992 resultados para vela, ravenna, riqualificazione urbana, museo, Canale candiano
Resumo:
Il MUV, ovvero il Museo della Vela di Ravenna vuole ripercorrere la storia della navigazione a vela dai primordi ai giorni nostri. La quantità di materiale ed il tema di enormi dimensioni richiedono la semplificazione dell’apparato museologico. La vela, come la ruota, è stata probabilmente una delle più grandi invenzioni nella storia dell’umanità considerando che la maggior parte del globo è composta da acqua, permetteva di muoversi, emigrare, esplorare, scappare, procacciare cibo, comunicare, conquistare e commerciare. In questo museo si vuole ripercorrere la storia della vela attraverso i cambiamenti significativi delle tre parti fondamentali di una imbarcazione a vela: scafo, timone e vela. Infatti, ognuno di questi componenti è stato, durante la storia dell’uomo, ottimizzato e trasformato per poter sfruttare al massimo l’energia del vento. Le sezioni espositive saranno divise per grandi periodi significativi della storia, cercando di creare un filo conduttore. Dapprima la vela era utilizzata per muoversi più velocemente e per cercare cibo, poi per il trasporto e la vendita di materie prime e successivamente per andare alla scoperta del mondo e per combattere mentre ora è anche strumento di diletto o competizione sportiva. Tutti questi casi sono accumunati dalla volontà dell’uomo di arrivare sempre per primo, a prescindere dall’epoca o dallo scopo. In fondo all’inizio si competeva per raggiungere per primi un nuovo territorio, poi arrivare primi voleva dire decidere il prezzo delle spezie sul mercato e successivamente avere una barca veloce permetteva poter sfuggire al nemico o catturarlo. Adesso si compete per sport, per diletto o , secondo le ultime necessità ecosostenibili, per riuscire a muoversi più velocemente possibile ma anche nel modo più economico e sostenibile. Il MUV cerca di raccontare la continua ed infinita “ regata ” che l’uomo nel corso dei secoli compie con se stesso e di mostrare al visitatore come sono cambiati scafi, vele e metodi di navigazione durante la storia. Il progetto nasce dall’idea di valorizzare l’area urbana in sponda sinistra del Canale Candiano nella città di Ravenna compresa tra le vie Eustachio Manfredi, Montecatini, delle Industrie e Salona oggi area a destinazione industriale in forte trasformazione con utilizzo futuro a prevalenza civica, ossia per l’istruzione , la ricerca, lo svago e cultura. I principali obiettivi sono stati il miglioramento dell’accessibilità del Canale Candiano dagli spazi circostanti, rendendo fruibile al visitatore soprattutto le rive del canale riavvicinando così la città all’acqua e la progettazione di idonei edifici museali e di ricerca per accogliere, mostrare e conservare il patrimonio e di creare un anello di congiunzione funzionale e culturale all’interno del tessuto urbano creando interconnessioni tra i vari livelli di conoscenza e di accessibilità nel mondo velico. La volontà è stata quella di non creare un’isola nella città ma di creare un anello di congiunzione funzionale e culturale all’interno del tessuto urbano creando interconnessioni tra i vari livelli di conoscenza e di accessibilità. Nell’ area potrà accedere chi si avvicina alla vela, chi la conosce e vorrebbe saperne di più, un esperto velista o chi lavora nel settore dei materiali costruttivi o nel campo universitario e di sperimentazione. Il complesso museale è stato pensato per mantenere fruibile a tutti l’attacco a terra dandogli un carattere prettamente pubblico. Il museo vero e proprio è composto da una serie di volumi che si adagiano attorno alla grande permanenza in laterizio e calcestruzzo e insieme a questa creano una corte pubblica di 35 m x 35 m. L’intero patio con i vari camminamenti perimetrali è fruibili a chiunque, anche senza biglietto così come il corpo a ovest, orientato secondo l’asse che collega l’area al Mausoleo di Teodorico, che contiene una caffetteria, il bookshop più vari servizi. Sul lato nord e sul alto est del patio un’altra caffetteria, un ristorante e una parte di esposizione temporanea concludono l’attacco a terra dandogli definitivamente un carattere pubblico. Così facendo ho cercato di aprire lo spazio del patio verso tutta l’area mentre sul lato ovest c’è stata la volontà di chiudersi rispetto all’intorno essendo vicini a una zona residenziale e si è deciso di destinare questa parte a deposito, carico-scarico e servizi del personale. La disposizione dei volumi dell’edificio museale è stata subordinata nel rispetto dell’edificio di valore documentale in laterizio che si voleva mantenere. Partendo da una griglia modulata sugli edifici con vincoli comunali presenti nell’area il museo si è sviluppato come blocchi longitudinali di pochi piani. La volontà di abbracciare il volume in laterizio è stata fin da subito una delle scelte chiave e ha dato cosi forma a una grande corte che richiama i chiostri delle basiliche del centro di Ravenna, trattando quindi quasi come un monumento la vecchia fabbrica di zolfo.
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L’intenzione di questo progetto, all’interno di un’area complessa come la Darsena di città, è quella di comporre un nuovo museo per la città, un museo del mare. Perchè il museo del mare? A Ravenna esistono tanti musei che riguardano la cultura, l’arte, la scienza, l’archeologia ecc., ma tra tutti questi musei di funzione varia non c’è nessun’altro legato a quell’elemento fonte su cui si è basata tutta la storia e essenza di Ravenna – l’acqua. Per questo motivo, il nuovo progetto sulla Darsena e prima di tutto sul Canale Candiano vuole costruire un nuovo complesso per la città che comprende tutto quello che insieme all’acqua è diventato un patrimonio da conservare e mostrare.
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La presente tesi si pone in continuità con il Laboratorio di Sintesi Finale in Urbanistica “La città e le case. L’urbanistica e lo spazio dell’abitare”e si propone di applicare e sperimentare una nuova forma urbana quella dell’open block derivante dall’omonima teoria dell’architetto francese Christian de Portzamparc. L’intervento si inserisce all’interno della cosiddetta Darsena di Città di Ravenna, un’ex area industriale di 136 ettari collocata a ridosso del centro storico della città, ma priva di collegamenti diretti con questo da cui si discosta nettamente per caratteristiche e funzioni. Nel corso del laboratorio si sono condotte analisi in maniera approfondita rispetto alle caratteristiche dello stato di fatto e dei bisogni principali del territorio, non solo facendo riferimento agli stessi strumenti urbanistici, ma anche avvalendosi dell’incontro con professionisti, tecnici e docenti. La conoscenza dell’area così raggiunta ci ha permesso di redigere, a conclusione del laboratorio, una serie di linee guida generali da cui nasce il masterplan. Su questo si basa la riqualificazione urbana dell’intera area da cui deriva la peculiarità della nuova Darsena ovvero la coesistenza di due rive dalle caratteristiche opposte e allo stesso tempo complementari. A nord trova spazio la “riva naturale” contraddistinta dalla prevalenza di spazi verdi di diversa natura; questa riva si pone in stretta relazione con il verde agricolo collocato nelle immediate vicinanze della Darsena e fortemente segnato dalla centuriazione romana. La riva sud, la “riva urbana”, è invece caratterizzata dalla prevalenza del costruito che trova un diretto confronto con il tessuto urbano preesistente collocato sia all’interno dell’area sia lungo il limite sud della stessa. Grande importanza per la riqualificazione del Comparto Darsena è stata data al mantenimento degli edifici di archeologia industriale ai quali viene dato ruolo centrale attraverso le nuove funzioni che vengono loro affidate. Altro aspetto fondamentale per la riuscita della riqualificazione della Darsena e allo stesso tempo valoreaggiunto per l’intero territorio comunale, nonché argomento centrale della presente tesi, è il tema dell’housing sociale. A seguito di analisi, studi sulle politiche abitative attualmente vigenti a livello regionale e comunale e indagini sui bisogni radicati nel territorio, si è redatto un masterplan da cui nasce un progetto per un quartiere con housing sociale situato all’interno del comparto CMC. Il progetto nasce dalle riflessioni condotte sull’argomento, mette al centro l’idea della mixité e si fonda sulla forma urbana dell’isolato aperto.
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La presente Tesi di Laurea si pone in continuità rispetto al Laboratorio di Sintesi Finale in Urbanistica “Spiagge urbane. Paesaggi, luoghi, architetture nella città balneare adriatica”. Nel corso del Laboratorio si è condotto uno studio delle possibili soluzioni per la riqualificazione dell’area e delle colonie fortemente degradate della “Città delle Colonie del Marano”. Si è anche condotto uno studio di ciò che sono state le Colonie Marine ed il turismo di massa per le realtà balneari della Riviera Romagnola. Il patrimonio delle colonie marine include 246 edifici in Romagna, edifici di altri tempi che guardano il mare da una posizione di privilegio. Infatti da Ravenna a Cattolica le colonie marine testimoniano un patrimonio edilizio ormai perduto ed in certi casi dimenticato. Purtroppo ad oggi risultano in stato di abbandono totale, rimanendo comunque forti testimonianze storiche. Queste città delle colonie sono pertanto aree da riqualificare e da reinventare, in grado di offrire nuove potenzialità e nuovi sviluppi alle città e al turismo della Riviera. La prima fase del Laboratorio ha riguardato l’analisi del territorio compreso tra i Comuni di Rimini e Riccione, cercando di estrapolare qualsiasi caratteristica di queste aree da riutilizzare, da valorizzare e da riprogettare : si sono studiate le colonie, le loro aree di pertinenza, i loro vincoli, le aree fluviali da salvaguardare, le infrastrutture e la potenzialità edificatoria del territorio. In una seconda fase di lavoro, si sono fatti incontri con docenti e professionisti al fine di approfondire gli eventuali progetti di riqualificazione già avviati, semplificando così anche il lavoro di analisi degli strumenti urbanistici vigenti. Queste fasi hanno portato alla redazione di un masteplan dettato dalle linee generali su cui si è voluto impostare tutta la progettazione urbanistica e compositiva: innanzitutto si è immaginato un nuovo waterfront costituito dalla vista delle colonie di valore storico in primo piano, e la nuova città in secondo piano. Si è immaginata inoltre una città balneare diversa, non più caratterizzata dalla presenza di aree fortemente densificate, ma un’area costruita in altezza per mantenere ampie zone a verde : la città balneare deve essere il più possibile accogliente e libera da veicoli, per non essere più vissuta unicamente nella stagione estiva. Si sono sempre tenute in considerazione anche le nuove tecnologie ed i principi guida della sostenibilità urbana, infatti la città si serve dell’ambiente circostante per gli scarichi dei reflui, per illuminare e per l’accumulo dell’acqua piovana.
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Questo lavoro di tesi curriculare ripercorre attraverso l’analisi di tre progetti, che ho svolto durante il mio percorso di studi, le mie esperienze nell’ambito della riqualificazione di aree al margine del centro storico. In fase di tesi ho poi svolto un lavoro fotografico a supporto degli elaborati progettuali che ho invece redatto negli anni di corso dei laboratori. Il lavoro fotografico a posteriori è da intendersi non tanto come approfondimento delle scelte progettuali effettuate, ma come un ripensamento e una riflessione sui luoghi sui quali ho precedentemente svolto i progetti. Per elaborare questo lavoro ho applicato le conoscenze che ho acquisito nel corso di Storia e Tecnica della Fotografia e nei workshop fotografici ai quali ho partecipato come studente. Dei tre progetti presi in esame, due sono stati svolti nei Laboratori di Progettazione (precisamente II e IV) e uno nel Laboratorio di Sintesi Finale. Come già detto, questi tre progetti sono stati da me scelti perché accomunati dalla prossimità delle aree ai centri storici delle città. Il carattere di queste aree di studio, composto da molteplici identità, è frammentario e le identifica come aree di margine o di confine nelle quali si rende necessario un processo di analisi e di riqualificazione. In maniera differente e con risultati altalenanti, le amministrazioni stanno provvedendo a cercare di dare a questi luoghi un carattere di maggior omogeneità .
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L’area di progetto, sulla quale convergono parti costruite in tempi e modalità diverse, si confronta con limiti importanti rispetto ai quali il progetto viene declinato in modi differenti: la via Emilia, la ferrovia, l’intervento Gregotti, sull’area dell’ex Zuccherificio, il lungo Savio e la vicinanza con lo svincolo della secante; tramite il progetto si vuole disegnare un ingresso per la città di Cesena, ridefinendone i margini e un fronte per la ferrovia e per la strada. L’intento è di lavorare a un progetto a scala urbana, capace di confrontarsi con la città e di instaurare con essa un rapporto di complementarietà e integrazione. La particolare articolazione dell’area ha comportato uno studio preciso della geometria che regolasse il disegno planimetrico, in modo da chiarire le relazioni fra i diversi edifici e fra essi e gli spazi vuoti; tentando di definire un sistema di gerarchie e allineamenti chiaro e riconoscibile. La rete dei percorsi che collega i nuovi spazi, alcuni pubblici altri privati, tenta di ristabilire quel sistema di relazioni e di riprodurre quella complessità che sono l’elemento fondante della città. L’intero progetto è trattato in modo unitario, perciò se da un lato il campus è un sistema autonomo, con funzioni proprie, allo stesso tempo si relaziona a tutto il resto grazie al parco e ai percorsi accompagnati dal sistema dei portici; si crea in tal modo uno spazio articolato che concilia al suo interno l’elemento naturale, l’urbanizzazione residenziale e gli edifici dell’università; in modo che diventi un complesso riconoscibile e allo stesso tempo integrato nella città e fruibile dai cittadini.
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Questa tesi si propone di ripensare una parte della città di Bogotà, dopo un’attenta analisi del suo sviluppo storico ed evolutivo. L’intento è sia quello di contrastare lo sprawl urbano e gli effetti negativi che esso produce, sia quello di migliorare la vivibilità delle città, tentando di limitare i problemi della città diffusa. In particolare, studiando i piani urbanistici e il loro concretizzarsi all’interno della città, si sono volute dare soluzioni al crescente bisogno di alloggi, causato dall’aumento di popolazione. L’attenzione si è quindi focalizzata sull’area nord, in cui il carattere urbano è più debole e fortemente frammentato dal passaggio dell’attuale autopista Norte, infrastruttura che separa e divide due parti della città e che il progetto vuole provare a ricollegare dal punto di vista identitario. L’idea del masterplan è stata studiata riferendosi al piano pilota di Le Corbusier e più nello specifico alla sua teoria del settore che prevedeva all’interno di ogni quartiere strutturato da una griglia precisa di strade, differenti funzioni, che il maestro chiama categorie fondamentali dell’urbanistica: abitare, lavorare, circolare e coltivare il corpo e lo spirito; è proprio in relazione a quest’ultima categoria che si è pensato di progettare un nuovo polo accentratore per Bogotá legato alle arti, prevedendo una riconnessione con il centro attraverso, soprattutto, un sistema di aree verdi e pubbliche strutturate a formare un sistema gerarchico di parchi, che vede l’autopista come asse principale di sviluppo. La scelta di progettare un edificio con una vocazione pubblica importante è stata dettata dalla volontà di dislocare in un quartiere meno centrale un nuovo polo attrattore per gli abitanti di tutta la città, in questo modo si è cercato di valorizzare il settore nord, fino ad oggi così marginale e periferico.
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"Non possiamo permettere l'utilizzo del [tessuto] urbano come strumento per la produzione di iniquità e trasferimenti, incapaci di vedere l'importanza e la difficoltà di creare uno spazio attivo che sia equo, ecologico ed economico" (Schafran, 2014). In un contesto di emergenza ambientale globale e considerando le problematiche degli insediamenti popolari sudamericani, la presente ricerca propone l’introduzione del concetto di sostenibilità urbana come fattore di miglioramento di un quartiere della periferia del Gran Santiago. Il caso studio è interessante in quanto la politica cilena si muove in direzione di maggiore consapevolezza per i temi ambientali, pur dovendo ancora risolvere problemi di segregazione e scarsa qualità nella “vivienda social”. La presente ricerca è quindi finalizzata ad individuare una matrice composta da linee guida di sostenibilità riferite alla scala di quartiere, come strategia per rispondere ai problemi socio-residenziali, oltre alle imperanti esigenze di maggiore sostenibilità ambientale. A tale scopo è necessario fare riferimento a sistemi di valutazione adeguati: analizzando quelli utilizzati in ambito nazionale e internazionale, si ricava una matrice di 106 linee guida, 16 criteri e 3 ambiti principali di interesse. È questo lo strumento utilizzato per la diagnosi del caso studio. In base alle criticità emerse e alle necessità dell’area emergono due strategie principali su cui si articola la proposta progettuale di riqualificazione del quartiere: implementare dotazioni di servizi e aree verdi e introdurre tecnologie e misure ecofriendy, col fine di generare identità e migliorare la qualità di vita nel quartiere.
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Il progetto di questa tesi affronta le tematiche relative agli interventi di riqualificazione, adeguamento e rigenerazione urbana di un edificio residenziale di 15 unità abitative situato nella zona della Bolognina in Via Tibaldi. Le condizioni di vetustà dell’edificato e l’evoluzione economico sociale del quartiere hanno portato negli anni all’insorgere di nuove situazioni di criticità. Si sono riscontrati problemi relativi alle dimensioni degli alloggi (troppo grandi per le esigenze dei nuovi nuclei familiari), ai bassi livelli di comfort interni (rapporti illuminanti non rispettati e dimensioni dei vani non confacenti a normativa), all’accessibilità (vano ascensore inefficiente) e alla bassa efficienza energetica, che produce elevati costi di esercizio. L’analisi degli spazi esterni invece ha evidenziato uno stato di abbandono della corte, caratterizzata dalla disorganizzazione dei percorsi e delle aree verdi oltre a una carenza del numero di posti auto necessari agli abitanti dell’isolato. L’obiettivo che si pone la tesi è quello di adeguare l’area alle nuove esigenze dell’utenza e di migliorare gli standard qualitativi dell’edificato, considerando la fattibilità dell’intervento e ipotizzando misure che si pongano in alternativa ad una demolizione completa dell’edificio. Inoltre, le soluzioni proposte sono state studiate in modo da poter essere applicate non solo sul caso studio, ma anche sull’intero isolato, in un’ottica di riqualificazione urbana.Per gli spazi interni, le scelte adottate riguardano la demolizione e ricostruzione puntuali delle murature non portanti o collaboranti e l’ampliamento delle superfici finestrate, conformando a normativa i vani degli alloggi, dotandoli di una maggior superficie utile e riducendo la condizione di discomfort luminoso interno. La stessa strategia è stata adottata anche per ridefinire e diversificare il taglio degli alloggi. Infine per migliorare l’accessibilità all’edificio e agli alloggi le soluzioni prevedono l’inserimento un sistema loggiato per rendere raggiungibili direttamente dal vano ascensore preesistente, che presentava uno sbarco solo interpiano, due appartamenti per piano (dal primo al quarto). Per raggiungere invece le unità abitative collocate nel piano rialzato si è previsto di innalzare la quota del terreno fino all’altezza della soglia di ingresso ai vani. Parallelamente ci si è occupati della riprogettazione degli spazi esterni, optando per un’azione a scala urbana. La riorganizzazione delle aree è avvenuta attraverso l’inserimento di nuovi percorsi pedonali di collegamento all’edificato e mediante la progettazione e riqualificazione di spazi per la socializzazione. Infine, per arginare le problematiche relative al fabbisogno di parcheggi, si è agito diversificando e ponendo su livelli differenti la viabilità carrabile e gli spazi verdi attraverso l’inserimento di un parcheggio seminterrato.
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Il progetto affronta le tematiche relative agli interventi di riqualificazione, adeguamento e rigenerazione urbana di un edificio residenziale degli anni ’20, di 15 unità abitative situato a Bologna, nella zona della Bolognina in Via Pellegrino Tibaldi. In tale edificio i problemi riscontrati riguardavano le dimensioni degli alloggi, i bassi livelli di comfort interni, l’accessibilità e la bassa efficienza energetica. Dall’analisi degli spazi esterni invece si evidenziava uno stato di abbandono della corte, caratterizzata dalla disorganizzazione dei percorsi e delle aree verdi oltre che dalla carenza di posti auto necessari agli abitanti dell’isolato. Per quanto concerne gli spazi interni, le scelte adottate riguardano la demolizione e la ricostruzione puntuale delle murature non portanti o collaboranti e l’ampliamento delle superfici finestrate mentre per riconfigurare e diversificare il taglio degli alloggi si è intervenuti solo sul quarto piano dove sono stati ricavati degli appartamenti di taglio inferiore. Infine per migliorare l’accessibilità all’edificio e agli alloggi si è previsto un sistema loggiato che rende raggiungibili direttamente dal vano ascensore preesistente, che presentava uno sbarco solo interpiano, due appartamenti per piano (dal primo al quarto). Per raggiungere invece le unità abitative collocate nel piano rialzato si è previsto di innalzare la quota del terreno fino all’altezza della soglia di ingresso ai vani. Parallelamente ci si è occupati della riprogettazione degli spazi esterni dotando le aree di nuovi percorsi pedonali di collegamento all’edificato e progettando spazi per la socializzazione. Infine, per arginare le problematiche relative al fabbisogno di parcheggi, si è agito diversificando e ponendo su livelli differenti la viabilità carrabile e gli spazi verdi attraverso l’inserimento di un parcheggio seminterrato.
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Classen Boulevard as a Zipper. Riqualificazione urbana del quartiere di Classen Boulevard in Oklahoma City, OK
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Oggetto di lavoro della tesi è un complesso programma di valorizzazione dell’area urbana in sponda nord del Canale Candiano nella città di Ravenna compresa tra le vie Eustacchio Manfredi, Montecatini, delle Industrie e Salona oggi area a destinazione industriale in forte trasformazione. Lo scopo generale del programma è favorire e migliorare la conoscenza e quindi la fruizione del patrimonio marino adriatico e arricchire il contesto urbano esistente all’interno del Programma di Riqualificazione Urbana promosso dal Comune. Per riuscire in questo obiettivo servirà una riprogettazione degli spazi caratteristici in relazione alle potenzialità degli accessi al complesso, uniti con la presenza dei flussi viari che lo attraversano. La forte presenza del Parco del Mausoleo di Teodorico, l’area in testata alla Darsena dove si trova l’area retrostante la Stazione ferroviaria e il potenziamento del dialogo tra il Candiano con la città antica sono gli esempi di maggior interesse che si trovano nell’immediata vicinanza con l’area di progetto. In contemporaneo a questi elementi il programma dovrà ripensare l’intera organizzazione degli accessi in relazione al programma di utilizzo del Canale Candiano come spazio pubblico della città. Ci si pone come obiettivo quello di progettare un’area di forte valenza culturale, che si rapporti e reinterpreti la storicità posseduta dalla città di Ravenna creando non un semplice intervento di Architettura museale, ma bensì un nuovo spazio urbano che non si limiti a se stesso e alle sue funzioni ma che dialoghi liberamente con tutta la città e i sui abitanti. La Darsena della città di Ravenna, come visto, è reduce da molteplici piani urbanistici che si sono sviluppati dagli anni cinquanta fino ad oggi. Questo percorso di pianificazione però ha portato ad un ordinato e consapevole intervento urbanistico, sia dal punto di vista qualitativo che tipologico. Il rispetto della cadenza decennale con cui si sono rinnovati i piani regolatori generali, le tematiche e le innovazioni che il Piano è sempre riuscito ad anticipare hanno prodotto il buon risultato che oggi troviamo nella Darsena.
Resumo:
Il mio lavoro di tesi è partito da uno studio approfondito del contesto in cui si trova la Darsena di Ravenna, la mia area di progetto. Tutta la storia dell’evoluzione di Ravenna è legata soprattutto a due fattori principali: la necessità di difendersi dalle incursioni esterne e il continuo adattarsi alle trasformazioni del territorio soprattutto per quanto riguarda la linea di costa e il corso dei due fiumi che la circondano, il Ronco e il Montone. Questi due fattori hanno fatto si che Ravenna sia apparsa, sin dai primi secoli d. C., una città cinta da grandi mura, circondate da fiumi. Il Ronco e il Montone, sono poi diventati, a metà del XVI sec. i protagonisti principali della storia di Ravenna. I diversi progetti che si sono susseguiti nel tempo per cercare di deviarli e allontanarli dalla città, dato che ormai rappresentavano solo un grosso pericolo di alluvione, hanno determinato l’abbandono del primo porto della città, voluto dall’imperatore Augusto e la nascita dell’attuale canale Candiano. Fin dall’inizio il nuovo porto di Ravenna ha presentato una serie di problemi legati alla scarsa profondità del fondale e ai costi di manutenzione, a tal punto che le attività del porto sono sempre state molto limitate. Oggi la Darsena di città è caratterizzata da una moltitudine di edifici di archeologia industriale, risalenti al boom economico degli anni ’50, che risultano per la maggior parte, in uno stato di degrado e abbandono, incominciato con la crisi petrolifera degli anni ’70. A partire dal P.R.G. del 1993, si sono messi in atto una serie di iniziative atte a rivitalizzare e reintegrare quest’area all’interno della città storica, in modo che non sembri più un’entità separata ma che possa diventare un grande potenziale di sviluppo per la città stessa. La politica di riqualificazione del waterfront non riguarda solo Ravenna, ma è una strategia che molte città del modo hanno adottato negli ultimi decenni per ridare lustro alla città stessa e, allo stesso tempo recuperare zone spesso lasciate al loro destino. Fra queste città ho scelto di approfondirne cinque, Baltimora, Barcellona, Genova, Amburgo e Bilbao, evidenziando le diverse situazioni ma soprattutto le diverse motivazioni che le hanno spinte a raggiungere la medesima conclusione, quella che l’area portuale rappresenta un grande fattore di sviluppo. La mia attenzione poi si è spostata su quale attività potesse essere più adatta ad assolvere questo obiettivo. Ho pensato di progettare un museo e una serie di edifici ad esso collegati, come un centro di ricerca con residenze annesse e una torre belvedere, che dessero all’area la possibilità di essere vissuta in tutto l’arco della giornata e per tutto l’anno. Prima di affrontare direttamente la parte progettuale ho cercato di capire quale fosse la tipologia di museo e quali fossero i principali elementi indispensabili che caratterizzano questi edifici. Durante lo studio di questi casi ho classificato i musei secondo 5 categorie diverse, la galleria, la rotonda, la corte, la spirale e la pianta libera, che rispecchiano anche lo sviluppo storico di questa particolare tipologia architettonica. In base a tutte queste considerazioni ho affrontato il mio progetto. L’area presa in esame è caratterizzata da un’ampia superficie su cui insistono tre imponenti edifici di archeologia industriale molto degradati e utilizzati come magazzini dalla società proprietaria dell’area. Due di questi presentano un orientamento parallelo alla tessitura dei campi, il terzo invece segue un orientamento proprio. Oltre a queste due trame nell’area se ne può rilevare una terza legata all’andamento del canale. Queste grandi cattedrali del lavoro mi hanno fatto subito pensare di poterle utilizzare come spazi espositivi per mostre permanenti e temporanee, mantenendo intatta la loro struttura portante. Ho deciso di immergere l’edificio più imponente dei tre, che si trova in asse con la strada veicolare di accesso dalla città, in una grande corte verde delimitata ai lati da due nuovi edifici a L adibiti a veri e propri musei. Se da una parte questi musei costituiscono i limiti della corte, dall’altra rappresentano le quinte sceniche di aree completamenti differenti. Il museo adiacente al canale si affaccia su una grande piazza pavimentata dove troneggia l’edificio di archeologia industriale più simile ad una basilica e che accoglie i visitatori che arrivano tramite la navetta costiera; l’altro invece guarda verso il centro di ricerca e le residenze universitarie legati tra loro da un grande campo lungo completamente verde. A concludere la composizione ho pensato ad una torre belvedere dalla pianta circolare che potesse assorbire tutte le diverse direzioni e che si trova proprio in asse con il terzo edificio di archeologia industriale e a contatto con l’acqua. Per quanto riguarda l’organizzazione interna dei musei ho scelto di proporre due sezioni dello stesso museo con caratteristiche ben distinte. Il primo museo riguarda la storia della civiltà marinara di Ravenna ed è caratterizzato da ambienti conclusi lungo un percorso prestabilito che segue un criterio cronologico, il secondo invece presenta una pianta abbastanza libera dove i visitatori possono scegliere come e su cosa indirizzare la propria visita. Questa decisione è nata dalla volontà di soddisfare le esigenze di tutta l’utenza, pensando soprattutto alla necessità di coinvolgere persone giovani e bambini. Il centro di ricerca è organizzato planimetrica mente come una grande C, dove le due ali più lunghe ospitano i laboratori mentre l’ala più corta rappresenta l’ingresso sottolineato da un portico aggettante sulla corte. Simmetricamente si trovano i sette volumi delle residenze. Ognuno di questi può alloggiare sei studenti in altrettanti monolocali con servizi annessi, e presenta al piano terra aree di relax e sale lettura comuni. La torre belvedere invece riveste un ruolo più commerciale ospitando negozi, uffici per le varie associazioni legate al mare e un ristorante su più livelli, fino ad arrivare alla lanterna, che, come il faro per le navi, diventa un vero segno di riconoscimento e di orientamento dell’area sia dal mare che dalla città.