977 resultados para Sarah Kofman
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Cette thèse propose une analyse de la question de la survivance – notion ayant retenu l’attention de penseurs issus de différentes disciplines tels que Janine Altounian, Jacques Derrida et Georges Didi-Huberman – dans l’œuvre de Sarah Kofman, plus particulièrement dans son récit autobiographique intitulé Rue Ordener, rue Labat, paru en 1994. Quatre grandes orientations guident ce travail dont l’approche théorique se situe à la croisée de la littérature, de la philosophie, de la psychanalyse, de l’histoire (tant sociale que de l’art) et du juridique. Premièrement, nous nous intéressons à ce qu’implique non seulement le fait d’« échapper à la mort », en observant les moyens mis en œuvre pour y parvenir, mais aussi celui de « continuer à vivre » après l’événement de la Shoah. Deuxièmement, nous étudions les différentes manifestations de « la survivance active de l’enfant en nous » (J.-B. Pontalis) de même que celle de « l’objet perdu » dans le travail de deuil impossible, encore autrement « interminable », qui a pris corps dans l’œuvre de Sarah Kofman. Troisièmement, nous abordons la « survivance » au sens du Nachleben d’Aby Warburg et repérons la trace des autres écrits de la philosophe, elliptiquement condensés dans son récit par la reprise de thèmes, le retour de sujets antérieurement évoqués. Quatrièmement, nous interrogeons la locution pronominale « se survivre » et la portée de ses compléments : « dans son œuvre », « dans son témoignage », « dans les mémoires ». Parmi les points qui sont analysés en profondeur dans les chapitres de cette thèse, notons les motifs du ressentiment, du double tragique, du pardon et de l’oubli, de la « disgrâce », de la honte et de la culpabilité, ainsi que les différentes modalités de la survivance – la capacité d’adaptation et le rôle des mères, la lecture, le rire, les arts visuels – mises en œuvre par Sarah Kofman. Dans cette « œuvre-vie » (Pleshette DeArmitt), ce corpus singulier et unique, il s’est toujours agi de ceci, quoi qu’il lui en coûta : « affirmer sans cesse la survie », selon l’expression de Derrida.
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Les écrits aphoristiques de Friedrich Nietzsche (1844-1900) posent une évidente difficulté. Cette difficulté n’a pas échappé à l’auteur qui a recommandé à ses lecteurs, en 1887 dans sa préface à Zur Genealogie der Moral, qu’ils pratiquent en lisant ses aphorismes un « art de l’interprétation [Kunst der Auslegung] » [KSA, V, p. 255, § 8.]. Malheureusement, Nietzsche ne dit pas précisément en quoi consiste une telle lecture. Comment le lecteur doit-il alors interpréter les écrits aphoristiques de Friedrich Nietzsche? Pour répondre à cette question herméneutique nous nous servirons de la « métaphore du théâtre », présente en filigrane dans l’œuvre du philosophe. Notre mémoire se propose d’abord d’examiner ce que Nietzsche a lui-même dit au sujet des « formes brèves » (la maxime, la sentence, mais surtout l’aphorisme), et en même temps ce qu’il attend plus particulièrement d’un lecteur de ces formes d’expression. Cette analyse philologique du corpus nietzschéen se fera aussi à la lumière des commentaires que Peter Sloterdijk (1947-) et Sarah Kofman (1934-1994) ont proposés de la philosophie nietzschéenne. Après avoir nous-mêmes analysé les propos de Nietzsche portant sur ce qu’il estime être un lecteur à la hauteur de ses écrits, il sera dès lors possible de porter un jugement critique sur la pertinence et la portée des études de Sloterdijk et Kofman qui abordent eux-mêmes la mise en scène de la pensée nietzschéenne au moyen de la métaphore du théâtre. Une part importante de notre critique portera notamment sur la nature synthétique de leurs interprétations philosophiques, menées dans une perspective thématico-synthétique et trans-aphoristique, qui marginalisent à bien des égards la particularité et l’autonomie des formes d’expression au moyen desquelles Friedrich Nietzsche s’exprime.
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Partendo dal problema del rapporto fra la ricostruzione di un evento storico e lo statuto del testo che lo ricostruisce, la tesi si concentra nella lettura di opere riguardanti la Seconda guerra mondiale. Sono in questo senso cruciali due opere autobiografiche trattate nella prima parte del lavoro, Rue Labat Rue Ordener di Sarah Kofman (1993) e Kindheitsmuster di Christa Wolf (1976). In questi due testi la dottoranda prova a recuperare da una parte la rimemorazione letteraria di due esperienze infantili della guerra insieme opposte e complementari dal punto di vista del posizionamento della testimonianza. Il testo della Wolf ibrida la narrazione finzionale e la memoria dell’evento storico vissuto nel ricordo di una bambina tedesca, il testo della Kofman recupera in una maniera quasi psicanalitica la memoria di una bambina ebrea vittima inconsapevole e quesi incosciente della Shoah. Di fronte a due topoi apparentemente già piu volte ripercorsi nella letteratura critica del trauma postconflitto, la tesi in questione cerca di individuare il costituirsi quasi inevitabile di un soggetto identitario che osserva, vive e successivamente recupera e racconta il trauma. Se alcune posizioni della moderna storiografia e della contemporanea riflessione sulla scrittura storiografica, sottolineano la forza e l’importanza dell’elemento narrativo all’interno della ricostruzione storica e dell’analisi dei documenti, questa tesi sembra indicare una via possibile di studio per la letteratura comparata. Una via, cioè, che non si soffermi sui fattori e sui criteri veridizionali del testo, criteri e fattori che devono restare oggetto di studio per gli storici , ma che piuttosto indaghi sul nesso ineludibile e fondativo che la scrittura stessa svela e pone in essere: il trauma, l’irrompere dell’evento storico nell’individuo diventa elemento costitutivo della propria identità, elemento al quale è difficile dare una posizione stabile ma che allo stesso tempo non si può evitare di raccontare, di mettere in discorso. Nella narrazione letteraria di eventi storici esiste dunque un surplus di senso che sta tutto nella costituzione di una posizione dalla quale raccontare, di un punto di vista. Il punto di vista (come ci ricorda De Certeau ne Les lieux des autres in quel saggio dedicato ai cannibali di Montaigne,che viene poi ripreso senza essere mai citato da Ginzburg ne Il filo e le tracce) non è mai dato a priori nel discorso, è il risultato di un conflitto e di una lotta. Il testo che rende conto e recupera la memoria di un passato storico, in particolare di un passato storico conflittuale, di una guerra, di una violenza, per quanto presenti un punto di vista preciso e posizionato, per quanto possa apparire un frutto di determinate strategie testuali e di determinati obiettivi pragmatici, è pur sempre una narrazione il cui soggetto porta in sé, identitariamente, le ferite e i traumi dell’evento storico. Nei casi di Wolf e Kofman abbiamo quindi un rispecchiamento reciproco che fra il tentativo di una ricostruzione della memoria infantile e il recupero dell’elemento intersoggettivo e storico si apre alla scrittura e alla narrazione. La posizione del soggetto che ha vissuto l’irrompere del dramma storico nel discorso lo costituisce e lo delega a essere colui che parla e colui che vede. In un qualche modo la Storia per quanto possa essere creatrice di eventi e per quanto possa trasformare l’esistenza del soggetto non è essa stessa percepibile finché non si posiziona attraverso il soggetto trasformato e modificato all’interno del discorso. In questa continua ricerca di un equilibrio possibile fra realtà e discorso si pone il problema dell’essere soggetto in mezzo ad altri soggetti. E questo in un duplice aspetto: nell’aspetto della rappresentazione dell’altro, cioè nel problema di come la memoria riorganizzi e ricrei i soggetti in gioco nell’evento storico; e poi nella rappresentazione di se stesso per gli altri, nella rappresentazione cioe del punto di vista. Se nel romanzo autobiografico di Kofman tutta la storia veniva a ricondursi alla narrazione privata del soggetto che, come in una seduta psicanalitica recupera e insieme si libera del proprio conflitto interiore, della propria memoria offesa; se nel romanzo di Wolf si cercava un equilibrio fra una soggettivita infantile ormai distante in terza persona e una soggettività rammemorante che prendeva posizione nel romanzo nella seconda persona; la cerniera sia epistemologica sia narratologica fra la prima e la seconda parte della tesi pare essere Elsa Morante e il suo romanzo La Storia. L’opera della Morante sembra infatti farsi pieno carico della responsabilità di non poter piu ridurre la narrazione del trauma alla semplice presa in carico del soggetto autobiografico. Il soggetto che, per dirla ancora con De Certeau, può esprimere il proprio punto di vista perche in qualche modo si è salvato dalla temperie della storia, non si pone nel discorso come punto di inizio e di fine di qualsiasi percezione del trauma, ma si incarna in uno o più personaggi che in un qualche modo rappresentino l’irrapresentabile e l’irrapresentato. La storia diventa quindi elemento non costitutivo di un'identità capace di ri-raccontarsi o almeno non solo, diventa fattore costitutivo di un’identità capace di raccontare l’altro, anzi gli altri, tutti coloro che il conflitto, la violenza ha in un qualche modo cancellato. Così accade all’infanzia tradita e offesa del piccolo Useppe, che viene soffocato non solo nella sua possibilita di svilupparsi, di essere punto di vista del discorso, ma anche nella possibilita di essere osservatore vivo dell’evento; cosi accade a Ida, donna e madre, che la Storia lentamente e inesorabilmente spersonalizza riducendola a essere soggetto passivo e vittima degli eventi. Ecco quindi che la strada aperta dalla Morante permette alla memoria di proiettarsi in una narrazione comune e di condividere e suddividere la posizione centrale del soggetto in una costellazione differente di soggetti. A questo punto si apre, attraverso le tecniche della storia orale e la loro narrativizzazione, una strategia di recupero della memoria evidenziata nell’ultima parte della tesi. La strada intrapresa da autori come i Wu Ming e come Andrea Levy ne è un esempio. Sganciati per evidenti ragioni biografiche e anagrafiche (sono tutti nati ben dopo la fine del secondo conflitto mondiale) da qualsiasi tentazione autobiografica, i primi intraprendono una vera e propria ridistribuzione dei punti di vista sulla storia. In romanzi come Manituana si viene a perdere, almeno a un primo e forse piu superficiale livello, qualsiasi imposizione fissa del punto di vista. Una molteplicità di soggetti si prende carico di raccontare la storia da differenti posizioni, ma la apparente molteplicità degli sguardi non si riduce a una frammentazione dell’etica del racconto quanto piuttosto alla volontà di fare emergere tra gli altri anche il punto di vista dello sconfitto e dell’inerme. Al passato oscuro della violenza storica si contrappone in un qualche modo la messa in discorso del soggetto che cerca attraverso la costituzione non solo di un soggetto ma di una pluralitàdi voci , di ritrovare un’ armonia, di riassimilare la propria memoria condividendola nel testo letterario.
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In the latter half of the nineteenth century the railway became an emblem of technological advancement, stood for the improvement and progression of European life, and became a recognizable symbol for the achievements of governments and citizens. The implementation and use of the railway became closely linked with notions of national identity and character. The railway became an identifiable artefact in official history but at the same time it became a part of everyday life. Richard Flanagan’s Gould’s Book of Fish retells the life-story of a fictionalized convict sent to Sarah Island and who paints fish, eventually he metamorphoses into one. It could be thought that a novel set in convict times would have little to do with notions of national identity, technological advancement, and railway travel. However, Richard Flanagan, in this very complex, almost surreal, novel, has used the construction of a fictional national railway as one of the ways to explore Australia's complex relationship with history and space. The novel tells of the plans of a history-loving Commandant and his desire to build a national railway on Sarah Island. This paper explores how Sarah Island becomes a metonym for Australia as a whole and Flanagan's novel takes on a metaphysical dimension as he reveals the struggles that emerge when official history collides with non-official versions. The fabulations of the novel contribute to an historical reconstruction of the spatial/architectural history of the Tasmanian colonial project.
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The concept of ‘sustainability’ has been pushed to the forefront of policy-making and politics as the world wakes up to the impacts of climate change and the effects of the rapid urbanisation and modern urban lifestyles (Yigitcanlar and Teriman 2014). Climate change and fossil fuel-based energy policy have emerged as the biggest challenges for our planet, threatening both built and natural systems with long-term consequences. However, the threats are not limited to the impacts of climate change and unsustainable energy system only – e.g., impacts of rapid urbanisation, socioeconomic crises and governance hiccups are just to name a few (Yigitcanlar 2010a). Along with these challenges, successfully coping with the enormous transformations that our cities, societies and the environment have been going through during the last few decades, and their...
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Peter S. Menell and Sarah M. Tran (ed.), Intellectual Property, Innovation and the Environment, Cheltenham (UK) and Northampton (MA): Edward Elgar, 2014, 756 pp Hardback 978 1 78195 160 6, http://www.e-elgar.com/bookentry_main.lasso?id=15063 There has been a longstanding deadlock over intellectual property and clean technologies in international climate talks. The United States — and other developed countries such as Japan, Denmark Germany, the United Kingdom, Australia, and New Zealand — have pushed for stronger and longer protection of intellectual property rights related to clean technologies. BASIC countries — such as Brazil, South Africa, India, and China — have pushed for greater flexibilities in respect of intellectual property for the purpose of addressing climate change and global warming. Small island states, least developed countries, and nations vulnerable to climate change have called for climate-adaptation and climate-mitigation technologies to be available in the public domain. In the lead-up to the United Nations Climate Summit in New York on the 23rd September 2014, it is timely to consider the debate over intellectual property, innovation, the environment, and climate change.
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This series will include all those people who, by means of their contributions, great and small, played a part in the consolidation of ichthyology in Argentina. The general plan of this work consists of individual factsheets containing a list of works by each author, along with reference bibliography and, whenever possible, personal pictures and additional material. The datasheets will be published primarily in chronological order, although this is subject to change by the availability of materials for successive editions. This work represents another approach for the recovery and revalorization of those who set the foundations of Argentine ichthyology while in diverse historical circumstances. I expect this to be the beginning of a major work that achieves the description of such a significant part of the history of natural sciences in Argentina.
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Funeral sermon
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http://www.archive.org/details/memoirofhuntingt00hookuoft