qualità della Vita è profondamente influenzata dalla percezione dell’immagine corporea. Si tratta di un aspetto innovativo che è stato rilevato in questo campione e che, invece, nei precedenti studi non è stato indagato. In ultimo, la strategia di coping fatalismo sembra essere protettiva e sembra facilitare il processo di accettazione del cancro. Si spera sinceramente che le ricerche future possano superare i limiti del presente studio, come la scarsa numerosità e l’uso di strumenti di valutazione che, per alcuni aspetti come la scala Evitamento nel MAC, non centrano totalmente il target di indagine. Le traiettorie future di questo studio sono: aumentare il numero di osservazioni, reclutando donne in diversi centri specialistici in diverse zone d’Italia; utilizzare strumenti più specifici per valutare i costrutti in esame; valutare se un intervento di supporto centrato sul miglioramento di HRV (come HRV Biofeedback) può avere una ricaduta positiva sull’adattamento emotivo e la Qualità della Vita.
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L’utilizzo di nanomateriali, ovvero una nuova classe di sostanze composte da particelle ultrafini con dimensioni comprese fra 1 e 100 nm (American Society for Testing Materials - ASTM), è in costante aumento a livello globale. La particolarità di tali sostanze è rappresentata da un alto rapporto tra la superficie e il volume delle particelle, che determina caratteristiche chimico-fisiche completamente differenti rispetto alle omologhe macrosostanze di riferimento. Tali caratteristiche sono tali da imporre una loro classificazione come nuovi agenti chimici (Royal Society & Royal Academy of Engineering report 2004). Gli impieghi attuali dei nanomateriali risultano in continua evoluzione, spaziando in diversi ambiti, dall’industria farmaceutica e cosmetica, all’industria tessile, elettronica, aerospaziale ed informatica. Diversi sono anche gli impieghi in campo biomedico; tra questi la diagnostica e la farmacoterapia. È quindi prevedibile che in futuro una quota sempre maggiore di lavoratori e consumatori risulteranno esposti a tali sostanze. Allo stato attuale non vi è una completa conoscenza degli effetti tossicologici ed ambientali di queste sostanze, pertanto, al fine di un loro utilizzo in totale sicurezza, risulta necessario capirne meglio l’impatto sulla salute, le vie di penetrazione nel corpo umano e il rischio per i lavoratori conseguente al loro utilizzo o lavorazione. La cute rappresenta la prima barriera nei confronti delle sostanze tossiche che possono entrare in contatto con l’organismo umano. Successivamente agli anni ‘60, quando si riteneva che la cute rappresentasse una barriera totalmente impermeabile, è stato dimostrato come essa presenti differenti gradi di permeabilità nei confronti di alcuni xenobiotici, dipendente dalle caratteristiche delle sostanze in esame, dal sito anatomico di penetrazione, dal grado di integrità della barriera stessa e dall’eventuale presenza di patologie della cute. La mucosa del cavo orale funge da primo filtro nei confronti delle sostanze che entrano in contatto con il tratto digestivo e può venir coinvolta in contaminazioni di superficie determinate da esposizioni occupazionali e/o ambientali. È noto che, rispetto alla cute, presenti una permeabilità all’acqua quattro volte maggiore, e, per tale motivo, è stata studiata come via di somministrazione di farmaci, ma, ad oggi, pochi sono gli studi che ne hanno valutato le caratteristiche di permeazione nei confronti delle nanoparticelle (NPs). Una terza importante barriera biologica è quella che ricopre il sistema nervoso centrale, essa è rappresentata da tre foglietti di tessuto connettivo, che assieme costituiscono le meningi. Questi tre foglietti rivestono completamente l’encefalo permettendone un isolamento, tradizionalmente ritenuto completo, nei confronti degli xenobiotici. L’unica via di assorbimento diretto, in questo contesto, è rappresentata dalla via intranasale. Essa permette un passaggio diretto di sostanze dall’epitelio olfattivo all’encefalo, eludendo la selettiva barriera emato-encefalica. Negli ultimi anni la letteratura scientifica si è arricchita di studi che hanno indagato le caratteristiche di assorbimento di farmaci attraverso questa via, ma pochissimi sono gli studi che hanno indagato la possibile penetrazione di nanoparticelle attraverso questa via, e nessuno, in particolar modo, ha indagato le caratteristiche di permeazione delle meningi. L’attività di ricerca svolta nell’ambito del presente dottorato ha avuto per finalità l’indagine delle caratteristiche di permeabilità e di assorbimento della cute, della mucosa del cavo orale e delle meningi nei confronti di alcune nanoparticelle, scelte fra quelle più rappresentative in relazione alla diffusione d’utilizzo a livello globale. I risultati degli esperimenti condotti hanno dimostrato, in vitro, che l’esposizione cutanea a Pt, Rh, Co3O4 e Ni NPs determinano permeazione in tracce dei medesimi metalli attraverso la cute, mentre per le TiO2 NPs tale permeazione non è stata dimostrata. È stato riscontrato, inoltre, che la mucosa del cavo orale e le meningi sono permeabili nei confronti dell’Ag in forma nanoparticellare.
Resumo:
GabR è un fattore di trascrizione chimerico appartenente alla famiglia dei MocR/GabR, costituito da un dominio N-terminale elica-giro-elica di legame al DNA e un dominio effettore e/o di oligomerizzazione al C-terminale. I due domini sono connessi da un linker flessibile di 29 aminoacidi. Il dominio C-terminale è strutturalmente omologo agli enzimi aminotransferasici fold-type I, i quali, utilizzando il piridossal-5’-fosfato (PLP) come cofattore, sono direttamente coinvolti nel metabolismo degli aminoacidi. L’interazione contemporanea di PLP e acido γ-aminobutirrico (GABA) a GabR fa sì che questa promuova la trascrizione di due geni, gabT e gabD, implicati nel metabolismo del GABA. GabR cristallizza come un omodimero con una configurazione testa-coda. Il legame con la regione promotrice gabTD avviene attraverso il riconoscimento specifico di due sequenze dirette e ripetute (ATACCA), separate da uno spacer di 34 bp. In questo studio sono state indagate le proprietà biochimiche, strutturali e di legame al DNA della proteina GabR di Bacillus subtilis. L’analisi spettroscopica dimostra che GabR interagisce con il PLP formando l’aldimina interna, mentre in presenza di GABA si ottiene l’aldimina esterna. L’interazione fra il promotore gabTD e le forme holo e apo di GabR è stata monitorata mediante Microscopia a Forza atomica (AFM). In queste due condizioni di legame è stata stimata una Kd di circa 40 ηM. La presenza di GABA invece, determinava un incremento di circa due volte della Kd, variazioni strutturali nei complessi GabR-DNA e una riduzione del compattamento del DNA alla proteina, indipendentemente dalla sequenza del promotore in esame. Al fine di valutare il ruolo delle caratteristiche topologiche del promotore, sono state inserite cinque e dieci bp all’interno della regione spacer che separa le due sequenze ripetute dirette riconosciute da GabR. I significativi cambiamenti topologici riscontrati nel frammento aggiunto di cinque bp si riflettono anche sulla forte riduzione dell’affinità di legame verso la proteina. Al contrario, l’inserzione di 10 bp provoca solamente l’allontanamento delle sequenze ripetute dirette. L’assenza quindi di cambiamenti significativi nella topologia di questo promotore fa sì che l’affinità di legame per GabR rimanga pressoché inalterata rispetto al promotore non mutato. L’analisi del potenziale elettrostatico superficiale di GabR mostra la presenza di una fascia carica positivamente che si estende lungo un’intera faccia della proteina. Per verificare l’importanza di questa caratteristica di GabR nel meccanismo di interazione al DNA, sono stati preparati ed indagati i mutanti R129Q e K362-366Q, in cui la carica positiva superficiale risultava indebolita. L’affinità di legame dei mutanti di GabR per il DNA era inferiore rispetto alla proteina non mutata, in particolar modo nel mutante K362-366Q. Le evidenze acquisite suggeriscono che la curvatura intrinseca del promotore ed il corretto orientamento delle sequenze sulla doppia elica, più della distanza che le separa, siano critici per sostenere l’interazione con GabR. Oltre a questo, la superficie positiva di GabR è richiesta per accomodare la curvatura del DNA sul corpo della proteina. Alla luce di questo, l’interazione GabR-gabTD è un esempio di come il riconoscimento specifico di sequenze, la topologia del DNA e le caratteristiche strutturali della proteina siano contemporaneamente necessarie per sostenere un’interazione proteina-DNA stabile.