42 resultados para Biodisponibilité


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Les phytochélatines (PC) sont des polypeptides ayant la structure générale, (alpha-Glu-Cys)n-Gly, où n = 2 à 11. Leur synthèse est induite par un grand nombre de végétaux en réponse à une élévation de la concentration du milieu en métaux, en particulier le cadmium (ci-après, Cd). Le but de cette étude a été de développer un outil pour évaluer la biodisponibilité du Cd dans les eaux douces. Pour ce faire, une méthode analytique a été réalisée afin de déterminer les phytochélatines induites dans les algues C. reinhardtii. Celle-ci consiste à utiliser la chromatographie liquide couplée à la spectrométrie de masse en tandem (LCHP-SM/SM) "on-line". L’ionisation des molécules est celle faite par électronébulisation (IEN) (traduction de electrospray ionisation). L’objectif principal de ce mémoire est la validation de cette méthode : la détermination des courbes de calibration et des limites de détection et l'identification d'interférences potentielles. L’utilisation de dithiothreitol (DTT) à une concentration de 25 mM a été nécessaire à la conservation de la forme réduite des phytochélatines. En effet, suite à la validation de la méthode d’analyse des phytochélatines il a été démontré qu’elle représente un potentiel d’application. Ceci dans la mesure où l’induction des phytochélatines (PC2, PC3 et PC4) dans les algues C. reinhardtii a été possible à deux concentrations de Cd (1 x 10-7 M et 1 x 10 6 M) et ce, après plusieurs temps d'induction (1, 2, 4, et 6 h). Ainsi, l’étude de la stabilité des phytochélatines a été réalisée et toutes les températures examinées ont démontré une diminution des phytochélatines analysées par HPLC-ESI-MS/MS. Il se pourrait que la cause de la dégradation des phytochélatines soit physique ou chimique plutôt que bactérienne. Toutefois, un approfondissement au niveau de la purification de la solution d’extraction serait nécessaire à la mise au point de la dite méthode analytique afin de quantifier les phytochélatines dans l’algue C. reinhardtii.

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L’étude qui suit porte sur l’évaluation du risque écotoxicologique du cérium, l’élément le plus exploité de la famille des lanthanides. La présence grandissante de ce métal dans notre quotidien rend possible son relargage dans l’environnement. Il est donc primordial de comprendre l’impact qu’il aura sur les organismes vivant dans un système aquatique. Une approche centrée sur le modèle du ligand biotique a été utilisée pour évaluer adéquatement l’interaction entre le cérium et un ligand biotique à la surface de l’algue unicellulaire Chlamydomonas reinhardtii. Pour mener une étude sur le risque écotoxicologique d’un élément métallique il faut, avant tout, comprendre la spéciation (répartition sous ses différentes formes chimiques) de l’élément en question. Les premières sections du mémoire vont donc traiter des expériences qui ont été menées pour évaluer la spéciation du cérium dans les conditions expérimentales d’exposition à C. reinhardtii. Il sera question de faire la distinction entre la forme particulaire du métal et sa forme dissoute, de caractériser ces changements par spectroscopie ainsi que d’évaluer le pouvoir complexant de la matière organique naturelle. Les résultats montrent une importante déplétion du métal dissout en solution à pH neutre et basique et une forte interaction avec la matière organique naturelle, peu importe le pH de la solution. Ensuite, les expériences de bioaccumulation seront expliquéesen comparant l’effet du pH, de la présence d’un ion compétiteur et de la présence de matière organique naturelle sur les paramètres d’internalisation du cérium. Les résultats indiquent qu’à pH acide, le comportement du cérium est plus prévisible qu’à pH neutre. Néanmoins, en tenant compte de la complexité des milieux naturels, l’interaction du métal avec les molécules complexantes va diminuer son risque d’interaction avec un organisme vivant.

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Il presente lavoro di tesi è stato realizzato al fine di valutare la distribuzione geografica ed i livelli ambientali di concentrazione per una serie di metalli (Cr, Cu, Ni, Zn, Mn, Co, V, Ba, Pb, Sr e Hg) presenti all’interno dei sedimenti della laguna costiera Pialassa Baiona, situata nei pressi del porto e dell’area industriale di Ravenna. L’area di studio considerata rappresenta un esempio di ambiente di transizione, dove i fattori fisici e chimici variano su scala spaziale e temporale e dove le attività antropiche, recenti e non, hanno provocato impatti significativi sullo stato di qualità dei sedimenti, delle acque e degli ecosistemi. Lo studio è stato progettato seguendo un disegno di campionamento ortogonale, che tiene conto del gradiente naturale terra-mare, tipico delle zone di transizione, e del gradiente antropico, legato alla vicinanza con l’area industriale. Sulla base di questo disegno sono state campionate 4 aree differenti e per ciascuna area sono stati scelti casualmente tre siti. La caratterizzazione dei sedimenti dal punto di vista chimico è stata effettuata determinando la frazione labile e quindi più biodisponibile dei metalli, oggetto del presente studio, per mezzo di una tecnica di estrazione parziale con HCl 1 M. Le concentrazioni biodisponibili ottenute sono state poi confrontate con il contenuto totale dei metalli, determinato mediante digestione totale al micronde. I sedimenti sono stati inoltre caratterizzati dal punto di vista granulometrico e del contenuto in sostanza organica (Loss on Ignition, LOI%). I risultati ottenuti dalle analisi chimiche sono stati confrontati con i valori tipi di fondo naturale del Mar Adriatico e con i valori guida di riferimento nazionale (SQA-MA) ed internazionale (ERL, ERM, TEL e PEL), al fine di valutare lo stato di qualità dei sedimenti della Baiona e di effettuare uno screening per individuare eventuali situazioni di rischio per gli organismi bentonici. I risultati ottenuti sono stati poi elaborati statisticamente con un analisi della varianza (ANOVA) con lo scopo di valutare la variabilità spaziale dei metalli nei campioni analizzati e la presenza di eventuali differenze significative.

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La contaminazione da fonti diffuse e locali può determinare perdite di funzionalità del suolo e ripercuotesi a cascata nelle catene alimentari, attraverso la contaminazione di falde e corpi d'acqua, l'assorbimento da parte dei vegetali e degli animali fino all'uomo. Industrializzazione, urbanizzazione e pratiche agricole sono le tre principali sorgenti di metalli nei suoli. In questo lavoro di tesi, che ha avuto come area oggetto di studio parte del territorio del Comune di Ravenna, sono stati analizzati gli arricchimenti di Cr, Ni, Cu, Zn e Pb applicando una metodica impostata sul confronto tra le concentrazioni totali rinvenute in superficie e in profondità mediante il calcolo dell'Indice di Geoaccumulo. La sola determinazione delle aliquote dei metalli negli orizzonti superficiali del suolo, non è, di per sé, in grado di fornire indicazioni esaustive circa lo stato di contaminazione dei suoli. Infatti, tale informazione, non permette la distinzione tra origine naturale o arricchimento determinato da attività antropica. In più lo studio ha valutato la possibile relazione con le caratteristiche del substrato (origine del sedimento) e l'uso del suolo. Alte concentrazioni di Cr e Ni, in corrispondenza della Pineta San Vitale (area naturale) non sono attribuibili a contaminazioni di natura antropica, bensì dipendono dal parent material. La distribuzione delle anomalie per Cu, Zn e Pb, invece, sembra dipendere invece dall'uso dei suoli presenti nell'area oggetto di studio. Il contenuto naturale di questi metalli può variare notevolmente a seconda del materiale su cui si è sviluppato il suolo e questo riflette i tenori di fondo per le diverse unità. I tenori di fondo del Cr calcolati per il deposito di cordone litorale (DCL), dove oggi è impostata la Pineta San Vitale (area naturale), sono maggiori rispetto ai limiti di concentrazione previsti dal Decreto Legislativo n°152 del 2006 per questa tipologia di aree. Cu, Zn e Pb, invece, presentano tenori di fondo bassi in corrispondenza del deposito del cordone litorale (DCL), costituito da materiale a granulometria grossolana. Per questi metalli è il fattore granulometria ad avere un ruolo fondamentale nello stabilire i valori di background negli altri depositi. In ultima analisi, per valutare gli effetti e i rischi associati in presenza di alte concentrazioni di Cr, Ni, Cu, Zn e Pb, è stata quantificata la frazione che può essere resa biodisponibile con DTPA. Le anomalie riscontrate sono state confrontate in primo luogo con alcuni campioni di controllo, coerenti con i valori di background per i cinque metalli. La bassa biodisponibilità osservata per Cr e Ni riflette il forte legame di questi metalli con la fase mineralogica, non rappresentando un pericolo per le piante e di conseguenza per gli animali superiori. Cu, Zn e Pb presentano, in alcuni casi, concentrazioni biodisponibili sia proporzionali all'entità dell'anomalia evidenziata con il calcolo dell'Indice di Geoaccumulo, sia maggiori rispetto a quelle dei campioni selezionati come controlli.

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Mémoire numérisé par la Direction des bibliothèques de l'Université de Montréal.

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Mémoire numérisé par la Direction des bibliothèques de l'Université de Montréal.

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Contexte: L’inactivation des androgènes est majoritairement régulée par des enzymes du métabolisme de la famille des UDP-glucuronosyltransferase (UGT). Ce procédé métabolique permet de contrôler la biodisponibilité des hormones stéroïdiennes systémiques et locales. Objectif : L’objectif était d’étudier la relation entre l’expression de l’enzyme UDP-glucuronosyltransferase 2B polypeptide 28 (UGT2B28), impliquée dans la biotransformation des hormones, avec les niveaux hormonaux circulants, et les caractéristiques clinico-pathologiques dans le cancer de la prostate (CaP). Conception et participants : Nous avons utilisé dans cette étude la technique d’immunohostochimie à grande échelle (tissue microarray) sur les tissus de 239 patients ayant un CaP localisé. L’étude des 51 patients additionnels ne possédant pas l’enzyme UGT2B28 dans leur génome, a été effectuée pour confirmer l’importance de cette enzyme sur les niveaux hormonaux circulants. Résultats : La surexpression de l’enzyme UGT2B28 a été associée à des niveaux d’antigène prostatique spécifique (APS) au diagnostic plus faibles, à un score de Gleason plus élevé, à des marges et statuts nodaux positifs, et fut associée de façon indépendante au risque de progression. La surexpression de l’enzyme fut également associée à des niveaux circulants de testostérone (T) et dihydrotestostérone (DHT) plus élevés. Les patients n’exprimant pas le gène UGT2B28 avaient des niveaux plus bas de T (19%), de DHT (17%), de métabolites glucuronidés (18-38%), et des niveaux plus élevés du précurseur surrénalien androsténédione (36%). Conclusion : L’enzyme UGT2B28 modifie les niveaux circulants de T et DHT, et sa surexpression est associée avec un CaP à plus haut grade. Notre étude a permis de découvrir un nouveau rôle d’UGT2B28, celui de régulateur de la stéroïdogenèse, et a souligné l’interconnexion entre les capacités de biotransformation hormonale des cellules cancéreuses, des niveaux hormonaux, des caractéristiques clinicopathologiques et du risque de progression.

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RESUME : L'athérosclérose, pathologie inflammatoire artérielle chronique, est à l'origine de la plupart des maladies cardiovasculaires qui constituent l'une des premières causes de morbidité et mortalité en France. Les études observationnelles et expérimentales montrent que l'exercice physique prévient la mortalité cardiovasculaire. Cependant, les mécanismes précisant les bénéfices cliniques de l'exercice sur l'athérosclérose sont encore largement inconnus. Le but général de ce travail a donc été d'explorer, en utilisant un modèle expérimental d'athérosclérose, la souris hypercholestérolémique génétiquement dépourvue en apolipoprotéine E (apoE-/-), les mécanismes athéroprotecteurs de l'exercice. La dysfonction endothéliale, généralement associée aux facteurs de risque cardiovasculaire, serait l'une des étapes précoces majeures de l'athérogenèse. Elle est caractérisée par une diminution de la biodisponibilité en monoxyde d'azote (NO) avec la perte de ses propriétés vasculo-protectrices, ce qui favorise un climat pro-athérogène (stress oxydatif, adhésion et infiltration des cellules inflammatoires dans la paroi artérielle...) conduisant à la formation de la plaque athéromateuse. L'objectif de notre premier travail a donc été d'explorer les effets de l'exercice d'une part, sur le développement des plaques athéromateuses et d'autre part, sur la fonction endothéliale de la souris apoE-/-. Nos résultats montrent que l'exercice réduit significativement l'extension de l'athérosclérose et prévient la dysfonction endothéliale. L'explication pharmacologique montre que l'exercice stimule la fonction endothéliale via, notamment, une plus grande sensibilité des récepteurs endothéliaux muscariniques, ce qui active les événements signalétiques cellulaires récepteurs-dépendants à l'origine d'une bioactivité accrue de NO. Les complications cliniques graves de l'athérosclérose sont induites par la rupture de la plaque instable provoquant la formation d'un thrombus occlusif et l'ischémie du territoire tissulaire en aval. L'objectif de notre deuxième travail a été d'examiner l'effet de l'exercice sur la qualité/stabilité de la plaque. Nos résultats indiquent que l'exercice de longue durée stabilise la plaque en augmentant le nombre de cellules musculaires lisses et en diminuant le nombre de macrophages intra-plaques. Nos résultats montrent aussi que la phosphorylation de la eNOS (NO Synthase endothéliale) Akt-dépendante n'est pas le mécanisme moléculaire majeur à l'origine de ce bénéfice. Enfin, dans notre troisième travail, nous avons investigué l'effet de l'exercice sur le développement de la plaque vulnérable. Nos résultats montrent, chez un modèle murin de plaque instable (modèle d'hypertension rénovasculaire à rénine et angiotensine II élevés) que l'exercice prévient l'apparition de la plaque vulnérable indépendamment d'un effet hémodynamique. Ce bénéfice serait associé à une diminution de l'expression vasculaire des récepteurs AT1 de l'Angiotensine II. Nos résultats justifient l'importance de l'exercice comme outil préventif des maladies cardiovasculaires. ABSTRACT : Atherosclerosis, a chronic inflammatory disease, is one of the main causes of morbidity and mortality in France. Observational and experimental data indicate that regular physical exercise has a positive impact on cardiovascular mortality. However, the mechanisms by which exercise exerts clinical benefits on atherosclerosis are still unknown. The general aim of this work was to elucidate the anti-atherosclerotic effects of exercise, using a mouse model of atherosclerosis: the apolipoprotein E-deficient mice (apoE-/- mice). Endothelial dysfunction, generally associated with cardiovascular risk factors, has been recognized to be a major and early step in atherogenesis. Endothelial dysfunction is characterized by Nitric Oxide (NO) biodisponibility reduction with loss of NO-mediated vasculoprotective actions. This leads to vascular effects such as increased oxidative stress and increased adhesion of inflammatory cells into arterial wall thus playing a role in atherosclerotic plaque development. Therefore, one of the objective of our study was to explore the effects of exercise on atherosclerotic plaque extension and on endothelial function in apoE-/- mice. Results show that exercise significantly reduces plaque progression and prevents endothelial dysfunction. Pharmacological explanation indicates that exercise stimulates endothelial function by increasing muscarinic receptors sensitivity which in turn activates intracellular signalling receptor-dependent events leading to increased NO bioactivity. The clinical manifestations of atherosclerosis are the consequences of unstable plaque rupture with thrombus formation leading to tissue ischemia. The second aim of our work was to determine the effect of exercise on plaque stability. We demonstrate that long-term exercise stabilizes atherosclerotic plaques as shown by decreased macrophage and increased Smooth Muscle Cells plaque content. Our results also suggest that the Akt-dependent eNOS phosphorylation pathway is not the primary molecular mechanism mediating these beneficial effects. Finally, we assessed a putative beneficial effect of exercise on vulnerable plaque development. In a mouse model of Angiotensine II (Ang II)-mediated vulnerable atherosclerotic plaques, we provide fist evidence that exercise prevents atherosclerosis progression and plaque vulnerability. The beneficial effect of swimming was associated with decreased aortic Ang II AT1 receptor expression independently from any hemodynamic change. These findings suggest clinical benefit of exercise in terms of cardiovascular event protection.

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Le cancer est la principale cause de mortalité au Canada. Les taxanes (e.g. le paclitaxel et le docétaxel (DCTX)) constituent des remèdes efficaces contre une série de tumeurs solides telles que les cancers du sein, du poumon et de l’ovaire. Par ailleurs, des acides nucléiques (e.g. les oligonucléotides antisens (AON) ou les petits ARN interférents (siRNAs)), capables de supprimer sélectivement certains oncogènes impliqués dans la carcinogénèse, sont actuellement étudiés pour traiter une large gamme de cancers. Bien que l’activité des taxanes et des acides nucléiques soit bien établie sur des modèles humains et/ou animaux, plusieurs aspects physico-chimiques et cliniques restent encore à améliorer. Leur solubilité limitée (pour les taxanes), leur dégradation rapide dans le sang (pour les acides nucléiques), leur élimination précoce, leur absence de sélectivité et leur toxicité envers les tissus sains sont les principaux facteurs limitant leur efficacité. C’est pourquoi de nombreux efforts ont porté sur l’élaboration de systèmes de vectorisation ciblés à base de polymères, dans le but de surmonter les problèmes associés aux thérapies actuelles. Dans cette thèse, deux types de micelles polymères ont été développés pour la vectorisation de DCTX et d’acides nucléiques. D’une part, des micelles de poly(oxyde d’éthylène)-bloc-poly(oxyde de butylène/styrène) ont été étudiées pour la première fois pour solubiliser le DCTX et le protéger de l’hydrolyse. Ces polymères se sont révélés moins toxiques que le surfactant utilisé commercialement pour solubiliser le DCTX (i.e. polysorbate 80) et ont permis une libération prolongée du principe actif. D’autre part, deux systèmes différents de micelles polyioniques (PICM) ont été mis au point pour la vectorisation d’acides nucléiques. De nouveaux conjugués de poly(éthylène glycol) (PEG)-oligonucléotide ont été proposés pour la protection et la libération contrôlée d’AON. Lorsque ces conjugués ont été formulés avec des dendrimères de poly(amidoamine) (PAMAM), des complexes de taille homogène ont été obtenus. Ces PICM ont permis de prolonger la libération de l’AON et de le protéger efficacement contre la dégradation enzymatique. De plus, des polymères de poly(oxyde d’éthylène)-bloc-poly(méthacrylate de propyle-co-acide méthacrylique) ont été incorporés afin de conférer des propriétés acido-sensibles aux PICM. Dans ces micelles, formées de ce dernier polymère formulé avec le dendrimère PAMAM, des oligonucléotides (AON et siRNA) ciblant l’oncogène Bcl-2 ont été encapsulés. L’internalisation cellulaire fut assurée par un fragment d’anticorps monoclonal (Fab’) situé à l’extrémité de la couronne de PEG. Après l’internalisation cellulaire et la protonation des unités d’acide méthacrylique sous l’effet de l’acidification des endosomes, les micelles se sont affranchies de leur couronne. Elles ont ainsi exposé leur cœur composé d’acide nucléique et de dendrimère PAMAM, qui possède une charge positive et des propriétés endosomolytiques. En effet, ces PICM acido-sensibles ciblées ont permis d’augmenter la biodisponibilité des acides nucléiques vectorisés et se sont avérées plus efficaces pour silencer l’oncoprotéine Bcl-2 que les micelles non ciblées ou que le dendrimère de PAMAM commercial seul. Finalement, les nanovecteurs polymères présentés dans cette thèse se révèlent être des systèmes prometteurs pour la vectorisation des anticancéreux et des acides nucléiques.

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La présente étude porte sur l’évaluation d’une méthode d’acquisition de la solution de sol présente à l’interface sol-racine, dans la rhizosphère. Cette interface constitue le lieu privilégié de prise en charge par les plantes des contaminants, tels que les métaux traces. Comme les plantes acquièrent ces éléments à partir de la phase liquide, la solution de sol de la rhizosphère est une composante clé pour déterminer la fraction de métaux traces biodisponibles. La microlysimétrie est la méthode in situ la plus appropriée pour aborder les difficultés liées à l’échelle microscopique de la rhizosphère. Ainsi, dans les études sur la biodisponibilité des métaux traces au niveau de la rhizosphère, les microlysimètres (Rhizon©) gagnent en popularité sans, toutefois, avoir fait l’objet d’études exhaustives. L’objectif de cette étude est donc d’évaluer la capacité de ces microlysimètres à préserver l’intégrité chimique de la solution, tout en optimisant leur utilisation. Pour ce faire, les microlysimètres ont été soumis à une série d’expériences en présence de solutions et de sols, où la quantité de solution prélevée et le comportement des métaux traces (Cd, Cu, Ni, Pb, Zn) ont été étudiés. Les résultats montrent que les microlysimètres fonctionnent de façon optimale lorsque le contenu en eau du sol est au-dessus de la capacité au champ et lorsqu’il y a peu de matière organique et d’argile. Les sols sableux ayant un faible contenu en C organique reproduisent mieux le volume prélevé et la solution sous la capacité au champ peut être récoltée. L’utilisation des microlysimètres dans ces sols est donc optimale. Dans les essais en solution, les microlysimètres ont atteint un équilibre avec la solution après 10 h de prélèvement. En respectant ce délai et les conditions optimales préalablement établies (pH acide et COD élevé), les microlysimètres préservent la composition chimique de la solution. Dans les essais en sol, cet équilibre n’a pas été atteint après dix jours et huit prélèvements. Le contenu en matière organique et l’activité microbienne semblent responsables de la modification des concentrations en métaux au cours de ces prélèvements, notamment, dans l’horizon FH où les microlysimètres performent très mal. En revanche, dans l’horizon B, les concentrations tendent à se stabiliser vers la fin de la série de prélèvements en se rapprochant des valeurs de référence. Bien que des valeurs plus élevées s’observent pour les microlysimètres, leurs concentrations en métaux sont comparables à celles des méthodes de référence (extrait à l’eau, lysimètres de terrain avec et sans tension). En somme, les microlysimètres se comportent généralement mieux dans l’horizon B. Même si leur utilisation est plus optimale dans un sol sableux, cet horizon est privilégié pour de futures études sur le terrain avec les microlysimètres.

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Il est rapporté que la biodisponibilité orale de l’amoxicilline chez le porc est environ trois fois moindre que chez l’homme. Pour élucider les raisons de cette différence, la pharmacocinétique artérielle, veineuse porte et urinaire de cet antibiotique a été caractérisée à des doses intragastriques de 4 à 30 mg/kg et différents modèles compartimentaux physiologiques ont été conçus pour l’analyse des données. La biodisponibilité orale de l’amoxicilline est maximale à 4 mg/kg, avec une valeur moyenne de 52%. Les différences porto-systémiques de concentrations plasmatiques d’amoxicilline et la clairance urinaire ont permis de démontrer une augmentation de la clairance hépatique jusqu’à la dose de 30 mg/kg. Un modèle compartimental comprenant deux voies parallèles d’absorption (de type Michaelis- Menten d’accessibilité limitée dans le temps et d’ordre 1), deux compartiments de distribution (central et périphérique) deux voies d’élimination (excrétions urinaire et biliaire) est celui qui prédit le mieux les données observées. Ces résultats mettent en évidence le rôle prépondérant du transporteur saturable PepT1 dans l’absorption orale de l’amoxicilline administrée à faible dose, ainsi que l’importance croissante de l’absorption passive lors d’administration à forte dose.

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Effet positif de la N-acétylcystéine sur la dysfonction endothéliale des artères coronaires épicardiques associée à une hypertrophie ventriculaire gauche dans un modèle porcin A. A. HORN, M-C AUBIN, YF SHI, J-C TARDIF, M. CARRIER , L. P. PERRAULT INSTITUT DE CARDIOLOGIE DE MONTRÉAL, MONTRÉAL, CANADA, Objectif : Il a été démontré dans le laboratoire que dans notre modèle d’hypertrophie ventriculaire gauche, la dysfonction endothéliale est secondaire à une diminution de la biodisponibilité du NO, celle-ci étant causée par une augmentation du stress oxydant tel que démontré par Malo et al. (2003) et Aubin et al. (2006). Le but de la présente étude est d’étudier l’effet d’un traitement chronique de la N-acétylcystéine (NAC) (un antioxydant) sur la dysfonction endothéliale associée à une hypertrophie ventriculaire gauche (HVG). Méthodologie: L’HVG a été induite par cerclage aortique (CA) chez vingt-et-un porcelets âgés de deux mois qui furent divisés aléatoirement en quatre groupes expérimentaux. Le groupe témoin (groupe 1) a été soumis à une thoracotomie antérolatérale gauche sans cerclage aortique (n=3). Le groupe 2 a été soumis à un cerclage aortique pour une période de 60 jours (n=6). Le groupe 3 a subi un cerclage aortique et a reçu un traitement oral de N-acétylcystéine de 1000 mg/jour per os pendant 60 jours commençant le jour de la chirurgie (n=6). Le groupe 4 a été soumis à un cerclage aortique et a reçu un traitement oral de N-acétylcystéine : 1000 mg/par jour pendant 30 jours commençant le jour 30 (post-chirurgie) (n=6). L’hypertrophie fut évaluée par échocardiographie. La réactivité vasculaire fut étudiée à l’aide de chambres d’organes par la construction des courbes concentration-réponse à la sérotonine (5-HT: relaxations induites par les récepteurs 5-HT1D, couplés aux protéines Gi) et à la bradykinine (BK: relaxations induites par les récepteurs B2, couplés aux protéines Gq). Les quantités de nitrites/nitrates et la production basale de GMPc ont été mesurées pour évaluer la fonction endothéliale. Le stress oxydant a été étudié en quantifiant les concentrations plasmatiques d’hydroperoxydes lipidiques et de glutathion réduit, ainsi que l’activité plasmatique des enzymes antioxydantes peroxydase du glutathion et dismutase du superoxyde. Résultats: Le rapport masse ventricule gauche/masse corporelle était significativement plus élevé pour le groupe 2 comparativement au groupe 1 (p<0,05) confirmant la présence d’une HVG. Le développement de l’HVG dans le groupe 3 a pu être prévenu par la NAC et sa progression fut atténuée dans le groupe 4 (p<0,05 versus groupe 2). La présence de la dysfonction endothéliale a été confirmée chez le groupe 2, tel qu’illustré par une diminution significative des relaxations maximales à la 5-HT et à la BK comparativement au groupe témoin. Le traitement à la NAC a significativement potentialisé les relaxations maximales (p<0,05) induites par la sérotonine et par la bradykinine, chez les deux groupes traités. Cette amélioration des relaxations dépendantes de l’endothélium peut être la conséquence d’une augmentation significative (p<0,05) de la biodisponibilité du monoxyde d’azote pour les cellules musculaires lisses, tel que suggéré par l’augmentation du ratio nitrites/nitrates et de la production basale de GMPc chez les groupes 3 et 4 comparativement au groupe 2. Cette augmentation du facteur relaxant peut résulter d’une augmentation de sa production par les cellules endothéliales ou d’une diminution de sa neutralisation par les espèces réactives oxygénées. De fait, les concentrations d’hydroperoxydes lipidiques étaient significativement inférieures (p<0,05) et associées à une augmentation des concentrations de l’antioxydant glutathion réduit et de l’activité de la peroxydase du glutathion chez les deux groupes traités par rapport au groupe 2. Conclusion: Le traitement à la NAC prévient le développement de la dysfonction endothéliale coronaire ainsi que l’HVG qui lui est associée.

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L’athérosclérose est à l’origine d’importantes obstructions vasculaires. La sévérité de l’ischémie tissulaire provoquée par l’athérosclérose dépend en partie de la capacité de l’organisme à former de nouveaux vaisseaux (néovascularisation). Les mécanismes de néovascularisation sont modulés par la balance oxydo-réductive. Une exacerbation du stress oxydant est retrouvée dans tous les facteurs de risque cardiovasculaire, et en particulier lors du vieillissement. Au niveau vasculaire, la CuZnSOD est la principale enzyme antioxydante. Cependant, son rôle spécifique dans le vieillissement vasculaire et dans le développement de nouveaux vaisseaux en réponse à l’ischémie n’est pas connu. Nos hypothèses de recherche sont: 1) qu’une absence de CuZnSOD diminue la néovascularisation réparatrice en réponse à l’ischémie 2) que cette diminution de la néovascularisation est dûe au vieillissement de la vasculature affectant à la fois les cellules endothéliales matures et les cellules progénitrices endothéliales. Nous avons démontré qu’une déficience en CuZnSOD diminue significativement la néovascularisation en réponse à l’ischémie. Cette diminution de néovascularisation est associée à une augmentation du stress oxydant et une réduction de la biodisponibilité du NO. La déficience en CuZnSOD réduit significativement le nombre de EPCs (moelle, rate). De plus, ces EPCs présentent une augmentation significative des niveaux de stress oxydant, une diminution de la production de NO et une capacité réduite à migrer et à s’intégrer à un réseau tubulaire. Fait important, il iv est possible d’améliorer la néovascularisation des souris déficientes en CuZnSOD par une supplémentation en EPCs provenant de souris contrôles. Nous avons également démontré que la récupération du flot sanguin suivant l’ischémie est significativement réduite par l’âge. À la fois chez les jeunes et les vieilles souris, la déficience en CuZnSOD mène à une réduction additionnelle de la néovascularisation. Fait intéressant, le potentiel néovasculaire des jeunes souris déficiente en CuZnSOD est similaire à celui des vieilles souris contrôles. Les niveaux de stress oxydant sont également augmentés de façon similaire dans ces deux groupes de souris. L’âge et la déficience en CuZnSOD sont tous deux associés à une réduction du nombre d’EPCs isolées de la moelle et de la rate. L’effet de l’âge seul sur la fonction des EPCs est modeste. Par contre, la déficience en CuZnSOD en condition de vieillissement est associée à d’importants effets délétères sur l’activité fonctionnelle des EPCs. En résumé, nos résultats suggèrent que la protection contre le stress oxydant par la CuZnSOD est essentielle pour préserver la fonction des EPCs et la néovascularisation réparatrice en réponse à l’ischémie. Le défaut de néovascularisation observé en absence de CuZnSOD est associé à un vieillissement vasculaire accéléré. Nos résultats suggèrent que dans le contexte du vieillissement, la CuZnSOD a un rôle encore plus important pour limiter les niveaux de stress oxydant, préserver la fonction des EPCs et maintenir l’intégrité des tissus ischémiques.

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Les nanoparticules polymériques biodégradable (NPs) sont apparues ces dernières années comme des systèmes prometteurs pour le ciblage et la libération contrôlée de médicaments. La première partie de cette étude visait à développer des NPs biodégradables préparées à partir de copolymères fonctionnalisés de l’acide lactique (poly (D,L)lactide ou PLA). Les polymères ont été étudiés comme systèmes de libération de médicaments dans le but d'améliorer les performances des NPs de PLA conventionnelles. L'effet de la fonctionnalisation du PLA par insertion de groupements chimiques dans la chaîne du polymère sur les propriétés physico-chimiques des NPs a été étudié. En outre, l'effet de l'architecture du polymère (mode d'organisation des chaînes de polymère dans le copolymère obtenu) sur divers aspects de l’administration de médicament a également été étudié. Pour atteindre ces objectifs, divers copolymères à base de PLA ont été synthétisés. Plus précisément il s’agit de 1) copolymères du poly (éthylène glycol) (PEG) greffées sur la chaîne de PLA à 2.5% et 7% mol. / mol. de monomères d'acide lactique (PEG2.5%-g-PLA et PEG7%-g-PLA, respectivement), 2) des groupements d’acide palmitique greffés sur le squelette de PLA à une densité de greffage de 2,5% (palmitique acid2.5%-g-PLA), 3) de copolymère « multibloc » de PLA et de PEG, (PLA-PEG-PLA)n. Dans la deuxième partie, l'effet des différentes densités de greffage sur les propriétés des NPs de PEG-g-PLA (propriétés physico-chimiques et biologiques) a été étudié pour déterminer la densité optimale de greffage PEG nécessaire pour développer la furtivité (« long circulating NPs »). Enfin, les copolymères de PLA fonctionnalisé avec du PEG ayant montré les résultats les plus satisfaisants en regard des divers aspects d’administration de médicaments, (tels que taille et de distribution de taille, charge de surface, chargement de drogue, libération contrôlée de médicaments) ont été sélectionnés pour l'encapsulation de l'itraconazole (ITZ). Le but est dans ce cas d’améliorer sa solubilité dans l'eau, sa biodisponibilité et donc son activité antifongique. Les NPs ont d'abord été préparées à partir de copolymères fonctionnalisés de PLA, puis ensuite analysés pour leurs paramètres physico-chimiques majeurs tels que l'efficacité d'encapsulation, la taille et distribution de taille, la charge de surface, les propriétés thermiques, la chimie de surface, le pourcentage de poly (alcool vinylique) (PVA) adsorbé à la surface, et le profil de libération de médicament. L'analyse de la chimie de surface par la spectroscopie de photoélectrons rayon X (XPS) et la microscopie à force atomique (AFM) ont été utilisés pour étudier l'organisation des chaînes de copolymère dans la formulation des NPs. De manière générale, les copolymères de PLA fonctionnalisés avec le PEG ont montré une amélioration du comportement de libération de médicaments en termes de taille et distribution de taille étroite, d’amélioration de l'efficacité de chargement, de diminution de l'adsorption des protéines plasmatiques sur leurs surfaces, de diminution de l’internalisation par les cellules de type macrophages, et enfin une meilleure activité antifongique des NPs chargées avec ITZ. En ce qui concerne l'analyse de la chimie de surface, l'imagerie de phase en AFM et les résultats de l’XPS ont montré la possibilité de la présence de davantage de chaînes de PEG à la surface des NPs faites de PEG-g-PLA que de NPS faites à partie de (PLA-PEG-PLA)n. Nos résultats démontrent que les propriétés des NPs peuvent être modifiées à la fois par le choix approprié de la composition en polymère mais aussi par l'architecture de ceux-ci. Les résultats suggèrent également que les copolymères de PEG-g-PLA pourraient être utilisés efficacement pour préparer des transporteurs nanométriques améliorant les propriétés de certains médicaments,notamment la solubilité, la stabilité et la biodisponibilité.

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Un facteur d’incertitude de 10 est utilisé par défaut lors de l’élaboration des valeurs toxicologiques de référence en santé environnementale, afin de tenir compte de la variabilité interindividuelle dans la population. La composante toxicocinétique de cette variabilité correspond à racine de 10, soit 3,16. Sa validité a auparavant été étudiée sur la base de données pharmaceutiques colligées auprès de diverses populations (adultes, enfants, aînés). Ainsi, il est possible de comparer la valeur de 3,16 au Facteur d’ajustement pour la cinétique humaine (FACH), qui constitue le rapport entre un centile élevé (ex. : 95e) de la distribution de la dose interne dans des sous-groupes présumés sensibles et sa médiane chez l’adulte, ou encore à l’intérieur d’une population générale. Toutefois, les données expérimentales humaines sur les polluants environnementaux sont rares. De plus, ces substances ont généralement des propriétés sensiblement différentes de celles des médicaments. Il est donc difficile de valider, pour les polluants, les estimations faites à partir des données sur les médicaments. Pour résoudre ce problème, la modélisation toxicocinétique à base physiologique (TCBP) a été utilisée pour simuler la variabilité interindividuelle des doses internes lors de l’exposition aux polluants. Cependant, les études réalisées à ce jour n’ont que peu permis d’évaluer l’impact des conditions d’exposition (c.-à-d. voie, durée, intensité), des propriétés physico/biochimiques des polluants, et des caractéristiques de la population exposée sur la valeur du FACH et donc la validité de la valeur par défaut de 3,16. Les travaux de la présente thèse visent à combler ces lacunes. À l’aide de simulations de Monte-Carlo, un modèle TCBP a d’abord été utilisé pour simuler la variabilité interindividuelle des doses internes (c.-à-d. chez les adultes, ainés, enfants, femmes enceintes) de contaminants de l’eau lors d’une exposition par voie orale, respiratoire, ou cutanée. Dans un deuxième temps, un tel modèle a été utilisé pour simuler cette variabilité lors de l’inhalation de contaminants à intensité et durée variables. Ensuite, un algorithme toxicocinétique à l’équilibre probabiliste a été utilisé pour estimer la variabilité interindividuelle des doses internes lors d’expositions chroniques à des contaminants hypothétiques aux propriétés physico/biochimiques variables. Ainsi, les propriétés de volatilité, de fraction métabolisée, de voie métabolique empruntée ainsi que de biodisponibilité orale ont fait l’objet d’analyses spécifiques. Finalement, l’impact du référent considéré et des caractéristiques démographiques sur la valeur du FACH lors de l’inhalation chronique a été évalué, en ayant recours également à un algorithme toxicocinétique à l’équilibre. Les distributions de doses internes générées dans les divers scénarios élaborés ont permis de calculer dans chaque cas le FACH selon l’approche décrite plus haut. Cette étude a mis en lumière les divers déterminants de la sensibilité toxicocinétique selon le sous-groupe et la mesure de dose interne considérée. Elle a permis de caractériser les déterminants du FACH et donc les cas où ce dernier dépasse la valeur par défaut de 3,16 (jusqu’à 28,3), observés presqu’uniquement chez les nouveau-nés et en fonction de la substance mère. Cette thèse contribue à améliorer les connaissances dans le domaine de l’analyse du risque toxicologique en caractérisant le FACH selon diverses considérations.