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L’obbiettivo del lavoro è quello di delimitare uno spazio critico che consenta di ripensare il concetto di modernità nelle culture ispanoamericane degli inizi del XX secolo. In questa direzione, si è deciso di focalizzare l’attenzione su un’opera letteraria, quella dell’uruguaiano Julio Herrera y Reissig, del tutto particolare se comparata al resto delle produzioni estetiche a essa più immediatamente contigue. Tornare a leggere Herrera y Reissig equivale, infatti, nella sostanza, a rimettere mano criticamente a tutta l’epoca modernista, interpretandola non in senso unitario, bensì plurale e frammentario. Spunto di partenza dell’analisi sono state le coordinate culturali comuni in cui quelle estetiche si sono determinate e sviluppate, per poi procedere verso una moltiplicazione di percorsi in grado di rendere conto della sostanziale discrepanza di mezzi e finalità che intercorre fra Julio Herrera y Reissig e gran parte del Modernismo a lui contemporaneo. Mantenendo come base metodologica i presupposti dell’archeologia culturale foucauldiana, è stato possibile rintracciare, nell’opera dell’uruguaiano, un eterogeneo ma costante movimento di riemersione e riutilizzo delle più svariate esperienze del pensiero – estetico e non – occidentale. Nelle particolarità d’uso a cui la tradizione è sottomessa nella scrittura di Herrera y Reissig si è reso così possibile tornare a ragionare sui punti focali dell’esperienza della modernità: il legame fra patrimonio culturale e attualità, la relazione fra sedimentazione tradizionale e novità, nonché, in definitiva, le modalità attraverso le quali alla letteratura è consentito di pensare e dire la propria storia – passata, presente e futura – e, in conseguenza, metabolizzarla, per tornare ad agire attivamente su di essa.

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La recente Direttiva 31/2010 dell’Unione Europea impone agli stati membri di riorganizzare il quadro legislativo nazionale in materia di prestazione energetica degli edifici, affinchè tutte le nuove costruzioni presentino dal 1° gennaio 2021 un bilancio energetico tendente allo zero; termine peraltro anticipato al 1° gennaio 2019 per gli edifici pubblici. La concezione di edifici a energia “quasi” zero (nZEB) parte dal presupposto di un involucro energeticamente di standard passivo per arrivare a compensare, attraverso la produzione preferibilmente in sito di energia da fonti rinnovabili, gli esigui consumi richiesti su base annuale. In quest’ottica la riconsiderazione delle potenzialità dell’architettura solare individua degli strumenti concreti e delle valide metodologie per supportare la progettazione di involucri sempre più performanti che sfruttino pienamente una risorsa inesauribile, diffusa e alla portata di tutti come quella solare. Tutto ciò in considerazione anche della non più procrastinabile necessità di ridurre il carico energetico imputabile agli edifici, responsabili come noto di oltre il 40% dei consumi mondiali e del 24% delle emissioni di gas climalteranti. Secondo queste premesse la ricerca pone come centrale il tema dell’integrazione dei sistemi di guadagno termico, cosiddetti passivi, e di produzione energetica, cosiddetti attivi, da fonte solare nell’involucro architettonico. Il percorso sia analitico che operativo effettuato si è posto la finalità di fornire degli strumenti metodologici e pratici al progetto dell’architettura, bisognoso di un nuovo approccio integrato mirato al raggiungimento degli obiettivi di risparmio energetico. Attraverso una ricognizione generale del concetto di architettura solare e dei presupposti teorici e terminologici che stanno alla base della stessa, la ricerca ha prefigurato tre tipologie di esito finale: una codificazione delle morfologie ricorrenti nelle realizzazioni solari, un’analisi comparata del rendimento solare nelle principali aggregazioni tipologiche edilizie e una parte importante di verifica progettuale dove sono stati applicati gli assunti delle categorie precedenti

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La ricerca ha come oggetto l’edizione critica di circa tremila regesti di documenti di area bolognese datati al X-XII secolo. I documenti sono stati trascritti tra il XVII e XVIII secolo in undici cartulari ecclesiastici, conservati presso l’Archivio di Stato di Bologna. Il lavoro s’inserisce nel progetto di edizione delle carte bolognesi di epoca medievale in corso presso la cattedra di Paleografia latina e Diplomatica dell’Università di Bologna, attualmente incentrata sull’edizione delle carte del secolo XII. La ricerca si propone come strumento di supporto a tale progetto e come completamento delle carte già pubblicate: i cartulari, infatti, offrono spesso copie di documenti mancanti dell’originale o in cattivo stato di conservazione, e costituiscono l’unica traccia di una memoria storica altrimenti perduta. Le raccolte esaminate si collocano a ridosso del periodo napoleonico, quando la maggior parte degli enti ecclesiastici venne soppressa e i loro beni incamerati dallo Stato; esse quindi rispecchiano la condizione dei principali archivi ecclesiastici cittadini dei primi secoli del Medioevo bolognese. La ricerca è strutturata in una prima parte volta a definire in termini storico-diplomatistici la tipologia di fonte esaminata: oggi i cartulari non sono più intesi come semplici raccoglitori di documenti, ma come sistema organico di fonti in grado di far luce su aspetti importanti della storia dell’ente che li ha prodotti. L’indagine del loro contesto di produzione permette di comprenderne meglio le finalità, la forma e il valore giuridico. Parte della ricerca è stata poi incentrata sullo studio delle ragioni che hanno portato gli istituti religiosi bolognesi alla redazione dei cartulari: a tal fine è stata esaminata la legislazione ecclesiastica cinque-settecentesca in materia di conservazione della documentazione e il rapporto della legislazione stessa con la prassi archivistica. Infine è stata realizzata l’edizione critica vera e propria dei regesti, mirante a descrivere le caratteristiche principali di ciascun cartulario.

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La ricerca è dedicata a verificare se e come, a livello dell’Unione europea, la lotta alla criminalità (ed in particolare quella organizzata) venga condotta nel rispetto di diritti e libertà fondamentali, e se la cooperazione tra Stati membri su questo fronte possa giungere a promuovere standard omogenei ed elevati di tutela degli stessi. Gli ambiti di cooperazione interessati sono principalmente quello giudiziario in materia penale e quello di polizia, e la ritrosia degli Stati a cedere all’Unione competenze in materia si è accompagnata ad un ritardo ancora maggiore dell’emersione, nell’ambito degli stessi, della dimensione dei diritti. Ciò ha reso molto difficile lo sviluppo completo ed equilibrato di uno “spazio di libertà, sicurezza e giustizia” (art. 67 TFUE). L’assetto istituzionale introdotto dal Trattato di Lisbona e l’attribuzione di valore giuridico vincolante alla Carta hanno però posto le basi per il superamento della condizione precedente, anche grazie al fatto che, negli ambiti richiamati, la salvaguardia dei diritti è divenuta competenza ed obiettivo esplicito dell’Unione. Centrale è per la ricerca la cooperazione giudiziaria in materia penale, che ha visto la ricca produzione normativa di stampo repressivo recentemente bilanciata da interventi del legislatore europeo a finalità garantista e promozionale. L’analisi degli strumenti nella prospettiva indicata all’inizio dell’esposizione è quindi oggetto della prima parte dell’elaborato. La seconda parte affronta invece la cooperazione di polizia e quello degli interventi volti alla confisca dei beni e ad impedire il riciclaggio, misure – queste ultime - di particolare rilievo soprattutto per il contrasto al crimine organizzato. Sottesi all’azione dell’Unione in queste materie sono, in modo preponderante, due diritti: quello alla salvaguardia dei dati personali e quello al rispetto della proprietà privata. Questi, anche in ragione delle peculiarità che li caratterizzano e della loro natura di diritti non assoluti, sono analizzati con particolare attenzione.

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Tradizionalmente, l'obiettivo della calibrazione di un modello afflussi-deflussi è sempre stato quello di ottenere un set di parametri (o una distribuzione di probabilità dei parametri) che massimizzasse l'adattamento dei dati simulati alla realtà osservata, trattando parzialmente le finalità applicative del modello. Nel lavoro di tesi viene proposta una metodologia di calibrazione che trae spunto dell'evidenza che non sempre la corrispondenza tra dati osservati e simulati rappresenti il criterio più appropriato per calibrare un modello idrologico. Ai fini applicativi infatti, può risultare maggiormente utile una miglior rappresentazione di un determinato aspetto dell'idrogramma piuttosto che un altro. Il metodo di calibrazione che viene proposto mira a valutare le prestazioni del modello stimandone l'utilità nell'applicazione prevista. Tramite l'utilizzo di opportune funzioni, ad ogni passo temporale viene valutata l'utilità della simulazione ottenuta. La calibrazione viene quindi eseguita attraverso la massimizzazione di una funzione obiettivo costituita dalla somma delle utilità stimate nei singoli passi temporali. Le analisi mostrano come attraverso l'impiego di tali funzioni obiettivo sia possibile migliorare le prestazioni del modello laddove ritenute di maggior interesse per per le finalità applicative previste.

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Il sistema comune europeo dell’imposta sul valore aggiunto privilegia caratteri e finalità economiche nel definire chi siano gli operatori economici soggetti all’IVA. Una disciplina particolare è, tuttavia, prevista per i soggetti di diritto pubblico che, oltre alla principale attività istituzionale, esercitano un’attività di carattere economico. Ai sensi dell’articolo 13 della Direttiva del 28 novembre 2006, 2006/112/CE, gli Stati, le Regioni, le Province, i Comuni e gli altri enti di diritto pubblico, in relazione alle attività ed operazioni che essi effettuano in quanto pubbliche autorità, non sono considerati soggetti passivi IVA anche se in relazione ad esse percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni. La vigente disciplina europea delle attività economiche esercitate dagli enti pubblici, oltre che inadeguata al contesto economico attuale, rischia di diventare un fattore che influenza negativamente l’efficacia del modello impositivo dell’IVA e l’agire degli enti pubblici. La tesi propone un modello alternativo che prevede l’inversione dell’impostazione attuale della Direttiva IVA al fine di considerare, di regola, soggetti passivi IVA gli organismi pubblici che svolgono - ancorché nella veste di pubblica autorità - attività oggettivamente economiche.

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In Medicina Veterinaria l'avvelenamento da rodenticidi anticoagulanti è conosciuto e studiato ormai da anni, essendo una delle intossicazioni più comunemente riscontrate nelle specie non target. In letteratura si rinvengono numerose pubblicazioni ma alcuni aspetti sono rimasti ancora inesplorati.Questo studio si propone di valutare il processo infiammatorio, mediante le proteine di fase acuta (APPs), in corso di fenomeni emorragici, prendendo come modello reale un gruppo di soggetti accidentalmente avvelenati da rodenticidi anticoagulanti. I 102 soggetti avvelenati presentano un valore più elevato di proteina C reattiva (CRP)con una mediana di 4.77 mg/dl statisticamente significativo rispetto alla mediana delle due popolazioni di controllo di pari entità numerica create con cross match di sesso, razza ed età; rispettivamente 0.02 mg/dl dei soggetti sani e 0.37 mg/dl dei soggetti malati di altre patologie. Inoltre all'interno del gruppo dei soggetti avvelenati un valore di CRP elevato all'ammissione può predisporre al decesso. La proteina C reattiva assume quindi un ruolo diagnostico e prognostico in questo avvelenamento. Un'altra finalità, di non inferiore importanza, è quella di definire una linea guida terapeutica con l'ausilio di biomarker coagulativi e di valutare la sicurezza della vitamina K per via endovenosa: in 73 cani, non in terapia con vitamina k, intossicati da rodenticidi anticoagulanti, i tempi della coagulazione (PT ed aPTT) ritornano nel range di normalità dopo 4 ore dalla prima somministrazione di 5 mg/kg di vitamina k per via endovenosa e nessun soggetto durante e dopo il trattamento ha manifestato reazioni anafilattiche, nessuno dei pazienti ha necessitato trasfusione ematica e tutti sono sopravvissuti. Infine si è valutata l'epidemiologia dell'ingestione dei prodotti rodenticidi nella specie oggetto di studio e la determinazione dei principi attivi mediante cromatografia liquida abbinata a spettrofotometria di massa (UPLC-MS/MS).

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Principale obiettivo della ricerca è quello di ricostruire lo stato dell’arte in materia di sanità elettronica e Fascicolo Sanitario Elettronico, con una precipua attenzione ai temi della protezione dei dati personali e dell’interoperabilità. A tal fine sono stati esaminati i documenti, vincolanti e non, dell’Unione europea nonché selezionati progetti europei e nazionali (come “Smart Open Services for European Patients” (EU); “Elektronische Gesundheitsakte” (Austria); “MedCom” (Danimarca); “Infrastruttura tecnologica del Fascicolo Sanitario Elettronico”, “OpenInFSE: Realizzazione di un’infrastruttura operativa a supporto dell’interoperabilità delle soluzioni territoriali di fascicolo sanitario elettronico nel contesto del sistema pubblico di connettività”, “Evoluzione e interoperabilità tecnologica del Fascicolo Sanitario Elettronico”, “IPSE - Sperimentazione di un sistema per l’interoperabilità europea e nazionale delle soluzioni di Fascicolo Sanitario Elettronico: componenti Patient Summary e ePrescription” (Italia)). Le analisi giuridiche e tecniche mostrano il bisogno urgente di definire modelli che incoraggino l’utilizzo di dati sanitari ed implementino strategie effettive per l’utilizzo con finalità secondarie di dati sanitari digitali , come Open Data e Linked Open Data. L’armonizzazione giuridica e tecnologica è vista come aspetto strategico per ridurre i conflitti in materia di protezione di dati personali esistenti nei Paesi membri nonché la mancanza di interoperabilità tra i sistemi informativi europei sui Fascicoli Sanitari Elettronici. A questo scopo sono state individuate tre linee guida: (1) armonizzazione normativa, (2) armonizzazione delle regole, (3) armonizzazione del design dei sistemi informativi. I principi della Privacy by Design (“prottivi” e “win-win”), così come gli standard del Semantic Web, sono considerate chiavi risolutive per il suddetto cambiamento.

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Il lavoro mira a fornire un complessivo inquadramento dell'istituto della società mista, identificato in primo luogo quale strumento di diritto privato a cui partecipano soggetti pubblici e soggetti privati. L'indagine si svolge su differenti piani di valutazione. Si dà ragione delle caratteristiche peculiari di tale contratto associativo e dei limiti che il nostro ordinamento impone allo sviluppo della figura. L'attenzione si sposta poi sulla specifica declinazione che il modello di società mista ha assunto in ambito europeo attraverso l'analisi del partenariato pubblico privato istituzionalizzato. L'istituto è di particolare interesse perchè individua nella società mista un modello organizzativo dai tratti specifici, all'interno del quale il ruolo del socio privato assume connotazioni e forme non comuni a tutti i modelli societari. La ricerca mira a mostrare come tale figura ha trovato riscontro nell'ordinamento interno e quali possibili sviluppi la stessa possa trovare in differenti campi della vita economica. In questi termini, si cerca di valutare quale sia l'incidenza delle procedure competitive nella costituzione e nella vita della società mista ed in che termini lo svolgimento delle attività affidate al socio privato debba essere inquadrato all'interno del rapporto di partenariato. Sul punto è centrale la declinazione fornita all'istituto in relazione ad uno specifico ambito di attività: i servizi pubblici locali di rilevanza economica. In questo contesto, particolarmente rilevante sul piano sistematico è la ricerca di un equilibrio tra il rispetto delle disciplina posta a tutela della concorrenza, ed il perseguimento delle finalità che hanno portato alla scelta di costruire una società mista. La scelta in favore di tale modello organizzativo pare infatti giustificata solo qualora essa apporti un reale vantaggio nella gestione del servizio e la realizzazione di concrete sinergie positive.

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Il presente lavoro ha ad oggetto l’esame della disciplina dell’arresto in flagranza e del fermo di indiziato di delitto: istituti profondamente “utili” e “d’impatto” (anche mass-mediatico) perché ontologicamente tesi, soprattutto il primo, all’immediata repressione del fenomeno criminale. Scopo e ragione di questo studio, è dunque l’individuazione di altre e più profonde finalità di tali istituti, passando per una piena comprensione del ruolo loro assegnato nel vigente impianto codicistico. La ricerca, dunque, si è sviluppata lungo tre direttrici, ciascuna rappresentata – anche dal punto di vista grafico-strutturale – nelle tre parti cin cui è diviso l’elaborato finale e ciascuna singolarmente riferibile, in un’immaginaria linea del tempo, allo ieri (e ai principi), all’oggi e al domani della disciplina delle misure coercitive di polizia giudiziaria. Nella prima parte, infatti, partendo dall’analisi storica degli istituti in esame, si è proceduto all’esame della disciplina e della giurisprudenza costituzionale in tema di strumenti di polizia giudiziari provvisoriamente limitativi della libertà personale; l’obiettivo primo di tale approfondimento, cui poi sarà informato l’analisi della dinamica degli istituti, è proprio l’individuazione delle finalità – conformi a Costituzione – dell’arresto e del fermo di indiziato di delitto. Seguirà l’analisi del concetto di libertà personale, e dei margini consentiti per la sua limitazione, in seno al sistema della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. La seconda parte contiene un’analisi critica degli istituti dell’arresto in flagranza, del fermo di indiziato di delitto e dell’arresto urgente a fini estradizionale. Infine, la terza e ultima parte ha ad oggetto l’ulteriore di linea di ricerca che si è sviluppata a mo’ di conclusione delle predette analisi, riguardante la possibilità di utilizzare lo strumento del fermo, ampliandone le maglie applicative, come viatico per l’introduzione del contraddittorio anticipato rispetto all’applicazione delle misure cautelari personali

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Tra il V ed il VI secolo, la città di Ravenna, per tre volte capitale, emerge fra i più significativi centri dell’impero, fungendo da cerniera tra Oriente e Occidente, soprattutto grazie ai mosaici parietali degli edifici di culto, perfettamente inseriti in una koinè culturale e artistica che ha come comune denominatore il Mar Mediterraneo, nel contesto di parallele vicende storiche e politiche. Rispetto ai ben noti e splendidi mosaici ravennati, che insieme costituiscono senza dubbio un unicum nel panorama artistico dell’età tardoantica e altomedievale, nelle decorazioni musive parietali dei coevi edifici di culto dei diversi centri dell’impero d’Occidente e d’Oriente, e in particolare in quelli localizzati nelle aree costiere, si possono cogliere divergenze, ma anche simmetrie dal punto di vista iconografico, iconologico e stilistico. Sulla base della letteratura scientifica e attraverso un poliedrico esame delle superfici musive parietali, basato su una metodologia interdisciplinare, si è cercato di chiarire l’articolato quadro di relazioni culturali, ideologiche ed artistiche che hanno interessato e interessano tuttora Ravenna e i vari centri della tarda antichità, insistendo sulla pluralità, sulla complessità e sulla confluenza di diverse esperienze artistiche sui mosaici di Ravenna. A tale scopo, i dati archeologici e artistici sono stati integrati con quelli storici, agiografici ed epigrafici, con opportuni collegamenti all’architettura, alla scultura, alle arti decorative e alle miniature, a testimonianza dell’unità di intenti di differenti media artistici, orientati, pur nella diversità, verso le medesime finalità dogmatiche, politiche e celebrative. Si tratta dunque di uno studio di revisione e di sintesi sui mosaici parietali mediterranei di V e VI secolo, allo scopo di aggiungere un nuovo tassello alla già pur vasta letteratura dedicata all’argomento.

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La finalità di questa tesi è un excursus a posteriori sulle derive degli estremismi ideologici come il femminismo e la misoginia. Ci si è avvalsi delle teorie di studiosi quali Freud, Lacan, Weininger, Simone de Beauvoir, come anche Maria Zambrano, Adriana Cavarero, John Berger, Judith Butler, Luce Irigay, Camille Paglia e altri esponenti pertinenti alla materia analizzata. Si è infine concluso con le teorie innovative di Silvia Montefoschi, formulando una soluzione ipotetica alle discriminazioni di genere, applicabile al campo socio-linguistico.

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Negli ultimi anni, l’introduzione di tipologie alternative di dettato ha permesso di superare il dettato tradizionale, un esercizio che opprimeva gli studenti, angosciati dal timore dell’errore, segno indelebile che sanziona la mancata acquisizione di una regola ortografica, e scoraggiati a migliorare per l’inappropriata constatazione di colpevolezza, e che, in quanto tale, rischiava di essere eliminato dall'istituzione scolastica. Le nuove tipologie di dettato, contraddistinte da specifiche finalità e caratterizzate da modalità innovative, consentono, infatti, di rivalutare questo esercizio: da mero strumento di valutazione, diviene un pratico momento di apprendimento. L’errore non è più considerato come il marchio che, agli occhi dell’insegnante, contrassegna in modo permanente l’alunno. La nozione di positività che si associa all'errore riconosce lo sforzo compiuto dall'alunno nel ricorrere alle conoscenze linguistiche in suo possesso poiché, seppure il suo ragionamento non abbia portato a scegliere la forma ortografica corretta, l’attività mentale, che implicitamente ha voluto creare una connessione logica tra aspetti linguistici distinti, testimonia che lo studio della lingua non è e non richiede unicamente un ingente lavoro di memorizzazione, diversamente da ciò che si è sempre creduto. L’insegnante è dunque chiamato ad affiancare lo studente guidandolo nell'analisi dei singoli passaggi del suo ragionamento per indicare come dovrà risolvere il problema, in una futura occorrenza di quella espressione, e arrivare così ad automatizzare le conoscenze linguistiche. Inoltre, la recente valorizzazione del dettato ha attribuito altri pregi a questo insegnamento, quali l'acquisizione essenziale del rigore, della fiducia in se stessi e della modestia.

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Nel corso degli ultimi anni le problematiche legate al ruolo vettore delle zanzare stanno emergendo sia per quanto riguarda l’uomo che gli animali allevati e selvatici. Diversi arbovirus come West Nile, Chikungunya, Usutu e Dengue, possono facilmente spostarsi a livello planetario ed essere introdotti anche nei nostri territori dove possono dare avvio a episodi epidemici. Le tecniche di monitoraggio e sorveglianza dei Culicidi possono essere convenientemente utilizzate per il rilevamento precoce dell’attività virale sul territorio e per la stima del rischio di epidemie al fine dell’adozione delle opportune azioni di Sanità Pubblica. Io scopo della ricerca del dottorato è inserito nel contesto dei temi di sviluppo del Piano regionale sorveglianza delle malattie trasmesse da vettori in Emilia Romagna. La ricerca condotta è inquadrata prevalentemente sotto l’aspetto entomologico applicativo di utilizzo di dispositivi (trappole) che possano catturare efficacemente possibili insetti vettori. In particolare questa ricerca è stata mirata allo studio comparativo in campo di diversi tipi di trappole per la cattura di adulti di zanzara, cercando di interpretare i dati per capire un potenziale valore di efficacia/efficienza nel rilevamento della circolazione virale e come supporto alla pianificazione della rete di sorveglianza dal punto di vista operativo mediante dispositivi adeguati alle finalità d’indagine. Si è cercato di trovare un dispositivo idoneo, approfondendone gli aspetti operativi/funzionali, ai fini di cattura del vettore principale del West Nile Virus, cioè la zanzara comune, da affiancare all’unica tipologia di trappola usata in precedenza. Le prove saranno svolte sia in campo che presso il laboratorio di Entomologia Medica Veterinaria del Centro Agricoltura Ambiente “G. Nicoli” di Crevalcore, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroambientali della Facoltà di Agraria dell’Università di Bologna.

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Pochi studi hanno indagato il profilo dei sintomi non-motori nella malattia di Parkinson associata al gene glucocerebrosidasi (GBA). Questo studio è mirato alla caratterizzazione dei sintomi non-motori, con particolare attenzione alla valutazione delle funzioni neurovegetativa, cognitiva e comportamentale, nel parkinsonismo associato a mutazione del gene GBA con la finalità di verificare se tali sintomi non-motori siano parte dello spettro clinico di questi pazienti. E’ stato condotto su una coorte di pazienti affetti da malattia di Parkinson che erano stati tutti sottoposti ad una analisi genetica per la ricerca di mutazioni in uno dei geni finora associati alla malattia di Parkinson. All’interno di questa coorte omogenea sono stati identificati due gruppi diversi in relazione al genotipo (pazienti portatori della mutazione GBA e pazienti non portatori di nessuna mutazione) e le caratteristiche non-motorie sono state confrontate nei due gruppi. Sono state pertanto indagati il sistema nervoso autonomo, mediante studio dei riflessi cardiovascolari e analisi dei sintomi disautonomici, e le funzioni cognitivo-comportamentali in pazienti affetti da malattia di Parkinson associata a mutazione del gene GBA. I risultati sono stati messi a confronto con il gruppo di controllo. Lo studio ha mostrato che i pazienti affetti da malattia di Parkinson associata a mutazione del gene GBA presentavano maggiore frequenza di disfunzioni ortosimpatiche, depressione, ansia, apatia, impulsività, oltre che di disturbi del controllo degli impulsi rispetto ai pazienti non portatori. In conclusione, i pazienti GBA positivi possono esprimere una sintomatologia non-motoria multidominio con sintomi autonomici, cognitivi e comportamentali in primo piano. Pertanto l’impostazione terapeutica in questi pazienti dovrebbe includere una accurata valutazione dei sintomi non-motori e un loro monitoraggio nel follow up clinico, allo scopo di ottimizzare i risultati e ridurre i rischi di complicazioni.