994 resultados para Marinetti, Filippo Tommaso


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Marja Härmänmaa

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La ricognizione delle opere composte da Filippo Tommaso Marinetti tra il 1909 e il 1912 è sostenuta da una tesi paradossale: il futurismo di Marinetti non sarebbe un'espressione della modernità, bensì una reazione anti-moderna, che dietro a una superficiale ed entusiastica adesione ad alcune parole d'ordine della seconda rivoluzione industriale nasconderebbe un pessimismo di fondo nei confronti dell'uomo e della storia. In questo senso il futurismo diventa un emblema del ritardo culturale e del gattopardismo italiano, e anticipa l’analoga operazione svolta in politica da Mussolini: dietro un’adesione formale ad alcune istanze della modernità, la preservazione dello Status Quo. Marinetti è descritto come un corpo estraneo rispetto alla cultura scientifica del Novecento: un futurista senza futuro (rarissime in Marinetti sono le proiezioni fantascientifiche). Questo aspetto è particolarmente evidente nelle opere prodotte del triennio 1908-1911, che non solo sono molto diverse dalle opere futuriste successive, ma per alcuni aspetti rappresentano una vera e propria antitesi di ciò che diventerà il futurismo letterario a partire dal 1912, con la pubblicazione del Manifesto tecnico della letteratura futurista e l'invenzione delle parole in libertà. Nelle opere precedenti, a un sostanziale disinteresse per il progressismo tecnologico corrispondeva un'attenzione ossessiva per la corporeità e un ricorso continuo all'allegoria, con effetti particolarmente grotteschi (soprattutto nel romanzo Mafarka le futuriste) nei quali si rilevano tracce di una concezione del mondo di sapore ancora medioevo-rinascimentale. Questa componente regressiva del futurismo marinettiano viene platealmente abbandonata a partire dal 1912, con Zang Tumb Tumb, salvo riaffiorare ciclicamente, come una corrente sotterranea, in altre fasi della sua carriera: nel 1922, ad esempio, con la pubblicazione de Gli indomabili (un’altra opera allegorica, ricca di reminiscenze letterarie). Quella del 1912 è una vera e propria frattura, che nel primo capitolo è indagata sia da un punto di vista storico (attraverso la documentazione epistolare e giornalistica vengono portate alla luce le tensioni che portarono gran parte dei poeti futuristi ad abbandonare il movimento proprio in quell'anno) che da un punto di vista linguistico: sono sottolineate le differenze sostanziali tra la produzione parolibera e quella precedente, e si arrischia anche una spiegazione psicologica della brusca svolta impressa da Marinetti al suo movimento. Nel secondo capitolo viene proposta un'analisi formale e contenutistica della ‘funzione grottesca’ nelle opere di Marinetti. Nel terzo capitolo un'analisi comparata delle incarnazioni della macchine ritratte nelle opere di Marinetti ci svela che quasi sempre in questo autore la macchina è associata al pensiero della morte e a una pulsione masochistica (dominante, quest'ultima, ne Gli indomabili); il che porta ad arrischiare l'ipotesi che l'esperienza futurista, e in particolare il futurismo parolibero posteriore al 1912, sia la rielaborazione di un trauma. Esso può essere interpretato metaforicamente come lo choc del giovane Marinetti, balzato in pochi anni dalle sabbie d'Alessandria d'Egitto alle brume industriali di Milano, ma anche come una reale esperienza traumatica (l'incidente automobilistico del 1908, “mitologizzato” nel primo manifesto, ma che in realtà fu vissuto dall'autore come esperienza realmente perturbante).

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El objetivo de este artículo es analizar la figura del artista a comienzos del siglo XX a través de los textos y las ideas del poeta italiano Filippo Tommaso Marinetti. Partiendo sus teorías de las bases del decadentismo, Marinetti genera un modelo de artista en el que ejercen gran influencia conceptos como el genio y la libertad artística, muy asociados al Romanticismo, pero al que añade nuevos elementos de gran relevancia para la coyuntura política y social de su época. Entre estos, estarían aquellos que vincularon al artista futurista con la política de su tiempo, con el fascismo y con los modos de comunicación con el cada vez más importante público de grandes masas. Obsesionado con la idea de progreso, Marinetti aspira a crear un nuevo artista capaz de generar un nuevo mundo que introdujera definitivamente a Italia en la modernidad.

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O presente artigo resultado da pesquisa de duas investigadoras no arquivo da Igreja de Nossa Senhora do Loreto em Lisboa e no Archivio Segreto Vaticano e pretende oferecer uma hipotética reconstrução da igreja original dos Italianos em Lisboa, erigida entre 1518 e 1597 e destruída no incêndio de 1651. Na análise da escassa documentação sobre o edifício desaparecido, onde é confirmada a participação do arquitecto-engenheiro Filippo Terzi, (Bolonha 1520-Setúbal 1597), propõe-se uma interpretação da política de representação nacional da comunidade italiana em Portugal na segunda metade de Quinhentos assim como das suas estreitas relações com Roma e a Santa Sé. Para além disso, salienta-se que na promoção do culto de Nossa Senhora do Loreto em Portugal, a comunidade italiana contribuiu na difusão do mesmo na América Latina.

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Tal como os outros soberanos do Antigo Regime, D. João V procurava a legitimidade do Império Português a nível europeu, através dos grandes projetos arquitetónicos. O novo palácio real e a igreja patriarcal que Juavarra desenhou em 1719 para a cidade de Lisboa teve que representar e simbolizar o poder do rei. Um estudo pormenorizado sobre parte da arquitectura de Juvarra parece revelar uma estreita relação, não com a contemporânea Roma dos Papas, mas antes com a majestosa arquitectura da Roma Imperial. D. João V tinha o ensejo de ser considerado um imperador e a arquitectura de Juvarra demonstra-o claramente.

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Na Biblioteca Nacional Universitária de Turim, no álbum Ris. 59-17 de Ignazio Agliaudi Baroni di Tavigliano, estão guardados cinco desenhos de grande interesse para o estudo da actividade portuguesa de Filippo Juvarra. Estes fólios representam dois projectos de teatro régio destinados à corte lusitana e são cópias de originais perdidos do arquitecto siciliano. Este ensaio estabelece uma maior fluidez entre a experiência artístico-musical da primeira metade do século xviii e o reinado de D. José I, a quem, tradicionalmente, os estudos críticos atribuem o ‘acto político’ de ter introduzido na corte portuguesa o melodrama face à aversão obstinada do pai. A problematização desta dicotomia permite criar uma liaison entre a chamada, em 1752, do cenógrafo e arquitecto teatral Giovanni Carlo Sicinio Bibiena por parte de D. José I com a memória do acontecido anteriormente, aquando jovem.

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f.1 à 2 : datés d'après le contenu de la lettre

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UANL