322 resultados para Acido acetico


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Ruthenium complexes have proved to exhibit antineoplastic activity related to the interaction of metal ion with DNA nucleobases. It is indeed of great interest to provide new insights on theses cutting-edge studies, such as the identification of distinct coordinative modes of DNA binding sites. During the investigation on the reaction between [(PPh3)3Ru(CO)(H)2], 1, and the Thymine Acetic Acid (THA) as model for nucleobases, we identified an unstable monohapto hydride acetate complex 2, which rapidly evolves into elusive intermediates whose nature was evidenced by NMR spectra and DFT calculations. We obtained crystals of [(PPh3)2Ru(CO)(k1-THA)(k2-THA)] 17, and [Ru(CO)(PPh3)2(k2-N,O)-[THA(A)];(k1-O)[THA(B)]2 18, phosphine ligands assuming cis conformation. The thesis deals on the analogue reactions of 1 with acetic acid by varying different parameters and operating conditions. The reaction yields to the hydride dihapto-acetate [(PPh3)2RuH(CO)(k2-Ac)] 8 through the related meridian monohapto, by releasing of phosphine ligand. However, the reaction yields a mixture of compounds, in which the dihapto hydride complex 8 is prevailing in any cases and does not provide any disclosure for the proposed mechanistic aspects. The reaction with two equivalents of acetic acid, affords the complex [(PPh3)2Ru(CO)(k1-Ac)(k2-Ac)] 11, exhibiting mutual trans:cis locations in 2:1 ratio for the phosphine. Such evidence agrees with the results obtained DFT calculations in vacuo, whereas it is in contrast with those obtained with the THA. Therefore we can inferred that the products obtained from the latter reaction is intermolecularly ruled by the hydrogen binding interactions between the functions [-NH•••(O)C-] in the two coordinated thymine ligands.

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Pós-graduação em Agronomia (Energia na Agricultura) - FCA

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Conselho Nacional de Desenvolvimento Científico e Tecnológico (CNPq)

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Pós-graduação em Agronomia (Energia na Agricultura) - FCA

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Fundação de Amparo à Pesquisa do Estado de São Paulo (FAPESP)

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Il presente studio ha avuto l’obiettivo di indagare la produzione di bioetanolo di seconda generazione a partire dagli scarti lignocellulosici della canna da zucchero (bagassa), facendo riscorso al processo enzimatico. L’attività di ricerca è stata svolta presso il Dipartimento di Ingegneria Chimica dell’Università di Lund (Svezia) all’interno di rapporti scambio con l’Università di Bologna. Il principale scopo è consistito nel valutare la produzione di etanolo in funzione delle condizioni operative con cui è stata condotta la saccarificazione e fermentazione enzimatica (SSF) della bagassa, materia prima che è stata sottoposta al pretrattamento di Steam Explosion (STEX) con aggiunta di SO2 come catalizzatore acido. Successivamente, i dati ottenuti in laboratorio dalla SSF sono stati utilizzati per implementare, in ambiente AspenPlus®, il flowsheet di un impianto che simula tutti gli aspetti della produzione di etanolo, al fine di studiarne il rendimento energetico dell’intero processo. La produzione di combustibili alternativi alle fonti fossili oggigiorno riveste primaria importanza sia nella limitazione dell’effetto serra sia nel minimizzare gli effetti di shock geopolitici sulle forniture strategiche di un Paese. Il settore dei trasporti in continua crescita, consuma nei paesi industrializzati circa un terzo del fabbisogno di fonti fossili. In questo contesto la produzione di bioetanolo può portare benefici per sia per l’ambiente che per l’economia qualora valutazioni del ciclo di vita del combustibile ne certifichino l’efficacia energetica e il potenziale di mitigazione dell’effetto serra. Numerosi studi mettono in risalto i pregi ambientali del bioetanolo, tuttavia è opportuno fare distinzioni sul processo di produzione e sul materiale di partenza utilizzato per comprendere appieno le reali potenzialità del sistema well-to-wheel del biocombustibile. Il bioetanolo di prima generazione ottenuto dalla trasformazione dell’amido (mais) e delle melasse (barbabietola e canna da zucchero) ha mostrato diversi svantaggi: primo, per via della competizione tra l’industria alimentare e dei biocarburanti, in secondo luogo poiché le sole piantagioni non hanno la potenzialità di soddisfare domande crescenti di bioetanolo. In aggiunta sono state mostrate forti perplessità in merito alla efficienza energetica e del ciclo di vita del bioetanolo da mais, da cui si ottiene quasi la metà della produzione di mondiale di etanolo (27 G litri/anno). L’utilizzo di materiali lignocellulosici come scarti agricolturali e dell’industria forestale, rifiuti urbani, softwood e hardwood, al contrario delle precedenti colture, non presentano gli svantaggi sopra menzionati e per tale motivo il bioetanolo prodotto dalla lignocellulosa viene denominato di seconda generazione. Tuttavia i metodi per produrlo risultano più complessi rispetto ai precedenti per via della difficoltà di rendere biodisponibili gli zuccheri contenuti nella lignocellulosa; per tale motivo è richiesto sia un pretrattamento che l’idrolisi enzimatica. La bagassa è un substrato ottimale per la produzione di bioetanolo di seconda generazione in quanto è disponibile in grandi quantità e ha già mostrato buone rese in etanolo se sottoposta a SSF. La bagassa tal quale è stata inizialmente essiccata all’aria e il contenuto d’acqua corretto al 60%; successivamente è stata posta a contatto per 30 minuti col catalizzatore acido SO2 (2%), al termine dei quali è stata pretrattata nel reattore STEX (10L, 200°C e 5 minuti) in 6 lotti da 1.638kg su peso umido. Lo slurry ottenuto è stato sottoposto a SSF batch (35°C e pH 5) utilizzando enzimi cellulolitici per l’idrolisi e lievito di birra ordinario (Saccharomyces cerevisiae) come consorzio microbico per la fermentazione. Un obiettivo della indagine è stato studiare il rendimento della SSF variando il medium di nutrienti, la concentrazione dei solidi (WIS 5%, 7.5%, 10%) e il carico di zuccheri. Dai risultati è emersa sia una buona attività enzimatica di depolimerizzazione della cellulosa che un elevato rendimento di fermentazione, anche per via della bassa concentrazione di inibitori prodotti nello stadio di pretrattamento come acido acetico, furfuraldeide e HMF. Tuttavia la concentrazione di etanolo raggiunta non è stata valutata sufficientemente alta per condurre a scala pilota un eventuale distillazione con bassi costi energetici. Pertanto, sono stati condotti ulteriori esperimenti SSF batch con addizione di melassa da barbabietola (Beta vulgaris), studiandone preventivamente i rendimenti attraverso fermentazioni alle stesse condizioni della SSF. I risultati ottenuti hanno suggerito che con ulteriori accorgimenti si potranno raggiungere gli obiettivi preposti. E’ stato inoltre indagato il rendimento energetico del processo di produzione di bioetanolo mediante SSF di bagassa con aggiunta di melassa in funzione delle variabili più significative. Per la modellazione si è fatto ricorso al software AspenPlus®, conducendo l’analisi di sensitività del mix energetico in uscita dall’impianto al variare del rendimento di SSF e dell’addizione di saccarosio. Dalle simulazioni è emerso che, al netto del fabbisogno entalpico di autosostentamento, l’efficienza energetica del processo varia tra 0.20 e 0.53 a seconda delle condizioni; inoltre, è stata costruita la curva dei costi energetici di distillazione per litro di etanolo prodotto in funzione delle concentrazioni di etanolo in uscita dalla fermentazione. Infine sono già stati individuati fattori su cui è possibile agire per ottenere ulteriori miglioramenti sia in laboratorio che nella modellazione di processo e, di conseguenza, produrre con alta efficienza energetica bioetanolo ad elevato potenziale di mitigazione dell’effetto serra.

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L’idrotermocarbonizzazione è un processo che permette di convertire un’elevata quantità di materie prime solide in carbone. Ciò viene realizzato inserendo come sostanza in input, oltre alla materia prima iniziale, acqua liquida e, successivamente, riscaldando fino a 180°C, temperatura alla quale inizia la reazione esotermica ed il processo diventa di tipo stand-alone. Tale reazione presenta un tempo di reazione variabile nel range di 4÷12 h. I prodotti in uscita sono costituiti da una sostanza solida che ha le caratteristiche del carbone marrone naturale e un’acqua di processo, la quale è altamente inquinata da composti organici. In questo elaborato viene illustrata una caratterizzazione dei prodotti in uscita da un impianto di idrotermo carbonizzazione da laboratorio, il quale utilizza in input pezzi di legno tagliati grossolanamente. Inizialmente tale impianto da laboratorio viene descritto nel dettaglio, dopodiché la caratterizzazione viene effettuata attraverso DTA-TGA dei materiali in ingresso ed uscita; inoltre altre sostanze vengono così analizzate, al fine di confrontarle col char ed i pezzi di legno. Quindi si riporta anche un’analisi calorimetrica, avente l’obiettivo di determinare il calore di combustione del char ottenuto; attraverso questo valore e il calore di combustione dei pezzi di legno è stato possibile calcolare l’efficienza di ritenzione energetica del processo considerato, così come la densificazione energetica riscontrata nel materiale in uscita. In aggiunta, è stata eseguita un’analisi delle specie chimiche elementari sul char ed il legno in modo da determinare i seguenti parametri: fattori di ritenzione e fattori di ritenzione pesati sulla massa in termini di concentrazione di C, H, N e S. I risultati ottenuti da tale analisi hanno permesso di effettuare una caratterizzazione del char. Un tentativo di attivazione del char viene riportato, descrivendo la procedura di attivazione seguita e la metodologia utilizzata per valutare il buon esito o meno di tale tentativo di attivazione. La metodologia consiste di uno studio isotermo dell’adsorbimento di acido acetico sul char “attivato” attraverso una titolazione. I risultati sperimentali sono stati fittati usando le isoterme di Langmuir e Freundlich e confrontati con le capacità di adsorbimento del semplice char e di un campione di carbone attivo preso da un’azienda esterna. Infine si è considerata l’acqua di processo, infatti un’analisi fotometrica ne ha evidenziato le concentrazioni di TOC, COD, ioni nitrato e ioni fosfato. Questi valori sono stati conseguentemente confrontati con i limiti italiani e tedeschi massimi ammissibili per acque potabili, dando quindi un’idea quantitativa della contaminazione di tale acqua di processo.

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Il consumo di prodotti da forno lievitati in Italia, è rilevante in occasione di alcune feste religiose quali Pasqua e Natale. Prodotti come il Panettone e Colomba hanno acquisito una diffusione nazionale ed internazionale. Questi prodotti sono ottenuti mediante procedure specifiche caratterizzate da passaggi simili. In ogni caso la loro preparazione parte dall’utilizzo di un lievito madre continuamente rinfrescato. Il lievito madre (o impasto acido) è una miscela di acqua e farina fermentata da un microbiota complesso che include LAB, che producono acido lattico, e lieviti fermentativi che producono CO2 ed etanolo con conseguenze sulle caratteristiche reologiche e organolettiche, soprattutto per il profilo aromatico del prodotto finale. In questo lavoro mi sono occupato di valutare l’evoluzione della composizione microbica della Colomba nelle diverse fasi del processo produttivo, cercando di individuare le relazioni fra il microbiota e alcune caratteristiche chimico-fisiche del prodotto. Il lavoro di caratterizzazione del microbiota del prodotto, effettuato nelle diverse fasi del processo produttivo, ha mostrato come l’impasto madre sia caratterizzato da una bassa biodiversità sia di LAB che di lieviti. I microorganismi dominanti risultano essere due biotipi della specie L. sanfranciscensis e, per i lieviti, un solo biotipo della specie T. delbrueckii, con la comparsa di C. humilis solo in un campione con una frequenza relativa molto bassa. Per quel che riguarda l’evoluzione del microbiota durante il processo produttivo, l’aggiunta del lievito commerciale altera i rapporti tra LAB/ lieviti dove le concentrazioni dei LAB, durante impastamento, si riducono incidendo sulle caratteristiche chimico-fisiche degli impasti stessi in termini di maggiori valori di pH e ridotto contenuto in acido lattico. L’aggiunta di S. cerevisiae e successiva lievitazione incidono significativamente sul profilo aromatico del prodotto, in termini di riduzione di acidi (acido acetico) e di esteri ed aumento di molecole: etanolo, alcol fenetilico, acetaldeide ed acetoino, derivanti del lievito commerciale.

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Dissertação (mestrado)—Universidade de Brasília, Faculdade de Ciências Médicas, Programa de Pós-Graduação em Ciências Médicas, 2012.

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Estudio que tiene el objetivo de determinar la concordancia diagnóstica entre la prueba de visualización con ácido (PVAA), citología e histopatología para diagnóstico de lesisones de cuello uterino. Se realizó PVAA y citología a 130 mujeres entre 20 y 89 años beneficiarias del programa DOC del MSP en el Centro de Salud No. 1 de Cuenca y el Hospsital José F. Valdivieso de Santa Isabel desde el 1 de enero hasta el 31 de diciembre de 2004. Resultados: la biopsia únicamente en 22 acetoblancas positivas. La sensibilidad de la PVAA fue del 100, igual a la biopsia (prueba de oro), pero la especificidad fue del 86.4(IC9579,9 - 92,8) debido al alto porcentaje de falsos positivos (17/22 = 77,27). El valor predictivo positivo fue del 22.7(IC952,9 - 42,5) pero el negativo del 100. La concordancia de la prueba por el índice Kappa fue del 32,8(IC9516 - 33) y la eficacia por el índice de Youden, del 86(IC9580 - 92). El cálculo de la probabilidad diagnóstica nos dio un Likelihood Ratio + de 7,35 (IC954,73 -11,4) y un LR - de 0,0 (IC950,0 - 0,4). Los resultados de Papanicolaou fueron iguales a la biopsia. Se detectó el 3,9de lesiones histológicas premalignas, el 0,8LIE de bajo grado (NIC I) y el 3,1LIE de alto grado (NIC II y NIC III). Implicaciones: la PVAA es de alta sensibilidad y mejora la tasa de detección de lesiones precancerosas con respeto a la citología convencional, pero genra inquietudes la elevada proporción de falsos positivos. Por la facilidad de realización y bajo costo resulta atractiva para medios de escasos recursos como el de la muestra

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Se evaluó la floración inducida por tres aplicaciones (semanal y quincenal) de 0,500 y 1000 ppm de acido giberélico (AG3) en los cultivares de quequisque San Ramón, El Tuma, San Antonio, La Rampla, Malaquías,San Lucas, Casitas, Masaya y Apalí. Se utilizó el diseño de bloque completo al azar, con tres bloques, cuatro plantas/bloque y 12 plantas/cultivar. Se evaluó la altura de planta, grosor del pseudotallo, número de hojas y área foliar; momento de floración, número de flores, estructuras relacionadas a la floración, germinación del polen y receptividad del ovario. Previo a la aplicación los cultivares no diferían en desarrollo morfológico. El AG3 retrasó drásticamente el crecimiento de las plantas. Los cultivares iniciaron la floración 88-114 días después de la primera aplicación (ddpa). San Ramón, San Antonio y Malaquías iniciaron la floración 88 ddpa. La Rampla y San Lucas la iniciaron 114 ddpa. La floración duró dos meses. Las plantas produjeron 8 flores promedio. El cultivar San Antonio aplicado con 500 ppm de AG3 semanalmente produjo 102 flores. Aplicaciones quincenales de 1000 ppm indujeron 25 flores en San Ramón y El Tuma, 8 en San Lucas y Casitas. Además se produjeron: brácteas, brácteas múltiples, bráctea hoja de bandera y brácteas cubriendo hoja de bandera. La germinación del polen fue 90-100%. Altas temperaturas al inicio de la floracion afectaron la ántesis y la producción del polen. La receptividad del ovario fue 100%. Este es el primer estudio de inducción de floración en quequisque cuyos resultados son la base de futuros trabajos de mejora genética en el cultivo.

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Tesis (Doctorado en Ciencias con Especialidad en Microbiología) UANL

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Tesis (Doctor en Ciencias con Orientación en Microbiología Industrial) UANL, 2012.

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En cirugía cardiaca el sangrado perioperatorio y por consiguiente la necesidad de transfundir productos sanguíneos son el mayor contribuyente al incremento de la morbimortalidad en este grupo de pacientes. Existen estrategias para disminuir el sangrado y el requerimiento de transfusiones, como el uso de de ácido tranexamico (AT) el cual parece estar implicado en el desarrollo de convulsiones luego de cirugía cardiaca. En este estudio retrospectivo desarrollado en la Fundación Cardio Infantil (FCI) examinamos la relación entre el uso de AT y la aparición de convulsiones luego de cirugía cardiaca. Nuestra revisión fue hecha en 679 pacientes de los cuales 20 presentaron episodios convulsivos luego de cirugía cardiaca, sin demostrarse lesiones isquémicas en la valoración imagenológica (TAC) en un periodo que comprendía desde abril 1del 2008 hasta mayo 31 del 2009. Nosotros encontramos que la incidencia de convulsiones después de cirugía cardiaca en nuestra institución en este periodo fue de 2.9 % y encontramos una asociación estadísticamente significativa entre el uso de AT y la presencia de falla renal (p=0.006) con un incremento lineal en la probabilidad de convulsionar con los valores de creatinina (p=0.036). Nosotros concluimos que la incidencia de convulsiones es baja y multifactorial siendo el principal factor de riesgo la presencia de falla renal, posiblemente por ser esta la principal vía de eliminación del medicamento, generando así un incremento de las concentraciones séricas del mismo y produciendo antagonismo del receptor GABA asociado a vasoespasmo que desencadenaría clínicamente un evento convulsivo.