998 resultados para archeologia, industriale, ex, officine, reggiane


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Le ex Officine Reggiane si trovano nell’Area Nord di Reggio Emilia e si inseriscono all’interno del progetto di riqualificazione indetto dall’Amministrazione Comunale e descritto nel Piano Strutturale Comunale 2011. Il tema affrontato in questa tesi, elaborato all’interno del Laboratorio di laurea in Architettura sostenibile, si sviluppa su due scale: quella urbana e quella architettonica. In primo luogo il progetto definisce delle strategie di intervento per la riqualificazione della ‘area Reggiane, esplicitate attraverso un masterplan; poi approfondisce parte di un fabbricato e lo spazio aperto adiacente. Attività svolte e risultati conseguiti. Per prima cosa si sono svolte delle analisi morfologiche e geografiche di Reggio Emilia e una lettura approfondita del PSC 2011 al fine di comprendere le strategie dell’Amministrazione e le principali linee di sviluppo della città. In un secondo momento si è passati all’analisi diretta dell’area ex Officine Reggiane, acquisendo informazioni sulla sua storia e sulla sua conformazione. Questo è stato possibile attraverso la lettura di documenti e alle visite in loco. Sulla base dei dati ottenuti e constatata la vocazione dell’area è stato possibile formulare un’idea di masterplan. Successivamente abbiamo approfondito parte del fabbricato 15 a, uno degli edifici a sud-ovest dell’area. Il progetto vero e proprio è stato proceduto da una fase di rilievo ed è sfociato nell’ideazione di una biblioteca e di spazi di coworking inseriti all’interno del fabbricato esistente; parallelamente abbiamo dato una possibile configurazione allo spazio aperto ad est del blocco analizzato. L’edificio della biblioteca è stato approfondito al dettaglio. In ogni fase siamo state supportate da strumenti per la valutazione del comfort indoor e outdoor.

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L’oggetto di questa tesi di laurea è un intervento di riqualificazione delle Ex Officine Meccaniche Reggiane, un’area industriale, sita a Reggio Emilia, che nel corso degli anni ha subìto una graduale dismissione, sino allo stato attuale di completo abbandono. Il tema riveste un’importanza focale nelle città moderne, affette da un elevato livello di migrazione e riorganizzazione dell’industria, che trasforma vaste aree di produzione in vuoti urbani di difficile gestione. I problemi fondamentali sono infatti la notevole dimensione degli stabilimenti abbandonati e la loro posizione, un tempo strategica, ma che ora risulta critica per una lettura unitaria della città e delle sue connessioni. L’area in oggetto, dedicata nel corso degli anni a diversi tipi di produzione, tra le quali quelle ferroviaria e dell’aviazione, è locata in prossimità del centro storico di Reggio Emilia, separati solamente dalla linea ferroviaria storica con cui si interfaccia direttamente. L’espansione della città ha portato ad inglobare lo stabilimento, che risulta quindi chiuso in se stesso e fortemente vincolante per le connessioni della città. Gli scopi dell’intervento sono quindi quelli di generare connessioni tra le parti di città circostanti e di permettere il riappropriamento dell’area alla popolazione. Per raggiungere tali scopi è stato necessario aprire il forte limite perimetrale esistente ed individuare nuovi percorsi di attraversamento, ma anche nuove funzioni ed attrattività da inserire. Vista la frammentazione dell’area in una serie di edifici, lo studio si è poi concentrato su un edificio tipo, allo scopo di individuare un’ipotesi di intervento più dettagliata. Le strategie degli interventi sono il risultato di interazione tra le necessità di mantenere le strutture ed il carattere dell’area, di introdurre funzioni attrattive e di ottenere adeguati livelli di comfort ambientale e prestazioni energetiche.

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La nostra tesi propone un progetto di riqualificazione funzionale ed energetica di una porzione dell’area dismessa delle Ex Officine Reggiane a Reggio Emilia che comprende uno spazio scoperto di circa 42.500 m2 e un fabbricato, nel quale proponiamo di realizzare il museo delle officine, spazi per esposizioni temporanee e il nuovo polo archivistico di Reggio Emilia. Le Officine Meccaniche Reggiane sono state un polo industriale di particolare rilevanza a livello nazionale ed internazionale, diventando negli anni ’40 la quarta potenza industriale italiana dopo Fiat,Ansaldo e Breda. Dismesse dal 2009, si presentano oggi come un’area abbandonata di ben 260.000 m2 nella quale convivono la memoria e la speranza futura di rilancio della città di Reggio Emilia nel panorama europeo. Sulle tracce dei progetti già messi in atto dall’Amministrazione comunale, abbiamo fornito una proposta progettuale che consideri le vocazioni funzionali dell’area e le strategie energetiche possibili per rendere il progetto sostenibile sia dal punto di vista ambientale che dal punto di vista economico. Il lavoro è partito dalla definizione di un quadro conoscitivo dell’area attraverso una prima fase di analisi a livello territoriale e microclimatico servendosi per queste ultime del software di simulazione in regime dinamico ENVI-met. Questa prima fase si è conclusa con l’elaborazione di un masterplan, in seguito al quale ci siamo soffermate sul progetto di riqualificazione del capannone 15 e del grande spazio vuoto antistante ad esso. L’intervento sul costruito si può riassumere in tre parole chiave: conservare, aggiornare, integrare. Abbiamo scelto infatti di mantenere la robusta e ritmata struttura in acciaio, ripensare l’involucro edilizio in termini di una maggiore efficienza energetica e confinare i locali climatizzati in volumi autoportanti, garantendo, nell’atrio, condizioni di comfort termico accettabili unicamente attraverso strategie energetiche passive. Per verificare l’effettiva opportunità della soluzione ipotizzata ci siamo servite del software di simulazione fluidodinamica IES VE, il quale, attraverso la simulazione oraria del cambiamento dei parametri ambientali più rilevanti e degli indicatori di benessere (PMV, Comfort index, PPD..), ha confermato le nostre aspettative verificando che non è necessario intervenire con l’introduzione di sistemi di climatizzazione convenzionale. Per quanto riguarda i padiglioni entro i quali sono pensate le attività di servizio e supporto al museo e l’archivio, è stata verificata la soddisfacente prestazione energetica raggiunta attraverso l’utilizzo del software Termolog Epix5, il quale ha attestato che essi rientrano nella classe A con un consumo energetico di 4,55 kWh/m3annuo.

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In questa tesi abbiamo effettuato la caratterizzazione dinamica del celebre ponte pedonale sito a Vagli di Sotto, in Garfagnana (Lucca) e del suo suolo di fondazione. L’opera fu progettata dall’ing. Riccardo Morandi nel 1953 per mettere in comunicazione l’abitato di Vagli di Sopra con i paesi circostanti, dopo l’allagamento della valle sottostante ad opera di una diga in costruzione nello stesso anno. L’opera è interessante per il modo in cui fu costruita in sito e per il fatto di essere - esempio raro - un ponte con fondazioni sommerse da un invaso artificiale per gran parte del tempo e per essere stato costruito in una zona in cui la progettazione antisismica moderna prevederebbe accortezze molto diverse a livello di progettazione. Abbiamo avuto occasione di effettuare la caratterizzazione dinamica dell’opera e del sottosuolo prima ad invaso completamente svuotato (evento che si verifica in media solo ogni 20 anni, per lavori di manutenzione della diga) e successivamente ad invaso riempito. Questo ha permesso di verificare come e se il livello dell’acqua influenzi la risposta dinamica del ponte. E’ stata infine effettuata un’analisi numerica di risposta sismica locale per stimare le accelerazioni tipiche a cui sarebbe sottoposta la struttura in caso di terremoto e le accelerazioni tipiche con cui tale opera dovrebbe essere progettata o sismicamente adeguata al giorno d’oggi.

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In questa tesi ci siamo concentrati su ponte pedonale di Vagli, celebre opera dell’ing. Riccardo Morandi progettata nel 1953. Tale opera, che appartiene ora all’archeologia industriale, è molto interessante per le soluzioni costruttive adottate al tempo, per la fama del progettista e per il fatto di essere un raro esempio di ponte con fondazioni sommerse entro un invaso artificiale, e per essere stato costruito in una zona in cui la progettazione antisismica moderna prevedrebbe accortezze molto diverse. È stato pertanto deciso di effettuare una caratterizzazione dinamica completa del suolo di fondazione e della struttura stessa, sia dal punto di vista sperimentale in condizioni passive che dal punto di vista teorico-modellistico in condizioni attive (cioè in presenza di terremoto). La caratterizzazione dinamica sperimentale dell’opera è stata effettuata prima ad invaso completamente svuotato e quindi con i pilastri del ponte a contatto con l’aria.La caratterizzazione è stata poi ripetuta in condizioni di invaso riempito, con circa 15 metri di acqua. Questo caso di studio si rivela particolarmente interessante per comprendere come il livello dell’acqua modifichi o meno il comportamento dinamico del ponte, e le implicazioni che questo avrebbe nella progettazione sismica moderna. I risultati ottenuti sono rilevanti perché forniscono una caratterizzazione completa dell’opera (suolo-struttura) allo stato attuale e possono quindi essere usati, attraverso il confronto con dati futuri, per valutare l’invecchiamento della struttura stessa o per effettuare verifiche strutturali post-sisma. A fronte di danni strutturali anche invisibili all’occhio umano, infatti, la risposta dinamica della struttura cambia e conoscere lo stato pre-sisma permette di valutare dove e quanto tale risposta sia eventualmente cambiata. L’analisi qui effettuata permette infine di rendere conto dei parametri con cui quest’opera sarebbe dovuta essere costruita secondo gli standard normativi attuali.

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Il progetto di riqualificazione della Caserma Sani si ispira allʼinteresse nei confronti delle tematiche del recupero edilizio e urbano. Esso nasce dallʼintenzione di reintegrare unʼarea urbana in via di dismissione nel suo contesto attraverso lʼinserimento di nuove funzioni che rispondano alle esigenze di questa parte di città e nel contempo riqualificare i fabbricati esistenti attraverso un progetto di recupero e completamento che favorisca il dialogo del complesso esistente con il sistema urbano circostante. La volontà di riuso della maggioranza degli edifici facenti parte del vecchio impianto si basa su considerazioni legate alla natura stessa del sito: lʼintenzione è quella di conservarne la memoria, non tanto per il suo valore storico-architettonico, ma perché nel caso specifico della Caserma più che di memoria è opportuno parlare di scoperta, essendo, per propria natura militare, un luogo da sempre estraneo alla comunità e al suo contesto, chiuso e oscurato dal limite fisico del muro di cinta. La caserma inoltre si compone di edifici essenzialmente funzionali, di matrice industriale, la cui versatilità si legge nella semplicità e serialità morfologica, rendendoli “organismi dinamici” in grado di accogliere trasformazioni e cambi di funzione. Il riuso si muove in parallelo ai concetti di risignificazione e riciclaggio, dividendosi in modo egualmente efficace fra presupposti teorici e pratici. Esso costituisce una valida alternativa alla pratica della demolizione, nel caso in cui questa non sia specificatamente necessaria, e alle implicazione economiche e ambientali (smaltimento dei rifiuti, impiego dei trasporti e fondi economici, ecc.) che la accompagnano. Alla pratica del riuso si affianca nel progetto quella di completamento e ampliamento, arricchendo il vecchio sistema di edifici con nuove costruzioni che dialoghino discretamente con la preesistenza stabilendo un rapporto di reciproca complementarietà. Il progetto di riqualificazione si basa su più ampie considerazioni a livello urbano, che prevedono lʼintegrazione dellʼarea ad un sistema di attraversamento pedonale e ciclabile che colleghi da nord a sud le principali risorse verdi del quartiere passando per alcuni dei principali poli attrattori dellʼarea, quali la Stazione Centrale, il Dopolavoro Ferroviario adibito a verde attrezzato, il nuovo Tecno Polo che sorgerà grazie al progetto di riqualificazione previsto per lʼex Manifattura Tabacchi di Pier Luigi Nervi e il nuovo polo terziario che sorgerà dalla dismissione delle ex Officine Cevolani. In particolare sono previsti due sistemi di collegamento, uno ciclo-pedonale permesso dalla nuova pista ciclabile, prevista dal nuovo Piano Strutturale lungo il sedime della vecchia ferrovia che correrà da nord a sud collegando il Parco della Montagnola e in generale il centro storico al Parco Nord, situato oltre il limite viario della tangenziale. Parallelamente alla pista ciclabile, si svilupperà allʼinterno del tessuto un ampio viale pedonale che, dal Dopolavoro Ferroviario (parco attrezzato con impianti sportivi) collegherà la grande area verde che sorgerà dove ora giacciono i resti delle ex Industrie Casaralta, adiacenti alla Caserma Sani, già oggetto di bonifica e in via di dismissione, incontrando lungo il suo percorso differenti realtà e funzioni: complessi residenziali, terziari, il polo culturale e le aree verdi. Allʼinterno dellʼarea della Caserma sarà integrato agli edifici, nuovi e preesistenti, un sistema di piazze pavimentate e percorsi di attraversamento che lo riuniscono al tessuto circostante e favoriscono il collegamento da nord a sud e da est a ovest di zone della città finora poco coinvolte dal traffico pedonale, in particolare è il caso del Fiera District separato dal traffico veloce di Via Stalingrado rispetto alla zona residenziale della Bolognina. Il progetto lascia ampio spazio alle aree verdi, le quali costituiscono più del 50 % della superficie di comparto, garantendo una preziosa risorsa ambientale per il quartiere. Lʼintervento assicura lʼinserimento di una molteplicità di funzioni e servizi: residenze unifamiliari e uno studentato, uffici e commercio, una biblioteca, un auditorium e un polo museale.

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Il progetto è incentrato sulla riqualificazione dell’area occupata dai vecchi stabilimenti dell’Eridania a Forlì risalenti al 1900, ora di proprietà della Cooperativa Muratori di Verucchio. L’area è situata in una zona a Nord del centro storico, adiacente alla linea ferroviaria. Attualmente verte in stato di forte abbandono dal 1973, anno della chiusura dello stabilimento: è la più vasta area dismessa in prossimità del centro storico, una ferita aperta nel cuore della città. Le dimensioni e la vicinanza al centro cittadino costituiscono il maggiore potenziale dell’area che si presta per questo all’introduzione di funzioni di pubblico interesse, spazi per la cultura e lo svago, edifici residenziali e commerciali; inoltre, essendo caratterizzata da una prevalenza di spazi verdi, nasce spontanea l’ipotesi di un nuovo grande parco urbano al servizio della comunità. Oltre al valore dell’area è da sottolineare il pregio architettonico di alcuni degli edifici che possiamo considerare come grandiosi esempi di archeologia industriale. Gli edifici, attualmente, versano in un notevole stato di degrado dovuto all’abbandono dello stabilimento e al grave incendio che nel 1989 ha distrutto i capannoni di deposito, risparmiando però il corpo principale dell’intervento. Nonostante ciò, gli edifici hanno conservato pressoché intatta la loro struttura e, di conseguenza, l’immagine originaria nel suo complesso. È quindi possibile ipotizzarne il mantenimento, una volta effettuati i necessari interventi di consolidamento strutturale e ristrutturazione architettonica. Il progetto di recupero dell’area nasce quindi da un’esigenza concreta e fortemente sentita dalla cittadinanza. Si deve inoltre considerare che, senza un intervento tempestivo, si va incontro all’aggravamento dello stato delle strutture superstiti, fino ad un possibile collasso, rischiando così di perdere definitivamente un prezioso bene del patrimonio architettonico della città. Il dibattito sull’ex Eridania e le sue possibilità di trasformazione si è riacceso negli ultimi anni, soprattutto in seguito all’incendio dell’89. In particolare, il PRG di Forlì del 2003, successivamente adeguato alla legge regionale 20/2000 nel 2007, definisce un nuovo piano di riqualificazione per le aree dismesse e le aree ferroviarie, con nuovi contenuti e procedure d’intervento. Nel 2008 la Cooperativa Muratori di Verucchio, proprietaria dell’area e degli stabilimenti, ha proposto un accordo di programma che prevedeva per il corpo centrale dello zuccherificio la destinazione a caserma delle forze dell’ordine, e per gli spazi circostanti la costruzione di case popolari, di un centro sportivo, di residenze private, edifici per uffici e negozi, oltre al mantenimento di ampie aree verdi. Il progetto non è stato finora realizzato a causa degli alti costi d’intervento per la messa in sicurezza degli edifici preesistenti. Nello steso anno l’associazione Italia Nostra ha proposto l’organizzazione di un concorso di idee per il recupero dell’area, ipotizzando per lo stabilimento principale la trasformazione in un ampio spazio coperto, aperto a diverse e numerose possibilità di destinazione rivolte alla collettività. Gli alti costi di recupero, insieme all’immobilismo amministrativo e ai limiti legati a una burocrazia complessa, e spesso inefficace, hanno finora invalidato qualsiasi tipo d’intervento e, ad oggi, la questione del riutilizzo dello zuccherificio rimane una domanda aperta ancora senza risposta. E’ quindi importante continuare ad interrogarsi sul futuro dell’area progredendo, se non con fatti concreti, con nuove idee e proposte, in attesa che si creino le condizioni necessarie ad intervenire e ridare alla città una parte di sé, arricchita di nuovo valore.

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La mia tesi propone un progetto di restauro e rifunzionalizzazione dell’Ex Stabilimento SITA di Forli costruito nel 1935. Attualmente l’edificio, al confine fra centro storico e tessuto urbano moderno, crea un grande vuoto urbano. L’obiettivo principale del progetto è il restauro e il consolidamento del manufatto, nonché una sua successiva rifunzionalizzazione. L’obbiettivo è la creazione di un centro culturale pubblico, di aggregazione e di incontro, che stimoli un nuovo impulso vitale ed economico nella zona circostante. La nuova funzione è quella di un centro culturale polifunzionale, gestito da una fondazione che fornisca spazi di utilizzo ampi, flessibili ed intercambiabili. Nello specifico si intende: spazi per conferenze cittadine, spettacoli teatrali temporanei, fiere, mercatini, mostre con particolari esigenze di dimensioni, concerti e festival organizzati sia dal privato che dalla pubblica amministrazione. Concludendo la parola chiave e il fine di questa tesi sono il restauro e la conservazione, e gli strumenti che si utilizzeranno per raggiungerli sono il consolidamento e la rifunzionalizzazione. Per questo motivo gli spazi e la struttura subiscono i minimi cambiamenti necessari per le nuove funzioni, seppur nei limiti imposti dal preesistente.

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Fin dai primi approcci alla città dell'Aquila, quando ancora non la conoscevamo e attraverso libri e articoli in rete cercavamo di capire la sua storia e la sua identità, abbiamo riconosciuto chiaramente quanto fosse importante la sua università. Le testimonianze precedenti il sisma parlavano di una città universitaria con quasi 30000 iscritti in continua crescita, viva e attiva, una città giovane; quelle posteriori il 6 aprile 2009 invece erano le richieste di aiuto da parte di docenti e fuorisede che si rifiutavano di abbandonare quello che per loro era diventato un importante punto di riferimento per la loro vita e la loro formazione. Forse anche perchè noi stesse studentesse, abbiamo fin da subito sentito il dovere di occuparci di questo angoscioso problema, da un lato per essere solidali verso i nostri sfortunati colleghi, dall'altro per non permettere un ulteriore abbandono dell'ateneo aquilano da parte di altri studenti. Lo slogan apparso sui cartelloni di alcuni studenti aquilani durante una manifestazione fatta per sensibilizzare la popolazione sulla loro situazione palesa il loro attaccamento alla città e la loro volontà di continuare a farne parte e partecipare alla sua ricostruzione: "Noi siamo il cuore de L'Aquila". L’Università dell’Aquila vuole tornare nel centro storico. A confermare questa volontà, più volte espressa, c’è l’acquisizione della vecchia struttura dell’ospedale San Salvatore nei pressi della Fontana Luminosa, dove verrà realizzato il nuovo polo umanistico. La nuova sede di Lettere e filosofia, situata nella parte più nuova dell’ex complesso ospedaliero sarà aperta per il prossimo anno accademico e nell'ultima porzione di struttura acquistata si insedierà anche la facoltà di Scienze della formazione. “L’Università deve tornare nel centro storico - ha affermato il rettore Ferdinando di Orio nella conferenza stampa di presentazione dell’iniziativa - perché deve tornare a rappresentare ciò che L’Aquila è, ovvero una città universitaria”. Da qui un percorso di studio che partendo dalla storia della città e della sua università ci ha portato fino alla scelta dell'area, secondo noi la più adatta ad ospitare servizi per gli studenti universitari e permettere un tempestivo approccio al problema. Un'area che si è rivelata piena di potenzialità e per noi possibile punto di riferimento per la rinascita del centro storico aquilano. Dagli studi preliminari svolti è infatti emerso che l'area di progetto è attualmente poco sfruttata benchè la sua posizione sia assolutamente favorevole. Importante è per esempio la vicinanza alla stazione ferroviaria, usata da studenti fuori sede soprattutto della conca aquilana, professori e ospiti che devono raggiungere la città. Il piazzale della stazione ferroviaria, assieme alla via XX Settembre sono poi importanti fermate del servizio urbano ed extraurbano pubblico che collegano l'area con l'università, l'ospedale, e l'autostazione di Collemaggio. Altrettanto rilevante è parsa la prossimità dell'area al centro storico ed il fatto che si presenti agibile nella quasi sua totalità il che permette di poter pensare ad un intervento di ricostruzione tempestivo. Oltre alle mura storiche, la zona di progetto si trova nelle immediate vicinanze di altre due importanti emergenze: la Fontana delle 99 cannelle, uno dei più importanti e più significativi monumenti dell’Aquila e l'edificio dell'ex-mattatoio, struttura di archeologia industriale nella quale il Comune ha scelto di localizzare temporaneamente il Museo Nazionale d'Abruzzo. Attraverso la realizzazione di questo importante spazio espositivo insieme con il restauro della Fontana delle novantanove Cannelle e della Porta Rivera a cura del FAI, sarà possibile ripristinare un polo di attrazione culturale e monumentale. L’operazione assume inoltre un valore simbolico, poiché viene effettuato in un luogo di primaria importanza, legato all’origine stessa della città, che farà da battistrada per la riappropriazione del centro storico. Noi ci affianchiamo quindi a questo importante intervento e alle ultime direttive segnalate dal Comune e dall'Ateneo che dimostrano la loro volontà di riappropriarsi del centro storico, localizzando nell'area i servizi che dopo il sisma risultano necessari affinché gli studenti possano continuare i loro studi nella città e andando a potenziare il sistema museale già presente per creare un importante polo didattico e culturale.

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Il mio lavoro di tesi è partito da uno studio approfondito del contesto in cui si trova la Darsena di Ravenna, la mia area di progetto. Tutta la storia dell’evoluzione di Ravenna è legata soprattutto a due fattori principali: la necessità di difendersi dalle incursioni esterne e il continuo adattarsi alle trasformazioni del territorio soprattutto per quanto riguarda la linea di costa e il corso dei due fiumi che la circondano, il Ronco e il Montone. Questi due fattori hanno fatto si che Ravenna sia apparsa, sin dai primi secoli d. C., una città cinta da grandi mura, circondate da fiumi. Il Ronco e il Montone, sono poi diventati, a metà del XVI sec. i protagonisti principali della storia di Ravenna. I diversi progetti che si sono susseguiti nel tempo per cercare di deviarli e allontanarli dalla città, dato che ormai rappresentavano solo un grosso pericolo di alluvione, hanno determinato l’abbandono del primo porto della città, voluto dall’imperatore Augusto e la nascita dell’attuale canale Candiano. Fin dall’inizio il nuovo porto di Ravenna ha presentato una serie di problemi legati alla scarsa profondità del fondale e ai costi di manutenzione, a tal punto che le attività del porto sono sempre state molto limitate. Oggi la Darsena di città è caratterizzata da una moltitudine di edifici di archeologia industriale, risalenti al boom economico degli anni ’50, che risultano per la maggior parte, in uno stato di degrado e abbandono, incominciato con la crisi petrolifera degli anni ’70. A partire dal P.R.G. del 1993, si sono messi in atto una serie di iniziative atte a rivitalizzare e reintegrare quest’area all’interno della città storica, in modo che non sembri più un’entità separata ma che possa diventare un grande potenziale di sviluppo per la città stessa. La politica di riqualificazione del waterfront non riguarda solo Ravenna, ma è una strategia che molte città del modo hanno adottato negli ultimi decenni per ridare lustro alla città stessa e, allo stesso tempo recuperare zone spesso lasciate al loro destino. Fra queste città ho scelto di approfondirne cinque, Baltimora, Barcellona, Genova, Amburgo e Bilbao, evidenziando le diverse situazioni ma soprattutto le diverse motivazioni che le hanno spinte a raggiungere la medesima conclusione, quella che l’area portuale rappresenta un grande fattore di sviluppo. La mia attenzione poi si è spostata su quale attività potesse essere più adatta ad assolvere questo obiettivo. Ho pensato di progettare un museo e una serie di edifici ad esso collegati, come un centro di ricerca con residenze annesse e una torre belvedere, che dessero all’area la possibilità di essere vissuta in tutto l’arco della giornata e per tutto l’anno. Prima di affrontare direttamente la parte progettuale ho cercato di capire quale fosse la tipologia di museo e quali fossero i principali elementi indispensabili che caratterizzano questi edifici. Durante lo studio di questi casi ho classificato i musei secondo 5 categorie diverse, la galleria, la rotonda, la corte, la spirale e la pianta libera, che rispecchiano anche lo sviluppo storico di questa particolare tipologia architettonica. In base a tutte queste considerazioni ho affrontato il mio progetto. L’area presa in esame è caratterizzata da un’ampia superficie su cui insistono tre imponenti edifici di archeologia industriale molto degradati e utilizzati come magazzini dalla società proprietaria dell’area. Due di questi presentano un orientamento parallelo alla tessitura dei campi, il terzo invece segue un orientamento proprio. Oltre a queste due trame nell’area se ne può rilevare una terza legata all’andamento del canale. Queste grandi cattedrali del lavoro mi hanno fatto subito pensare di poterle utilizzare come spazi espositivi per mostre permanenti e temporanee, mantenendo intatta la loro struttura portante. Ho deciso di immergere l’edificio più imponente dei tre, che si trova in asse con la strada veicolare di accesso dalla città, in una grande corte verde delimitata ai lati da due nuovi edifici a L adibiti a veri e propri musei. Se da una parte questi musei costituiscono i limiti della corte, dall’altra rappresentano le quinte sceniche di aree completamenti differenti. Il museo adiacente al canale si affaccia su una grande piazza pavimentata dove troneggia l’edificio di archeologia industriale più simile ad una basilica e che accoglie i visitatori che arrivano tramite la navetta costiera; l’altro invece guarda verso il centro di ricerca e le residenze universitarie legati tra loro da un grande campo lungo completamente verde. A concludere la composizione ho pensato ad una torre belvedere dalla pianta circolare che potesse assorbire tutte le diverse direzioni e che si trova proprio in asse con il terzo edificio di archeologia industriale e a contatto con l’acqua. Per quanto riguarda l’organizzazione interna dei musei ho scelto di proporre due sezioni dello stesso museo con caratteristiche ben distinte. Il primo museo riguarda la storia della civiltà marinara di Ravenna ed è caratterizzato da ambienti conclusi lungo un percorso prestabilito che segue un criterio cronologico, il secondo invece presenta una pianta abbastanza libera dove i visitatori possono scegliere come e su cosa indirizzare la propria visita. Questa decisione è nata dalla volontà di soddisfare le esigenze di tutta l’utenza, pensando soprattutto alla necessità di coinvolgere persone giovani e bambini. Il centro di ricerca è organizzato planimetrica mente come una grande C, dove le due ali più lunghe ospitano i laboratori mentre l’ala più corta rappresenta l’ingresso sottolineato da un portico aggettante sulla corte. Simmetricamente si trovano i sette volumi delle residenze. Ognuno di questi può alloggiare sei studenti in altrettanti monolocali con servizi annessi, e presenta al piano terra aree di relax e sale lettura comuni. La torre belvedere invece riveste un ruolo più commerciale ospitando negozi, uffici per le varie associazioni legate al mare e un ristorante su più livelli, fino ad arrivare alla lanterna, che, come il faro per le navi, diventa un vero segno di riconoscimento e di orientamento dell’area sia dal mare che dalla città.

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Il progetto è incentrato sulla riqualificazione dell’area occupata dai vecchi stabilimenti dell’Eridania a Forlì risalenti al 1900, ora di proprietà della Cooperativa Muratori di Verucchio. L’area è situata in una zona a Nord del centro storico, adiacente alla linea ferroviaria. Attualmente verte in stato di forte abbandono dal 1973, anno della chiusura dello stabilimento: è la più vasta area dismessa in prossimità del centro storico, una ferita aperta nel cuore della città. Le dimensioni e la vicinanza al centro cittadino costituiscono il maggiore potenziale dell’area che si presta per questo all’introduzione di funzioni di pubblico interesse, spazi per la cultura e lo svago, edifici residenziali e commerciali; inoltre, essendo caratterizzata da una prevalenza di spazi verdi, nasce spontanea l’ipotesi di un nuovo grande parco urbano al servizio della comunità. Oltre al valore dell’area è da sottolineare il pregio architettonico di alcuni degli edifici che possiamo considerare come grandiosi esempi di archeologia industriale. Gli edifici, attualmente, versano in un notevole stato di degrado dovuto all’abbandono dello stabilimento e al grave incendio che nel 1989 ha distrutto i capannoni di deposito, risparmiando però il corpo principale dell’intervento. Nonostante ciò, gli edifici hanno conservato pressoché intatta la loro struttura e, di conseguenza, l’immagine originaria nel suo complesso. È quindi possibile ipotizzarne il mantenimento, una volta effettuati i necessari interventi di consolidamento strutturale e ristrutturazione architettonica. Il progetto di recupero dell’area nasce quindi da un’esigenza concreta e fortemente sentita dalla cittadinanza. Si deve inoltre considerare che, senza un intervento tempestivo, si va incontro all’aggravamento dello stato delle strutture superstiti, fino ad un possibile collasso, rischiando così di perdere definitivamente un prezioso bene del patrimonio architettonico della città. Il dibattito sull’ex Eridania e le sue possibilità di trasformazione si è riacceso negli ultimi anni, soprattutto in seguito all’incendio dell’89. In particolare, il PRG di Forlì del 2003, successivamente adeguato alla legge regionale 20/2000 nel 2007, definisce un nuovo piano di riqualificazione per le aree dismesse e le aree ferroviarie, con nuovi contenuti e procedure d’intervento. Nel 2008 la Cooperativa Muratori di Verucchio, proprietaria dell’area e degli stabilimenti, ha proposto un accordo di programma che prevedeva per il corpo centrale dello zuccherificio la destinazione a caserma delle forze dell’ordine, e per gli spazi circostanti la costruzione di case popolari, di un centro sportivo, di residenze private, edifici per uffici e negozi, oltre al mantenimento di ampie aree verdi. Il progetto non è stato finora realizzato a causa degli alti costi d’intervento per la messa in sicurezza degli edifici preesistenti. Nello steso anno l’associazione Italia Nostra ha proposto l’organizzazione di un concorso di idee per il recupero dell’area, ipotizzando per lo stabilimento principale la trasformazione in un ampio spazio coperto, aperto a diverse e numerose possibilità di destinazione rivolte alla collettività. Gli alti costi di recupero, insieme all’immobilismo amministrativo e ai limiti legati a una burocrazia complessa, e spesso inefficace, hanno finora invalidato qualsiasi tipo d’intervento e, ad oggi, la questione del riutilizzo dello zuccherificio rimane una domanda aperta ancora senza risposta. E’ quindi importante continuare ad interrogarsi sul futuro dell’area progredendo, se non con fatti concreti, con nuove idee e proposte, in attesa che si creino le condizioni necessarie ad intervenire e ridare alla città una parte di sé, arricchita di nuovo valore.

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La presente tesi si pone in continuità con il Laboratorio di Sintesi Finale in Urbanistica “La città e le case. L’urbanistica e lo spazio dell’abitare”e si propone di applicare e sperimentare una nuova forma urbana quella dell’open block derivante dall’omonima teoria dell’architetto francese Christian de Portzamparc. L’intervento si inserisce all’interno della cosiddetta Darsena di Città di Ravenna, un’ex area industriale di 136 ettari collocata a ridosso del centro storico della città, ma priva di collegamenti diretti con questo da cui si discosta nettamente per caratteristiche e funzioni. Nel corso del laboratorio si sono condotte analisi in maniera approfondita rispetto alle caratteristiche dello stato di fatto e dei bisogni principali del territorio, non solo facendo riferimento agli stessi strumenti urbanistici, ma anche avvalendosi dell’incontro con professionisti, tecnici e docenti. La conoscenza dell’area così raggiunta ci ha permesso di redigere, a conclusione del laboratorio, una serie di linee guida generali da cui nasce il masterplan. Su questo si basa la riqualificazione urbana dell’intera area da cui deriva la peculiarità della nuova Darsena ovvero la coesistenza di due rive dalle caratteristiche opposte e allo stesso tempo complementari. A nord trova spazio la “riva naturale” contraddistinta dalla prevalenza di spazi verdi di diversa natura; questa riva si pone in stretta relazione con il verde agricolo collocato nelle immediate vicinanze della Darsena e fortemente segnato dalla centuriazione romana. La riva sud, la “riva urbana”, è invece caratterizzata dalla prevalenza del costruito che trova un diretto confronto con il tessuto urbano preesistente collocato sia all’interno dell’area sia lungo il limite sud della stessa. Grande importanza per la riqualificazione del Comparto Darsena è stata data al mantenimento degli edifici di archeologia industriale ai quali viene dato ruolo centrale attraverso le nuove funzioni che vengono loro affidate. Altro aspetto fondamentale per la riuscita della riqualificazione della Darsena e allo stesso tempo valoreaggiunto per l’intero territorio comunale, nonché argomento centrale della presente tesi, è il tema dell’housing sociale. A seguito di analisi, studi sulle politiche abitative attualmente vigenti a livello regionale e comunale e indagini sui bisogni radicati nel territorio, si è redatto un masterplan da cui nasce un progetto per un quartiere con housing sociale situato all’interno del comparto CMC. Il progetto nasce dalle riflessioni condotte sull’argomento, mette al centro l’idea della mixité e si fonda sulla forma urbana dell’isolato aperto.

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Questa tesi propone una riflessione critica sulle pratiche della pianificazione urbanistica attraverso l’analisi di un significativo caso di studio, costituito dalla Darsena di Città a Ravenna. Questo approccio di ricerca è dal nostro punto di vista una conseguenza della difficoltà di governare le attuali problematiche di sviluppo dello spazio urbano attraverso gli strumenti tradizionali della pianificazione e dell’urbanistica. La tesi ha lo scopo di far emergere temi di dibattito attuale sulle aree di sviluppo urbano, in particolare la complessità dei compiti decisionali riguardanti aree oggetto di interventi di rigenerazione urbana. La definizione “area di sviluppo urbano” si pone come prodotto di un’attiva collaborazione tra Stato, mercato e società civile e costituisce dal nostro punto di vista una vera “questione sociale”. Prenderemo come riferimento il caso della Darsena di Città di Ravenna, oggetto della sperimentazione urbanistica degli ultimi trenta anni, sul quale diversi “stili” e strumenti di pianificazione si sono confrontati, nell’intento di guidare un processo di riqualificazione che ha portato ad oggi a risultati concreti assai limitati. Attraverso gli strumenti consultabili e un rapido sopralluogo infatti, possiamo intuire immediatamente come la realizzazione di interventi sull’area si limiti a casi localizzati come la riqualificazione della raffineria Almagià, la nuova sede dell’autorità portuale e l’ex molino Pineta, oltre agli interventi residenziali riconducibili all’edificio progettato dall’architetto Cino Zucchi e ai nuovi isolati attorno alla parte centrale di via Trieste. Le problematiche di fondo che hanno creato conflitti sono molte, dall’elevata divisione proprietaria alla cesura del comparto con il centro storico data dalla barriera ferroviaria, alla questione relativa al risanamento delle acque e dei suoli, solo per citare le più evidenti. Siamo quindi interessati a capire il problema dal punto di vista del processo di pianificazione per poi concentrare la nostra riflessione su possibili soluzioni che possano risolvere i conflitti che sembrano all’oggi non trovare una risposta condivisa. Per meglio comprendere come rapportarci al caso specifico si è cercato di analizzare alcuni aspetti teorici fondanti del “procedimento archetipico” di pianificazione urbana in contrapposizione con metodi di pianificazione “non convenzionali”. Come lo studio dei primi ci ha permesso di capire come si è arrivati all’attuale situazione di stallo nella trasformazione urbana della Darsena di Città, i secondi ci hanno aiutato a comprendere per quali ragioni i piani urbanistici di tipo “tradizionale” pensati per la Darsena di Città non sono stati portati a realizzazione. Consci che i fattori in gioco sono molteplici abbiamo deciso di affrontare questa tesi attraverso un approccio aperto al dialogo con le reali problematiche presenti sul territorio, credendo che la pianificazione debba relazionarsi con il contesto per essere in grado di proporre e finalizzare i suoi obiettivi. Conseguenza di questo è per noi il fatto che una sensibile metodologia di pianificazione debba confrontarsi sia con i processi istituzionali sia con le dinamiche e i valori socio-culturali locali. In generale gerarchie di potere e decisioni centralizzate tendono a prevalere su pratiche decisionali di tipo collaborativo; questa tesi si è proposta quindi l’obiettivo di ragionare sulle une e sulle altre in un contesto reale per raggiungere uno schema di pianificazione condiviso. La pianificazione urbanistica è da noi intesa come una previsione al futuro di pratiche di accordo e decisione finalizzate a raggiungere un obiettivo comune, da questo punto di vista il processo è parte essenziale della stessa pianificazione. Il tema è attuale in un contesto in cui l’urbanistica si è sempre confrontata in prevalenza con i temi della razionalizzazione della crescita, e con concetti da tempo in crisi che vanno oggi rimessi in discussione rispetto alle attuali istanze di trasformazione “sostenibile” delle città e dei territori. Potremmo riassumere le nostre riflessioni sull’urbanistica ed i nostri intenti rispetto al piano della Darsena di Città di Ravenna attraverso una definizione di Rem Koolhaas: l’urbanistica è la disciplina che genera potenziale, crea opportunità e causa eventi, mentre l’architettura è tradizionalmente la disciplina che manipola questo potenziale, sfrutta le possibilità e circoscrive. Il percorso di ragionamento descritto in questa tesi intende presentare attraverso alcune questioni significative l’evoluzione dello spazio urbano e delle pratiche di pianificazione, arrivando a formulare un “progetto tentativo” sul territorio della Darsena di Città.

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Progetto di rigenerazione urbana dell'area della stazione ferroviaria di Rimini che si propone di ricucire la cesura urbana esistente fra la città storica e la città del mare, mediante la prosecuzione e reinterpretazione dei tessuti edilizi presenti, una nuova stazione a ponte e un parco di archeologia industriale. Si approfondisce il tema dell'isolato urbano e la tematizzazione di 5 isolati a corte.

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Una delle immagini iconiche del nostro pensiero è un noto quadro di Giorgio De Chirico: “Archeologi”. Manichini antropomorfi, freddi e sgradevoli sono i custodi di quell’antichità d’oro rappresentata in questo caso dagli elementi dell’architettura classica. La nostra generazione impersona oggi l’essenza di quei manichini raccontati da De Chirico: a cambiare è il contenuto architettonico e storico che portano con sè, ma l’esigenza umana di ricordare il passato e valorizzarlo resta immutata. Figli dell’epoca industriale e del consumismo, ora tocca a noi ripiantare le radici storiche del tempo che fu, che ancora oggi hanno tanta influenza sulla vita di tutti. L’ordine dei templi classici è stato sovvertito da quello delle grandi industrie abbandonate, i luoghi del culto e della preghiera pagana hanno lasciato il posto alle sale dei “rituali” fordisti e del sudore del lavoro. Siamo architetti di archeologie sommerse dall’ignoranza della nostra epoca e, attraverso di esse, tentiamo di ricucire le città dalle ferite che noi stessi le abbiamo causato.