786 resultados para Musica de cinema


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Pós-graduação em Ciências Sociais - FFC

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Questo lavoro è imperniato sullo studio di uno dei melodrammi più interessanti della fine del XVII secolo: “Il carceriere di sé medesimo” di Lodovico Adimari (1644-1708) e Alessandro Melani (1639-1703), allestito per la prima volta a Firenze nel 1681, e ripreso nel giro di una ventina d’anni a Reggio (1684), a Bologna (1697) e a Vienna (1702). L’opera vanta un’origine drammatica di spicco: risale infatti alla commedia “Guardarse a sí mismo” di Pedro Calderón de la Barca (1600-1681) mediata dal “Geôlier de soi-mesme” di Thomas Corneille (1625-1709), e presenta qualità poetiche e musicali evidenti, assicurate dai nomi del poeta Lodovico Adimari e del compositore Alessandro Melani. A ciò si aggiungano una tradizione articolata in quattro allestimenti, nonché un elevato numero di testimoni superstiti: cinque edizioni del libretto (testimoniate da numerosi esemplari) e il numero fortunatissimo di tre partiture manoscritte, conservate a Parigi, Bologna e Modena. La tesi contiene l’edizione critica del “Carceriere di sé medesimo” di Adimari con tutte le varianti accumulatesi nella riedizione del libretto e nella copiatura della partitura, l’analisi del dramma, a partire dal confronto tra i testi di Calderón, Corneille e Adimari, e lo studio delle sue componenti drammatiche, formali e contenutistiche. Si aggiunge uno studio sul contesto storico-musicale degli allestimenti di Firenze, Reggio, Bologna e Vienna, nonché l’edizione dei restanti tre drammi di Adimari: la commedia “Le gare dell’amore e dell’amicizia” (1679), e il dramma per musica “L’amante di sua figlia” (1684).

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Tra le plurime conseguenze dell’avvento del digitale, la riarticolazione dei rapporti tra immagine statica e immagine in movimento è certamente una delle più profonde. Sintomatica dei cambiamenti in atto sia nei film studies sia nella storia dell’arte, tale riarticolazione richiede un ripensamento dei confini disciplinari tradizionali entro cui il cinema e la fotografia sono stati affrontati come oggetti di studio separati e distinti. Nell’adottare un approccio molteplice, volto a comprendere prospettive provenienti dalla New Film History e dalla media archaeology, dalla teoria dell’arte e dagli studi visuali, questo lavoro esplora l’esistenza di una relazione dialettica tra il cinema e la fotografia intesa in modo duplice: come tensione costitutiva tra due media indissolubilmente connessi – non tanto in considerazione di un medesimo principio realistico di rappresentazione quanto, piuttosto, in virtù di uno scambio incessante nella modellizzazione di categorie quali il tempo, il movimento, l’immobilità, l’istante, la durata; come istanza peculiare della pratica artistica contemporanea, paradigma di riferimento nella produzione estetica di immagini. La tesi si suddivide in tre capitoli. Il primo si concentra sul rapporto tra l’immobilità e il movimento dell’immagine come cifra in grado di connettere l’estetica delle attrazioni e la cronofotografia a una serie di esperienze filmiche e artistiche prodotte nei territori delle avanguardie. Il secondo capitolo considera l’emergenza, dagli anni Novanta, di pratiche artistiche in cui l’incontro intermediale tra film e fotografia fornisce modelli di analisi volti all’indagine dell’attuale condizione estetica e tecnologica. Il terzo offre una panoramica critica su un caso di studio, la GIF art. La GIF è un formato digitale obsoleto che consente di produrre immagini che appaiono, simultaneamente, come fisse e animate; nel presente lavoro, la GIF è discussa come un medium capace di contraddire i confini attraverso cui concepiamo l’immagine fissa e in movimento, suggerendo, inoltre, un possibile modello di pensiero storico-cronologico anti-lineare.

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Studio storiografico condotto su fonti archivistiche, filmiche e sulla stampa locale e specializzata che ricostruisce dettagliatamente l'ambiente cittadino d'inizio Novecento nel quale si sono diffusi i primi spettacoli cinematografici, determinandone le caratteristiche e tracciandone l'evoluzione fra 1896 e 1925. L'avvento della cinematografia è strettamente connesso a un processo di modernizzazione del volto urbano, degli stili di vita, delle idee e il cinema si salda a queste istanze di rinnovamento, con una precisa ricaduta sull'immagine della città e sull'esperienza dei suoi cittadini appartenenti alle diverse classi sociali.

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Questo lavoro si concentra su un particolare aspetto della sfaccettata ricerca scientifica di Johannes Kepler (1571-1630), ossia quello teorico-musicale. I pensieri dell’astronomo tedesco riguardanti tale campo sono concentrati – oltre che in alcuni capitoli del Mysterium cosmographicum (1596) ed in alcune sue lettere – nel Libro III dell’Harmonices mundi libri quinque (1619), che, per la sua posizione mediana all’interno dell’opera, tra i primi due libri geometrici e gli ultimi due astronomici, e per la sua funzione di raccordo tra la «speculazione astratta» della geometria e la concretizzazione degli archetipi geometrici nel mondo fisico, assume la struttura di un vero e proprio trattato musicale sul modello di quelli rinascimentali, nel quale la «musica speculativa», dedicata alla teoria delle consonanze e alla loro deduzione geometrica precede la «musica activa», dedicata alla pratica del canto dell’uomo nelle sue differenze, generi e modi. La tesi contiene la traduzione italiana, con testo latino a fronte, del Libro III dell’Harmonice, e un’ampia introduzione che percorre le tappe fondamentali del percorso biografico e scientifico che hanno portato alla concezione di quest’opera – soffermandosi in particolare sulla formazione musicale ricevuta da Keplero, sulle pagine di argomento musicale del Mysterium e delle lettere, e sulle riflessioni filosofico-armoniche sviluppate negli anni di ricerca – e offre gli elementi fondamentali per poter comprendere l’Harmonice mundi in generale e il Libro III in particolare. A ciò si aggiunge, in Appendice, la traduzione, anch’essa con testo latino a fronte, della Sectio V, dedicata alla musica, del Liber IX dell’Almagestum novum (1651) di Giovanni Battista Riccioli (1598-1671), interessante sia dal punto di vista della recezione delle teorie di Keplero che dal punto di vista della storia delle idee musicali.

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Joris Ivens’ experimental film Regen and the music Hanns Eisler composed for it represent individually two major achievements in the artistic career of both the Dutch director and the German composer. Their union yielded a peculiar audiovisual product for at least two main reasons: on the one hand the music was composed more than ten years later, on the other hand, a result of a research project, Eisler’s composition responded to specific theoretical intentions that ‘commercial’ film music does not generally have. It is mostly because of the latter aspect that we can look at ‘Eisler’s Regen’ with a unique analytic perspective aimed to highlight traces of continuity in both the video and the music under three complementary viewpoints: narrative, rhythmic and formal. The outcome of such an analysis is meant to give proof of a highly integrated audiovisual creation that is rarely found in the history of experimental cinema.

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The book is an in-depth view of recent Italian cinema - bringing an interdisciplinary knowledge to the study of a complex cinema industry. The book aims to address a number of questions about Italian cinema of the last twenty years, bringing interdisciplinary knowledge to a cinema that eschews traditional definitions and categories, and challenges critical assumption about a film industry that is struggling to find a new direction. In doing so, Recent Italian Cinema offers a transverse analysis of the Italian cinema industry in its dealings with national and international production, and of the themes and issues that have emerged in films produced during the period 1980-2006.

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This Australasian horror special issue is an important step forward in putting Australian and New Zealand horror movies on the map of film and cinema studies as a subject worthy of intellectual debate. The journal issue is the first devoted solely to the academic discussion of Australasian horror movies. While an Australian horror movie tradition has produced numerous titles since the 1970s achieving commercial success and cult popularity worldwide, the horror genre is largely missing from Australian film history. While there have been occasional essays on standout titles such as Wolf Creek (Mclean, 2005), an increasing number of articles on ‘Ozploitation’ movies, and irregular discussion about Australian Gothic, overall the nature of Australian horror as a genre remains poorly understood. In terms of New Zealand, debate has tended to revolve around ‘Kiwi Gothic’ and of course Peter Jackon’s early splatter films, rather than Kiwi horror as a specific filmmaking tradition.

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Different terminologies have been used to characterize the Chinese independent cinema in the 1990s. These definitions focus on the experimental practices outside the official production system and independent of official ideology. The film industry has had distinctive development since the entry of WTO in 2001. Private investors have played essential role in cinematic economy; strict censorship has been obviously relaxed; the film industry is being divided into two opposing extremes. Thus, it is necessary to give a new definition of the Chinese independent cinema. The definition of independent cinema in today China I suggest in the light of American independence is that any film that has not been financed, produced and distributed by majors is independent. At least four corporations are majors in the Chinese film industry. They are China Film Group Corporation, Huayi Brothers Corporation, PolyBona Film Distribution Corporation and Shanghai Film Group Corporation. Except the four majors, all the other film production or distribution companies are independents.

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While Australian cinema has produced popular movie genres since the 1970s, including action/adventure, road movies, crime, and horror movies, genre cinema has occupied a precarious position within a subsidised national cinema and has been largely written out of film history. In recent years the documentary Not Quite Hollywood (2008) has brought Australia’s genre movie heritage from the 1970s and 1980s back to the attention of cinephiles, critics and cult audiences worldwide. Since its release, the term ‘Ozploitation’ has become synonymous with Australian genre movies. In the absence of discussion about genre cinema within film studies, Ozploitation (and ‘paracinema’ as a theoretical lens) has emerged as a critical framework to fill this void as a de facto approach to genre and a conceptual framework for understanding Australian genres movies. However, although the Ozploitation brand has been extremely successful in raising the awareness of local genre flicks, Ozploitation discourse poses problems for film studies, and its utility is limited for the study of Australian genre movies. This paper argues that Ozploitation limits analysis of genre movies to the narrow confines of exploitation or trash cinema and obscures more important discussion of how Australian cinema engages with popular movies genres, the idea of Australian filmmaking as entertainment, and the dynamics of commercial filmmaking practises more generally.

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The Australian screen industries are a leading domestic creative industry sector at a crossroad. New production, distribution and exhibition technologies are challenging traditional models of ‘filmmaking’. For the screen industries to remain competitive they must renovate business models for an emerging marketplace. This paper is a preliminary examination of three key aspects of next generation filmmaking: post-cinema approaches to screen production, emerging production and business models, and issues for policy.

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Screen industries around the globe are evolving. While technological change has been slower to take effect upon the Australian film industry than other creative sectors such as music and publishing, all indications suggest that local screen practices are in a process of fundamental change. Fragmenting audiences, the growth of digital video, distribution and exhibition, the potential for entirely new forms of cultural expression, the proliferation of multi-platforms, and the importance of social networking and viral marketing in promoting products, are challenging traditional approaches to ‘film making’. Moreover, there has been a marked transition in government policy rationales and funding models in recent years, resulting in the most significant overhaul of public finance structures for the film industry in almost 20 years. Film, Cinema, Screen evaluates the Australian film industry’s recent development – particularly in terms of Australian feature film and television series production; it also advocates new approaches to Australian film, and address critical issues around how screen production globally is changing, with implications for local screen industries.