945 resultados para Meiofauna, substrato secondario algale, acidificazione, vent, Ischia


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Tra i vari impatti causati dall’aumento costante di CO2 nell’atmosfera troviamo l’acidificazione oceanica. Le conseguenze di questo processo non sono interamente conosciute. Per questo è importante conoscere la risposta all’acidificazione degli organismi marini e degli ecosistemi. Lo scopo di questo lavoro è valutare le conseguenze dell’acidificazione su comunità meiofaunali epifite. Sono stati quindi condotti campionamenti in situ, in una zona acidificata in conseguenza della presenza di vents idrotermali presenti nell’isola di Ischia (Italia). La zona di studio indagata è stata suddivisa in due siti, differenti per esposizione al moto ondoso. All’interno di ciascuna esposizione sono stati individuate tre stazioni, differenti per il grado di acidificazione. Sono stati prelevati campioni di alghe lungo il gradiente di acidificazione con associata la meiofauna e sono stati considerati come substrato secondario. Le alghe sono state analizzate attraverso descrittori della loro complessità mentre gli organismi sono stati contati e classificati a livello di grandi taxa. I descrittori sintetici di ricchezza tassonomica e di abbondanza non presentano valori di correlazione alti con i descrittori di complessità algale. Invece, i risultati ottenuti considerando l’intera comunità mostrano una relazione significativa fra la struttura delle comunità meiofaunali e l’acidificazione e anche con la diversa esposizione al moto ondoso. Infine dalle analisi condotte mediante regressione multipla fra tutti i descrittori algali e la struttura di comunità si nota come i primi non giustificano da soli le variazioni dei popolamenti meiobentonici. In definitiva questi risultati sembrerebbero dimostrare che la struttura delle comunità meiofaunali venga influenzata sia dalla acidificazione che dall’esposizione al moto ondoso oltre che dalla struttura dell’habitat. È tuttavia difficile definire se le variazioni nella struttura di comunità sono dovute ad una azione parallela e sinergica dei fattori considerati (esposizione e gradiente) o se si tratta di un effetto a cascata dove l’acidità influenza le comunità algali che a loro volta strutturano le comunità bentoniche associate. In prospettiva di studi futuri sarebbe quindi interessante condurre uno studio simile prendendo in considerazione le possibili relazioni specie-specifiche intercorrenti tra la struttura delle comunità meiofaunali e le differenti specie algali.

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Recentemente molti studi in ambiente marino sono stati focalizzati sui possibili impatti dovuti alle variazioni del pH degli oceani, causato dall’aumento delle immissioni di CO2 nell’atmosfera. Tra i possibili effetti nocivi, l’acidificazione oceanica può indurre cambiamenti nelle abbondanze e nelle distribuzioni delle engeneer species, con conseguenti ripercussioni sulla fauna associata. Esempio tipico di engeneer species sono le macroalghe che sono capaci di creare, lungo le coste rocciose, habitat diversi a seconda della specie che riesce ad attecchire. Tra le specie animali che dominano in questi habitat troviamo i copepodi Arpacticoidi, piccoli crostacei che svolgono un ruolo chiave all’interno delle reti trofiche. Per questi motivi lo scopo di questo lavoro è valutare possibili effetti dell’acidificazione sulle taxocenosi a copepodi Arpacticoidi associate alle macroalghe. Lo studio è stato svolto ad Ischia, nella zona nei pressi del Castello Aragonese, dove vi sono dei vents di origine vulcanica che emettono CO2 e formano un gradiente naturale di acidificazione lungo un’area di circa 300m, suddivisibile in 3 stazioni a differenti valori medi di pH. L’analisi delle taxocenosi è stata svolta a livello di generi e famiglie di Arpacticoidi, in termini di abbondanze e di struttura di comunità, su differenti specie algali raccolte lungo il gradiente di acidificazione. Mentre non si notano differenze significative per le famiglie, la struttura di comunità analizzata a livello di generi di copepodi Arpacticoidi mostra una suddivisione in due comunità ben distinte, delle quali una appartenente alla stazione acidificata e un'altra alle stazioni di controllo e moderatamente acidificata. Tale suddivisione si conferma anche prendendo in considerazione la diversa complessità strutturale delle alghe. Per quanto riguarda le abbondanze, sia a livello di famiglie che di generi, queste mostrano generalmente valori più elevati nella stazione moderatamente acidificata e valori più bassi nella stazione più acidificata. C’è però da considerare che se non si tiene conto della complessità algale queste differenze sono significative per le famiglie Ectinosomatidae, Thalestridae e per il genere Dactylopusia, mentre, se si tiene conto della complessità algale, vi sono differenze significative per la famiglia Miraciidae e per i generi Amonardia e Dactylopusia. In definitiva questo studio sembrerebbe evidenziare che le taxocenosi a copepodi Arpacticoidi siano influenzate sia dalla differente complessità algale, che dall’acidificazione oceanica. Inoltre mostra che, in prospettiva di studi futuri, potrebbe essere necessario focalizzarsi su specie algali ben definite e su un'analisi tassonomica dei copepodi Arpacticoidi approfondita fino al livello di specie.

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Il problema dell'acidificazione degli oceani, conseguente ai cambiamenti climatici, è un processo ancora poco conosciuto. Per comprendere questo fenomeno, possono essere utilizzati degli ambienti naturalmente acidificati, considerati laboratori a cielo aperto. Lo scopo di questo lavoro di tesi è stato quello di utilizzare le fumarole presenti nell'isola di Ischia, per approfondire le dinamiche dei processi di acidificazione e per analizzare l'eventuale interazione tra pH e condizioni meteorologiche. I dati utilizzati, forniti dalla Stazione Zoologica “Anton Dohrn” di Napoli, erano serie di pH e di vento rilevate in continuo, in due aree, nord e sud rispetto all'isolotto del Castello Aragonese, e in tre stazioni lungo un gradiente di acidificazione. Tutto il lavoro è stato svolto a step, dove il risultato di un'analisi suggeriva il tipo e il metodo analitico da utilizzare nelle analisi successive. Inizialmente i dati delle due serie sono stati analizzati singolarmente per ottenere i parametri più salienti delle due serie. In seguito i dati sono stati correlati fra loro per stimare l'influenza del vento sul pH. Globalmente è stato possibile evidenziare come il fenomeno dell'acidificazione sia correlato con il vento, ma la risposta sembra essere sito-specifica, essendo risultato dipendente da altri fattori interagenti a scala locale, come la geomorfologia del territorio, le correnti marine e la batimetria del fondale. È però emersa anche la difficoltà nel trovare chiare correlazioni fra le due serie indagate, perché molto complesse, a causa sia della numerosa quantità di zeri nella serie del vento, sia da una forte variabilità naturale del pH, nelle varie stazioni esaminate. In generale, con questo lavoro si è dimostrato come utilizzare tecniche di analisi delle serie storiche, e come poter utilizzare metodi di regressione, autocorrelazione, cross-correlation e smoothing che possono integrare i modelli che prendono in considerazione variabili esogene rispetto alla variabile di interesse.

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Global warming and ocean acidification, due to rising atmospheric levels of CO2, represent an actual threat to terrestrial and marine environments. Since Industrial Revolution, in less of 250 years, pH of surface seawater decreased on average of 0.1 unit, and is expected to further decreases of approximately 0.3-0.4 units by the end of this century. Naturally acidified marine areas, such as CO2 vent systems at the Ischia Island, allow to study acclimatation and adaptation of individual species as well as the structure of communities, and ecosystems to OA. The main aim of this thesis was to study how hard bottom sublittoral benthic assemblages changed trough time along a pH gradient. For this purpose, the temporal dynamics of mature assemblages established on artificial substrates (volcanic tiles) over a 3 year- period were analysed. Our results revealed how composition and dynamics of the community were altered and highly simplified at different level of seawater acidification. In fact, extreme low values of pH (approximately 6.9), affected strongly the assemblages, reducing diversity both in terms of taxa and functional groups, respect to lower acidification levels (mean pH 7.8) and ambient conditions (8.1 unit). Temporal variation was observed in terms of species composition but not in functional groups. Variability was related to species belonging to the same functional group, suggesting the occurrence of functional redundancy. Therefore, the analysis of functional groups kept information on the structure, but lost information on species diversity and dynamics. Decreasing in ocean pH is only one of many future global changes that will occur at the end of this century (increase of ocean temperature, sea level rise, eutrophication etc.). The interaction between these factors and OA could exacerbate the community and ecosystem effects showed by this thesis.

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The atmospheric partial pressure of carbon dioxide (pCO2) will almost certainly be double that of pre-industrial levels by 2100 and will be considerably higher than at any time during the past few million years1. The oceans are a principal sink for anthropogenic CO2 where it is estimated to have caused a 30% increase in the concentration of H+ in ocean surface waters since the early 1900s and may lead to a drop in seawater pH of up to 0.5 units by 2100. Our understanding of how increased ocean acidity may affect marine ecosystems is at present very limited as almost all studies have been in vitro, short-term, rapid perturbation experiments on isolated elements of the ecosystem4, 5. Here we show the effects of acidification on benthic ecosystems at shallow coastal sites where volcanic CO2 vents lower the pH of the water column. Along gradients of normal pH (8.1-8.2) to lowered pH (mean 7.8-7.9, minimum 7.4-7.5), typical rocky shore communities with abundant calcareous organisms shifted to communities lacking scleractinian corals with significant reductions in sea urchin and coralline algal abundance. To our knowledge, this is the first ecosystem-scale validation of predictions that these important groups of organisms are susceptible to elevated amounts of pCO2. Sea-grass production was highest in an area at mean pH 7.6 (1,827 µatm pCO2) where coralline algal biomass was significantly reduced and gastropod shells were dissolving due to periods of carbonate sub-saturation. The species populating the vent sites comprise a suite of organisms that are resilient to naturally high concentrations of pCO2 and indicate that ocean acidification may benefit highly invasive non-native algal species. Our results provide the first in situ insights into how shallow water marine communities might change when susceptible organisms are removed owing to ocean acidification.

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Ocean acidification (OA) is likely to exert selective pressure on natural populations. Our ability to predict which marine species will adapt to OA, and what underlies this adaptive potential, are of high conservation and resource management priority. Using a naturally low pH vent site in the Mediterranean Sea (Castello Aragonese, Ischia) mirroring projected future OA conditions, we carried out a reciprocal transplant experiment to investigate the relative importance of phenotypic plasticity and local adaptation in two populations of the sessile, calcifying polychaete /Simplaria /sp. (Annelida, Serpulidae, Spirorbinae): one residing in low pH and the other from a nearby ambient (i.e. high) pH site. We measured a suite of fitness related traits (i.e. survival, reproductive output, maturation, population growth) and tube growth rates in laboratory-bred F2 generation individuals from both populations reciprocally transplanted back into both ambient and low pH /in situ/ habitats. Both populations showed lower expression in all traits, but increased tube growth rates, when exposed to low pH compared to high pH conditions, regardless of their site of origin suggesting that local adaptation to low pH conditions has not occurred. We also found comparable levels of plasticity in the two populations investigated, suggesting no influence of long-term exposure to low pH on the ability of populations to adjust their phenotype. Despite high variation in trait values among sites and the relatively extreme conditions at sites close to the vents (pH < 7.36), response trends were consistent across traits. Hence, our data suggest that, for /Simplaria /and possibly other calcifiers, neither local adaptations nor sufficient phenotypic plasticity levels appear to suffice in order to compensate for the negative impacts of OA on long-term survival. Our work also underlines the utility of field experiments in natural environments subjected to high level of /p/CO_2 for elucidating the potential for adaptation to future scenarios of OA.

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The Jericho kimberlite (173.1. ±. 1.3. Ma) is a small (~. 130. ×. 70. m), multi-vent system that preserves products from deep (>. 1. km?) portions of kimberlite vents. Pit mapping, drill core examination, petrographic study, image analysis of olivine crystals (grain size distributions and shape studies), and compositional and mineralogical studies, are used to reconstruct processes from near-surface magma ascent to kimberlite emplacement and alteration. The Jericho kimberlite formed by multiple eruptions through an Archean granodiorite batholith that was overlain by mid-Devonian limestones ~. 1. km in thickness. Kimberlite magma ascended through granodiorite basement by dyke propagation but ascended through limestone, at least in part, by locally brecciating the host rocks. After the first explosive breakthrough to surface, vent deepening and widening occurred by the erosive forces of the waxing phase of the eruption, by gravitationally induced failures as portions of the vent margins slid into the vent and, in the deeper portions of the vent (>. 1. km), by scaling, as thin slabs burst from the walls into the vent. At currently exposed levels, coherent kimberlite (CK) dykes (<. 40. cm thick) are found to the north and south of the vent complex and represent the earliest preserved in-situ products of Jericho magmatism. Timing of CK emplacement on the eastern side of the vent complex is unclear; some thick CK (15-20. m) may have been emplaced after the central vent was formed. Explosive eruptive products are preserved in four partially overlapping vents that are roughly aligned along strike with the coherent kimberlite dyke. The volcaniclastic kimberlite (VK) facies are massive and poorly sorted, with matrix- to clast-supported textures. The VK facies fragmented by dry, volatile-driven processes and were emplaced by eruption column collapse back into the volcanic vents. The first explosive products, poorly preserved because of partial destruction by later eruptions, are found in the central-east vent and were formed by eruption column collapse after the vent was largely cleared of country rock debris. The next active vent was either the north or south vent. Collapse of the eruption column, linked to a vent widening episode, resulted in coeval avalanching of pipe margin walls into the north vent, forming interstratified lenses of country rock-rich boulder breccias in finer-grained volcaniclastic kimberlite. South vent kimberlite has similar characteristics to kimberlite of the north vent and likely formed by similar processes. The final eruptive phase formed olivine-rich and moderately sorted deposits of the central vent. Better sorting is attributed to recycling of kimberlite debris by multiple eruptions through the unconsolidated volcaniclastic pile and associated collapse events. Post-emplacement alteration varies in intensity, but in all cases, has overprinted the primary groundmass and matrix, in CK and VK, respectively. Erosion has since removed all limestone cover.

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A figura da mulher ocupa significativo papel nas novelas de cavalaria do Ciclo Bretão. Emergindo como um elemento que traz liga às narrativas do lendário artúrico, constitui-se adjuvante essencial e multifacetada na construção dos episódios, numa interação constante com o masculino representado, principalmente, pelos cavaleiros. O Medievo traz à tona uma imagem matizada do feminino: a mulher socialmente vista sob clivagens diversas é refletida na literatura de cavalaria, conforme se pode verificar em A Demanda do Santo Graal. A presença feminina é importantíssima na narrativa, sobretudo na sua tensa relação com a cavalaria, agora ligada ao elemento religioso - monastizada, celibatária e ascética. O objetivo precípuo de nossos estudos é investigar de que maneira a fôrma sociocultural medieva, na qual foi moldada A Demanda do Santo Graal, se relaciona com seu substrato: as narrativas provindas da cosmovisão inerente ao imaginário céltico. Desta feita, nosso viés analítico verticaliza-se no elemento feminino presente na obra. Mais especificamente, toma-se por escopo a imagem de personagens que refletem a ideologia clerical moralístico-didatizante do século XIII, mas, sobretudo, resgata-se a imagem de personagens imbuídas de singular dualidade; ambigüidade esta que é marca não só do medievo paradoxal concernente ao feminino, mas também de personas literárias concebidas entre dois mundos, dois pólos ideológicos distintos. Em outros termos, fala-se de personagens que são seres ficcionais bifrontes: personagens localizadas entre as herdades e as identidades. Foram tomados como corpora de pesquisa os episódios em que estas damas polidimensionais aparecem e se tornam adjuvantes na ação literária, seja para cooperar, confundir ou prejudicar os cavaleiros que empreendem a sagrada, inefável e venturosa busca do Santo Cálix que dará fim às aventuras do Reino de Logres

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Fatores extrínsecos afetam a ecologia térmica e o comportamento de lagartos no habitat, com as características ambientais locais podendo ocasionar alterações na temperatura corpórea (Tc) e no comportamento destes animais. Entretanto, fatores intrínsecos também representam uma importante influência para sua biologia, assim como fatores filogenéticos (históricos). Liolaemus lutzae (Liolaemidae) é uma espécie de lagarto com ocorrência restrita a restingas do estado do Rio de Janeiro (entre a Restinga da Marambaia no município do Rio de Janeiro e a restinga da Praia do Peró no município de Cabo Frio), vivendo exclusivamente na zona de vegetação halófila-psamófila-reptante a chamada área-de-praia da restinga (sujeita a altas temperaturas ambientais e ventos intensos constantes). Nessa área, onde vivem restritos a uma faixa de poucos metros de restinga, os indivíduos se abrigam escavando abrigos no substrato arenoso. Avaliei a importância de fontes ambientais de calor, da intensidade dos ventos, do sexo, da ontogenia, do comprimento rostro-cloacal (CRC) e da massa corpórea para a Tc e a taxa de atividade de lagartos L. lutzae (observando a ocorrência de variações sazonais), em estudos conduzidos no município de Arraial do Cabo, estado do Rio de Janeiro, sudeste do Brasil. Além disso, eu analisei se o comportamento de L. lutzae, direcionando as aberturas de seus abrigos foi afetado por fatores ambientais nas restingas da Reserva Ecológica Estadual de Jacarepiá e do Parque Natural Municipal de Grumari, ambas no estado do Rio de Janeiro. A atividade dos lagartos se estendeu durante o dia (0600h às 1800h), com máximo entre 1100h e 1300h (com variações sazonais). A Tc dos indivíduos foi 31,7  3,4 C, e variou ao longo do dia e sazonalmente. Em ambas as estações a Tc dos lagartos relacionaram-se às temperaturas do microhabitat (substrato e ar). A intensidade do vento influenciou a Tc dos lagartos (causando seu decréscimo), e a intensidade média do vento afetou o número de lagartos ativos (causando redução da atividade). Houve diferenças intersexuais no CRC, com os machos maiores do que as fêmeas, embora as fêmeas tenham tido maior massa corpórea relativa ao CRC correspondente, comparado aos machos. A Tc também diferiu inter-sexualmente (com machos mais quentes do que fêmeas) e ontogeneticamente (com jovens mais quentes do que adultos depois de removido o efeito do tamanho corpóreo). Houve relações entre a Tc e o CRC e entre a Tc e a massa corpórea, com lagartos maiores tendo Tc mais elevada (causada pela inércia térmica dos corpos). A variabilidade na Tc dos lagartos parece refletir a interação entre características ambientais locais, fatores intrínsecos e a filogenia da espécie. As aberturas dos abrigos foram localizadas principalmente próximas à linha de praia (possivelmente devido ao substrato menos compacto), predominantemente em terrenos inclinados e tiveram uma tendência de orientação influenciada pela inclinação do terreno. O comportamento de L. lutzae de orientar a entrada de seus abrigos para a direção descendente das inclinações pode ser vantajoso para torná-los menos vulneráveis a potenciais ameaças e distúrbios vindos da superfície.

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O lagarto Tropidurus torquatus (Wied, 1820) possui ampla distribuição geográfica e é encontrado em abundância nas áreas onde ocorre, sendo considerada uma espécie apropriada para estudos ecológicos. No presente estudo nós analisamos o período de atividade, o uso do microhabitat, a intensidade de forrageamento, a dieta e a ecologia térmica de uma população de T. torquatus do Costão de Itacoatiara, no Parque Estadual da Serra da Tiririca, situado nos municípios de Niterói e Maricá, RJ. Os dados foram coletados em dois períodos: entre julho de 2004 e janeiro de 2008 para estudo do período de atividade, uso do microhabitat e intensidade de forrageamento, e entre julho e agosto de 2010 para estudo da ecologia térmica e dieta. Todos os indivíduos coletados eram adultos, com comprimento rostro-cloacal médio de 66,2 12,0mm para machos (n = 11) e 64,1 8,0mm para fêmeas (n = 03). O período de atividade de T. torquatus no Costão de Itacoatiara durou de 12 a 14 horas. Teve um padrão unimodal na estação seca, com pico de atividade entre 09:00h e 13:00h, durante as horas mais quentes do dia. Na estação chuvosa o padrão de atividade foi bimodal, com um pico entre 8:00h e 9:00h e outro entre 16:00h e 17:00h, ambos associados aos horários de temperaturas ambientais mais amenas. O período de atividade não diferiu entre as estações, o que pode ser explicado pelo extenso pico de atividade dos lagartos na estação seca. Os microhabitats mais utilizados foram o substrato rochoso do Costão e a bromélia, refletindo a disponibilidade destes na área. A intensidade de forrageamento não diferiu sazonalmente e o tempo médio que os lagartos ficaram parados foi maior do que o tempo médio em deslocamento. A dieta foi onívora e esteve composta por artrópodes, principalmente insetos, e material vegetal, principalmente frutos. Os principais insetos consumidos foram Formicidae, Coleoptera e Hymenoptera não-Formicidae como pequenas vespas e abelhas. Os frutos, as sementes e as flores consumidos pertenciam às cactáceas Rhipsalis cereoides e Coleocephalocereus fluminensis, para as quais T. torquatus pode ser um potencial agente dispersor de sementes na área. Lagartos maiores consumiram itens maiores, mas em menor número, indicando um balanço energético positivo. O consumo de material vegetal variou de acordo com o tamanho dos lagartos, aumentando sua proporção nos indivíduos mais velhos. A temperatura média em atividade de T. torquatus foi de 34,3 2,5C, estando na faixa de temperatura corpórea média encontrada para outras populações e para outros Tropidurus. O substrato foi a fonte de calor ambiental com maior importância relativa para a termorregulação dos lagartos durante a estação seca, explicando cerca de 48% da variação na temperatura corpórea da população. Os lagartos termorregularam de forma passiva, principalmente em relação à temperatura do substrato.