982 resultados para Solo fino
Resumo:
As estruturas de solo reforçado com geossintéticos são normalmente constituídas por solos granulares com boas propriedades físicas e mecânicas. O uso de apenas este tipo de solos pode proporcionar o aumento, por vezes insustentável, do custo da execução das estruturas e o aumento do seu impacto ambiental. Deste modo, as estruturas de solo reforçado perdem a sua vantagem competitiva em relação a outros tipos de estruturas (muros de betão, muros de gravidade, muros de gabiões, etc.). Para resolver este problema podem ser utilizados outros tipos de solos (solos locais, finos, com propriedades físicas e mecânicas piores mas, no entanto, mais baratos) para a execução deste tipo de estruturas. De forma geral, com este estudo pretendeu-se contribuir para o incremento do conhecimento sobre a utilização de solos finos para a construção de estruturas de solo reforçado (muros e taludes). Para tal avaliaram-se as diferenças no comportamento mecânico dos materiais compósitos (solo granular reforçado versus solo fino reforçado) e das estruturas de solo reforçado constituídas com os dois tipos de solos. Assim, os objetivos deste estudo foram avaliar: a influência de vários parâmetros nas propriedades mecânicas e na capacidade de carga dos solos reforçados com geossintéticos; a influência de vários parâmetros no dimensionamento das estruturas de solo reforçado; e o comportamento das estruturas dimensionadas (incluindo a estabilidade global e a influência do processo construtivo) recorrendo a uma ferramenta numérica (PLAXIS). Para cumprir os objetivos propostos foram realizadas análises experimentais em laboratório (análise do comportamento do solo reforçado através de ensaios triaxiais e de California Bearing Ratio) e análises numéricas (dimensionamento de estruturas de solo reforçado; modelação numérica do comportamento através de uma ferramenta numérica comercial com o método dos elementos finitos). Os resultados dos ensaios experimentais mostraram que o comportamento mecânico e a capacidade de carga do solo foram incrementados com a inclusão das camadas de geossintético. Este efeito variou com os diversos parâmetros analisados mas, de forma geral, foi mais importante no solo fino (solo com propriedades mecânicas piores). As análises numéricas mostraram que as estruturas de solo fino precisaram de maior densidade de reforços para serem estáveis. Além disso, as estruturas de solo fino foram mais deformáveis e o efeito do seu processo construtivo foi mais importante (principalmente para estruturas de solo fino saturado).
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La tesi di dottorato di Carlo Antonio Gobbato prende in considerazione e sviluppa, secondo una prospettiva rigorosamente sociologica, i temi e i problemi che discendono dai progressi delle bioscienze e delle biotecnologie con particolare riferimento alla programmazione degli esseri umani con precise caratteristiche. Muovendo dalla riflessione di Jurgen Habermas sui caratteri della genetica liberale, sono stati, innanzi tutto, ripresi alcuni temi fondamentali della storia del pensiero politico e giuridico sviluppatisi in età moderna, considerando con particolare attenzione la ricostruzione epistemologica operata da Michel Foucault in merito alla nozione di biopolitica, ovvero sia al modo con cui si è cercato, a partire dal XVIII secolo, di razionalizzare i problemi posti dalla pratica governamentale nei confronti delle persone (pratiche concernenti la salute, il controllo sociale, l’igiene, la mortalità, le razze, ecc.). La biopolitica è una categoria gnoseologica di spiegazione dell’idea di sviluppo presente nell’età moderna, dove sono iscritti vari saperi e pratiche governamentali, risultando così un concetto storicamente determinato da costruzioni produttive e tecnologiche che consentono, oppure obbligano, la vita ad entrare nella storia. D’altra parte, la biopolitica non produce letteralmente la vita, ma interviene direttamente sulla vita consentendone le condizioni di mantenimento e sviluppo. Se la biopolitica ha determinato l’instaurazione del dominio della specie umana sulla materia inerte, la rivoluzione scientifica in atto, anche in ragione dell’intensità con cui procede lo sviluppo delle bioscienze e delle biotecnologie, sta determinando l’affermazione del dominio sulla materia vivente Il progressivo affrancamento delle bioscienze e delle biotecnologie dal sistema sociale e dal sotto sistema sanitario sta comportando un’intensa proliferazione legislativa e normativa di cui la bioetica è parte, assieme alla costituzione ed allo sviluppo di un polo di apparati tendenzialmente autonomo, anche in ragione delle grandi quantità di trasferimenti finanziari, pubblici e privati, specificatamente dedicati e del nuovo mercato dei brevetti sulla vita. Sono evidenti le preoccupazioni degli organismi internazionali e nazionali, ai loro massimi livelli, per un fenomeno emergente, reso possibile dai rapidi progressi delle bioscienze, che consente la messa a disposizione sul mercato globale di “prodotti” ricavati dal corpo umano impossibili da reperire se tali progressi non si fossero verificati. Si tratta di situazioni che formano una realtà giuridica, sociale e mercantile che sempre più le bioscienze contribuiscono, con i loro successi, a rappresentare e costruire, anche se una parte fondamentale nell’edificazione, cognitiva ed emozionale, di tali situazioni, che interagiscono direttamente con l’immaginario soggettivo e sociale, è costituita dal sistema dell’informazione, specializzata e non, che sta con intensità crescente offrendo notizie e riproduzioni, vere o verosimili, scientificamente fondate oppure solo al momento ipotizzate, ma poste e dibattute, che stanno oggettivamente alimentando nuove attese individuali e sociali in grado di generare propensioni e comportamenti verso “oggetti di consumo” non conosciuti solo fino a pochi anni fa. Propensioni e comportamenti che possono assumere, in ragione della velocità con cui si succedono le scoperte delle bioscienze e la frequenza con cui sono immessi nel mercato i prodotti biotecnologici (indipendentemente dalla loro vera o presunta efficacia), anche caratteri di effervescenza anomica, fino alla consumazione di atti gravemente delittuosi di cui la stessa cronaca e le inchieste giudiziarie che si stanno aprendo iniziano a dare conto. La tesi considera criticamente la nuova realtà che emerge dai progressi delle bioscienze e, dopo aver identificato nella semantica dell’immunità e nel dominio sul movimento del corpo gli orientamenti concettuali che forniscono il significato essenziale alla biopolitica di Foucault, cerca di definire secondo una prospettiva propriamente sociologica la linea di separazione fra le pratiche immunitarie ed altre pratiche che non possono essere fatte rientrare nelle prime o, anche, il limite del discorso di Foucault davanti alle questioni poste da Habermas ed inerenti la programmazione genetica degli esseri viventi. Le pratiche genetiche, infatti, non sono propriamente immunitarie e, anzi, la stessa logica discorsiva intorno al gene non ha carattere immunitario, anche se può apportare benefici immunitari. La logica del gene modifica la forma del corpo, è generativa e rigenerativa, può ammettere ed includere, ma anche negare, la semantica biopolitica, i suoi oggetti e i suoi nessi. Gli oggetti della biopolitica sono ogni giorno di più affiancati dagli oggetti di questa dimensione radicalmente originale, per significati e significanti, dimensione che, con un neologismo, si può definire polisgenetica, ovvero sia una pratica governamentale sui generis, con importanti riflessi sul piano socio – criminologico. L’ultima parte della tesi riporta i risultati di recenti ricerche sociologiche sulla percezione sociale dell’ingegneria genetica e delle biotecnologie, nonché presenta i risultati dell’elaborazione delle interviste effettuate per la tesi di ricerca.
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1944/1945 wurde in Cham-Hagendorn eine Wassermühle ausgegraben, die dank ihrer aussergewöhnlich guten Holzerhaltung seit langem einen prominenten Platz in der Forschung einnimmt. 2003 und 2004 konnte die Kantonsarchäologie Zug den Platz erneut archäologisch untersuchen. Dabei wurden nicht nur weitere Reste der Wassermühle, sondern auch Spuren älterer und jüngerer Anlagen geborgen: eine ältere und eine jüngere Schmiedewerkstatt (Horizont 1a/Horizont 3) sowie ein zweiphasiges Heiligtum (Horizonte 1a/1b). All diese Anlagen lassen sich nun in das in den neuen Grabungen erkannte stratigraphische Gerüst einhängen (s. Beil. 2). Dank der Holzerhaltung können die meisten Phasen dendrochronologisch datiert werden (s. Abb. 4.1/1a): Horizont 1a mit Schlagdaten zwischen 162(?)/173 und 200 n. Chr., Horizont 1b um 215/218 n. Chr. und Horizont 2 um 231 n. Chr. Ferner konnten in den neuen Grabungen Proben für mikromorphologische und archäobotanische Untersuchungen entnommen werden (Kap. 2.2; 3.11). In der vorliegenden Publikation werden der Befund und die Baustrukturen vorgelegt, (Kap. 2), desgleichen sämtliche stratifizierten Funde und eine umfassende Auswahl der 1944/1945 geborgenen Funde (Kap. 3). Dank anpassender Fragmente, sog. Passscherben, lassen sich diese zum Teil nachträglich in die Schichtenabfolge einbinden. Die mikromorphologischen und die archäobotanischen Untersuchungen (Kap. 2.2; 3.11) zeigen, dass der Fundplatz in römischer Zeit inmitten einer stark vom Wald und dem Fluss Lorze geprägten Landschaft lag. In unmittelbarer Nähe können weder eine Siedlung noch einzelne Wohnbauten gelegen haben. Die demnach nur gewerblich und sakral genutzten Anlagen standen an einem Bach, der vermutlich mit jenem Bach identisch ist, der noch heute das Groppenmoos entwässert und bei Cham-Hagendorn in die Lorze mündet (s. Abb. 2.4/1). Der antike Bach führte wiederholt Hochwasser ─ insgesamt sind fünf grössere Überschwemmungsphasen auszumachen (Kap. 2.2; 2.4). Wohl anlässlich eines Seehochstandes durch ein Überschwappen der Lorze in den Bach ausgelöst, müssen diese Überschwemmungen eine enorme Gewalt entwickelt haben, der die einzelnen Anlagen zum Opfer fielen. Wie die Untersuchung der Siedlungslandschaft römischer Zeit rund um den Zugersee wahrscheinlich macht (Kap. 6 mit Abb. 6.2/2), dürften die Anlagen von Cham-Hagendorn zu einer in Cham-Heiligkreuz vermuteten Villa gehören, einem von fünf grösseren Landgütern in diesem Gebiet. Hinweise auf Vorgängeranlagen fehlen, mit denen die vereinzelten Funde des 1. Jh. n. Chr. (Kap. 4.5) in Verbindung gebracht werden könnten. Diese dürften eher von einer der Überschwemmungen bachaufwärts weggerissen und nach Cham-Hagendorn eingeschwemmt worden sein. Die Nutzung des Fundplatzes (Horizont 1a; s. Beil. 6) setzte um 170 n. Chr. mit einer Schmiedewerkstatt ein (Kap. 2.5.1). Der Fundanfall, insbesondere die Schmiedeschlacken (Kap. 3.9) belegen, dass hier nur hin und wieder Geräte hergestellt und repariert wurden (Kap. 5.2). Diese Werkstatt war vermutlich schon aufgelassen und dem Verfall preisgegeben, als man 200 n. Chr. (Kap. 4.2.4) auf einer Insel zwischen dem Bach und einem Lorzearm ein Heiligtum errichtete (Kap. 5.3). Beleg für den sakralen Status dieser Insel ist in erster Linie mindestens ein eigens gepflanzter Pfirsichbaum, nachgewiesen mit Pollen, einem Holz und über 400 Pfirsichsteinen (Kap. 3.11). Die im Bach verlaufende Grenze zwischen dem sakralen Platz und der profanen Umgebung markierte man zusätzlich mit einer Pfahlreihe (Kap. 2.5.3). In diese war ein schmaler Langbau integriert (Kap. 2.5.2), der an die oft an Temenosmauern antiker Heiligtümer angebauten Portiken erinnert und wohl auch die gleiche Funktion wie diese gehabt hatte, nämlich das Aufbewahren von Weihegaben und Kultgerät (Kap. 5.3). Das reiche Fundmaterial, das sich in den Schichten der ersten Überschwemmung fand (s. Abb. 5./5), die um 205/210 n. Chr. dieses Heiligtum zerstört hatte, insbesondere die zahlreiche Keramik (Kap. 3.2.4), und die zum Teil auffallend wertvollen Kleinfunde (Kap. 3.3.3), dürften zum grössten Teil einst in diesem Langbau untergebracht gewesen sein. Ein als Glockenklöppel interpretiertes, stratifiziertes Objekt spricht dafür, dass die fünf grossen, 1944/1945 als Stapel aufgefundenen Eisenglocken vielleicht auch dem Heiligtum zuzuweisen sind (Kap. 3.4). In diesen Kontext passen zudem die überdurchschnittlich häufig kalzinierten Tierknochen (Kap. 3.10). Nach der Überschwemmung befestigte man für 215 n. Chr. (Kap. 4.2.4) das unterspülte Bachufer mit einer Uferverbauung (Kap. 2.6.1). Mit dem Bau eines weiteren, im Bach stehenden Langbaus (Kap. 2.6.2) stellte man 218 n. Chr. das Heiligtum auf der Insel in ähnlicher Form wieder her (Horizont 1b; s. Beil. 7). Von der Pfahlreihe, die wiederum die sakrale Insel von der profanen Umgebung abgrenzte, blieben indes nur wenige Pfähle erhalten. Dennoch ist der sakrale Charakter der Anlage gesichert. Ausser dem immer noch blühenden Pfirsichbaum ist es ein vor dem Langbau aufgestelltes Ensemble von mindestens 23 Terrakottafigurinen (s. Abb. 3.6/1), elf Veneres, zehn Matres, einem Jugendlichen in Kapuzenmantel und einem kindlichen Risus (Kap. 3.6; s. auch Kap. 2.6.3). In den Sedimenten der zweiten Überschwemmung, der diese Anlage um 225/230 n. Chr. zum Opfer gefallen war, fanden sich wiederum zahlreiche Keramikgefässe (Kap. 3.2.4) und zum Teil wertvolle Kleinfunde wie eine Glasperle mit Goldfolie (Kap. 3.8.2) und eine Fibel aus Silber (Kap. 3.3.3), die wohl ursprünglich im Langbau untergebracht waren (Kap. 5.3.2 mit Abb. 5/7). Weitere Funde mit sicherem oder möglichem sakralem Charakter finden sich unter den 1944/1945 geborgenen Funden (s. Abb. 5/8), etwa ein silberner Fingerring mit Merkurinschrift, ein silberner Lunula-Anhänger, eine silberne Kasserolle (Kap. 3.3.3), eine Glasflasche mit Schlangenfadenauflage (Kap. 3.8.2) und einige Bergkristalle (Kap. 3.8.4). Im Bereich der Terrakotten kamen ferner mehrere Münzen (Kap. 3.7) zum Vorschein, die vielleicht dort niedergelegt worden waren. Nach der zweiten Überschwemmung errichtete man um 231 n. Chr. am Bach eine Wassermühle (Horizont 2; Kap. 2.7; Beil. 8; Abb. 2.7/49). Ob das Heiligtum auf der Insel wieder aufgebaut oder aufgelassen wurde, muss mangels Hinweisen offen bleiben. Für den abgehobenen Zuflusskanal der Wassermühle verwendete man mehrere stehen gebliebene Pfähle der vorangegangenen Anlagen der Horizonte 1a und 1b. Obwohl die Wassermühle den 28 jährlichen Überschwemmungshorizonten (Kap. 2.2) und den Funden (Kap. 4.3.2; 4.4.4; 45) zufolge nur bis um 260 n. Chr., während gut einer Generation, bestand, musste sie mindestens zweimal erneuert werden – nachgewiesen sind drei Wasserräder, drei Mühlsteinpaare und vermutlich drei Podeste, auf denen jeweils das Mahlwerk ruhte. Grund für diese Umbauten war wohl der weiche, instabile Untergrund, der zu Verschiebungen geführt hatte, so dass das Zusammenspiel von Wellbaum bzw. Sternnabe und Übersetzungsrad nicht mehr funktionierte und das ganze System zerbrach. Die Analyse von Pollen aus dem Gehhorizont hat als Mahlgut Getreide vom Weizentyp nachgewiesen (Kap. 3.11.4). Das Abzeichen eines Benefiziariers (Kap. 3.3.2 mit Abb. 3.3/23,B71) könnte dafür sprechen, dass das verarbeitete Getreide zumindest zum Teil für das römische Militär bestimmt war (s. auch Kap. 6.2.3). Ein im Horizont 2 gefundener Schreibgriffel und weitere stili sowie eine Waage für das Wägen bis zu 35-40 kg schweren Waren aus dem Fundbestand von 1944/1945 könnten davon zeugen, dass das Getreide zu wägen und zu registrieren war (Kap. 3.4.2). Kurz nach 260 n. Chr. fiel die Wassermühle einem weiteren Hochwasser zum Opfer. Für den folgenden Horizont 3 (Beil. 9) brachte man einen Kiesboden ein und errichtete ein kleines Gebäude (Kap. 2.8). Hier war wohl wiederum eine Schmiede untergebracht, wie die zahlreichen Kalottenschlacken belegen (Kap. 3.9), die im Umfeld der kleinen Baus zum Vorschein kamen. Aufgrund der Funde (Kap. 4.4.4; 4.5) kann diese Werkstatt nur kurze Zeit bestanden haben, höchstens bis um 270 n. Chr., bevor sie einem weiteren Hochwasser zum Opfer fiel. Von der jüngsten Anlage, die wohl noch in römische Zeit datiert (Horizont 4; Beil. 10), war lediglich eine Konstruktion aus grossen Steinplatten zu fassen (Kap. 2.9.1). Wozu sie diente, muss offen bleiben. Auch der geringe Fundanfall spricht dafür, dass die Nutzung des Platzes, zumindest für die römische Zeit, allmählich ein Ende fand (Kap. 4.5). Zu den jüngsten Strukturen gehören mehrere Gruben (Kap. 2.9.2), die vielleicht der Lehmentnahme dienten. Mangels Funden bleibt ihre Datierung indes ungewiss. Insbesondere wissen wir nicht, ob sie noch in römische Zeit datieren oder jünger sind. Spätestens mit der fünften Überschwemmung, die zur endgültigen Verlandung führte und wohl schon in die frühe Neuzeit zu setzen ist, wurde der Platz aufgelassen und erst mit dem Bau der bestehenden Fensterfabrik Baumgartner wieder besetzt.
Resumo:
Fundação de Amparo à Pesquisa do Estado de São Paulo (FAPESP)
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Conselho Nacional de Desenvolvimento Científico e Tecnológico (CNPq)
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Pós-graduação em Agronomia (Agricultura) - FCA
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Brazil is a country in development, rich in natural resources. In order to grow sustainably, it is necessary to Brazil to preserve its environment, which is an expressive challenge, especially to industries, such as those producing ceramic materials. This study was developed using Porcelain Tile Polishing Residue (RPP) in blends with soil to build compacted fills. This residue is a slurry generated during the polishing process of porcelain tiles and contains powdery material from the polished tile, the abrasives used during the process and cooling water. The RPP was collected from a private company located in Conde/PB and it was mixed with a sandy-clayey soil, to build the fills. Laboratorial tests were conducted with pure soil, pure RPP and blends in proportions of 5%, 10%, 15% and 20% of RPP in addition to the dry mass of pure soil. The Chemical and Physical Characterization tests performed were: specific solid weight, grain size distribution, laser analysis of grain size distribution, Atterberg limits, X ray fluorescence, X ray diffraction, scanning electron microscopy and soil compaction,. The materials and blends were also compacted and direct shear tests and plate load tests were performed. Plate load tests were conducted using a circular plate with 30 cm diameter, on specimens of pure soil and 5% blend, compacted in a metallic box inside the Soil Mechanics Laboratory of the Federal University of Rio Grande do Norte, Brazil. Both mechanical tests performed were conducted under inundated conditions, willing to reduce the influence of soil suction. An evaluation of the results of the tests performed shows that RPP is a fine material, with grain size distribution smaller than 0,015mm, composed mainly of silica and alumina, and particles in angular shape. The soil was characterized as a clayey sand, geologically known as a lateritic soil, with high percentages of alumina and iron oxide, and particles with rounded shape. Both the Soil and the blends presented low plasticity, while the residue showed a medium plasticity. Direct shear tests showed that the addition of RPP did not cause major changes into blends’ friction angle data, however, it was possible to note that, for the proportions studied, that is a tendency of obtain lower shear stresses for higher percentages of RPP in the blends. Both pure soil and 5% mixture showed a punching disruption for the Plate load test. For this same test, the allowable stress for 5% mixture was 44% higher than the pure soil, and smaller vertical settlement results for all stresses.
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Brazil is a country in development, rich in natural resources. In order to grow sustainably, it is necessary to Brazil to preserve its environment, which is an expressive challenge, especially to industries, such as those producing ceramic materials. This study was developed using Porcelain Tile Polishing Residue (RPP) in blends with soil to build compacted fills. This residue is a slurry generated during the polishing process of porcelain tiles and contains powdery material from the polished tile, the abrasives used during the process and cooling water. The RPP was collected from a private company located in Conde/PB and it was mixed with a sandy-clayey soil, to build the fills. Laboratorial tests were conducted with pure soil, pure RPP and blends in proportions of 5%, 10%, 15% and 20% of RPP in addition to the dry mass of pure soil. The Chemical and Physical Characterization tests performed were: specific solid weight, grain size distribution, laser analysis of grain size distribution, Atterberg limits, X ray fluorescence, X ray diffraction, scanning electron microscopy and soil compaction,. The materials and blends were also compacted and direct shear tests and plate load tests were performed. Plate load tests were conducted using a circular plate with 30 cm diameter, on specimens of pure soil and 5% blend, compacted in a metallic box inside the Soil Mechanics Laboratory of the Federal University of Rio Grande do Norte, Brazil. Both mechanical tests performed were conducted under inundated conditions, willing to reduce the influence of soil suction. An evaluation of the results of the tests performed shows that RPP is a fine material, with grain size distribution smaller than 0,015mm, composed mainly of silica and alumina, and particles in angular shape. The soil was characterized as a clayey sand, geologically known as a lateritic soil, with high percentages of alumina and iron oxide, and particles with rounded shape. Both the Soil and the blends presented low plasticity, while the residue showed a medium plasticity. Direct shear tests showed that the addition of RPP did not cause major changes into blends’ friction angle data, however, it was possible to note that, for the proportions studied, that is a tendency of obtain lower shear stresses for higher percentages of RPP in the blends. Both pure soil and 5% mixture showed a punching disruption for the Plate load test. For this same test, the allowable stress for 5% mixture was 44% higher than the pure soil, and smaller vertical settlement results for all stresses.
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Thirty-five clients who had received counselling completed a letter to a friend describing in as much detail as possible what they had learned from counselling. The participants' written responses were analysed and classified using the Structure of Learning Outcomes (SOLO) taxonomy. The results suggested that an expanded SOLO offers a promising and exciting way to view the outcomes of counselling within a learning framework. If the SOLO taxonomy is found to be stable in subsequent research, and clients are easily able to be classified using the taxonomy, then this approach may have implications for the process of counselling. To maximise the learning outcomes, counsellors could use strategies and techniques to enhance their clients' learning.
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Solo Show is a to-scale model Metro Arts’ gallery, in which it was exhibited. Set upon a timber frame, the model depicts a miniature ‘installation’ within the ‘space’: a foam block that obstructs one of the gallery’s walkways. Developed and produced for a group exhibition that explored the relationship between humour and art, this work explores and pokes fun at ideas of the institution, scale and the artist ego as well as communicating feelings of emergence, insecurity and hesitancy. The work was included in the group show 'Lean Towards Indifference!' at MetroArts, Brisbane, curated by art collective No Frills.
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This paper explores the design of virtual and physical learning spaces developed for students of drama and theatre studies. What can we learn from the traditional drama workshop that will inform the design of drama and theatre spaces created in technology-mediated learning environments? The authors examine four examples of spaces created for online, distance and on-campus students and discuss the relationship between the choice of technology, the learning and teaching methods, and the outcomes for student engagement. Combining insights from two previous action research projects, the discussion focuses on the physical space used for contemporary drama workshops, supplemented by Web 2.0 technologies; a modular online theatre studies course; the blogging space of students creating a group devised play; and the open and immersive world of Second Life, where students explore 3D simulations of historical theatre sites. The authors argue that the drama workshop can be used as inspiration for the design of successful online classrooms. This is achieved by focusing on students’ contributions to the learning as individuals and group members, the aesthetics and mise-en-scene of the learning space, and the role of mobile and networked technologies. Students in this environment increase their capacity to become co-creators of knowledge and to achieve creative outcomes. The drama workshop space in its physical and virtual forms is seen as a model for classrooms in other disciplines, where dynamic, creative and collaborative spaces are required.
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This paper is a discussion of the use of the SOLO (Structure of Observed Learning Outcomes) Taxonomy (Biggs & Collis, 1982, 1989; Biggs, 1991, 1992a, 1992b; Boulton‐Lewis, 1992, 1994) as a means of developing and assessing higher order thinking in Higher Education. It includes a summary of the research into its use to date as an instrument to find out what students know and believe about their own learning, to assess entering knowledge in a discipline, to present examples of structural organization of knowledge in a discipline, to provide models of levels of desired learning outcomes, and in particular to assess learning outcomes. A proposal is made for further research.
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A growing number of people are travelling alone for holidays, yet limited research addresses this topic. This paper explores the main motivators and drivers of satisfaction and dissatisfaction for solo holiday travellers using a critical incident technique (CIT) to collect and analyse data. The findings show that drivers of satisfaction for solo holiday travellers are more related to personal feelings of freedom, relaxation and discovery (personal factors), and interaction with other people (human interaction factors), than with holiday destination factors. Safety (a destination factor) and unfriendly service providers (a human interaction factor) are the main sources of dissatisfaction for solo holiday travellers.