987 resultados para Carlos VI , Emperador del Sacro Imperio Romano Germánico, 1685-1740


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El Volcán Arenal es un joven estratovolcán (7ka) localizado en el noroeste de Costa Rica. Inicio su presente ciclo eruptivo el 29 de Julio de 1968 con una gran explosión lateral que mató alrededor de 90 personas. En el momento inicial de la erupción los alrededores del volcán estaban ocupados principalmente por fincas ganaderas. Hoy día, 40 años después de constante actividad volcánica las tierras dedicadas a la ganadería en los alrededores del volcán han retrocedido como principal actividad económica para dar paso a la creciente infraestructura turística. La población de La Fortuna, la ciudad más cercana al volcán (5 km) ha crecido aceleradamente como producto del desarrollo del turismo y la cercanía al volcán. Considerando los peligros volcánicos presentes, las tendencias de crecimiento de la población, y la extensión de la actividad turística, se propone una zonificación de los usos del suelo en La Fortuna de San Carlos y alrededores del Volcán Arenal. El estudio de percepción del riesgo en la población fue implementado en La Fortuna y alrededores con posee una población de aproximadamente 12000 personas. La población fue dividida en dos segmentos para el análisis. Lo primero fue una muestra (N=32) de la población directamente involucrada en la actividad turística (dueños de hotel, empleados, dueños de restaurante, operadora de tour, etc). La segunda (N=40) fue una muestra de la población residente en la ciudad de La Fortuna y alrededores, relacionados o no con las actividades turísticas. Se diseño una entrevista para cada segmento investigado. Así se investigó la percepción del riesgo de la población directamente beneficiada por el turismo atreves de la actividad volcánica y la población residente. El Volcán Arenal es visto de dos formas diferentes por la población que vive en la zona de La Fortuna. Por un lado, la población que vive directamente de la actividad turística, mencionan que el volcán es la razón del acelerado crecimiento económico en el lugar durante la última década. Además, para este grupo el Arenal es la fuente de cientos de empleos y la fuerza que ha transformado a La Fortuna de un poblado rural a una prospera ciudad con una inusual oferta de servicios para los turistas y residentes. Por otra parte, los residentes que no dependen directamente de la actividad turística creen que el volcán es el más importante peligro natural en la zona, sin embargo han aprendido a convivir con él.

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I viaggi e gli studi compiuti in Croazia, Montenegro e Bosnia Erzegovina in occasione della Tesi di Laurea hanno costituito l’occasione per comprendere quanto sia consistente il retaggio di Roma antica sulla sponda orientale dell’Adriatico. Nello stesso tempo si è potuto constatare che, per diversi motivi, dal punto di vista prettamente scientifico, la ricchezza di questo patrimonio archeologico aveva sino allora trovato soltanto poche occasioni di studio. Da qui la necessità di provvedere a un quadro completo e generale relativo alla presenza romana in un territorio come quello della provincia romana di Dalmatia che, pur considerando la sua molteplicità geografica, etnica, economica, culturale, sociale e politica, ha trovato, grazie all’intervento di Roma, una sua dimensione unitaria, un comune denominatore, tanto da farne una provincia che ebbe un ruolo fondamentale nella storia dell’Impero. Il lavoro prende le mosse da una considerazione preliminare e generale, che ne costituisce quasi lo spunto metodologico più determinante: la trasmissione della cultura e dei modelli di vita da parte di Roma alle altre popolazioni ha creato un modello in virtù del quale l’imperialismo romano si è in certo modo adattato alle diverse culture incontrate ed assimilate, dando vita ad una rete di culture unite da elementi comuni, ma anche profondamente diversificate per sintesi originali. Quella che pare essere la chiave di lettura impiegata è la struttura di un impero a forma di “rete” con forti elementi di coesione, ma allo stesso tempo dotato di ampi margini di autonomia. E questo a cominciare dall’analisi dei fattori che aprirono il cammino dell’afflusso romano in Dalmatia e nello stesso tempo permisero i contatti con il territorio italico. La ricerca ne analizza quindi i fattori:il diretto controllo militare, la costruzione di una rete viaria, l’estensione della cittadinanza romana, lo sviluppo della vita locale attraverso la formazione di una rete di municipi, i contatti economici e l’immigrazione di genti romanizzate. L’analisi ha posto in evidenza una provincia caratterizzata da notevoli contraddizioni, che ne condizionarono – presso entrambi i versanti del Velebit e delle Alpi Dinariche – lo sviluppo economico, sociale, culturale e urbanistico. Le profonde differenze strutturali tra questi due territori rimasero sempre presenti: la zona costiera divenne, sotto tutti i punti di vista, una sorta di continuazione dell’Italia, mntre quella continentale non progredì di pari passo. Eppure l’influenza romana si diffuse anche in questa, così che essa si pote conformare, in una certa misura, alla zona litoranea. Come si può dedurre dal fatto che il severo controllo militare divenne superfluo e che anche questa regione fu dotata progressivamente di centri amministrati da un gruppo dirigente compiutamente integrato nella cultura romana. Oltre all’analisi di tutto ciò che rientra nel processo di acculturazione dei nuovi territori, l’obiettivo principale del lavoro è l’analisi di uno degli elementi più importanti che la dominazione romana apportò nei territori conquistati, ovvero la creazione di città. In questo ambito relativamente periferico dell’Impero, qual è il territorio della provincia romana della Dalmatia, è stato dunque possibile analizzare le modalità di creazione di nuovi centri e di adattamento, da parte di Roma, ai caratteri locali dell’insediamento, nonché ai condizionamenti ambientali, evidenziando analogie e differenze tra le città fondate. Prima dell’avvento di Roma, nessuna delle regioni entrate a far parte dei territori della Dalmatia romana, con la sola eccezione della Liburnia, diede origine a centri di vero e proprio potere politico-economico, come ad esempio le città greche del Mediterraneo orientale, tali da continuare un loro sviluppo all’interno della provincia romana. In altri termini: non si hanno testimonianze di insediamenti autoctoni importanti che si siano trasformati in città sul modello dei centri provinciali romani, senza aver subito cambiamenti radicali quali una nuova pianificazione urbana o una riorganizzazione del modello di vita locale. Questo non significa che la struttura politico-sociale delle diverse tribù sia stata cambiata in modo drastico: almeno nelle modeste “città” autoctone, nelle quali le famiglie appaiono con la cittadinanza romana, assieme agli ordinamenti del diritto municipale, esse semplicemente continuarono ad avere il ruolo che i loro antenati mantennero per generazioni all’interno della propria comunità, prima della conquista romana. Il lavoro mette compiutamente in luce come lo sviluppo delle città nella provincia abbia risentito fortemente dello scarso progresso politico, sociale ed economico che conobbero le tribù e le popolazioni durante la fase pre-romana. La colonizzazione greca, troppo modesta, non riuscì a far compiere quel salto qualitativo ai centri autoctoni, che rimasero sostanzialmente privi di concetti basilari di urbanistica, anche se è possibile notare, almeno nei centri costieri, l’adozione di tecniche evolute, ad esempio nella costruzione delle mura. In conclusione questo lavoro chiarisce analiticamente, con la raccolta di un’infinità di dati (archeologici e topografici, materiali ed epigrafici, e desunti dalle fonti storiche), come la formazione della città e l’urbanizzazione della sponda orientale dell’adriatico sia un fenomeno prettamente romano, pur differenziato, nelle sue dinamiche storiche, quasi caso per caso. I dati offerti dalla topografia delle città della Dalmatia, malgrado la scarsità di esempi ben documentati, sembrano confermare il principio della regolarità degli impianti urbani. Una griglia ortogonale severamente applicata la si individua innanzi tutto nelle città pianificate di Iader, Aequum e, probabilmente, anche a Salona. In primis nelle colonie, quindi, ma non esclusivamente. Anche numerosi municipi sviluppatisi da insediamenti di origine autoctona hanno espresso molto presto la tendenza allo sviluppo di un sistema ortogonale regolare, se non in tutta l’area urbana, almeno nei settori di più possibile applicazione. Ne sono un esempio Aenona, Arba, Argiruntum, Doclea, Narona ed altri. La mancanza di un’organizzazione spaziale regolare non ha tuttavia compromesso l’omogeneità di un’attrezzatura urbana tesa alla normalizzazione, in cui i componenti più importanti, forum e suoi annessi, complessi termali, templi dinastici e capitolia, si avviano a diventare canonici. Le differenze più sensibili, che pure non mancano, sembrano dipendere dalle abitudini delle diverse etnie, dai condizionamenti topografici e dalla disponibilità finanziaria dei notabili. Una città romana non può prendere corpo in tutta la sua pienezza solo per la volontà del potere centrale. Un progetto urbanistico resta un fatto teorico finché non si realizzano le condizioni per cui si fondano due fenomeni importantissimi: uno socio-culturale, che consiste nell’emergenza di una classe di notabili “fortunati” desiderosi di dare a Roma dimostrazioni di lealtà, pronti a rispondere a qualsiasi sollecitazione da parte del potere centrale e addirittura ad anticiparlo; l’altro politico-amministrativo, che riguarda il sistema instaurato da Roma, grazie al quale i suddetti notabili possono godere di un certo potere e muoversi in vista della promozione personale nell’ambito della propria città. Aiuti provenienti dagli imperatori o da governatori provinciali, per quanto consistenti, rimangono un fatto non sistematico se non imprevedibile, e rappresentano comunque un episodio circoscritto. Anche se qualche città risulta in grado di costruire pecunia publica alcuni importanti edifici del quadro monumentale, il ruolo del finanziamento pubblico resta relativamente modesto. Quando la documentazione epigrafica esiste, si rivela che sono i notabili locali i maggiori responsabili della costruzione delle opere pubbliche. Sebbene le testimonianze epigrafiche siano scarse e, per la Dalmatia non sia possibile formulare un quadro completo delle committenze che favorirono materialmente lo sviluppo architettonico ed artistico di molti complessi monumentali, tuttavia è possibile osservare e riconoscere alcuni aspetti significativi e peculiari della provincia.

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Fil: Pas, Hernán Francisco. Universidad Nacional de La Plata. Facultad de Humanidades y Ciencias de la Educación; Argentina.

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Se argumenta que la arqueología y la historia monetaria reúnen entre sí el potencial para proyectar una imagen de la economía romana muy diferente a la que sugieren los estereotipos minimalistas. Se discuten las implicancias de esta argumentación para el período tardoantiguo en particular, rechazando el catastrofismo con el que Rostovtzeff concluía su célebre historia del temprano imperio. En el imperio tardío la fortaleza de los intereses privados se mantuvo tan firme como siempre, en una economía caracterizada por la integración de los negocios públicos y privados antes que por un supuesto conflicto o antagonismo entre ambos. El imperio de Oriente conservó estas tendencias en forma pura, con niveles sostenidos de comercio y circulación monetaria hasta las décadas centrales del siglo VII. En este trabajo se argumenta que pensar en términos de ciclos económicos sería para los historiadores más razonable que la patología convencional de la "declinación", "decadencia", etc. Este patrón es notablemente evidente en la historia económica bizantina, marcada por abruptas fluctuaciones entre los siglos V y XII.

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Se argumenta que la arqueología y la historia monetaria reúnen entre sí el potencial para proyectar una imagen de la economía romana muy diferente a la que sugieren los estereotipos minimalistas. Se discuten las implicancias de esta argumentación para el período tardoantiguo en particular, rechazando el catastrofismo con el que Rostovtzeff concluía su célebre historia del temprano imperio. En el imperio tardío la fortaleza de los intereses privados se mantuvo tan firme como siempre, en una economía caracterizada por la integración de los negocios públicos y privados antes que por un supuesto conflicto o antagonismo entre ambos. El imperio de Oriente conservó estas tendencias en forma pura, con niveles sostenidos de comercio y circulación monetaria hasta las décadas centrales del siglo VII. En este trabajo se argumenta que pensar en términos de ciclos económicos sería para los historiadores más razonable que la patología convencional de la "declinación", "decadencia", etc. Este patrón es notablemente evidente en la historia económica bizantina, marcada por abruptas fluctuaciones entre los siglos V y XII.

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Se argumenta que la arqueología y la historia monetaria reúnen entre sí el potencial para proyectar una imagen de la economía romana muy diferente a la que sugieren los estereotipos minimalistas. Se discuten las implicancias de esta argumentación para el período tardoantiguo en particular, rechazando el catastrofismo con el que Rostovtzeff concluía su célebre historia del temprano imperio. En el imperio tardío la fortaleza de los intereses privados se mantuvo tan firme como siempre, en una economía caracterizada por la integración de los negocios públicos y privados antes que por un supuesto conflicto o antagonismo entre ambos. El imperio de Oriente conservó estas tendencias en forma pura, con niveles sostenidos de comercio y circulación monetaria hasta las décadas centrales del siglo VII. En este trabajo se argumenta que pensar en términos de ciclos económicos sería para los historiadores más razonable que la patología convencional de la "declinación", "decadencia", etc. Este patrón es notablemente evidente en la historia económica bizantina, marcada por abruptas fluctuaciones entre los siglos V y XII.

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La presente Tesis muestra una visión en conjunto de la evolución de la cartografía geológica en España desde sus orígenes hasta el año 1864, cuando aparecieron, de forma simultánea, los dos mapas geológicos completos de España. El estudio se divide en doce capítulos. El primero es una introducción, con los objetivos y metodología del trabajo, así como en los antecedentes de estos trabajos. El segundo capítulo aborda la representación temprana del paisaje y de los elementos geológicos, desde las piedras grabadas de Abauntz, de hace 13.000 años, que se han interpretado como un mapa geomorfológico y de recursos naturales o el mapa con el volcán Çatalhöyuc en Turquía de 6.600 a.C., hasta las primeras representaciones cartográficas que surgieron con el desarrollo de las primigenias sociedades urbanas. El Papiro de Turín es un mapa del 1.150 a.C. con contenido geológico real que muestra con precisión la distribución geográfica de los distintos tipos de roca en la que se incluye información sobre minería. El tercer capítulo trata sobre cómo se establecieron las bases para la representación científica de la superficie terrestre en el Mundo clásico. Se hace un somero repaso a como se desarrollaron sus concepciones filosóficas sobre la naturaleza y de la cartografía en la Antigua Grecia y el Imperio Romano. En el cuarto capítulo se sintetiza la evolución de los conceptos cartográficos en el mundo medieval, desde las interpretaciones teológicas del mundo en los mapamundis en O-T de Las Etimologías del siglo VIII, o los Beatos, al nacimiento de una representación cartográfica verdaderamente científica en los siglos XIII y XIV, como son los portulanos, destacando el especial interés de la "Escuela Mallorquina". En el quinto capítulo se estudia el Renacimiento y la Edad Moderna, incidiendo en la importancia de la cartografía en los viajes de los descubrimientos, que marcan el mayor avance conceptual en la comprensión de la Tierra. La carta de Juan de la Cosa (1500) es la primera representación de América y además es el primer exponente de la cartografía producida por la Casa de la Contratación de Sevilla. Se presta especial atención a la representación de fenómenos volcánicos, con el ejemplo de las observaciones geológicas que realizó Gonzalo Fernández de Oviedo (1478-1557), en las que se encuentran varios croquis sobre los volcanes de Nicaragua. Finalmente, se estudian las representaciones del subsuelo en la minería, que en esa época inauguraron un nuevo lenguaje pictórico, y las técnicas y saberes mineros en el ámbito hispanoamericano. El capítulo sexto es muy amplio, estudia el contexto científico internacional donde nacieron los primeros mapas geológicos, desde los primeros cortes geológicos realizados a principios del siglo XVIII, hasta el primer mapa geológico del mundo de Amí Boué (1843). En este estudio se estudian también los distintos avances científicos que se fueron produciendo y que permitieron que se levantaran los mapas geológicos. Se analiza la importancia del desarrollo de la cartografía topográfica, que permitió que se pudieran representar distintos elementos geológicos sobre ellos, dando lugar a los primeros mapas temáticos, como por ejemplo, el mapa de los recursos mineros del obispado de Salzburgo (1716). Se dedica un amplio capítulo a la influencia de la Academia de Minas de Freiberg, dónde Abraham G. Werner (1749-1817) impartía clases. Werner sistematizó los materiales geológicos que componen el edificio terrestre dividiéndolo en grandes unidades, de este modo se sentaron las bases que propiciaron la representación cartográfica. A partir de este momento se levantaron un buen número de mapas geognósticos. A principios del siglo XIX, las teorías de Werner empezaron a perder aceptación internacional, incluso entre sus discípulos, como Leopold von Buch (1774-1853) que desarrolló una teoría sobre el levantamiento de las montañas a partir del empuje causado por intrusiones ígneas. Desde la historiografía de la cartografía geológica, se considera un hito la aparición del mapa geológico de Inglaterra, Gales y Escocia, Smith (1815), sin embargo, desde el punto de vista conceptual, el mapa de Cuvier y Brogniart (1808) representa un verdadero mapa geológico con un claro relato histórico. Después se repasan las distintas ideas sobre los mecanismos orogénicos, en especial las de Élie de Beaumont, que ejercieron una gran influencia entre los geólogos de nuestro país. A continuación se trata la figura de Lyell y el desarrollo del actualismo. Finalmente se analiza el primer mapa geológico del mundo, obra de Boué (1843). El capítulo séptimo trata sobre las primeras representaciones gráficas de la Geología española que tuvieron lugar en la época del Reformismo Borbónico. Se empieza con un repaso al estado de la Geología en España en esa época a la que sigue un estudio de los principales hitos en la representación cartográfica con indicaciones geológicas. De este modo se analizan los escasos planos mineros realizados en América que representen los filones, los cortes mineros de Guadalcanal y Cazalla de Hoppensack, (1796) y la utilización de la cartografía en la remediación de los desastres naturales. Los cortes geológicos de Teruel al Collado de la Plata, Herrgen y Thalacker (1800), suponen la primera descripción moderna de un terreno que se realizó en España. A continuación, se menciona la importancia de las cartografías geognósticas, financiadas por la Corona española, realizadas en los Alpes por Carlos de Gimbernat a principios del siglo XIX. Por último, se estudian los caracteres geológicos de los planos para la investigación del carbón en Mallorca, de Taverns (1811). El capítulo octavo constituye el núcleo principal de la presente tesis, y se ha titulado la Época Histórica de la Geología española, en el que se estudian el desarrollo de la cartografía geológica en nuestro país, en el periodo comprendido entre la promulgación de la Ley de Minas de 1825, hasta la constitución de la Carta Geológica de Madrid y General del Reino, en 1849. Se hace primero un repaso a las circunstancias políticas del país, a continuación se sintetiza el estado de la Geología en España en dicho periodo, las instituciones, y las publicaciones. Después se estudia la contribución de los autores extranjeros al conocimiento de la Geología en España, como Charpentier, que en su mapa de los Pirineos está cartografiando parte del territorio español, o Leopold von Buch, Lyell, Silvertop, Cook, Haussmann, entre otros. A continuación se estudia ya la cartografía de distintas cuencas mineras o regiones de España. Se analizan los mapas por separado, estudiando las memorias que las acompañan y la biografía de sus autores. Se empieza por las tempranas contribuciones con estudios de las cuencas carboníferas en los que ya se encuentran cortes geológicos formales. Se incide con mucho mayor detalle en el análisis de las tres cartografías geológicas que aparecieron simultáneamente hacia 1834: las de La Mármora en Baleares, de Le Play en Extremadura y de Schulz en Galicia, tres productos muy distintos, pero que fueron los pilares fundantes de esta disciplina en España. Por una parte, la primera tiene un interés exclusivamente científico, mientras que las otras dos, se enmarcan en un proyecto de cartografía geológica nacional, de un carácter más aplicado. A continuación se aborda el estudio del conjunto de cartografías que van apareciendo sobre la Geología de España, empezando por la de Naranjo (1841) en Burgos, de Collette (1848) en Vizcaya, de Prado (1848) en el Noreste de León; Rodríguez (1849) en Teruel y de Luxan (1850) en el Suroeste de España. La última parte del capítulo analiza dos cartografías (todavía parciales) del conjunto del país, que aparecieron en Alemania hacia 1850: la de Ezquerra (1851) y la de Willkomm (1852). El capítulo noveno trata sobre la institucionalización de la cartografía geológica en España, que se inicia con la fundación de una comisión, en 1849, para levantar el mapa geológico del Reino. Durante este periodo, de todas formas, la Comisión sufrió diversos avatares, aunque, en resumen se puede considerar que se produjeron tres proyectos de cartografía: el primero es la serie de cartografías geológicas provinciales a escala 1:400.000, que se iniciaron con la de Madrid; el segundo son los estudios de cuencas carboníferas, gracias a los cuales se levantaron mapas geológicos en Sant Joan de les Abadeses, Maestre, (1855) y el Norte de la provincia de Palencia, Prado (1861), el tercero y último es el mapa geológico general de España, Maestre (1865). De todas formas, en este periodo también aparecieron cartografías geológicas realizadas por la Dirección General de Minas. El hito cartográfico final de esta tesis es doble, entre 1864 y 1865, se publicaron, por fin, dos mapas geológico completos de España: el de Verneuil y Collomb (1864) y el de Maestre (1865). Finalmente, en el décimo y último capítulo se analizan en conjunto todas las producciones cartográficas que se han ido estudiando a lo largo del trabajo y se exponen, a modo de conclusiones, las principales aportaciones de esta Tesis.

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Tesis de la Universidad Central (Madrid), Facultad de Derecho, leída el 26-06-1862.

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Quintus Curtius found in his sources a speech where a Scythian censured Alexander, followed by the King’s reply. Curtius drastically abridged this second discourse in order to highlight the criticism of the Macedonian. The Scythian’s words have a striking rhetorical language and some allusions taken from Greek literature, in addition to possible indirect references to Caligula. Curtius declares that he follows his source word-for-word aiming to justify these inconsistencies, but also trying to hide the manipulations he has done to achieve his own narrative purposes.

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El culto a la diosa Isis, de origen egipcio aunque helenizado a partir del dominio macedónico, se expande por el mundo grecorromano hasta abarcar un espacio geográfico muy amplio, como nunca antes había conocido. Los testimonios literarios que se refieren a él en época altoimperial son abundantes y de distinta naturaleza, desde descripciones precisas de elementos clave hasta escritos hostiles por parte de autores cristianos con una intencionalidad muy clara. El análisis pormenorizado de estos textos se antoja necesario si se quiere llegar a conocer el estado en el que se encuentra el culto isíaco en un período como el Alto Imperio.