9 resultados para manierismo
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[ES] En la iglesia de San Miguel Arcángel, en Irura, encontramos uno de los retablos más interesantes de finales del Renacimiento en Gipuzkoa. El altar posee relieves y tallas de estilo romanista de gran calidad, junto con una mazonería manierista. La obra fue realizada en las postrimerías del siglo XVI por los artistas Pedro de Goicoechea y Jerónimo de Larrea, miembros del taller de Tolosa, siguiendo las trazas dadas por escultor Juan de Goicoechea.
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El romanismo, estilo al que pertenecen las obras escultóricas estudiadas en este libro, es una adaptación del manierismo italiano de Miguel Ángel y sus seguidores que se caracteriza por la concepción de figuras de gran idealización, de anatomía exaltada y pletóricas de fuerza. En esta publicación se analizan con detenimiento los retablos de finales del siglo XVI y comienzos del XVII en sus vertientes arquitectónica, escultural y pictórica de esta zona geográfica comprendida en el norte de la Península. Se trata de un tema poco estudiado y con su abordaje se han intentado proporcionar las herramientas para que estas obras, algunas de ellas recientemente restauradas, sean valoradas y apreciadas como se merecen. Para ello, las obras se encuadran en el marco político, administrativo, religioso y artístico del entorno de Tolosa, en Gipuzkoa, donde en el cambio de centuria artistas como Jerónimo de Larrea o Pedro de Goicoechea realizaron los retablos mayores de Itsasondo o Irura, en los que se consolida este nuevo estilo contrarreformista. El romanismo se ve analizado en su vertiente estilística, iconográfica o en sus fuentes gráficas, mientras que en cuanto a los artistas estudiados se centra la atención en los aspectos biográficos y profesionales, ofreciendo un amplio catálogo de obras que se distribuyen en el curso del río Oria, desde el actual Goierri hasta la costa cantábrica.
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Este material de referencia, dirigido a los alumnos de COU matriculados en la asignatura Historia del Arte, es un trabajo descriptivo, de aplicación de los conocimientos teóricos adquiridos en el aula y su ejecución en la arquitectura de unos periodos, el Manierismo y el Barroco. La división de la obra es la siguientes: 1. descripción del edificio y de sus elementos. 2. Conclusiones.
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Se defiende la tesis de que la obra de El Greco pertenece a la corriente del manierismo europeo, estableciendo nuevas orientaciones de investigación sobre su vida y su obra. Esclarecedor sería también profundizar en la historia y trabajos de El Greco de los primeros tiempos, de la que poco se sabe, antes de llegar a España.
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I libretti che Pascoli scrisse in forma di abbozzi e che sognò potessero calcare il palcoscenico di un teatro furono davvero un “melodramma senza musica”. In primo luogo, perché non giunsero mai ad essere vestiti di note e ad arrivare in scena; ma anche perché il tentativo di scrivere per il teatro si tinse per Pascoli di toni davvero melodrammatici, nel senso musicale di sconfitta ed annullamento, tanto da fare di quella pagina della sua vita una piccola tragedia lirica, in cui c’erano tante parole e, purtroppo, nessuna musica. Gli abbozzi dei drammi sono abbastanza numerosi; parte di essi è stata pubblicata postuma da Maria Pascoli.1 Il lavoro di pubblicazione è stato poi completato da Antonio De Lorenzi.2 Ho deciso di analizzare solo quattro di questi abbozzi, che io reputo particolarmente significativi per poter cogliere lo sviluppo del pensiero drammatico e della poetica di Pascoli. I drammi che analizzo sono Nell’Anno Mille (con il rifacimento Il ritorno del giullare), Gretchen’s Tochter (con il rifacimento La figlia di Ghita), Elena Azenor la Morta e Aasvero o Caino nel trivio o l’Ebreo Errante. La prima ragione della scelta risiede nel fatto che questi abbozzi presentano una lunghezza più consistente dell’appunto di uno scheletro di dramma registrato su un foglietto e, quindi, si può seguire attraverso di essi il percorso della vicenda, delle dinamiche dei personaggi e dei significati dell’opera. Inoltre, questi drammi mostrano cosa Pascoli intendesse comporre per sollevare le vesti del libretto d’opera e sono funzionali all’esemplificazione delle sue concezioni teoriche sulla musica e il melodramma, idee che egli aveva espresso nelle lettere ad amici e compositori. In questi quattro drammi è possibile cogliere bene le motivazioni della scelta dei soggetti, il loro significato entro la concezione melodrammatica del poeta, il sistema simbolico che soggiace alla creazione delle vicende e dei personaggi e i legami con la poetica pascoliana. Compiere un’analisi di questo tipo significa per me, innanzitutto, risalire alle concezioni melodrammatiche di Pascoli e capire esattamente cosa egli intendesse per dramma musicale e per rinnovamento dello stesso. Pascoli parla di musica e dei suoi tentativi di scrivere per il teatro lirico nelle lettere ai compositori e, sporadicamente, ad alcuni amici (Emma Corcos, Luigi Rasi, Alfredo Caselli). La ricostruzione del pensiero e dell’estetica musicale di Pascoli ha dovuto quindi legarsi a ricerche d’archivio e di materiali inediti o editi solo in parte e, nella maggioranza dei casi, in pubblicazioni locali o piuttosto datate (i primi anni del Novecento). Quindi, anche in presenza della pubblicazione di parte del materiale necessario, quest’ultimo non è certo facilmente e velocemente consultabile e molto spesso è semi sconosciuto. Le lettere di Pascoli a molti compositori sono edite solo parzialmente; spesso, dopo quei primi anni del Novecento, in cui chi le pubblicò poté vederle presso i diretti possessori, se ne sono perse le tracce. Ho cercato di ricostruire il percorso delle lettere di Pascoli a Giacomo Puccini, Riccardo Zandonai, Giovanni Zagari, Alfredo Cuscinà e Guglielmo Felice Damiani. Si tratta sempre di contatti che Pascoli tenne per motivi musicali, legati alla realizzazione dei suoi drammi. O per le perdite prodotte dalla storia (è il 1 Giovanni Pascoli, Nell’Anno Mille. Sue notizie e schemi da altri drammi, a c. di Maria Pascoli, Bologna, Zanichelli, 1924. 2 Giovanni Pascoli, Testi teatrali inediti, a c. di Antonio De Lorenzi, Ravenna, Longo, 1979. caso delle lettere di Pascoli a Zandonai, che andarono disperse durante la seconda guerra mondiale, come ha ricordato la prof.ssa Tarquinia Zandonai, figlia del compositore) o per l’impossibilità di stabilire contatti quando i possessori dei materiali sono privati e, spesso, collezionisti, questa parte delle mie ricerche è stata vana. Mi è stato possibile, però, ritrovare gli interi carteggi di Pascoli e i due Bossi, Marco Enrico e Renzo. Le lettere di Pascoli ai Bossi, di cui do notizie dettagliate nelle pagine relative ai rapporti con i compositori e all’analisi dell’Anno Mille, hanno permesso di cogliere aspetti ulteriori circa il legame forte e meditato che univa il poeta alla musica e al melodramma. Da queste riflessioni è scaturita la prima parte della tesi, Giovanni Pascoli, i musicisti e la musica. I rapporti tra Pascoli e i musicisti sono già noti grazie soprattutto agli studi di De Lorenzi. Ho sentito il bisogno di ripercorrerli e di darne un aggiornamento alla luce proprio dei nuovi materiali emersi, che, quando non sono gli inediti delle lettere di Pascoli ai Bossi, possono essere testi a stampa di scarsa diffusione e quindi poco conosciuti. Il quadro, vista la vastità numerica e la dispersione delle lettere di Pascoli, può subire naturalmente ancora molti aggiornamenti e modifiche. Quello che ho qui voluto fare è stato dare una trattazione storico-biografica, il più possibile completa ed aggiornata, che vedesse i rapporti tra Pascoli e i musicisti nella loro organica articolazione, come premessa per valutare le posizioni del poeta in campo musicale. Le lettere su cui ho lavorato rientrano tutte nel rapporto culturale e professionale di Pascoli con i musicisti e non toccano aspetti privati e puramente biografici della vita del poeta: sono legate al progetto dei drammi teatrali e, per questo, degne di interesse. A volte, nel passato, alcune di queste pagine sono state lette, soprattutto da giornalisti e non da critici letterari, come un breve aneddoto cronachistico da inserire esclusivamente nel quadro dell’insuccesso del Pascoli teatrale o come un piccolo ragguaglio cronologico, utile alla datazione dei drammi. Ricostruire i rapporti con i musicisti equivale nel presente lavoro a capire quanto tenace e meditato fu l’avvicinarsi di Pascoli al mondo del teatro d’opera, quali furono i mezzi da lui perseguiti e le proposte avanzate; sempre ho voluto e cercato di parlare in termini di materiale documentario e archivistico. Da qui il passo ad analizzare le concezioni musicali di Pascoli è stato breve, dato che queste ultime emergono proprio dalle lettere ai musicisti. L’analisi dei rapporti con i compositori e la trattazione del pensiero di Pascoli in materia di musica e melodramma hanno in comune anche il fatto di avvalersi di ricerche collaterali allo studio della letteratura italiana; ricerche che sconfinano, per forza di cose, nella filosofia, estetica e storia della musica. Non sono una musicologa e non è stata mia intenzione affrontare problematiche per le quali non sono provvista di conoscenze approfonditamente adeguate. Comprendere il panorama musicale di quegli anni e i fermenti che si agitavano nel teatro lirico, con esiti vari e contrapposti, era però imprescindibile per procedere in questo cammino. Non sono pertanto entrata negli anfratti della storia della musica e della musicologia, ma ho compiuto un volo in deltaplano sopra quella terra meravigliosa e sconfinata che è l’opera lirica tra Ottocento e Novecento. Molti consigli, per non smarrirmi in questo volo, mi sono venuti da valenti musicologi ed esperti conoscitori della materia, che ho citato nei ringraziamenti e che sempre ricordo con viva gratitudine. Utile per gli studi e fondamentale per questo mio lavoro è stato riunire tutte le dichiarazioni, da me conosciute finora, fornite da Pascoli sulla musica e il melodramma. Ne emerge quella che è la filosofia pascoliana della musica e la base teorica della scrittura dei suoi drammi. Da questo si comprende bene perché Pascoli desiderasse tanto scrivere per il teatro musicale: egli riteneva che questo fosse il genere perfetto, in cui musica e parola si compenetravano. Così, egli era convinto che la sua arte potesse parlare ed arrivare a un pubblico più vasto. Inoltre e soprattutto, egli intese dare, in questo modo, una precisa risposta a un dibattito europeo sul rinnovamento del melodramma, da lui molto sentito. La scrittura teatrale di Pascoli non è tanto un modo per trovare nuove forme espressive, quanto soprattutto un tentativo di dare il suo contributo personale a un nuovo teatro musicale, di cui, a suo dire, l’umanità aveva bisogno. Era quasi un’urgenza impellente. Le risposte che egli trovò sono in linea con svariate concezioni di quegli anni, sviluppate in particolare dalla Scapigliatura. Il fatto poi che il poeta non riuscisse a trovare un compositore disposto a rischiare fino in fondo, seguendolo nelle sue creazioni di drammi tutti interiori, con scarso peso dato all’azione, non significa che egli fosse una voce isolata o bizzarra nel contesto culturale a lui contemporaneo. Si potranno, anche in futuro, affrontare studi sugli elementi di vicinanza tra Pascoli e alcuni compositori o possibili influenze tra sue poesie e libretti d’opera, ma penso non si potrà mai prescindere da cosa egli effettivamente avesse ascoltato e avesse visto rappresentato. Il che, documenti alla mano, non è molto. Solo ciò a cui possiamo effettivamente risalire come dato certo e provato è valido per dire che Pascoli subì il fascino di questa o di quell’opera. Per questo motivo, si trova qui (al termine del secondo capitolo), per la prima volta, un elenco di quali opere siamo certi Pascoli avesse ascoltato o visto: lo studio è stato possibile grazie ai rulli di cartone perforato per il pianoforte Racca di Pascoli, alle testimonianze della sorella Maria circa le opere liriche che il poeta aveva ascoltato a teatro e alle lettere del poeta. Tutto questo è stato utile per l’interpretazione del pensiero musicale di Pascoli e dei suoi drammi. I quattro abbozzi che ho scelto di analizzare mostrano nel concreto come Pascoli pensasse di attuare la sua idea di dramma e sono quindi interpretati attraverso le sue dichiarazioni di carattere musicale. Mi sono inoltre avvalsa degli autografi dei drammi, conservati a Castelvecchio. In questi abbozzi hanno un ruolo rilevante i modelli che Pascoli stesso aveva citato nelle sue lettere ai compositori: Wagner, Dante, Debussy. Soprattutto, Nell’Anno Mille, il dramma medievale sull’ultima notte del Mille, vede la significativa presenza del dantismo pascoliano, come emerge dai lavori di esegesi della Commedia. Da questo non è immune nemmeno Aasvero o Caino nel trivio o l’Ebreo Errante, che è il compimento della figura di Asvero, già apparsa nella poesia di Pascoli e portatrice di un messaggio di rinascita sociale. I due drammi presentano anche una specifica simbologia, connessa alla figura e al ruolo del poeta. Predominano, invece, in Gretchen’s Tochter e in Elena Azenor la Morta le tematiche legate all’archetipo femminile, elemento ambiguo, materno e infero, ma sempre incaricato di tenere vivo il legame con l’aldilà e con quanto non è direttamente visibile e tangibile. Per Gretchen’s Tochter la visione pascoliana del femminile si innesta sulle fonti del dramma: il Faust di Marlowe, il Faust di Goethe e il Mefistofele di Boito. I quattro abbozzi qui analizzati sono la prova di come Pascoli volesse personificare nel teatro musicale i concetti cardine e i temi dominanti della sua poesia, che sarebbero così giunti al grande pubblico e avrebbero avuto il merito di traghettare l’opera italiana verso le novità già percorse da Wagner. Nel 1906 Pascoli aveva chiaramente compreso che i suoi drammi non sarebbero mai arrivati sulle scene. Molti studi e molti spunti poetici realizzati per gli abbozzi gli restavano inutilizzati tra le mani. Ecco, allora, che buona parte di essi veniva fatta confluire nel poema medievale, in cui si cantano la storia e la cultura italiane attraverso la celebrazione di Bologna, città in cui egli era appena rientrato come professore universitario, dopo avervi già trascorso gli anni della giovinezza da studente. Le Canzoni di Re Enzio possono quindi essere lette come il punto di approdo dell’elaborazione teatrale, come il “melodramma senza musica” che dà il titolo a questo lavoro sul pensiero e l’opera del Pascoli teatrale. Già Cesare Garboli aveva collegato il manierismo con cui sono scritte le Canzoni al teatro musicale europeo e soprattutto a Puccini. Alcuni precisi parallelismi testuali e metrici e l’uso di fonti comuni provano che il legame tra l’abbozzo dell’Anno Mille e le Canzoni di Re Enzio è realmente attivo. Le due opere sono avvicinate anche dalla presenza del sostrato dantesco, tenendo presente che Dante era per Pascoli uno dei modelli a cui guardare proprio per creare il nuovo e perfetto dramma musicale. Importantissimo, infine, è il piccolo schema di un dramma su Ruth, che egli tracciò in una lettera della fine del 1906, a Marco Enrico Bossi. La vicinanza di questo dramma e di alcuni degli episodi principali della Canzone del Paradiso è tanto forte ed evidente da rendere questo abbozzo quasi un cartone preparatorio della Canzone stessa. Il Medioevo bolognese, con il suo re prigioniero, la schiava affrancata e ancella del Sole e il giullare che sulla piazza intona la Chanson de Roland, costituisce il ritorno del dramma nella poesia e l’avvento della poesia nel dramma o, meglio, in quel continuo melodramma senza musica che fu il lungo cammino del Pascoli librettista.
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Los estudios de la arquitectura vinculados al enfoque formalista tienen tres libros entre sus referencias principales: Principios fundamentales de la Historia de la Arquitectura. El desarrollo de la arquitectura europea, 1420-1900, de Paul Frankl; Los fundamentos de la arquitectura en la edad del humanismo, de Rudolf Wittkower; y Manierismo y arquitectura moderna y otros ensayos, de Colin Rowe. Estas obras responden a planteamientos muy distintos, pero tienen en común el papel relevante que el método formal juega en ellas. La actividad intelectual de estos estudiosos ha de relacionarse con la de otros autores anteriores o coetáneos. En el caso de Frankl sus vinculaciones principales son con Wölffl in y Schmarsow, entre otros. El libro de Wittkower es deudor de los enfoques de Goldschmidt y de Panofsky y se distancia de los planteamientos de Scott y del propio Wölffl in. Colin Rowe se apoya en los escritos de Wittkower y reconoce la utilidad del método de Wölffl in, aunque señala sus limitaciones. Como se ve, la figura de Wölfflin está presente desde el principio hasta el final de esta historia.
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La presente tesis doctoral desarrolla la obra del arquitecto Antonio Vallejo Álvarez (n. 1903, t. 1928, f. 2002) cuya larga carrera profesional permite observar una evolución que tiene como fondo la de la arquitectura española desde los planteamientos academicistas de principios del siglo XX, pasando por el primer racionalismo, hasta la influencia del Movimiento Moderno. Antonio Vallejo nació en Almonacid de Zorita, un pueblo de la provincia de Guadalajara pequeño pero singular ya que entonces se construía el Salto de Bolarque, instalación energética crucial en la época que albergaba además elementos de arquitectura culta. La familia le envió a Madrid a estudiar en las Escuelas Pías de San Fernando y luego en la vieja escuela de arquitectura de la calle Escritorios perteneciente a la Real Academia de Bellas Artes de San Fernando. Terminada la carrera realizó unas primeras edificaciones de corte historicista con relativa abundancia de estilemas academicista que van desapareciendo paulatinamente a la vez que evolucionan hacia el “decó”. De esta depuración, que puede observarse muy bien en los números 69,73 y 62 de la calle Viriato de Madrid, resulta un primer racionalismo en el que las balconadas y cuerpos volados se apoyan sobre una trama racionalista ortogonal cada vez más rígida. Simultáneamente trabajó en esta época en la Oficina de Información sobre la Ciudad del Ayuntamiento de Madrid junto a Bernardo Giner de los Ríos y Fernando García Mercadal, entre otros. Más tarde se incorporó a las órdenes del primero a la Oficina de Construcciones escolares donde se mantuvo hasta el estallido de la guerra civil. Al amparo de la Ley Salmón fundó la empresa promotora de viviendas Ar-In donde realizó una arquitectura en la que la trama racionalista cobra una gran fuerza expresiva, matizada y potenciada por grandes balcones aterrazados de corte higienista. Sus exponentes máximos son el conjunto en la calle Narváez esquina a Alcalde Sáinz de Baranda, y la manzana de Guzmán el Bueno, 75 de Madrid. La guerra civil interrumpe el proceso y tras ella nuestro autor ensaya la supervivencia del racionalismo mediante la superposición de la trama en grandes cuerpos de alzado de ladrillo ocupando las plantas de pisos, sobre un basamento de granito en la planta baja y una especie de pórtico enmarcando los huecos del ático a modo de remate. En las ventanas se colocan embocaduras de caliza de diversas formas. Esta arquitectura, muy en la línea del gusto de la época, será sublimada mediante un magnífico ejemplo de manierismo en su gran obra de la Residencia de los Agustinos Recoletos y la Iglesia de Santa Rita de Madrid. Superados los al menos tres lustros de postguerra, Vallejo inicia un proceso que podríamos llamar estructuralista en la medida en que la asunción de la situación de la estructura en el edificio y el módulo por ella creada definen sus características formales. Aquí, tras trabajar el hormigón armado en algunos edificios como los del Residencial Bellas Vistas de Madrid, lo hace con mucho más convencimiento en edificios con estructuras de acero como el colegio del Sagrado Corazón de Guadalajara. Es también importante hablar de la provincia de Almería, a cuya capital llega nuestro arquitecto inmediatamente después de la guerra civil para alejarse de las indeseables consecuencias que hubiera podido tener su fidelidad al gobierno de la República con el que colaboró hasta el último momento. En la ciudad desarrolló una extensa labor como constructor a través de Duarín SA, que se había formado sobre los restos de su promotora. También como arquitecto, con una labor paralela a la madrileña pero con menor presión ambiental, lo que contribuyó a que en cierta medida el proceso de afloramiento de su arquitectura estructuralista, heredera lejana de su primer racionalismo, fuese más rápido, como prueban realizaciones como los edificios de la calle Juan Pérez, 18 y del Paseo de la Estación, 19. ABSTRACT This thesis deals with the works in architecture from Antonio Vallejo Álvarez (b. 1903, g. 1928, d. 2002) whose long career enables us to concentrate on the evolution of the Spanish Architecture from the Academicism taking place at the beginning of XXth century , until the influence of the Modern Movement, taking also into account Racionalism. Antonio Vallejo was born in Almonacid de Zorita, a village in the province of Guadalajara small but unique because then Salto de Bolarque the crucial energy facility at the time also housed elements of classical architecture is built. His family sent him to study to Madrid in Escuelas Pías de San Fernando first, and then he attended lessons in the old Architecture school from Escritorios street belonging this last one to la Real Academia de Bellas Artes de San Fernando. Once he finished his degree on Architecture, he worked on some historicist buildings with a great use of academicist stylemes which will be disappearing little by little, turning into “deco”. From this depurationn, whose traces can be found in 69, 73, 62 at Viriato street in Madrid, our architect ends up with a first racionalism in which balconies and flown bodies are suspended on a racionalist and orthogonal more and more rigid. At that time, he was also working in the Information Office in Madrid Town Hall together with Bernardo Giner de los Ríos y Fernando García Mercadal, among others. Later, he worked for Bernardo Giner de los Ríos in the School Building Offices until the breaking out of the Civil War. Under Salmón law, he founded a developer for buildings named Ar-In, where he developed a type of Architecture in which racionalism develops a magnificent expressive force, empowered by great terraced balconies with higienistain court. His great masterpieces at this time are the buildings from Narvaez opposite to Alcalde Sáinz de Baranda and the block in 75 Guzmán El Bueno, in Madrid. Civil war interrupts somehow his process and once the war is over, our architect works on the survival of racionalism by overlapping on large bodies of brick elevation occupying different floor plants, on a base of granite on the ground floor and a sort of portico framing the gaps in the attic by way of auction. On the Windows he se colocan embocaduras de caliza de diversas formas. This type of architecture, very much enjoyed at that time, will be sublimed as a great example of manierism in his great work such as the case of Agustinos Recoletos Residence and Santa Rita Church in Madrid. About fifteen years after the war, in the post-war era, Vallejo starts a process which we could call structuralist, as lons as the asumption from the situation of the structure in the building and the created module define his main features. Here, once our architect works with reinforce concrete in some of his buildings such as Residencial Bellas Vistas de Madrid, he improves his technique with steel strucutres such as the on in the school Sagrado Corazón in Guadalajara. It is also remarkable to speak about the province of Almería, where our architect arrives inmediately after the civil war, to get rid of the consequences of his loyalty to the Republic movement to which he collaborated until his death. He developed a great career as a builder there through Duarín SA, which was launched though his former enterprise. Similary as the way he worked in Madrid,he, also as an arquitect, did his work in Almería with less environmental pressure though, fact which contributed to the flourishing of the structuralist architecture, as an heir from his first racionalism, as it can be shown from buildings in streets such as 18 Juan Pérez, and 19 Paseo de la Estación.
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La abundancia de figuras flotantes en la plástica de la Edad moderna nos invita a estudiar el movimiento que realizan ángeles y divinidades. Por su movimiento ingrávido, estos personajes se diferencian de aquellos que están sujetos a su centro de gravedad. Conocemos su movimiento a través de las representaciones de esta época, movimiento que ha sido inventado a partir de la experiencia sensorial y la imaginación. La expresión virtual del dinamismo en imágenes estáticas se apoya en recursos técnicos y formales que en el caso de la figura humana ingrávida están orientados a resaltar las características peculiares de su movimiento. La independencia de una superficie de apoyo transforma en ilimitado el espacio en el que se mueven los seres ingrávidos; y su independencia del centro de gravedad hace posible desplazamientos que son insólitos en la vida cotidiana. Por ello, todo recurso visual que sugiera esta condición contribuirá a expresar su libertad de trayectorias.
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El presente trabajo aborda el recorrido del agua como imagen poética en sus dos principales manifestaciones —aguas dulces y saladas— en las "Flores de poetas ilustres de España" (1605), antología lírica ordenada por el antequerano Pedro Espinosa paradigmática del manierismo literario español. Desde la cita erudita hasta el símbolo, pasando por el particular tratamiento de la tópica clásica y petrarquista que le sirve de sustancia en un contexto contrarreformista, así como por la característica personificación de ríos y mares que distingue a la obra, se hace patente el protagonismo otorgado a este elemento tanto en la selección de textos como en su disposición y en la particular elocución de la retórica del movimiento. Como sucede con los juegos de agua del jardín manierista, integrando el agua de modo sustancial en su estética intelectualizante y preciosista y en sus diseños geométricos, el libro ofrece la oportunidad como ninguna otra de nuestra literatura áurea de apreciar la innovadora significación y versatilidad de este elemento como motivo poético.