916 resultados para ozono, dinamica, stratosfera, troposfera, superficie, variabilità, rappresentazione, modelli,clima, climate change, interazione, circolazione, jet, temperatura, vento, raffreddamento, shift, estate, Emisfero Sud, Antartide, trend, correlazione, pressione, oceano


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Il raffreddamento stratosferico associato alla riduzione dell’ozono nelle regioni polari induce un rafforzamento dei venti occidentali nella bassa stratosfera, uno spostamento verso il polo e un’intensificazione del jet troposferico delle medie latitudini. Si riscontra una proiezione di questi cambiamenti a lungo termine sulla polarità ad alto indice di un modo di variabilità climatica, il Southern Annular Mode, alla superficie, dove i venti occidentali alle medie latitudini guidano la Corrente Circumpolare Antartica influenzando la circolazione oceanica meridionale e probabilmente l’estensione del ghiaccio marino ed i flussi di carbonio aria-mare nell’Oceano Meridionale. Una limitata rappresentazione dei processi stratosferici nei modelli climatici per la simulazione del passato e la previsione dei cambiamenti climatici futuri, sembrerebbe portare ad un errore nella rappresentazione dei cambiamenti troposferici a lungo termine nelle rispettive simulazioni. In questa tesi viene condotta un’analisi multi-model mettendo insieme i dati di output derivati da diverse simulazioni di modelli climatici accoppiati oceano-atmosfera, che partecipano al progetto CMIP5, con l'obiettivo di comprendere come le diverse rappresentazioni della dinamica stratosferica possano portare ad una differente rappresentazione dei cambiamenti climatici alla superficie. Vengono utilizzati modelli “High Top” (HT), che hanno una buona rappresentazione della dinamica stratosferica, e modelli “Low Top” (LT), che invece non ne hanno. I risultati vengono confrontati con le reanalisi meteorologiche globali disponibili (ERA-40). Viene mostrato come la rappresentazione e l’intensità del raffreddamento radiativo iniziale e di quello dinamico nella bassa stratosfera, nei modelli, siano i fattori chiave che controllano la successiva risposta troposferica, e come il raffreddamento stesso dipenda dalla rappresentazione della dinamica stratosferica. Si cerca inoltre di differenziare i modelli in base alla loro rappresentazione del raffreddamento radiativo e dinamico nella bassa stratosfera e alla risposta del jet troposferico. Nei modelli, si riscontra che il trend del jet nell'intera troposfera è significativamente correlato linearmente al raffreddamento stesso della bassa stratosfera.

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Il presente studio, per ciò che concerne la prima parte della ricerca, si propone di fornire un’analisi che ripercorra il pensiero teorico e la pratica critica di Louis Marin, mettendone in rilievo i caratteri salienti affinché si possa verificare se, nella loro eterogenea interdisciplinarità, non emerga un profilo unitario che consenta di ricomprenderli in un qualche paradigma estetico moderno e/o contemporaneo. Va innanzitutto rilevato che la formazione intellettuale di Marin è avvenuta nell’alveo di quel montante e pervasivo interesse che lo strutturalismo di stampo linguistico seppe suscitare nelle scienze sociali degli anni sessanta. Si è cercato, allora, prima di misurare la distanza che separa l’approccio di Marin ai testi da quello praticato dalla semiotica greimasiana, impostasi in Francia come modello dominante di quella svolta semiotica che ha interessato in quegli anni diverse discipline: dagli studi estetici all’antropologia, dalla psicanalisi alla filosofia. Si è proceduto, quindi, ad un confronto tra l’apparato concettuale elaborato dalla semiotica e alcune celebri analisi del nostro autore – tratte soprattutto da Opacité de la peinture e De la représentation. Seppure Marin non abbia mai articolato sistematicametne i principi teorici che esplicitassero la sua decisa contrapposizione al potente modello greimasiano, tuttavia le reiterate riflessioni intorno ai presupposti epistemologici del proprio modo di interpretare i testi – nonché le analisi di opere pittoriche, narrative e teoriche che ci ha lasciato in centinaia di studi – permettono di definirne una concezione estetica nettamente distinta dalla pratica semio-semantica della scuola di A. J. Greimas. Da questo confronto risulterà, piuttosto, che è il pensiero di un linguista sui generis come E. Benveniste ad avere fecondato le riflessioni di Marin il quale, d’altra parte, ha saputo rielaborare originalmente i contributi fondamentali che Benveniste diede alla costruzione della teoria dell’enunciazione linguistica. Impostando l’equazione: enunciazione linguistica=rappresentazione visiva (in senso lato), Marin diviene l’inventore del dispositivo concettuale e operativo che consentirà di analizzare l’enunciazione visiva: la superficie di rappresentazione, la cornice, lo sguardo, l’iscrizione, il gesto, lo specchio, lo schema prospettico, il trompe-l’oeil, sono solo alcune delle figure in cui Marin vede tradotto – ma in realtà immagina ex novo – quei dispositivi enunciazionali che il linguista aveva individuato alla base della parole come messa in funzione della langue. Marin ha saputo così interpretare, in modo convincente, le opere e i testi della cultura francese del XVII secolo alla quale sono dedicati buona parte dei suoi studi: dai pittori del classicismo (Poussin, Le Brun, de Champaigne, ecc.) agli eruditi della cerchia di Luigi XIV, dai filosofi (soprattutto Pascal), grammatici e logici di Port-Royal alle favole di La Fontaine e Perrault. Ma, come si evince soprattutto da testi come Opacité de la peinture, Marin risulterà anche un grande interprete del rinascimento italiano. In secondo luogo si è cercato di interpretare Le portrait du Roi, il testo forse più celebre dell’autore, sulla scorta dell’ontologia dell’immagine che Gadamer elabora nel suo Verità e metodo, non certo per praticare una riduzione acritica di due concezioni che partono da presupposti divergenti – lo strutturalismo e la critica d’arte da una parte, l’ermeneutica filosofica dall’altra – ma per rilevare che entrambi ricorrono al concetto di rappresentazione intendendolo non tanto come mimesis ma soprattutto, per usare il termine di Gadamer, come repraesentatio. Sia Gadamer che Marin concepiscono la rappresentazione non solo come sostituzione mimetica del rappresentato – cioè nella direzione univoca che dal rappresentato conduce all’immagine – ma anche come originaria duplicazione di esso, la quale conferisce al rappresentato la sua legittimazione, la sua ragione o il suo incremento d’essere. Nella rappresentazione in quanto capace di legittimare il rappresentato – di cui pure è la raffigurazione – abbiamo così rintracciato la cifra comune tra l’estetica di Marin e l’ontologia dell’immagine di Gadamer. Infine, ci è sembrato di poter ricondurre la teoria della rappresentazione di Marin all’interno del paradigma estetico elaborato da Kant nella sua terza Critica. Sebbene manchino in Marin espliciti riferimenti in tal senso, la sua teoria della rappresentazione – in quanto dire che mostra se stesso nel momento in cui dice qualcos’altro – può essere intesa come una riflessione estetica che trova nel sensibile la sua condizione trascendentale di significazione. In particolare, le riflessioni kantiane sul sentimento di sublime – a cui abbiamo dedicato una lunga disamina – ci sono sembrate chiarificatrici della dinamica a cui è sottoposta la relazione tra rappresentazione e rappresentato nella concezione di Marin. L’assolutamente grande e potente come tratti distintivi del sublime discusso da Kant, sono stati da noi considerati solo nella misura in cui ci permettevano di fare emergere la rappresentazione della grandezza e del potere assoluto del monarca (Luigi XIV) come potere conferitogli da una rappresentazione estetico-politica costruita ad arte. Ma sono piuttosto le facoltà in gioco nella nostra più comune esperienza delle grandezze, e che il sublime matematico mette esemplarmente in mostra – la valutazione estetica e l’immaginazione – ad averci fornito la chiave interpretativa per comprendere ciò che Marin ripete in più luoghi citando Pascal: una città, da lontano, è una città ma appena mi avvicino sono case, alberi, erba, insetti, ecc… Così abbiamo applicato i concetti emersi nella discussione sul sublime al rapporto tra la rappresentazione e il visibile rappresentato: rapporto che non smette, per Marin, di riconfigurarsi sempre di nuovo. Nella seconda parte della tesi, quella dedicata all’opera di Bernard Stiegler, il problema della comprensione delle immagini è stato affrontato solo dopo aver posto e discusso la tesi che la tecnica, lungi dall’essere un portato accidentale e sussidiario dell’uomo – solitamente supposto anche da chi ne riconosce la pervasività e ne coglie il cogente condizionamento – deve invece essere compresa proprio come la condizione costitutiva della sua stessa umanità. Tesi che, forse, poteva essere tematizzata in tutta la sua portata solo da un pensatore testimone delle invenzioni tecnico-tecnologiche del nostro tempo e del conseguente e radicale disorientamento a cui esse ci costringono. Per chiarire la propria concezione della tecnica, nel I volume di La technique et le temps – opera alla quale, soprattutto, sarà dedicato il nostro studio – Stiegler decide di riprendere il problema da dove lo aveva lasciato Heidegger con La questione della tecnica: se volgiamo coglierne l’essenza non è più possibile pensarla come un insieme di mezzi prodotti dalla creatività umana secondo un certi fini, cioè strumentalmente, ma come un modo di dis-velamento della verità dell’essere. Posto così il problema, e dopo aver mostrato come i sistemi tecnici tendano ad evolversi in base a tendenze loro proprie che in buona parte prescindono dall’inventività umana (qui il riferimento è ad autori come F. Gille e G. Simondon), Stiegler si impegna a riprendere e discutere i contributi di A. Leroi-Gourhan. È noto come per il paletnologo l’uomo sia cominciato dai piedi, cioè dall’assunzione della posizione eretta, la quale gli avrebbe permesso di liberare le mani prima destinate alla deambulazione e di sviluppare anatomicamente la faccia e la volta cranica quali ondizioni per l’insorgenza di quelle capacità tecniche e linguistiche che lo contraddistinguono. Dei risultati conseguiti da Leroi-Gourhan e consegnati soprattutto in Le geste et la parole, Stiegler accoglie soprattutto l’idea che l’uomo si vada definendo attraverso un processo – ancora in atto – che inizia col primo gesto di esteriorizzazione dell’esperienza umana nell’oggetto tecnico. Col che è già posta, per Stiegler, anche la prima forma di simbolizzazione e di rapporto al tempo che lo caratterizzano ancora oggi. Esteriorità e interiorità dell’uomo sono, per Stiegler, transduttive, cioè si originano ed evolvono insieme. Riprendendo, in seguito, l’anti-antropologia filosofica sviluppata da Heidegger nell’analitica esistenziale di Essere e tempo, Stiegler dimostra che, se si vuole cogliere l’effettività della condizione dell’esistenza umana, è necessaria un’analisi degli oggetti tecnici che però Heidegger relega nella sfera dell’intramondano e dunque esclude dalla temporalità autentica dell’esser-ci. Se è vero che l’uomo – o il chi, come lo chiama Stiegler per distinguerlo dal che-cosa tecnico – trova nell’essere-nel-mondo la sua prima e più fattiva possibilità d’essere, è altrettanto verò che questo mondo ereditato da altri è già strutturato tecnicamente, è già saturo della temporalità depositata nelle protesi tecniche nelle quali l’uomo si esteriorizza, e nelle quali soltanto, quindi, può trovare quelle possibilità im-proprie e condivise (perché tramandate e impersonali) a partire dalle quali poter progettare la propria individuazione nel tempo. Nel percorso di lettura che abbiamo seguito per il II e III volume de La technique et le temps, l’autore è impegnato innanzitutto in una polemica serrata con le analisi fenomenologiche che Husserl sviluppa intorno alla coscienza interna del tempo. Questa fenomenologia del tempo, prendendo ad esame un oggetto temporale – ad esempio una melodia – giunge ad opporre ricordo primario (ritenzione) e ricordo secondario (rimemorazione) sulla base dell’apporto percettivo e immaginativo della coscienza nella costituzione del fenomeno temporale. In questo modo Husserl si preclude la possibilità di cogliere il contributo che l’oggetto tecnico – ad esempio la registrazione analogica di una melodia – dà alla costituzione del flusso temporale. Anzi, Husserl esclude esplicitamente che una qualsiasi coscienza d’immagine – termine al quale Stiegler fa corrispondere quello di ricordo terziario: un testo scritto, una registrazione, un’immagine, un’opera, un qualsiasi supporto memonico trascendente la coscienza – possa rientrare nella dimensione origianaria e costitutiva di tempo. In essa può trovar posto solo la coscienza con i suo vissuti temporali percepiti, ritenuti o ricordati (rimemorati). Dopo un’attenta rilettura del testo husserliano, abbiamo seguito Stiegler passo a passo nel percorso di legittimazione dell’oggetto tecnico quale condizione costitutiva dell’esperienza temporale, mostrando come le tecniche di registrazione analogica di un oggetto temporale modifichino, in tutta evidenza, il flusso ritentivo della coscienza – che Husserl aveva supposto automatico e necessitante – e con ciò regolino, conseguente, la reciproca permeabilità tra ricordo primario e secondario. L’interpretazione tecnica di alcuni oggetti temporali – una foto, la sequenza di un film – e delle possibilità dispiegate da alcuni dispositivi tecnologici – la programmazione e la diffusione audiovisiva in diretta, l’immagine analogico-digitale – concludono questo lavoro richiamando l’attenzione sia sull’evidenza prodotta da tali esperienze – evidenza tutta tecnica e trascendente la coscienza – sia sul sapere tecnico dell’uomo quale condizione – trascendentale e fattuale al tempo stesso – per la comprensione delle immagini e di ogni oggetto temporale in generale. Prendendo dunque le mosse da una riflessione, quella di Marin, che si muove all’interno di una sostanziale antropologia filosofica preoccupata di reperire, nell’uomo, le condizioni di possibilità per la comprensione delle immagini come rappresentazioni – condizione che verrà reperità nella sensibilità o nell’aisthesis dello spettatore – il presente lavoro passerà, dunque, a considerare la riflessione tecno-logica di Stiegler trovando nelle immagini in quanto oggetti tecnici esterni all’uomo – cioè nelle protesi della sua sensibilità – le condizioni di possibilità per la comprensione del suo rapporto al tempo.

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Introduzione Una delle maggiori difficoltà durante la produzione dei prodotti surgelati riguarda la loro stabilizzazione e il mantenimento della catena del freddo durante tutte le fasi del processo produttivo. Tramite il seguente lavoro si propone di determinare a che temperatura e dopo quanto tempo, diverse tipologie di confezioni di surgelati (pisellini, melanzane e spinaci), raggiungono la temperatura ipotetica di inizio di scongelamento. Con lo scopo di analizzare, in maniera rapida ed economica, molte diverse combinazioni di tempo - temperatura dell’ambiente di produzione di diverse tipologie di prodotti surgelati (pisellini, melanzane e spinaci), sono stati sviluppati dei modelli numerici capaci di descrivere i fenomeni termici che intervengono durante il confezionamento dei prodotti. Materiali e Metodi Il modello sviluppatotiene conto sia dei fenomeni di convezione naturale che avvengono tra la superficie della confezione e il flusso esterno di aria, sia dei fenomeni di conduzione che interessano l'interno della confezione, la confezione (busta) ed il piano di appoggio. In figura vengono schematizzati i fenomeni termici presi in esame. La geometria del modelli rispecchia le reali dimensioni delle confezioni dei prodotti presi in esame. La mesh dei modelli 3D è costituita da elementi triangolari, posizionati sulle boundaries, tetraedrici e prismatici, posizionati in tutto il restante dominio. Trattandosi di trasferimenti di calore per superfici, nelle zone di interfaccia è stata adottata una mesh particolarmente fine. In figura viene riportata la mesh dell'intera geometria ed un particolare della mesh interna dove, i diversi colori indicano elementi tetraedrici o prismatici di diverse dimensioni. Per ottenere un accurato modello numerico è necessario descrivere nel modo più realistico possibile i materiali coinvolti, quindi è stato necessario descrivere i prodotti surgelati tramite le loro reali proprietà termiche in funzione della temperatura (conducibilità termica, calore specifico, diffusività termica). I valori delle proprietà termiche utilizzati nel modello tengono conto del fatto che il materiale interno alla busta è poroso, infatti è costituito da una "miscela" di aria e prodotto Successivamente sono state impostate le equazioni del modello e le condizioni al contorno. All'interno del volume della confezione, il trasfermiento del calore avviene per conduzione, mentre sulla superficie avviene per convezione, nelle zone esposte all'aria e per contatto nelle zone di contatto tra confezione e piano di appoggio. La validazione è stata effettuata riproducendo numericamente le medesime condizioni utilizzate durante la sperimentazione. I parametri tenuti in considerazione sono i seguenti: tipologia di confezione (definita numericamente dai parametri dimensionali), tipologia di prodotto (contraddistinto da specifiche proprietà termo-fisiche), temperatura della cella di conservazione, tempo di conservazione, temperatura iniziale all'interno della confezione pari. Risultati In figura viene riportato un esempio di configurazione dell’andamento della temperatura all’interno della confezione di pisellini dopo 20 minuti di condizionamento a 5°C. E’ possibile osservare che la temperatura della parte di confezione a diretto contatto con il piano di acciaio, raggiunge zero gradi (zona rossa), mentre la parte centrale della confezione si mantiene sui -22°C (zona blu). Con lo scopo di simulare la conservazione della confezione posizionata verticalmente, è stata eliminata la condizione di contatto tra piano d'acciaio e confezione. E’ possibile osservare che, in questo caso, la variazione della temperatura nei diversi punti della confezione è meno elevata, infatti la temperatura massima registrata è pari a circa -8°C (zona rossa), mentre la parte centrale della confezione si mantiene sui -22°C (zona blu). La confezione di melanzane è risultata essere la meno adatta al mantenimento della temperatura in quanto è caratterizzata da un ampia area di contatto con il piano e da uno spessore abbastanza limitato; la confezione che mantiene la temperatura più a lungo è quella costituita dagli spinaci, anche se le temperature medie delle confezioni di spinaci e pisellini sono pressoché simili. A fronte dei risultati ottenuti confrontando gli andamenti della temperatura delle tre differenti confezione, è stato valutato l'effetto del volume della confezione sull'andamento della temperatura media e al centro della confezione. Le prove sono state effettuate dimezzando e aumentando del doppio il volume della confezione di pisellini. Differenze significative sono state riscontrate solo tra la confezione standard e quella con volume raddoppiato. Dalla validazione sperimentale è risultato che il modello che meglio si adatta ai dati sperimentali è quello relativo ai pisellini, probabilmente perché il prodotto all'interno della confezione è distribuito in maniera piuttosto uniforme. Nelle confezioni degli spinaci e delle melanzane, risulta molto più difficile definire un valore di porosità che può variare anche da busta a busta. Tuttavia, a fronte di questa variabilità, i modelli risultano essere adatti ad un uso industriale. Conclusioni -I modelli numerici sviluppati permettono di analizzare un numero arbitrario di combinazioni delle variabili durata del confezionamento, temperatura ambiente, temperatura iniziale del prodotto, forma e dimensioni della confezione. - Il modello permette di osservare il campo di temperatura con un grado di dettaglio irraggiungibile dalle tecniche sperimentali. -I risultati, in forma integrale, si trovano in ottimo accordo con quelli osservati sperimentalmente.

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Au-delà des variables climatiques, d’autres facteurs non climatiques sont à considérer dans l’analyse de la vulnérabilité et de l’adaptation au changement et variabilité climatiques. Cette mutation de paradigme place l’agent humain au centre du processus d’adaptation au changement climatique, notamment en ce qui concerne le rôle des réseaux sociaux dans la transmission des nouvelles idées. Dans le domaine de l’agriculture, le recours aux innovations est prôné comme stratégie d’adaptation. L’élaboration et l’appropriation de ces stratégies d’adaptation peuvent être considérées comme des processus d’innovation qui dépendent autant du contexte social et culturel d’un territoire, de sa dynamique, ainsi que de la stratégie elle-même. Aussi, l’appropriation et la diffusion d’une innovation s’opèrent à partir d’un processus décisionnel à l’échelle de l’exploitation agricole, qui à son tour, demande une compréhension des multiples forces et facteurs externes et internes à l’exploitation et les multiples objectifs de l’exploitant. Ainsi, la compréhension de l’environnement décisionnel de l’exploitant agricole à l’échelle de la ferme est vitale, car elle est un préalable incontournable au succès et à la durabilité de toute politique d’adaptation de l’agriculture. Or, dans un secteur comme l’agriculture, il est reconnu que les réseaux sociaux par exemple, jouent un rôle crucial dans l’adaptation notamment, par le truchement de la diffusion des innovations. Aussi, l’objectif de cette recherche est d’analyser comment les exploitants agricoles s’approprient et conçoivent les stratégies d’adaptation au changement et à la variabilité climatiques dans une perspective de diffusion des innovations. Cette étude a été menée en Montérégie-Ouest, région du sud-ouest du Québec, connue pour être l’une des plus importantes régions agricoles du Québec, en raison des facteurs climatiques et édaphiques favorables. Cinquante-deux entrevues ont été conduites auprès de différents intervenants à l’agriculture aux niveaux local et régional. L’approche grounded theory est utilisée pour analyser, et explorer les contours de l’environnement décisionnel des exploitants agricoles relativement à l’utilisation des innovations comme stratégie d’adaptation. Les résultats montrent que les innovations ne sont pas implicitement conçues pour faire face aux changements et à la variabilité climatiques même si l’évolution du climat influence leur émergence, la décision d’innover étant largement déterminée par des considérations économiques. D’autre part, l‘étude montre aussi une faiblesse du capital sociale au sein des exploitants agricoles liée à l’influence prépondérante exercée par le secteur privé, principal fournisseur de matériels et intrants agricoles. L’influence du secteur privé se traduit par la domination des considérations économiques sur les préoccupations écologiques et la tentation du profit à court terme de la part des exploitants agricoles, ce qui pose la problématique de la soutenabilité des interventions en matière d’adaptation de l’agriculture québécoise. L’étude fait ressortir aussi la complémentarité entre les réseaux sociaux informels et les structures formelles de soutien à l’adaptation, de même que la nécessité d’établir des partenariats. De plus, l’étude place l’adaptation de l’agriculture québécoise dans une perspective d’adaptation privée dont la réussite repose sur une « socialisation » des innovations, laquelle devrait conduire à l’émergence de processus institutionnels formels et informels. La mise en place de ce type de partenariat peut grandement contribuer à améliorer le processus d’adaptation à l’échelle locale.

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Afin de mieux comprendre les effets des changements climatiques sur le pergélisol, il s’avère essentiel d’obtenir une meilleure connaissance des facteurs physiques et biologiques l’influençant. Même si plusieurs études font référence à l’influence de la végétation sur le pergélisol à grande échelle, l’effet de la végétation sur la profondeur du front de dégel du pergélisol à l’échelle de mètres, tel qu’exploré ici, est peu connu. L’étude s’est effectuée dans une forêt boréale tourbeuse dans la zone à pergélisol discontinu au sud des Territoires du Nord-Ouest (N61°18’, O121°18’). Nous avons comparé la profondeur de dégel aux mesures du couvert végétal suivantes : densité arborescente, couvert arbustif, indice de surface foliaire et présence de cryptogames (lichens et bryophytes). Nous avons trouvé qu’une plus grande densité arborescente menait à une moins grande profondeur de dégel tandis que le couvert arbustif (<50cm de hauteur) n’avait aucune influence. De plus, la profondeur de dégel dépendait de l’espèce des cryptogames et des microformes. Cette recherche quantifie l’influence de la végétation par strate sur la dégradation du pergélisol. Ultimement, les résultats pourront être pris en considération dans la mise en place des modèles, afin de valider les paramètres concernant la végétation, la dégradation du pergélisol et le flux du carbone.

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Da ormai sette anni la stazione permanente GPS di Baia Terranova acquisisce dati giornalieri che opportunamente elaborati consentono di contribuire alla comprensione della dinamica antartica e a verificare se modelli globali di natura geofisica siano aderenti all’area di interesse della stazione GPS permanente. Da ricerche bibliografiche condotte si è dedotto che una serie GPS presenta molteplici possibili perturbazioni principalmente dovute a errori nella modellizzazione di alcuni dati ancillari necessari al processamento. Non solo, da alcune analisi svolte, è emerso come tali serie temporali ricavate da rilievi geodetici, siano afflitte da differenti tipologie di rumore che possono alterare, se non opportunamente considerate, i parametri di interesse per le interpretazioni geofisiche del dato. Il lavoro di tesi consiste nel comprendere in che misura tali errori, possano incidere sui parametri dinamici che caratterizzano il moto della stazione permanente, facendo particolare riferimento alla velocità del punto sul quale la stazione è installata e sugli eventuali segnali periodici che possono essere individuati.

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La necessità di indagine sul fronte dell’insufficienza cardiaca deriva dall’elevato impatto sociale della patologia, non soltanto per l’effetto invalidante sulla condizione del paziente che ne è affetto, bensì anche per la notevole incidenza sui servizi sanitari nazionali, per l’importante valore di mortalità e morbilità che ne è associato. Il numero di ospedalizzazioni per scompenso cardiaco è consistente; ciò rende ragione dell’elevato assorbimento di risorse dovuto a questa patologia. Il razionale dell’impiego della Terapia di Resincronizzazione Cardiaca (CRT) consiste nella correzione della dissincronia cardiaca come causa di disfunzione meccanica atriale e ventricolare. Il metodo analitico sviluppato origina dalle indagini sugli spostamenti dell’elettrocatetere posizionato in Seno Coronarico, sulla base del fatto che il sito di stimolazione risulta un fattore determinante per la buona risposta alla terapia. Dovendo studiare le posizioni nel tempo del catetere, si è pensato di valutarne le variazioni nel periodo pre e post attivazione della CRT ricostruendone la traiettoria in 3D. Lo studio parametrico di quest’ultima ha permesso di individuare un indice predittore della risposta alla CRT al follow-up a sei mesi. La prosecuzione della ricerca presentata ha l’intento di migliorare gli algoritmi di elaborazione dei dati per rendere più robuste le misure, sfruttando tecniche che possano aumentare riproducibilità, ripetibilità, e ininfluenza rispetto alla variabilità delle condizioni analitiche. Sviluppando nuovi modelli si è eliminata l'interazione dell'operatore nelle fasi d'indagine, rendendo le analisi completamente automatiche. I metodi sono stati testati e applicati.

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La conchyliculture, et principalement l’élevage de l’huître creuse, Crassostrea gigas, constitue la principale activité aquacole française. Cette activité repose, en grande partie, sur le recrutement naturel de l’espèce qui assure 60 à 70% des besoins en jeunes huîtres (naissain) : cette activité de collecte s’appelle le captage. Les deux principaux centres de captage en France sont les bassins d’Arcachon et de Marennes-Oléron. Or, depuis une dizaine d'années, sur le bassin d'Arcachon, le captage devient très variable: à des années de captage nul (par exemple 2002, 2005, 2007) ou faible (2009, 2010, 2011) succèdent des années excellentes voire pléthoriques (2003, 2006, 2008, 2012, 2014). A Marennes-Oléron, cette variabilité existe, mais s’avère beaucoup moins marquée. En outre, à la faveur du lent réchauffement des eaux, le captage peut désormais se pratiquer de plus en plus vers le nord. Ainsi, la baie de Bourgneuf, mais aussi la rade de Brest sont devenues, depuis quelques années, des secteurs où un nombre croissant d’ostréiculteurs pratiquent le captage avec succès, mais avec, là aussi, des irrégularités dans le recrutement qu’il convient de comprendre. Enfin, depuis la crise des mortalités de 2008, il se développe aussi sur la lagune de Thau une volonté de pratiquer le captage. Afin de mieux comprendre les facteurs de variations du captage, l’Ifremer a mis en place, à la demande du Comité National de la Conchyliculture, un réseau national de suivi de la reproduction : le Réseau Velyger. Créé en 2008 sur financements européens et financé désormais par la Direction des Pêches Maritimes et de l’Aquaculture, ce réseau apporte, chaque année, sur les écosystèmes cités précédemment, une série d’indicateurs biologiques (maturation, fécondité, date de ponte, abondance et survie larvaire, intensité du recrutement, survie du naissain) dont l’analyse croisée avec des indicateurs hydrologiques et climatiques permet progressivement de mieux appréhender les causes de variabilité du recrutement de l’huître creuse en France, modèle biologique et espèce clé de la conchyliculture française. Ce rapport présente donc les résultats 2015 de ce réseau d’observation et fait appel, pour la partie hydro-climatique, à des données acquises par d’autres réseaux régionaux et nationaux. Il détaille et analyse par site toutes les caractéristiques du cycle de reproduction de l’huître creuse : maturation et fécondité des adultes, période de ponte, abondance et survie des larves, intensité du captage et mortalités précoces. Il fournit ensuite une interprétation et une synthèse des résultats 2015 à la lueur des résultats des années antérieures. Ainsi, pour l’année 2015, on retient les faits majeurs suivants : • Sur le plan hydro-climatique, cette année se caractérise par un hiver doux et un printemps dans les normales, suivis d’un été là aussi très proches des normales à quelques exceptions près : l’étang de Thau affiche tout au long de l’été des températures largement excédentaires. Compte tenu d’une pluviométrie là aussi proche des normales, les concentrations en phytoplancton sont restées à un niveau moyen de la rade de Brest aux pertuis charentais et plutôt déficitaires dans le bassin d’Arcachon et la lagune de Thau. • En termes de biologie, ces conditions hydro-climatiques se sont traduites, chez les populations d’huîtres adultes, par des indices de condition, proxy de la fécondité, généralement proches des moyennes, avec toujours l’existence d’un gradient nord-sud observé chaque année, corrélativement à la concentration en phytoplancton. En outre, l’absence d’excédent thermique au printemps et en début d’été n’a pas permis de ponte précoce (à l’exception de la lagune de Thau), elle a même été plutôt tardive surtout dans le bassin d’Arcachon. • Sur la façade atlantique, les températures de l’eau lors du développement larvaire des principales cohortes ont été plutôt basses (inférieures à 20°C en rade de Brest et inférieures à 21°C ailleurs) et donc la vitesse de croissance larvaire a été ralentie et la survie amoindrie. Les rendements larvaires ont été effectivement très bas (e.g. 0,002 % à Arcachon). In fine, il y a eu peu de larves grosses dans l’eau, ce qui s’est traduit par un captage faible à modéré. Une exception tout de même : dans la lagune de Thau, les températures caniculaires tout au long de l’été ont permis une concentration moyenne de larves ‘grosses’ modérée (80 larves/1,5m3). Cependant, les méthodes et les techniques de captage sont encore en cours d’optimisation sur ce secteur et cette année, malgré cette présence de larves grosses, le captage est resté faible (< 10 naissains par coupelle à l’automne). • En conséquence, l’année 2015, se caractérise par un captage globalement « faible à modéré » dans tous les secteurs s’échelonnant autour de 10 naissains/coupelle dans la lagune de Thau et en baie de Bourgneuf à plus de 200 naissains/coupelle dans les pertuis charentais. Enfin, à partir de l’ensemble des résultats acquis depuis 2008, ce rapport fournit en conclusion une série de recommandations à prendre en compte pour préserver le captage dans les années à venir.

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La prospectiva es parte de la planificación estratégica. Es una herramienta habitual en la gestión y dirección de empresas. Algunos países europeos la incluyen dentro de sus trabajos de diseño de las políticas ambientales. La generación de escenarios es una técnica cualitativa de prospectiva apta para los entornos con alta variabilidad y complejidad. El artículo explica el modo de aplicar esta técnica poniendo en paralelo los pasos dados en el proyecto Nature Outlook 2050 que ha desarrollado la agencia de evaluación y prospectiva ambiental de los Países Bajos (PBL).

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Trabalho Final de Mestrado para obtenção do grau de Mestre em Engenharia Mecânica

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Dissertação apresentada ao Instituto Politécnico do Porto para obtenção do Grau de Mestre em Logística Orientado pela professora Doutora Maria Teresa Ribeiro Pereira Esta dissertação não inclui as críticas e sugestões feitas pelo Júri.

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Cette thèse examine les impacts sur la morphologie des tributaires du fleuve Saint-Laurent des changements dans leur débit et leur niveau de base engendrés par les changements climatiques prévus pour la période 2010–2099. Les tributaires sélectionnés (rivières Batiscan, Richelieu, Saint-Maurice, Saint-François et Yamachiche) ont été choisis en raison de leurs différences de taille, de débit et de contexte morphologique. Non seulement ces tributaires subissent-ils un régime hydrologique modifié en raison des changements climatiques, mais leur niveau de base (niveau d’eau du fleuve Saint-Laurent) sera aussi affecté. Le modèle morphodynamique en une dimension (1D) SEDROUT, à l’origine développé pour des rivières graveleuses en mode d’aggradation, a été adapté pour le contexte spécifique des tributaires des basses-terres du Saint-Laurent afin de simuler des rivières sablonneuses avec un débit quotidien variable et des fluctuations du niveau d’eau à l’aval. Un module pour simuler le partage des sédiments autour d’îles a aussi été ajouté au modèle. Le modèle ainsi amélioré (SEDROUT4-M), qui a été testé à l’aide de simulations à petite échelle et avec les conditions actuelles d’écoulement et de transport de sédiments dans quatre tributaires du fleuve Saint-Laurent, peut maintenant simuler une gamme de problèmes morphodynamiques de rivières. Les changements d’élévation du lit et d’apport en sédiments au fleuve Saint-Laurent pour la période 2010–2099 ont été simulés avec SEDROUT4-M pour les rivières Batiscan, Richelieu et Saint-François pour toutes les combinaisons de sept régimes hydrologiques (conditions actuelles et celles prédites par trois modèles de climat globaux (MCG) et deux scénarios de gaz à effet de serre) et de trois scénarios de changements du niveau de base du fleuve Saint-Laurent (aucun changement, baisse graduelle, baisse abrupte). Les impacts sur l’apport de sédiments et l’élévation du lit diffèrent entre les MCG et semblent reliés au statut des cours d’eau (selon qu’ils soient en état d’aggradation, de dégradation ou d’équilibre), ce qui illustre l’importance d’examiner plusieurs rivières avec différents modèles climatiques afin d’établir des tendances dans les effets des changements climatiques. Malgré le fait que le débit journalier moyen et le débit annuel moyen demeurent près de leur valeur actuelle dans les trois scénarios de MCG, des changements importants dans les taux de transport de sédiments simulés pour chaque tributaire sont observés. Ceci est dû à l’impact important de fortes crues plus fréquentes dans un climat futur de même qu’à l’arrivée plus hâtive de la crue printanière, ce qui résulte en une variabilité accrue dans les taux de transport en charge de fond. Certaines complications avec l’approche de modélisation en 1D pour représenter la géométrie complexe des rivières Saint-Maurice et Saint-François suggèrent qu’une approche bi-dimensionnelle (2D) devrait être sérieusement considérée afin de simuler de façon plus exacte la répartition des débits aux bifurcations autour des îles. La rivière Saint-François est utilisée comme étude de cas pour le modèle 2D H2D2, qui performe bien d’un point de vue hydraulique, mais qui requiert des ajustements pour être en mesure de pleinement simuler les ajustements morphologiques des cours d’eau.

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Réalisées aux échelles internationales et nationales, les études de vulnérabilité aux changements et à la variabilité climatiques sont peu pertinentes dans un processus de prise de décisions à des échelles géographiques plus petites qui représentent les lieux d’implantation des stratégies de réponses envisagées. Les études de vulnérabilité aux changements et à la variabilité climatiques à des échelles géographiques relativement petites dans le secteur agricole sont généralement rares, voire inexistantes au Canada, notamment au Québec. Dans le souci de combler ce vide et de favoriser un processus décisionnel plus éclairé à l’échelle de la ferme, cette étude cherchait principalement à dresser un portrait de l’évolution de la vulnérabilité des fermes productrices de maïs-grain des régions de Montérégie-Ouest et du Lac-St-Jean-Est aux changements et à la variabilité climatiques dans un contexte de multiples sources de pression. Une méthodologie générale constituée d'une évaluation de la vulnérabilité globale à partir d’une combinaison de profils de vulnérabilité aux conditions climatiques et socio-économiques a été adoptée. Pour la période de référence (1985-2005), les profils de vulnérabilité ont été dressés à l’aide d’analyses des coefficients de variation des séries temporelles de rendements et de superficies en maïs-grain. Au moyen de méthodes ethnographiques associées à une technique d’analyse multicritère, le Processus d’analyse hiérarchique (PAH), des scénarios d’indicateurs de capacité adaptative du secteur agricole susmentionné ont été développés pour la période de référence. Ceux-ci ont ensuite servi de point de départ dans l’élaboration des indicateurs de capacité de réponses des producteurs agricoles pour la période future 2010-2039. Pour celle-ci, les deux profils de vulnérabilité sont issus d’une simplification du cadre théorique de « Intergovernmental Panel on Climate Change » (IPCC) relatif aux principales composantes du concept de vulnérabilité. Pour la dimension « sensibilité » du secteur des fermes productrices de maïs-grain des deux régions agricoles aux conditions climatiques, une série de données de rendements a été simulée pour la période future. Ces simulations ont été réalisées à l’aide d’un couplage de cinq scénarios climatiques et du modèle de culture CERES-Maize de « Decision Support System for Agrotechnology Transfer » (DSSAT), version 4.0.2.0. En ce qui concerne l’évaluation de la « capacité adaptative » au cours de la période future, la construction des scénarios d’indicateurs de cette composante a été effectuée selon l’influence potentielle des grandes orientations économiques et environnementales considérées dans l’élaboration des lignes directrices des deux familles d’émissions de gaz à effet de serre (GES) A2 et A1B. L’application de la démarche méthodologique préalablement mentionnée a conduit aux principaux résultats suivants. Au cours de la période de référence, la région agricole du Lac-St-Jean-Est semblait être plus vulnérable aux conditions climatiques que celle de Montérégie-Ouest. En effet, le coefficient de variation des rendements du maïs-grain pour la région du Lac-St-Jean-Est était évalué à 0,35; tandis que celui pour la région de Montérégie-Ouest n’était que de 0,23. Toutefois, par rapport aux conditions socio-économiques, la région de Montérégie-Ouest affichait une vulnérabilité plus élevée que celle du Lac-St-Jean-Est. Les valeurs des coefficients de variation pour les superficies en maïs-grain au cours de la période de référence pour la Montérégie-Ouest et le Lac-St-Jean-Est étaient de 0,66 et 0,48, respectivement. Au cours de la période future 2010-2039, la région du Lac-St-Jean-Est serait, dans l’ensemble, toujours plus vulnérable aux conditions climatiques que celle de Montérégie-Ouest. Les valeurs moyennes des coefficients de variation pour les rendements agricoles anticipés fluctuent entre 0,21 et 0,25 pour la région de Montérégie-Ouest et entre 0,31 et 0,50 pour la région du Lac-St-Jean-Est. Néanmoins, en matière de vulnérabilité future aux conditions socio-économiques, la position relative des deux régions serait fonction du scénario de capacité adaptative considéré. Avec les orientations économiques et environnementales considérées dans l’élaboration des lignes directrices de la famille d’émission de GES A2, les indicateurs de capacité adaptative du secteur à l’étude seraient respectivement de 0,13 et 0,08 pour la Montérégie-Ouest et le Lac-St-Jean-Est. D’autre part, en considérant les lignes directrices de la famille d’émission de GES A1B, la région agricole du Lac-St-Jean-Est aurait une capacité adaptative légèrement supérieure (0,07) à celle de la Montérégie-Ouest (0,06). De façon générale, au cours de la période future, la région du Lac-St-Jean-Est devrait posséder une vulnérabilité globale plus élevée que la région de Montérégie-Ouest. Cette situation s’expliquerait principalement par une plus grande vulnérabilité de la région du Lac-St-Jean-Est aux conditions climatiques. Les résultats de cette étude doivent être appréciés dans le contexte des postulats considérés, de la méthodologie suivie et des spécificités des deux régions agricoles examinées. Essentiellement, avec l’adoption d’une démarche méthodologique simple, cette étude a révélé les caractéristiques « dynamique et relative » du concept de vulnérabilité, l’importance de l’échelle géographique et de la prise en compte d’autres sources de pression et surtout de la considération d’une approche contraire à celle du « agriculteur réfractaire aux changements » dans les travaux d’évaluation de ce concept dans le secteur agricole. Finalement, elle a aussi présenté plusieurs pistes de recherche susceptibles de contribuer à une meilleure évaluation de la vulnérabilité des agriculteurs aux changements climatiques dans un contexte de multiples sources de pression.

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Le Sénégal est situé dans une zone soudano-sahélienne particulièrement exposée aux changements du climat, ce dernier rendant l’agriculture, activité principale du pays, précaire. La modification des conditions climatiques, en particulier depuis la fin des années 1960, a fortement affaibli le secteur agricole, majoritairement vivrier et pluvial. Face à l’importance de l’activité agraire vivrière du pays, il apparaît primordial de savoir comment les agriculteurs vivriers du Sénégal ont modifié ou prévoit modifier leurs pratiques en vue de satisfaire leurs besoins alimentaires dans un contexte de changement et de variabilité du climat. Cette étude a été effectuée au sein de la communauté rurale de Sessène selon une approche qualitative et à l’aide d’entretiens, de l’observation participante et d’analyse phénoménologique. Elle a permis de mettre en avant les caractéristiques générales des familles agraires et des exploitations de cette zone, de montrer comment les agriculteurs ont vécu le changement climatique et comment ils envisagent les prochaines années et enfin de discuter de leur capacité d’adaptation. Face au raccourcissement de la saison des pluies, à la diminution des précipitations, à l’intensification des évènements extrêmes et aux impacts de ces modifications sur l’environnement naturel, les agriculteurs vivriers adoptent des mesures aussi bien techniques que socio-économiques.