1000 resultados para SEVESO II


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Il continuo verificarsi di gravi incidenti nei grandi impianti industriali ha spinto gli Stati membri dell’Unione Europea a dotarsi di una politica comune in materia di prevenzione dei grandi rischi industriali. Anche a seguito della pressione esercitata dall’opinione pubblica sono state implementate, nel corso degli ultimi quarant’anni, misure legislative sempre più efficaci per la prevenzione e la mitigazione dei rischi legati ad attività industriali particolarmente pericolose. A partire dagli ultimi anni dello scorso secolo, l’Unione Europea ha emanato una serie di direttive che obbligano gli Stati membri ad essere garanti della sicurezza per l’uomo e per l’ambiente nelle zone circostanti a stabilimenti a rischio di incidente rilevante. In quest’ottica è stata pubblicata nel 1982 la Direttiva Seveso I [82/501/EEC], che è stata ampliata nel 1996 dalla Direttiva Seveso II [96/82/CE] ed infine emendata nel dicembre 2003 dalla Direttiva Seveso III [2003/105/CE]. Le Direttive Seveso prevedono la realizzazione negli Stati membri di una valutazione dei rischi per gli stabilimenti industriali che sono suscettibili a incendi, esplosioni o rilasci di gas tossici (quali, ad esempio, le industrie chimiche, le raffinerie, i depositi di sostanze pericolose). La Direttiva Seveso II è stata trasposta in legge belga attraverso “l’Accord de Coopération” del 21 giugno 1999. Una legge federale nel giugno del 2001 [M.B. 16/06/2001] mette in vigore “l’Accord de Coopération”, che è stato in seguito emendato e pubblicato il 26 aprile del 2007 [M.B. 26/04/2007]. A livello della Regione Vallona (in Belgio), la tematica del rischio di incidente rilevante è stata inclusa nelle disposizioni decretali del Codice Vallone della Pianificazione Territoriale, dell’Urbanismo e del Patrimonio [CWATUP]. In questo quadro la Regione Vallona ha elaborato in collaborazione con la FPMs (Faculté Polytechnique de Mons) una dettagliata metodologia di analisi del rischio per gli stabilimenti a rischio di incidente rilevante. In Italia la Direttiva Seveso II è stata recepita dal Decreto Legislativo n°334 emanato nell’agosto del 1999 [D. Lgs. 334/99], che ha introdotto per la prima volta nel quadro normativo italiano i concetti fondamentali di “controllo dell’urbanizzazione” e “requisiti minimi di sicurezza per la pianificazione territoriale”. Il Decreto Legislativo 334/99 è attualmente in vigore, modificato ed integrato dal Decreto Legislativo n°238 del 21 settembre 2005 [D. Lgs. 238/05], recepimento italiano della Direttiva Seveso III. Tra i decreti attuativi del Decreto Legislativo 334/99 occorre citare il Decreto Ministeriale n°151 del 2001 [D. M. 151/01] relativo alla pianificazione territoriale nell’intorno degli stabilimenti a rischio di incidente rilevante. L’obiettivo di questo lavoro di tesi, che è stato sviluppato presso la Faculté Polytechnique di Mons, è quello di analizzare la metodologia di quantificazione del rischio adottata nella Regione Vallona, con riferimento alla pianificazione territoriale intorno agli stabilimenti a rischio di incidente rilevante, e di confrontarla con quella applicata in Italia. La metodologia applicata in Vallonia è di tipo “probabilistico” ovvero basata sul rischio quale funzione delle frequenze di accadimento e delle conseguenze degli scenari incidentali. Il metodo utilizzato in Italia è “ibrido”, ovvero considera sia le frequenze che le conseguenze degli scenari incidentali, ma non la loro ricomposizione all’interno di un indice di rischio. In seguito al confronto teorico delle due metodologie, se ne è effettuato anche una comparazione pratica tramite la loro applicazione ad un deposito di GPL. Il confronto ha messo in luce come manchino, nella legislazione italiana relativa agli stabilimenti a rischio di incidente rilevante, indicazioni di dettaglio per la quantificazione del rischio, a differenza di quanto accade nella legislazione belga. Ciò lascia all’analista di rischio italiano una notevole arbitrarietà nell’effettuare ipotesi ed assunzioni che rendono poi difficile la comparazione del rischio di stabilimenti differenti. L’auspicio è che tale lacuna possa essere rapidamente superata.

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O presente trabalho visa responder a dois desideratos fundamentais de uma Indústria Química - Solvay Portugal - primeiro garantir os seus compromissos em matéria de Actuação Responsável® assegurando, deste modo, a existência de um Sistema de Gestão de Segurança e Saúde no Trabalho (SGSST) eficaz e sustentável, por outro lado permitir que o sistema de gestão criado assegure a gestão eficaz dos mecanismos de Prevenção de Acidentes Graves, funcionando como um todo e garantindo uma gestão integrada e sustentável das diferentes vertentes que constituem a realidade da empresa (Qualidade, Ambiente e Segurança). Neste sentido foi realizada uma revisão bibliográfica aos principais acidentes graves ocorridos em Indústrias Químicas que levaram ao aparecimento do Regime de Prevenção de Acidentes Graves, à evolução legislativa em matéria de Prevenção de Acidentes Graves, aos Sistemas de Gestão da Qualidade, do Ambiente e da Segurança e Saúde no trabalho e às suas principais sinergias. Posteriormente foi realizado o enquadramento da empresa face à Directiva SEVESO II (Decreto-Lei nº 254/2007) e foram identificados os principais aspectos ambientais e perigos ocupacionais associados às suas actividades. Por último procedeu-se à análise dos sistemas de gestão implementados e à análise dos meios e mecanismos utilizados pela Solvay para gerir os ricos ambientais, ocupacionais e de acidentes graves. Através deste trabalho verificou-se que os Sistemas de Gestão da Qualidade e do Ambiente implementados na Solvay detinham uma estrutura adequada o que lhes permitiu, facilmente, a integração do SGSST, tornado mais eficaz a sua gestão integrada. Por outro lado verificou-se que a Solvay cumpre o seu dever de estabelecimento de Nível Inferior de Perigosidade e detém uma Politica de Prevenção de Acidentes graves que responde ao seu Compromisso de Actuação Responsável®. E se encontra estreitamente ligada aos seus Sistemas de Gestão do Ambiente e Segurança e Saúde no Trabalho. O Sistema de Gestão de Segurança e Saúde no Trabalho implementado na Solvay permite integrar a estrutura organizacional, as responsabilidades, as práticas, os procedimentos, processos e recursos que permitem pões em prática o compromisso assumido na Politica de Prevenção de Acidentes Graves envolvendo substâncias perigosas.

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Nell’ambito delle problematiche relative agli impianti a rischio di incidente rilevante, riscontra particolare interesse l’analisi dell’effetto domino, sia per la grande severità delle conseguenze degli eventi incidentali che esso comporta, sia per l’indeterminazione ancora presente nelle metodologie di analisi e di valutazione del fenomeno stesso. Per effetto domino si intende la propagazione di un evento incidentale primario dall’apparecchiatura dalla quale ha avuto origine alle apparecchiature circostanti, che diventano sorgenti di eventi incidentali secondari. Infatti elevati valori dell’irraggiamento, della sovrappressione di picco ed il lancio di proiettili, imputabili all’evento primario, possono innescare eventi secondari determinando una propagazione a catena dell’incidente così come si propaga la catena di mattoncini nel gioco da tavolo detto “domino”. Le Direttive Europee 96/82/EC e 2012/18/EU denominate, rispettivamente “Seveso II” e “Seveso III” stabiliscono la necessità, da parte del gestore, di valutare l’effetto domino, in particolare in aree industriali ad elevata concentrazione di attività a rischio di incidente rilevante. L’analisi consiste nel valutare, in termini di frequenza e magnitudo, gli effetti indotti su apparecchiature cosiddette “bersaglio” da scenari incidentali che producono irraggiamenti, onde di pressione e lancio di proiettili. Il presente lavoro di tesi, svolto presso lo stabilimento di Ravenna di ENI Versalis, ha lo scopo di presentare una metodologia per l’analisi dell’effetto domino adottata in un caso reale, in mancanza di un preciso riferimento normativo che fissi i criteri e le modalità di esecuzione di tale valutazione. Inoltre esso si presta a valutare tutte le azioni preventive atte a interrompere le sequenze incidentali e quindi i sistemi di prevenzione e protezione che possono contrastare un incidente primario evitando il propagarsi dell’incidente stesso e quindi il temuto effetto domino. L’elaborato è strutturato come segue. Dopo il Capitolo 1, avente carattere introduttivo con l’illustrazione delle linee guida e delle normative in riferimento all’effetto domino, nel Capitolo 2 sono descritte le principali tecniche di analisi di rischio che possono essere utilizzate per l’individuazione degli eventi incidentali credibili ovvero degli eventi incidentali primari e della loro frequenza di accadimento. Nel Capitolo 3 vengono esaminati i criteri impiegati da ENI Versalis per la valutazione dell’effetto domino. Nei Capitoli 4 e 5 sono descritti gli iter tecnico-procedurali messi a punto per la progettazione della protezione antincendio, rispettivamente attiva e passiva. Nel Capitolo 6 viene approfondito un aspetto particolarmente critico ovvero la valutazione della necessità di dotare di protezione le tubazioni. Nel Capitolo 7 viene illustrata la progettazione antifuoco di un caso di studio reale dello stabilimento ENI Versalis di Ravenna: l’unità di Idrogenazione Selettiva. Infine nel Capitolo 8 sono riportate alcune considerazioni conclusive.

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In this study, 103 unrelated South-American patients with mucopolysaccharidosis type II (MPS II) were investigated aiming at the identification of iduronate-2-sulfatase (IDS) disease causing mutations and the possibility of some insights on the genotype-phenotype correlation The strategy used for genotyping involved the identification of the previously reported inversion/disruption of the IDS gene by PCR and screening for other mutations by PCR/SSCP. The exons with altered mobility on SSCP were sequenced, as well as all the exons of patients with no SSCP alteration. By using this strategy, we were able to find the pathogenic mutation in all patients. Alterations such as inversion/disruption and partial/total deletions of the IDS gene were found in 20/103 (19%) patients. Small insertions/deletions/indels (<22 bp) and point mutations were identified in 83/103 (88%) patients, including 30 novel mutations; except for a higher frequency of small duplications in relation to small deletions, the frequencies of major and minor alterations found in our sample are in accordance with those described in the literature.

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Sickle cell disease (SCD) pathogenesis leads to recurrent vaso-occlusive and hemolytic processes, causing numerous clinical complications including renal damage. As vasoconstrictive mechanisms may be enhanced in SCD, due to endothelial dysfunction and vasoactive protein production, we aimed to determine whether the expression of proteins of the renin-angiotensin system (RAS) may be altered in an animal model of SCD. Plasma angiotensin II (Ang II) was measured in C57BL/6 (WT) mice and mice with SCD by ELISA, while quantitative PCR was used to compare the expressions of the genes encoding the angiotensin-II-receptors 1 and 2 (AT1R and AT2R) and the angiotensin-converting enzymes (ACE1 and ACE2) in the kidneys, hearts, livers and brains of mice. The effects of hydroxyurea (HU; 50-75mg/kg/day, 4weeks) treatment on these parameters were also determined. Plasma Ang II was significantly diminished in SCD mice, compared with WT mice, in association with decreased AT1R and ACE1 expressions in SCD mice kidneys. Treatment of SCD mice with HU reduced leukocyte and platelet counts and increased plasma Ang II to levels similar to those of WT mice. HU also increased AT1R and ACE2 gene expression in the kidney and heart. Results indicate an imbalanced RAS in an SCD mouse model; HU therapy may be able to restore some RAS parameters in these mice. Further investigations regarding Ang II production and the RAS in human SCD may be warranted, as such changes may reflect or contribute to renal damage and alterations in blood pressure.

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A monomeric basic PLA2 (PhTX-II) of 14149.08 Da molecular weight was purified to homogeneity from Porthidium hyoprora venom. Amino acid sequence by in tandem mass spectrometry revealed that PhTX-II belongs to Asp49 PLA2 enzyme class and displays conserved domains as the catalytic network, Ca2+-binding loop and the hydrophobic channel of access to the catalytic site, reflected in the high catalytic activity displayed by the enzyme. Moreover, PhTX-II PLA2 showed an allosteric behavior and its enzymatic activity was dependent on Ca2+. Examination of PhTX-II PLA2 by CD spectroscopy indicated a high content of alpha-helical structures, similar to the known structure of secreted phospholipase IIA group suggesting a similar folding. PhTX-II PLA2 causes neuromuscular blockade in avian neuromuscular preparations with a significant direct action on skeletal muscle function, as well as, induced local edema and myotoxicity, in mice. The treatment of PhTX-II by BPB resulted in complete loss of their catalytic activity that was accompanied by loss of their edematogenic effect. On the other hand, enzymatic activity of PhTX-II contributes to this neuromuscular blockade and local myotoxicity is dependent not only on enzymatic activity. These results show that PhTX-II is a myotoxic Asp49 PLA2 that contributes with toxic actions caused by P. hyoprora venom.

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Type II diabetes mellitus is a highly prevalent disease among the adult Brazilian population, and one that can be controlled by interventions such as physical activity, among others. The aim of this randomized controlled study was to evaluate the impact of a traditional motivational strategy, associated with the activation of intention theory, on adherence to physical activity in patients with type II, diabetes mellitus who are part of the Unified Health System (SUS). Participants were divided into a control group (CG) and an intervention group (IG). In both groups, the traditional motivational strategy was applied, but the activation of intention strategy was only applied to the IG Group. After a two-month follow-up, statistically significant differences were verified between the groups, related to the practice of walking (p = 0.0050), number of days per week (p = 0.0076), minutes per day (p = 0.0050) and minutes walking per week (p = 0.0015). At the end of the intervention, statistically significant differences in abdominal circumference (p = 0.0048) between the groups were observed. The conclusion drawn is that the activation of intention strategy had greater impact on adherence to physical activity and reduction in abdominal circumference in type II diabetics, than traditional motivational strategy.

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This paper discusses the results obtained with homogeneous catalytic ozonation [Mn (II) and Cu (II)] in phenol degradation. The reduction of total phenols and total organic carbon (TOC) and the ozone consumption were evaluated. The efficiency in phenol degradation (total phenol removal) at pH 3, with the catalytic process (Mn (II)), increased from 37% to 55% while the TOC removal increased from 4 to 63% in a seven-minute treatment. The ozonation process efficiency at pH 10 was 43% and 39% for phenol and TOC removal, respectively. The presence of both metallic ions (Mn2+ and Cu+2) in the ozonation process resulted in a positive effect.

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In this work, we describe a new method for obtaining [Fe(CO)2[(eta5-C5H5)Cl] employing simple techniques and low-cost reagents. It is worth mentioning that this method is faster than others reported in the literature. It was applied in laboratory classes for undergraduate students, exploring different concepts in organometallic chemistry and discussing the steps involved in the synthetic route.

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There has been a considerable interest in coordination complexes of molecular nitrogen (N2), partly due to a possible relationship between such complexes and the nitrogen activation process in nature. The present paper describes the synthesis and infrared spectroscopic characterization of an iron-nitrogen derivative with ethylenediamine-N,N,N',N'-tetraacetate (edta) as an experiment for an undergraduate course. The topics covered here include synthesis, reactivity and spectroscopy.

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This work is a floristic survey of arboreous and climbing shrub taxa of Papilionoideae in a semideciduos forest at Parque Estadual do Rio Doce, eastern Minas Gerais State. Field work was carried out from April/1998 to May/1999, when montly visits were conducted to collect botanical material along trails and of the main road. The floristic survey resulted in 22 taxa belonging to eight genera. An identification key, descriptions, illustrations and comments on the analyzed taxa are presented.

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OBJETIVO: avaliar a participação da protrusão mandibular ortopédica e da posição condilar na prevalência de sinais e sintomas de disfunção temporomandibular (DTM). METODOLOGIA: a amostra foi composta por 60 indivíduos divididos em 3 grupos, sendo o grupo I correspondente a indivíduos não tratados; o grupo II composto por jovens em tratamento com o Bionator; e o grupo III por jovens já tratados com este aparelho. Os indivíduos da amostra responderam a um questionário relativo aos principais sintomas de DTM, permitindo a classificação dos mesmos de acordo com a presença e severidade dessas disfunções. Esses jovens também se submeteram à avaliação da movimentação mandibular, palpação dos músculos mastigatórios e inspeção de ruídos articulares. Radiografias transcranianas padronizadas das ATMs direita e esquerda foram realizadas, para obtenção do grau de concentricidade condilar. RESULTADOS: os testes ANOVA, Kruskal-Wallis e qui-quadrado foram utilizados para análise dos dados. De acordo com os resultados do questionário anamnésico, 66,67% da amostra foram classificados com ausência de DTM; 30% com DTM leve e apenas 3,33% com DTM moderada, sem diferença entre os grupos estudados (p > 0,05). Quanto à concentricidade condilar, o grupo II apresentou os valores de menor concentricidade (côndilos mais anteriorizados), com diferença estatisticamente significante em relação ao grupo I (p < 0,05). Uma associação entre a concentricidade condilar e a prevalência de DTM, no entanto, não foi encontrada. CONCLUSÃO: a protrusão ortopédica, apesar de alterar a posição dos côndilos, não aumentou a prevalência de DTM na população estudada.

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OBJETIVO: o objetivo deste estudo foi avaliar os efeitos esqueléticos e dentoalveolares do tratamento de pacientes com má oclusão de Classe II com o aparelho Jasper Jumper associado ao aparelho ortodôntico fixo, comparados a um grupo controle não-tratado. MÉTODOS: a amostra foi constituída por 47 indivíduos, divididos em dois grupos: Grupo 1, contendo 25 pacientes com idade média de 12,72 anos, tratados com o aparelho Jasper Jumper por um tempo médio de 2,15 anos; Grupo 2 (controle), composto por 22 indivíduos com idade média de 12,67 anos, não-submetidos a tratamento ortodôntico e com má oclusão de Classe II, observados por um período médio de 2,12 anos. Foram avaliadas as telerradiografias ao início e ao final do tratamento ortodôntico para o Grupo 1 e do período de observação para o Grupo 2. As variáveis cefalométricas iniciais, finais e as alterações com o tratamento foram comparadas entre os grupos por meio do teste t independente. RESULTADOS: em comparação ao grupo controle, o grupo Jasper Jumper apresentou maior restrição do deslocamento anterior da maxila e maior retrusão maxilar, melhora da relação maxilomandibular, diminuição da convexidade facial, maior protrusão e intrusão dos incisivos inferiores e maior extrusão dos molares inferiores, além de maior diminuição dos trespasses horizontal e vertical e maior melhora da relação molar. CONCLUSÃO: a correção da Classe II no grupo tratado com o Jasper Jumper e aparelhagem fixa se deu principalmente devido à restrição do crescimento maxilar, protrusão e intrusão dos incisivos inferiores e extrusão dos molares inferiores.

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OBJECTIVES: It is well known that the efficacy and the efficiency of a Class II malocclusion treatment are aspects closely related to the severity of the dental anteroposterior discrepancy. Even though, sample selection based on cephalometric variables without considering the severity of the occlusal anteroposterior discrepancy is still common in current papers. In some of them, when occlusal parameters are chosen, the severity is often neglected. The purpose of this study is to verify the importance given to the classification of Class II malocclusion, based on the criteria used for sample selection in a great number of papers published in the orthodontic journal with the highest impact factor. MATERIAL AND METHODS: A search was performed in PubMed database for full-text research papers referencing Class II malocclusion in the history of the American Journal of Orthodontics and Dentofacial Orthopedics (AJO-DO). RESULTS: A total of 359 papers were retrieved, among which only 72 (20.06%) papers described the occlusal severity of the Class II malocclusion sample. In the other 287 (79.94%) papers that did not specify the anteroposterior discrepancy severity, description was considered to be crucial in 159 (55.40%) of them. CONCLUSIONS: Omission in describing the occlusal severity demands a cautious interpretation of 44.29% of the papers retrieved in this study.