929 resultados para Human skeleton -- Disorders
Resumo:
Recent findings from the clinic and the laboratory have transformed the way proteases and their inhibitors are perceived in the outermost layer of the skin, the epidermis. It now appears that an integrated proteolytic network operates within the epidermis, comprising more than 30 enzymes that carry out a growing list of essential functions. Equally, defective regulation or execution of protease-mediated processes is emerging as a key contributor to diverse human skin pathologies, and in recent years the number of diseases attributable to aberrant proteolytic activity has more than doubled. Here, we survey the different roles of proteases in epidermal homeostasis (from processing enzymes to signalling molecules) and explore the spectrum of rare and common human skin disorders where proteolytic pathways are dysregulated.
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L’analisi del movimento umano ha come obiettivo la descrizione del movimento assoluto e relativo dei segmenti ossei del soggetto e, ove richiesto, dei relativi tessuti molli durante l’esecuzione di esercizi fisici. La bioingegneria mette a disposizione dell’analisi del movimento gli strumenti ed i metodi necessari per una valutazione quantitativa di efficacia, funzione e/o qualità del movimento umano, consentendo al clinico l’analisi di aspetti non individuabili con gli esami tradizionali. Tali valutazioni possono essere di ausilio all’analisi clinica di pazienti e, specialmente con riferimento a problemi ortopedici, richiedono una elevata accuratezza e precisione perché il loro uso sia valido. Il miglioramento della affidabilità dell’analisi del movimento ha quindi un impatto positivo sia sulla metodologia utilizzata, sia sulle ricadute cliniche della stessa. Per perseguire gli obiettivi scientifici descritti, è necessario effettuare una stima precisa ed accurata della posizione e orientamento nello spazio dei segmenti ossei in esame durante l’esecuzione di un qualsiasi atto motorio. Tale descrizione può essere ottenuta mediante la definizione di un modello della porzione del corpo sotto analisi e la misura di due tipi di informazione: una relativa al movimento ed una alla morfologia. L’obiettivo è quindi stimare il vettore posizione e la matrice di orientamento necessari a descrivere la collocazione nello spazio virtuale 3D di un osso utilizzando le posizioni di punti, definiti sulla superficie cutanea ottenute attraverso la stereofotogrammetria. Le traiettorie dei marker, così ottenute, vengono utilizzate per la ricostruzione della posizione e dell’orientamento istantaneo di un sistema di assi solidale con il segmento sotto esame (sistema tecnico) (Cappozzo et al. 2005). Tali traiettorie e conseguentemente i sistemi tecnici, sono affetti da due tipi di errore, uno associato allo strumento di misura e l’altro associato alla presenza di tessuti molli interposti tra osso e cute. La propagazione di quest’ultimo ai risultati finali è molto più distruttiva rispetto a quella dell’errore strumentale che è facilmente minimizzabile attraverso semplici tecniche di filtraggio (Chiari et al. 2005). In letteratura è stato evidenziato che l’errore dovuto alla deformabilità dei tessuti molli durante l’analisi del movimento umano provoca inaccuratezze tali da mettere a rischio l’utilizzabilità dei risultati. A tal proposito Andriacchi scrive: “attualmente, uno dei fattori critici che rallentano il progresso negli studi del movimento umano è la misura del movimento scheletrico partendo dai marcatori posti sulla cute” (Andriacchi et al. 2000). Relativamente alla morfologia, essa può essere acquisita, ad esempio, attraverso l’utilizzazione di tecniche per bioimmagini. Queste vengono fornite con riferimento a sistemi di assi locali in generale diversi dai sistemi tecnici. Per integrare i dati relativi al movimento con i dati morfologici occorre determinare l’operatore che consente la trasformazione tra questi due sistemi di assi (matrice di registrazione) e di conseguenza è fondamentale l’individuazione di particolari terne di riferimento, dette terne anatomiche. L’identificazione di queste terne richiede la localizzazione sul segmento osseo di particolari punti notevoli, detti repere anatomici, rispetto ad un sistema di riferimento solidale con l’osso sotto esame. Tale operazione prende il nome di calibrazione anatomica. Nella maggior parte dei laboratori di analisi del movimento viene implementata una calibrazione anatomica a “bassa risoluzione” che prevede la descrizione della morfologia dell’osso a partire dall’informazione relativa alla posizione di alcuni repere corrispondenti a prominenze ossee individuabili tramite palpazione. Attraverso la stereofotogrammetria è quindi possibile registrare la posizione di questi repere rispetto ad un sistema tecnico. Un diverso approccio di calibrazione anatomica può essere realizzato avvalendosi delle tecniche ad “alta risoluzione”, ovvero attraverso l’uso di bioimmagini. In questo caso è necessario disporre di una rappresentazione digitale dell’osso in un sistema di riferimento morfologico e localizzare i repere d’interesse attraverso palpazione in ambiente virtuale (Benedetti et al. 1994 ; Van Sint Jan et al. 2002; Van Sint Jan et al. 2003). Un simile approccio è difficilmente applicabile nella maggior parte dei laboratori di analisi del movimento, in quanto normalmente non si dispone della strumentazione necessaria per ottenere le bioimmagini; inoltre è noto che tale strumentazione in alcuni casi può essere invasiva. Per entrambe le calibrazioni anatomiche rimane da tenere in considerazione che, generalmente, i repere anatomici sono dei punti definiti arbitrariamente all’interno di un’area più vasta e irregolare che i manuali di anatomia definiscono essere il repere anatomico. L’identificazione dei repere attraverso una loro descrizione verbale è quindi povera in precisione e la difficoltà nella loro identificazione tramite palpazione manuale, a causa della presenza dei tessuti molli interposti, genera errori sia in precisione che in accuratezza. Tali errori si propagano alla stima della cinematica e della dinamica articolare (Ramakrishnan et al. 1991; Della Croce et al. 1999). Della Croce (Della Croce et al. 1999) ha inoltre evidenziato che gli errori che influenzano la collocazione nello spazio delle terne anatomiche non dipendono soltanto dalla precisione con cui vengono identificati i repere anatomici, ma anche dalle regole che si utilizzano per definire le terne. E’ infine necessario evidenziare che la palpazione manuale richiede tempo e può essere effettuata esclusivamente da personale altamente specializzato, risultando quindi molto onerosa (Simon 2004). La presente tesi prende lo spunto dai problemi sopra elencati e ha come obiettivo quello di migliorare la qualità delle informazioni necessarie alla ricostruzione della cinematica 3D dei segmenti ossei in esame affrontando i problemi posti dall’artefatto di tessuto molle e le limitazioni intrinseche nelle attuali procedure di calibrazione anatomica. I problemi sono stati affrontati sia mediante procedure di elaborazione dei dati, sia apportando modifiche ai protocolli sperimentali che consentano di conseguire tale obiettivo. Per quanto riguarda l’artefatto da tessuto molle, si è affrontato l’obiettivo di sviluppare un metodo di stima che fosse specifico per il soggetto e per l’atto motorio in esame e, conseguentemente, di elaborare un metodo che ne consentisse la minimizzazione. Il metodo di stima è non invasivo, non impone restrizione al movimento dei tessuti molli, utilizza la sola misura stereofotogrammetrica ed è basato sul principio della media correlata. Le prestazioni del metodo sono state valutate su dati ottenuti mediante una misura 3D stereofotogrammetrica e fluoroscopica sincrona (Stagni et al. 2005), (Stagni et al. 2005). La coerenza dei risultati raggiunti attraverso i due differenti metodi permette di considerare ragionevoli le stime dell’artefatto ottenute con il nuovo metodo. Tale metodo fornisce informazioni sull’artefatto di pelle in differenti porzioni della coscia del soggetto e durante diversi compiti motori, può quindi essere utilizzato come base per un piazzamento ottimo dei marcatori. Lo si è quindi utilizzato come punto di partenza per elaborare un metodo di compensazione dell’errore dovuto all’artefatto di pelle che lo modella come combinazione lineare degli angoli articolari di anca e ginocchio. Il metodo di compensazione è stato validato attraverso una procedura di simulazione sviluppata ad-hoc. Relativamente alla calibrazione anatomica si è ritenuto prioritario affrontare il problema associato all’identificazione dei repere anatomici perseguendo i seguenti obiettivi: 1. migliorare la precisione nell’identificazione dei repere e, di conseguenza, la ripetibilità dell’identificazione delle terne anatomiche e della cinematica articolare, 2. diminuire il tempo richiesto, 3. permettere che la procedura di identificazione possa essere eseguita anche da personale non specializzato. Il perseguimento di tali obiettivi ha portato alla implementazione dei seguenti metodi: • Inizialmente è stata sviluppata una procedura di palpazione virtuale automatica. Dato un osso digitale, la procedura identifica automaticamente i punti di repere più significativi, nella maniera più precisa possibile e senza l'ausilio di un operatore esperto, sulla base delle informazioni ricavabili da un osso digitale di riferimento (template), preliminarmente palpato manualmente. • E’ stato poi condotto uno studio volto ad indagare i fattori metodologici che influenzano le prestazioni del metodo funzionale nell’individuazione del centro articolare d’anca, come prerequisito fondamentale per migliorare la procedura di calibrazione anatomica. A tale scopo sono stati confrontati diversi algoritmi, diversi cluster di marcatori ed è stata valutata la prestazione del metodo in presenza di compensazione dell’artefatto di pelle. • E’stato infine proposto un metodo alternativo di calibrazione anatomica basato sull’individuazione di un insieme di punti non etichettati, giacenti sulla superficie dell’osso e ricostruiti rispetto ad un TF (UP-CAST). A partire dalla posizione di questi punti, misurati su pelvi coscia e gamba, la morfologia del relativo segmento osseo è stata stimata senza identificare i repere, bensì effettuando un’operazione di matching dei punti misurati con un modello digitale dell’osso in esame. La procedura di individuazione dei punti è stata eseguita da personale non specializzato nell’individuazione dei repere anatomici. Ai soggetti in esame è stato richiesto di effettuare dei cicli di cammino in modo tale da poter indagare gli effetti della nuova procedura di calibrazione anatomica sulla determinazione della cinematica articolare. I risultati ottenuti hanno mostrato, per quel che riguarda la identificazione dei repere, che il metodo proposto migliora sia la precisione inter- che intraoperatore, rispetto alla palpazione convenzionale (Della Croce et al. 1999). E’ stato inoltre riscontrato un notevole miglioramento, rispetto ad altri protocolli (Charlton et al. 2004; Schwartz et al. 2004), nella ripetibilità della cinematica 3D di anca e ginocchio. Bisogna inoltre evidenziare che il protocollo è stato applicato da operatori non specializzati nell’identificazione dei repere anatomici. Grazie a questo miglioramento, la presenza di diversi operatori nel laboratorio non genera una riduzione di ripetibilità. Infine, il tempo richiesto per la procedura è drasticamente diminuito. Per una analisi che include la pelvi e i due arti inferiori, ad esempio, l’identificazione dei 16 repere caratteristici usando la calibrazione convenzionale richiede circa 15 minuti, mentre col nuovo metodo tra i 5 e i 10 minuti.
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Bone research is limited by the methods available for detecting changes in bone metabolism. While dual X-ray absorptiometry is rather insensitive, biochemical markers are subject to significant intra-individual variation. In the study presented here, we evaluated the isotopic labeling of bone using 41Ca, a long-lived radiotracer, as an alternative approach. After successful labeling of the skeleton, changes in the systematics of urinary 41Ca excretion are expected to directly reflect changes in bone Ca metabolism. A minute amount of 41Ca (100 nCi) was administered orally to 22 postmenopausal women. Kinetics of tracer excretion were assessed by monitoring changes in urinary 41Ca/40Ca isotope ratios up to 700 days post-dosing using accelerator mass spectrometry and resonance ionization mass spectrometry. Isotopic labeling of the skeleton was evaluated by two different approaches: (i) urinary 41Ca data were fitted to an established function consisting of an exponential term and a power law term for each individual; (ii) 41Ca data were analyzed by population pharmacokinetic (NONMEM) analysis to identify a compartmental model that describes urinary 41Ca tracer kinetics. A linear three-compartment model with a central compartment and two sequential peripheral compartments was found to best fit the 41Ca data. Fits based on the use of the combined exponential/power law function describing urinary tracer excretion showed substantially higher deviations between predicted and measured values than fits based on the compartmental modeling approach. By establishing the urinary 41Ca excretion pattern using data points up to day 500 and extrapolating these curves up to day 700, it was found that the calculated 41Ca/40Ca isotope ratios in urine were significantly lower than the observed 41Ca/40Ca isotope ratios for both techniques. Compartmental analysis can overcome this limitation. By identifying relative changes in transfer rates between compartments in response to an intervention, inaccuracies in the underlying model cancel out. Changes in tracer distribution between compartments were modeled based on identified kinetic parameters. While changes in bone formation and resorption can, in principle, be assessed by monitoring urinary 41Ca excretion over the first few weeks post-dosing, assessment of an intervention effect is more reliable approximately 150 days post-dosing when excreted tracer originates mainly from bone.
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Human genodermatoses represent a broad and partly confusing spectrum of countless rare diseases with confluent and overlapping phenotypes often impeding a precise diagnosis in an affected individual. High-throughput sequencing techniques have expedited the identification of novel genes and have dramatically simplified the establishment of genetic diagnoses in such heterogeneous disorders. The precise genetic diagnosis of a skin disorder is crucial for the appropriate counselling of patients and their relatives regarding the course of the disease, prognosis and recurrence risks. Understanding the underlying pathophysiology is a prerequisite to understanding the disease and developing specific, targeted or individualized therapeutic approaches. We aimed to create a comprehensive overview of human genodermatoses and their respective genetic aetiology known to date. We hope this may represent a useful tool in guiding dermatologists towards genetic diagnoses, providing patients with individual knowledge on the respective disorder and applying novel research findings to clinical practice.
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Mode of access: Internet.
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Grattan, J.P., Al-Saad, Z., Gilbertson, D.D., Karaki, L.O., Pyatt, F.B 2005 Analyses of patterns of copper and lead mineralisation in human skeletons excavated from an ancient mining and smelting centre in the Jordanian desert Mineralogical Magazine. 69(5) 653-666.
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Early American crania show a different morphological pattern from the one shared by late Native Americans. Although the origin of the diachronic morphological diversity seen on the continents is still debated, the distinct morphology of early Americans is well documented and widely dispersed. This morphology has been described extensively for South America, where larger samples are available. Here we test the hypotheses that the morphology of Early Americans results from retention of the morphological pattern of Late Pleistocene modern humans and that the occupation of the New World precedes the morphological differentiation that gave rise to recent Eurasian and American morphology. We compare Early American samples with European Upper Paleolithic skulls, the East Asian Zhoukoudian Upper Cave specimens and a series of 20 modern human reference crania. Canonical Analysis and Minimum Spanning Tree were used to assess the morphological affinities among the series, while Mantel and Dow-Cheverud tests based on Mahalanobis Squared Distances were used to test different evolutionary scenarios. Our results show strong morphological affinities among the early series irrespective of geographical origin, which together with the matrix analyses results favor the scenario of a late morphological differentiation of modern humans. We conclude that the geographic differentiation of modern human morphology is a late phenomenon that occurred after the initial settlement of the Americas. Am J Phys Anthropol 144:442-453, 2011. (c) 2010 Wiley-Liss, Inc.
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The Brazilian Savanna (locally called Cerrado) is an important biome presenting several plants that are used in popular medicine. However, the risks associated with the consumption of derivatives from these plants are generally unknown. Studies with compounds obtained from different species have shown the risks of DNA damage. The present work assessed the in vivo mutagenicity of three plant species used in popular medicine to treat human gastrointestinal disorders (Mouriri pusa, Qualea grandiflora and Qualea multiflora). The micronucleus assay was performed in peripheral blood of mice submitted to acute treatments. Results showed that no assessed extracts were mutagenic in vivo. In fact, the absence of mutagenicity in the present study indicates that the extracts do not contain compounds capable of inducing DNA breaks or chromosomal loss. However, further analysis should be performed in others systems to guarantee their safety, mainly to human chronic use.
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Many methods based on biometrics such as fingerprint, face, iris, and retina have been proposed for person identification. However, for deceased individuals, such biometric measurements are not available. In such cases, parts of the human skeleton can be used for identification, such as dental records, thorax, vertebrae, shoulder, and frontal sinus. It has been established in prior investigations that the radiographic pattern of frontal sinus is highly variable and unique for every individual. This has stimulated the proposition of measurements of the frontal sinus pattern, obtained from x-ray films, for skeletal identification. This paper presents a frontal sinus recognition method for human identification based on Image Foresting Transform and shape context. Experimental results (ERR = 5,82%) have shown the effectiveness of the proposed method.
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The proximal femur is a high-diversity region of the human skeleton, especially at the anterior junction between head and neck, where various bony morphologies have been recognized since mid nineteenth century. Classical literature on this topic is chaotic and contradictory, making almost impossible the comparison of data from different researches. Starting from an extensive bibliographic review, the first standardized method to score these traits has been created. This method allows representing both the anatomical diversity of the region already described in literature and a part of variability not considered before, giving few and univocal definitions and allowing to collect comparable data. The method has been applied to three identified and five archaeological European skeletal collections, with the aim of investigating the distribution of these features by sex, age and side, in different places and time periods. It has also been applied to 3D digital reconstructions of femurs from CT scan files of coxo-femoral joints from fresh cadavers. In addition to the osseous traits described in the standardized method, the presence and frequency of some features known as herniation pits have been scored both on bones and on CT scans. The various osseous traits of the proximal femur are present at similar frequencies in skeletal samples from different countries and different historical periods, even if with clear local differentiation. Some of the features examined show significant trends related to their distribution by gender and age. Some hypotheses are proposed about the etiology of these morphologies and their possible implication with the acquisition of bipedalism in Humans. It is therefore highlighted the possible relation of some of these traits with the development of disorders of the hip joint. Moreover, it is not recommended the use of any of these features as a specific activity-related marker.
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Gap junctions are clustered channels between contacting cells through which direct intercellular communication via diffusion of ions and metabolites can occur. Two hemichannels, each built up of six connexin protein subunits in the plasma membrane of adjacent cells, can dock to each other to form conduits between cells. We have recently screened mouse and human genomic data bases and have found 19 connexin (Cx) genes in the mouse genome and 20 connexin genes in the human genome. One mouse connexin gene and two human connexin genes do not appear to have orthologs in the other genome. With three exceptions, the characterized connexin genes comprise two exons whereby the complete reading frame is located on the second exon. Targeted ablation of eleven mouse connexin genes revealed basic insights into the functional diversity of the connexin gene family. In addition, the phenotypes of human genetic disorders caused by mutated connexin genes further complement our understanding of connexin functions in the human organism. In this review we compare currently identified connexin genes in both the mouse and human genome and discuss the functions of gap junctions deduced from targeted mouse mutants and human genetic disorders.
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With improving clinical CT scanning technology, the accuracy of CT-based finite element (FE) models of the human skeleton may be ameliorated by an enhanced description of apparent level bone mechanical properties. Micro-finite element (μFE) modeling can be used to study the apparent elastic behavior of human cancellous bone. In this study, samples from the femur, radius and vertebral body were investigated to evaluate the predictive power of morphology–elasticity relationships and to compare them across different anatomical regions. μFE models of 701 trabecular bone cubes with a side length of 5.3 mm were analyzed using kinematic boundary conditions. Based on the FE results, four morphology–elasticity models using bone volume fraction as well as full, limited or no fabric information were calibrated for each anatomical region. The 5 parameter Zysset–Curnier model using full fabric information showed excellent predictive power with coefficients of determination ( r2adj ) of 0.98, 0.95 and 0.94 of the femur, radius and vertebra data, respectively, with mean total norm errors between 14 and 20%. A constant orthotropy model and a constant transverse isotropy model, where the elastic anisotropy is defined by the model parameters, yielded coefficients of determination between 0.90 and 0.98 with total norm errors between 16 and 25%. Neglecting fabric information and using an isotropic model led to r2adj between 0.73 and 0.92 with total norm errors between 38 and 49%. A comparison of the model regressions revealed minor but significant (p<0.01) differences for the fabric–elasticity model parameters calibrated for the different anatomical regions. The proposed models and identified parameters can be used in future studies to compute the apparent elastic properties of human cancellous bone for homogenized FE models.
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What do epilepsy, migraine headache, deafness, episodic ataxia, periodic paralysis, malignant hyperthermia, and generalized myotonia have in common? These human neurological disorders can be caused by mutations in genes for ion channels. Many of the channel diseases are “paroxysmal disorders” whose principal symptoms occur intermittently in individuals who otherwise may be healthy and active. Some of the ion channels that cause human neurological disease are old acquaintances previously cloned and extensively studied by channel specialists. In other cases, however, disease-gene hunts have led the way to the identification of new channel genes. Progress in the study of ion channels has made it possible to analyze the effects of human neurological disease-causing channel mutations at the level of the single channel, the subcellular domain, the neuronal network, and the behaving organism.