922 resultados para Posfundacional Political Thought


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The history and formation of the government in Brazil was, and still is, a central object of study in several fields of knowledge. Albeit with varied approaches highlight was given in the literature for two central reforms occurred between mid 1930s and mid 1990s This perception establishes a long history of Brazilian public administration, putting in their two extreme nodal points of this trajectory: the creation of DASP and the action of the MARE. Each of these institutional projects is directly linked to the conception of the role and performance of the Brazilian public administration instruments, as well as the goals to be achieved, revealing the intimate connection with the coeval political debate of each period. Based on this scenario, the objective of this study is to analyze the role of DASP as a strategic instrument in a Brazilian public "intelligentsia" in construction during the 1930s, strongly associated with a political project of modernization of Brazilian society

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This article aims to analyze some aspects os interpretations of Brazil listed in Tavares Bastos, André Rebouças and Oliveira Viana. In this context, the debate on the concepts of americanism and “iberismo” become fundamental to the analysis of the development of the modernization process which it lasted from the second half of the nineteenth century to the mid of the twenty century.

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The work presents an analytical study of the theme of the forms of government in the political thought of Girolamo Savonarola, based on his Thatawo circa il regimento e governo dela cimi. di Firenze (1498). Using Bobbio's methodology, the theme is analyzed from three simultaneous perspectives: the systematical, the axiological, and the teleological.

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Effects of the conflict between reason and passion in Bernard Mandeville’s moral, economic and political thought My PhD dissertation focuses on Bernard Mandeville (1670-1732), a Dutch philosopher who moved to London in his late twenties. The aspect of Mandeville’s thought I take into account in my research is the conflicting relation between reason and passions, and the consequences that Mandeville’s view of this conflict has in the development of his theory of human nature which, I argue, is what grounds his moral, economic and, above all, political theory. According to Mandeville, reason is fundamentally weak. Passions influence with more strength human actions, and, eventually, are the ones which motivate them. The role of reason is merely instrumental, restricted to finding appropriate means in order to reach the desired ends, which are capricious and inconstant, since they all come from unstable passions. Reason cannot take decisions meant to act in the long term, pursuing an object which has not a selfish and temporary nature. There is no possibility, thus, that men’s actions aim just to achieve a good and just society, without their interests being directly involved. The basically selfish root of every desire leads Mandeville to claim that there is neither benevolence nor altruism which guides human behaviour. Hence he expresses a judgement on the moral character of human beings, always busy with their self-satisfaction, and hardly ever considering what would be good on a wider perspective, including other people’s sake. The anthropological features ascribed to men by Mandeville, are those which lead him to prefer a political system where governors are not supposed to have particular abilities, either from an intellectual or from a moral point of view, and peace and order are preserved by the bureaucratic machine, which is meant to work with the least effort on the part of the politicians, and no big harm can be done even by corrupted or wicked governors. This system is adopted with an eye at remedying human deficiencies: Mandeville takes into primary account, when he thinks of how to build a peaceful and functioning society, that everyone is concerned with his selfish interest, and that the rationality of a single politician, or of a group of them belonging to a same generation, cannot find a good “solution” to govern men able to last over the long period, and to work in different ages. This implies a refusal of the Hobbesian theory of the pactum subjectionis, which has the character of a rational and definitive choice, and leads Mandeville to consider the order which arises spontaneously, without any plan or rational intervention.

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Questa tesi punta a ricostruire il pensiero politico di Bell tra il secondo dopoguerra e la metà degli anni Settanta. In tale arco cronologico, la riflessione politica di Bell si profila, per usare una formula di Jean-François Lyotard, come una «grande narrazione» del capitalismo. Nel complesso, cioè, l’opera di Bell appare come una storia sociologica del capitalismo, che nella fine delle ideologie registra l’apogeo del fordismo e, in seguito, ne mette in luce le trasformazioni in senso post-industriale, indagando le ricadute che tali mutamenti implicano sul piano dei rapporti di potere e della legittimazione del sistema. Nell’ottica di Bell, pertanto, il capitalismo non costituisce soltanto un sistema economico, ma la forma specifica attraverso cui si dispiega la società nel suo complesso, attivando una serie di rapporti di potere mediante i quali gli individui vengono coordinati e subordinati. Una siffatta concezione del capitalismo agisce immediatamente la questione del potere e solleva un interrogativo a esso connesso: «che cosa tiene insieme una società?». Una domanda che attraversa la traiettoria intellettuale di Bell e, sia pure declinata mediante una terminologia sociologica, riflette in realtà l’ambizione delle scienze sociali di farsi teoria politica. Esse si presentano quindi come teoria politica della modernità, nella misura in cui distinguono il potere sociale dal potere politico e, al tempo stesso, instaurano tra i due poli una tensione dialettica produttiva. Mettendo a fuoco la concettualizzazione del potere nell’opera di Bell si analizzeranno le mutazioni nel rapporto tra Stato e società negli Stati Uniti durante la Golden Age del capitalismo. In particolare, si metterà in luce nella grande narrazione di Bell l’ascesa e il declino di un ordine istituzionale che, alla metà degli anni Settanta, appare percorso da molteplici tensioni politiche e sociali che preannunciano l’avvento dell’età globale e il bisogno di una nuova “scala” di governo.

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La ricerca indaga tensioni e trasformazioni che investono le principali correnti di pensiero politico in Francia nei primi anni della monarchia di Luglio, e vi osserva l’emergere del concetto di classe. Assumendo la dimensione dell’avvenimento come punto di intersezione fra storia e teoria, l’elaborato si concentra sul periodo novembre 1831-giugno 1832 per analizzare il modo in cui, nell’ordine del discorso politico repubblicano, liberale e socialista, le vicende di questi mesi vengono interpretate cercando di dar nome alle figure sociali che esse fanno irrompere nel dibattito pubblico. Il titolo Fra il nome e la storia fa dunque riferimento allo sforzo di indagare il campo di tensione che si apre fra concreto divenire storico e grandi operazioni di nominazione che segnano l’affiorare di strutture concettuali della lunga durata. L’emergere della nozione di classe operaia e delle categorie che intorno a essa si organizzano viene interpretata come una «formazione discorsiva» che pone in questione significato e confini del politico. La frattura del 1848 è assunta come orizzonte e margine esterno della ricerca nella misura in cui si ipotizza che essa segni una prima affermazione del regime di verità di tale formazione discorsiva: lo statuto politico del lavoro. L’elaborato consta di quattro capitoli. I primi tre indagano la riflessione sul politico e la funzione che in essa svolge il concetto di classe a partire dall’interpretazione di alcuni avvenimenti del tornante 1831-32 proposta nel discorso repubblicano del quotidiano «Le National» e della Société des Amis du Peuple, in quello del liberalismo dottrinario di François Guizot e in quello socialista nascente, prima del movimento sansimoniano, e poi muovendo fino al 1848 francese con l’analisi propostane da Karl Marx. Il quarto capitolo indaga infine la dimensione del «sociale», la sua elaborazione e articolazione attraverso il lavoro di studio e oggettivazione delle figure del mondo del lavoro.

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Il presente lavoro di ricerca si propone di discutere il contributo che l’analisi dell’evoluzione storica del pensiero politico occidentale e non occidentale riveste nel percorso intellettuale compiuto dai fondatori della teoria contemporanea dell’approccio delle capacità, fondata e sistematizzata nei suoi contorni speculativi a partire dagli anni Ottanta dal lavoro congiunto dell’economista indiano Amartya Sen e della filosofa dell’Università di Chicago Martha Nussbaum. Ci si ripropone di dare conto del radicamento filosofico-politico del lavoro intellettuale di Amartya Sen, le cui concezioni economico-politiche non hanno mai rinunciato ad una profonda sensibilità di carattere etico, così come dei principali filoni intorno ai quali si è imbastita la versione nussbaumiana dell’approccio delle capacità a partire dalla sua ascendenza filosofica classica in cui assume una particolare primazia il sistema etico-politico di Aristotele. Il pensiero politico moderno, osservato sotto il prisma della riflessione sulla filosofia della formazione che per Sen e Nussbaum rappresenta la “chiave di volta” per la fioritura delle altre capacità individuali, si organizzerà intorno a tre principali indirizzi teorici: l’emergenza dei diritti positivi e sociali, il dibattito sulla natura della consociazione nell’ambito della dottrina contrattualista e la stessa discussione sui caratteri delle politiche formative. La sensibilità che Sen e Nussbaum mostrano nei confronti dell’evoluzione del pensiero razionalista nel subcontinente che passa attraverso teorici antichi (Kautylia e Ashoka) e moderni (Gandhi e Tagore) segna il tentativo operato dai teorici dell’approccio delle capacità di contrastare concezioni politiche contemporanee fondate sul culturalismo e l’essenzialismo nell’interpretare lo sviluppo delle tradizioni culturali umane (tra esse il multiculturalismo, il comunitarismo, il neorealismo politico e la teoria dei c.d. “valori asiatici”) attraverso la presa di coscienza di un corredo valoriale incentrato intorno al ragionamento rintracciabile (ancorché in maniera sporadica e “parallela”) altresì nelle tradizioni culturali e politiche non occidentali.

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La tesi affronta la vita e la riflessione politica di Beatrice Potter collocandola all’interno del pensiero politico britannico ed europeo della fine dell’Ottocento e dei primi decenni del Novecento. Rispetto alla maggior parte della bibliografia disponibile, risulta un’autonomia e un’originalità anche rispetto alla riflessione del marito Sidney Webb. La riflessione politica di Potter è caratterizzata in primo luogo dalla ricerca del significato immediatamente politico di quella scienza sociale, che si sta affermando come approccio scientifico dominante nell’intero panorama europeo. Il lavoro è diviso in tre ampi capitoli così suddivisi: il primo ricostruisce l’eredità intellettuale di Potter, con particolare attenzione al rapporto con la filosofia evoluzionista di Herbert Spencer, suo mentore e amico. In questo capitolo vengono anche discussi i contributi di John Stuart Mill, Joseph Chamberlain, Alfred Marshall e Karl Marx e la loro influenza sull’opera di Potter. Il secondo capitolo prende in esame la sua opera prima dell’incontro con il marito e mostra come lo studio della povertà, del lavoro, della metropoli, della cooperazione e delle condizioni delle donne getti le basi di tutta la produzione successiva della partnership. Lo studio politico della povertà, cioè la messa a punto di una scienza amministrativa del carattere sociale del lavoro, rappresenta uno degli elementi principali di quella che viene qui definita un’epistemologia della democrazia. Il terzo capitolo riprende il tema cruciale della democrazia nella sua accezione «industriale» e indaga il ruolo funzionale dello Stato, anche in relazione alla teoria pluralista di Harold Laski, al socialismo guildista di George D. H. Cole e all’idealismo di Bernard Bosanquet. Centrale in questo confronto del pensiero di Potter con il più ampio dibattito degli anni venti e trenta sulla sovranità è la concezione della decadenza della civiltà capitalista e dell’emergere di una new civilisation, dopo la conversione al comunismo sovietico.

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Degli anni Settanta si parla, ormai quasi canonicamente, come gli anni della crisi, una crisi che compare quasi simultaneamente fuori e dentro i confini nazionali, e si configura come vera e propria crisi di sistema. Considerando il turning point rappresentato dai Seventies, è diffusa l'interpretazione nel contesto italiano del paradigma politologico secondo il quale è nella mancanza e nelle assenze del sistema politico-istituzionale alle domande di modernizzazione democratica provenienti dalle soggettività che emergono in quella che è stata definita la “stagione dei movimenti” che andrebbero individuate le radici prima della scelta della violenza come strumento di lotta politica e poi del cosiddetto “riflusso”. Questo studio cerca di analizzare le dinamiche e gli sviluppi nella relazione tra movimento femminista e violenza politica in Italia tra anni settanta e anni ottanta. Per comprendere ed analizzare le dinamiche di tale sviluppo è stato necessario prima ricostruire la genealogia del concetto di violenza politica elaborato dalla filosofia politica nel XX secolo e poi confrontarlo con il concetto di violenza proposto dal pensiero femminista nello stesso arco temporale. Allo stesso tempo si è considerato il fenomeno della violenza politicamente motivata agita nel decennio settanta, analizzando le specificità del femminismo stesso, ma anche, la possibilità di individuare lo scarto – politico, ideologico e esistenziale – tra le definizioni date dalla pratica femminista alla categoria di violenza e le peculiarità degli altri movimenti che si muovevano nella scena politica e sociale tra anni settanta e anni ottanta

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While much of Aristotle's works are preserved in various volumes, two of his famous works are the Nichmachean Ethics and the Politics, both of which contain a rich compilation of ethical and political thought. In the Ethics, Aristotle describes a thorough understanding of ethical and intellectual virtue. By pursuing these virtues, Aristotle argues that a person can achieve a life of fulfilling happiness. The ideal polis as described in the Politics serves as a place where the virtuous life is attained in the best manner.Citizens who pursue virtue make the polis better, and the rulers that guide the polis ensure that the citizens have every opportunity to pursue the virtuous life. In this thesis, I see how relevant Aristotle's theory is by laying out the basic principles of the Ethics and the Politics and the connections between the two works. Indoing so, I found that Aristotle's ideal theory points out a significant flaw in our political system: the fact that we do not share a common moral conception such as the one concerned with the virtuous life as Aristotle proposes. This does not suggest thatAristotle's view was actualized during his time period, but that Aristotle conceives of an ideal life and an ideal polis that could be realized. Certainly there are issues with Aristotle's thesis concerning the inferiority of slaves and women. But what is morepoignant is the impracticality of instituting a shared common conception when today's political system permits various ideas about ethics and morality.

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Vorwort von Horkheimer, Max und Ardorno, Theodor W. zu: Schmidt, Alfred: Der Begriff der Natur in der Lehre Marx. Frankfurt am Main 1962, Frankfurter Beiträge zur Soziologie Band 11. Mehrere Typoskripte und zwei Entwürfe, Typoskrip c mit eigenhändigen Korrekturen von Theodor W. Adorno, 2 Blatt; zweiter Entwurf mit handschriftlichen Korrekturen von Friedrich Pollock, 1 Blatt; Schmidt, Alfred: Gutachten über die Inauguraldissertation 'Die Rolle der Natur in der Marxschen Konzeption der Gesselschaft'. Typoskript mit eigenhändigen Korrekturen, 4 Blatt; Typoskript, 7 Blatt; Pollock, Friedrich: Eigenhändige Notize und Korrekturvorschläge zur Dissertation von Alfred Schmidt, 24 Blatt; Vorlesungen über Autorität und Gesellschaft [Columbia University New York]; 1936-37 "Authority and Status in Modern Society"; 1937-38 "Authoritarian Thought and Institutions in Europe"; 1938-39 "Authoritarian Doctrines and modern European Institutions"; Einleitende Vorlesung über Autorität und Gesellschaft, 1936/37 (Max Horkheimer). Drei englsiche Fassungen, eine deutsche Fassung (GS 12, S.39-68); Zweite Vorlesung über Autorität und Gesellschaft (Max Horkheimer). Englische Fassung, Typoskript mit eigenhändigen Korrekturen, 27 Blatt; deutsche Fassung, Typoskript mit eigenhändigen Korrekturen, 20 Blatt (GS 12, S.39-68); "History" (Herbert Marcuse). Typoskript mit eigenhändigen Korrekturen, 7 Blatt; "Empirical Research" (Paul Lazarfeld). Typoskript, 7 Blatt; "Economica" (Friedrich Pollock). Typoskript, 9 Blatt; "Authoritarian State" (Franz Neumann). Typoskript mit handschriftlichen Korrekturen, 18 Blatt; Teilstück, Typoskript mit handschriftlichen Korrekturen, 1 Blatt; "Education" (Leo Löwenthal ?). Typoskript, 6 Blatt; Einleitung in den psychologischen Teil (Fromm). Englische Fassung, Typoskript, 5 Blatt; Abschlußvorlesung: Zusammenfassung (Max Horkheimer). Englische Fassung, Typoskript mit eigenhändigen und handschriftlichen Korrekturen, 9 Blatt; deutsche Fassung, Typoskript, 5 Blatt (GS 12, S. 39-68); Teilstücke (Entwürfe ?) zu den Vorlesungen. Typoskript mit eigenhändigen Korrekturen, 5 Blatt; Eigenhändige Notizen zu den Vorlesungen, 6 Blatt; Literaturlisten. Als Typoskript vervielfältigt, 3 Blatt; Vorlesungsankündigungen. Als Typoskript vervielfältigt, 4 Blatt; Typoskript, 2 Blatt; Ohne Namen: "Errors in Professor Horkheimers Lecture". Stichworte zu sprachlichen Fehlern Max Horkheimers, 4 Blatt; "Über Logik": Vorlesung von Max Horkheimer, 1939. Typoskript mit handschriftlichen Ergänzungen von Herbert Marcuse, 17 Blatt; Typoskript mit eigenhändigen Korrekturen, 10 Blatt (GS 12, S. 69-74); Vorlesungsankündigungen der Institutsmitglieder (1941 ?); Horkheimer, Max: "The Social Psychology of Mass Movements"; Horkheimer, Max: "Modern Utopias and their Social Background"; Adorno, Theodor W.: "Sociology of Art"; Adorno, Theodor W.: "Sociology of Popular Music"; Marcuse, Herbert: "Social and Intelectual Foundations of Modern European Democracy"; Marcuse, Herbert: "The Development of Social Thought in der Modern Era"; Neumann, Franz: "History of Modern Political Thought"; Neumann, Franz: "Sociology of Legal Institutions"; Löwenthal, Leo: "Sociology of Modern Popular Literature"; Löwenthal, Leo: "Social Trends in European Literature since the Renaissance"; Kirchheimer, Otto: "Sociology of Political Institutions"; Kirchheimer, Otto: "Development of Criminological Thought". Typoskript, 13 Blatt; Typoskript, 7 Blatt; Typoskript mit handschriftlichen Korrekturen, 14 Blatt;