945 resultados para riqualificazione energetica, prestazioni energetiche,efficienza energetica degli edifici


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Negli ultimi decenni, in varie parti del Mondo cosi come in Italia, si è assistito a un rapido aumento di strutture abitative, fabbricati ad uso industriale, residenziale e rurale. La continua sottrazione di terreno per tali scopi ha portato a un aumento di tutta una serie di problematiche ambientali. Con la diminuzione delle aree verdi si è andati incontro a una diminuzione della trattenuta idrica del terreno, all'aumento della velocità di scolo dell'acqua e del tempo di corrivazione con conseguenze sempre più drammatiche per le aree urbanizzate nei periodi di forti piogge. Inoltre, c'è da ricordare, che una diminuzione delle aree a verde comporta, oltre al cambiamento a livello paesaggistico, anche una diminuzione della capacità delle piante di trattenere le polveri inquinanti e di produrre ossigeno. Tutti questi fattori hanno portato allo studio di soluzioni tecnologiche che potessero unire i bisogni di verde della collettività con la necessità di una gestione sostenibile delle acque meteoriche. Tra esse, una che sta trovando notevole applicazione è la creazione di aree verdi sulla copertura degli edifici. Secondo le loro caratteristiche, queste aree verdi sono denominate tetti verdi e/o giardini pensili. La struttura si compone di strati di coltivazione e drenaggio con diversa profondità e una copertura vegetale. La vegetazione utilizzata può andare da specie con bassissime richieste manutentive (tipo estensivo) ad altre con maggiori necessità (tipo intensivo), come i tappeti erbosi. Lo scopo di questa tesi è stato quello di approntare una sperimentazione sul nuovo tetto verde realizzato presso la sede di Ingegneria, via Terracini 28, volta a stimare i costi economici e ambientali sostenuti per la realizzazione dello stesso, per poi confrontarli con i benefici ambientali legati al risparmio idrico ed energetico su scala edificio e urbana. Per la stima dei costi ambientali dei materiali utilizzati, dalla nascita al fine vita, si è utilizzato il metodo LCA- Life Cycle Assessment- e il software Sima Pro

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Comprensione delle formulazioni analitiche e dei metodi tradizionali per il calcolo puntuale dello Sky View Factor (SVF), un parametro adimensionale in grado di esprimere con un singolo valore l’influenza dei fattori morfologici sulla porzione di volta celeste visibile da un punto. Valutazione delle performance dei software di mappatura dello SVF in area urbana al variare di tipologia e qualità del dato di input e dei parametri utilizzati. Al fine di studiare degli aspetti algoritmici dei modelli esistenti, è stato sviluppato uno script in linguaggio MATLAB per apportare miglioramenti alle tecniche esaminate.

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Per Viollet-le-Duc lo “stile” «è la manifestazione di un ideale fondato su un principio» dove per principio si intende il principio d’ordine della struttura, quest’ultimo deve rispondere direttamente alla Legge dell’”unità” che deve essere sempre rispettata nell’ideazione dell’opera architettonica. A partire da questo nodo centrale del pensiero viollettiano, la presente ricerca si è posta come obiettivo quello dell’esplorazione dei legami fra teoria e prassi nell’opera di Viollet-le-Duc, nei quali lo “stile” ricorre come un "fil rouge" costante, presentandosi come una possibile inedita chiave di lettura di questa figura protagonista della storia del restauro e dell’architettura dell’Ottocento. Il lavoro di ricerca si é dunque concentrato su una nuova lettura dei documenti sia editi che inediti, oltre che su un’accurata ricognizione bibliografica e documentaria, e sullo studio diretto delle architetture. La ricerca archivistica si é dedicata in particolare sull’analisi sistematica dei disegni originali di progetto e delle relazioni tecniche delle opere di Viollet-le- Duc. A partire da questa prima ricognizione, sono stati selezionati due casi- studio ritenuti particolarmente significativi nell’ambito della tematica scelta: il progetto di restauro della chiesa della Madeleine a Vézelay (1840-1859) e il progetto della Maison Milon in rue Douai a Parigi (1857-1860). Attraverso il parallelo lavoro di analisi dei casi-studio e degli scritti di Viollet- le-Duc, si è cercato di verificare le possibili corrispondenze tra teoria e prassi operativa: confrontando i progetti sia con le opere teoriche, sia con la concreta testimonianza degli edifici realizzati.

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Il sisma che ha colpito l’Emilia nel maggio 2012 è stato il punto di partenza per ripensare la campagna di Motta di Cavezzo. Questa necessità è nata dall’abbandono delle campagne emiliane da parte dei propri abitanti a causa della paura e dei crolli. In seguito al drammatico evento, il paesaggio è rimasto gravemente danneggiato, perdendo una buona parte degli edifici tipici della tradizione costruttiva locale, come case coloniche, stalle, fienili e ville di campagna. L’intervento progettuale mira a riportare l’attenzione sulla campagna ed a rivitalizzarla attraverso l’inserimento di un’attività produttiva (la cantina vinicola), un’attività commerciale (un mercato dei prodotti tipici) e funzioni rivolte alla conoscenza del territorio, rispettando sempre la tradizione costruttiva e tipologica locale. Attraverso interventi puntuali e non troppo invasivi, sono state ricongiunte tra loro le preesistenze storiche, ovvero la Chiesa di Santa Maria ad Nives e Villa Molza e allo stesso tempo sono state messe a sistema con il fiume Secchia e con il paesaggio circostante. Si è andato così a sviluppare quello che può essere un esempio tipo di intervento per un’area di campagna.

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Questa tesi di laurea curriculare si propone come una lettura critica del percorso personale formativo universitario, attraverso l’analisi di tre specifiche e diverse esperienze progettuali, che hanno affrontato con varie accezioni il tema del “Riciclaggio” in architettura. Perché questa ricerca? Il riuso e la rivitalizzazione di materiali, edifici e intere parti di città si pone in stretta connessione con i principi di sviluppo sostenibile, perché concretizza un approccio conservativo di risorse, materiali o ambientali che hanno concluso un loro ciclo di vita; questi devono essere reinventati per essere re-immessei in un nuovo ciclo, producendo nuovo valore e vantaggi importanti in termini di risparmio e sostenibilità per la collettività. La notevole quantità di edifici e aree costruite non utilizzate presenti sul nostro territorio, insieme all’avanzamento della cultura del riciclo e delle tecnologie di recupero, impongono ad un architetto di ripensare un futuro per edifici e porzioni di città che hanno esaurito una fase del loro ciclo di vita, trovando un punto di equilibrio fra conservazione della memoria, adeguamento delle funzioni e innovazione delle tecniche. Oggi tutti i processi di produzione, tra cui quello dell’edilizia, sono tenuti al rispetto di norme e disposizioni per la riduzione dell’impatto ambientale, il risparmio e il recupero delle risorse: per questo i progettisti che nella scena mondiale hanno affrontato nelle loro opere la pratica del riciclo e del riuso si pongono come importanti riferimenti. La prima parte della tesi si compone di tre capitoli: nel primo viene introdotto il tema del consumo delle risorse. A questo proposito il riciclaggio di risorse, che in passato è stato considerato solo un modo per attenuare gli effetti negativi indotti dal nostro modello di sviluppo consumistico, oggi si presenta come un’opportunità di riflessione per molte attività di progettazione di oggetti, da quelli di consumo alle architetture, impegnate nella ricerca di soluzioni più sostenibili; nel secondo capitolo viene delineato il concetto di riciclo delle risorse come risposta allo sviluppo incontrollato e alla insostenibilità dello stile di vita indotto da un modello economico basato sulla pratica “usa e getta”. Nel terzo capitolo verrà esaminato il concetto di riciclo a varie scale d’intervento, dal riuso e riordino del territorio e della città, al riciclo degli edifici fino al riciclaggio di materiale. Saranno presentati alcuni casi studio significativi nel panorama mondiale. Nella seconda parte la tesi si propone una lettura critica di tre progetti realizzati durante la carriera universitaria, tutti caratterizzati dalla necessità di rapportarsi con importanti preesistenze, mediante strategie di rivitalizzazione dell’edificio o della porzione di città interessata dal progetto.

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Tra il V ed il VI secolo, la città di Ravenna, per tre volte capitale, emerge fra i più significativi centri dell’impero, fungendo da cerniera tra Oriente e Occidente, soprattutto grazie ai mosaici parietali degli edifici di culto, perfettamente inseriti in una koinè culturale e artistica che ha come comune denominatore il Mar Mediterraneo, nel contesto di parallele vicende storiche e politiche. Rispetto ai ben noti e splendidi mosaici ravennati, che insieme costituiscono senza dubbio un unicum nel panorama artistico dell’età tardoantica e altomedievale, nelle decorazioni musive parietali dei coevi edifici di culto dei diversi centri dell’impero d’Occidente e d’Oriente, e in particolare in quelli localizzati nelle aree costiere, si possono cogliere divergenze, ma anche simmetrie dal punto di vista iconografico, iconologico e stilistico. Sulla base della letteratura scientifica e attraverso un poliedrico esame delle superfici musive parietali, basato su una metodologia interdisciplinare, si è cercato di chiarire l’articolato quadro di relazioni culturali, ideologiche ed artistiche che hanno interessato e interessano tuttora Ravenna e i vari centri della tarda antichità, insistendo sulla pluralità, sulla complessità e sulla confluenza di diverse esperienze artistiche sui mosaici di Ravenna. A tale scopo, i dati archeologici e artistici sono stati integrati con quelli storici, agiografici ed epigrafici, con opportuni collegamenti all’architettura, alla scultura, alle arti decorative e alle miniature, a testimonianza dell’unità di intenti di differenti media artistici, orientati, pur nella diversità, verso le medesime finalità dogmatiche, politiche e celebrative. Si tratta dunque di uno studio di revisione e di sintesi sui mosaici parietali mediterranei di V e VI secolo, allo scopo di aggiungere un nuovo tassello alla già pur vasta letteratura dedicata all’argomento.

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La tesi rappresenta un intervento architettonico e urbano sull’area destinata al “Central Park”, che si inserisce nel contesto del Masterplan di Jesolo di Kenzo Tange del 1997. Un’analisi delle dinamiche storiche, dello sviluppo della città balneare, dei punti di forza e delle criticità territoriali, ha portato alla definizione dell’area di progetto e delle intenzioni progettuali, sia a scala urbana, sia a scala architettonica. Il progetto si basa sulla creazione di un grande parco centrale che funga da luogo di svago e relax, ma anche da sito privilegiato per lo studio della natura del territorio. All’interno di un sistema di fasce, che scandisce l’intero intervento, è stato progettato un giardino botanico che lega tra loro i quattro edifici destinati allo studio e alla cultura: il museo di storia naturale, la biblioteca, la sala conferenze e i laboratori didattici per bambini. Le architetture sono disposte secondo un sistema lineare che crea una sequenza di spazi chiusi e aperti. La progettazione degli edifici si articola su uno punto di partenza comune, identificato nell’isolato quadrato e nel tipo a corte. Seguendo un principio di trasformazione sperimentato da Oswald Mathias Ungers, ogni architettura ha successivamente raggiunto il proprio sviluppo e le proprie caratteristiche spaziali e volumetriche.

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Obiettivo del lavoro di tesi è l’analisi della vulnerabilità delle strutture della città di Augusta, che è una delle aree campione scelte dal progetto europeo ASTARTE, riguardante fra l’altro la stima e la mitigazione del rischio da tsunami nei mari europei. Per prima cosa sono state ricercate le strutture tettoniche che possono dare origine a terremoti di grande magnitudo, e che possono causare in seguito devastanti tsunami, nella zona della Sicilia orientale. La Scarpata Maltese è risultata essere la caratteristica morfologica dominante in questa zona del Mediterraneo. Per l’analisi di vulnerabilità sono state utilizzate due diverse metodologie: il modello SCHEMA (SCenarios for Hazard-induced Emergencies MAnagement) e il modello PTVA-3 (Papathoma Tsunami Vulnerability Assessment). Il metodo SCHEMA, di tipo quantitativo, è un metodo più semplice in quanto si avvale della fotointerpretazione per assegnare ad una costruzione la classe di appartenenza in base alla sua tipologia. Poi, attraverso le matrici del danno, si assegna un livello di danno (da D0, nessun danno, a D5, collasso) in base all’altezza della colonna d’acqua. Il metodo PTVA-3, di tipo qualitativo, risulta invece essere più complicato. Infatti, per arrivare all’assegnazione dell’indice di vulnerabilità relativa (RVI), che fornisce una stima del danno subito da una data struttura, si ha bisogno di assegnare un certo numero di attributi. L’indice RVI è dato dalla somma pesata tra la vulnerabilità strutturale e la vulnerabilità dovuta all’intrusione d’acqua (percentuale di piani inondati). In conclusione si è fatto un confronto tra i due metodi, ottenendo una sovrastima del metodo PTVA-3 rispetto al metodo SCHEMA nella quantificazione del livello di danneggiamento degli edifici.

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Modellazione di un impianto fotovoltaico connesso alla rete. Simulazione con software Simulink del funzionamento dell'intero sistema fotovoltaico e confronto delle prestazioni legate all'utilizzo degli algoritmi MPPT più comuni, quali Hill Climbing e Incremental Conductance.

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Lo sviluppo di un incendio all’interno di depositi di liquidi infiammabili costituisce uno scenario particolarmente critico a causa della rilevanza delle conseguenze che ne possono scaturire. L’incendio causato dalla formazione di grandi pozze sviluppatesi a seguito di forature dei contenitori e il rapido coinvolgimento di tutto lo stoccaggio rappresentano uno scenario di incendio tipico di queste realtà. Si ha quindi la necessità di adottare provvedimenti atti a garantire specifici obiettivi di sicurezza tramite l’introduzione di misure antincendio. La prevenzione incendi, sino al 2007, era basata esclusivamente su norme di tipo prescrittivo, in base alle quali si definivano le misure di sicurezza secondo un criterio qualitativo. Successivamente l’ingegneria antincendio si è sempre più caratterizzata da approcci basati su analisi di tipo prestazionale, in grado di dimostrare il raggiungimento dell’obiettivo di sicurezza sulla base del comportamento reale d’incendio ottenuto mediante un’accurata simulazione del fuoco che ragionevolmente può prodursi nell'attività. La modellazione degli incendi è divenuta possibile grazie allo sviluppo di codici di fluidodinamica computazionale (CFD), in grado di descrivere accuratamente l’evoluzione delle fiamme. Il presente studio si inserisce proprio nell’ambito della modellazione CFD degli incendi, eseguita mediante il software Fire Dynamics Simulator (FDS). L’obiettivo dell’elaborato è studiare l’azione dell’impianto di spegnimento a schiuma sullo sviluppo di un incendio di pozza in un deposito di liquidi infiammabili, in termini di riduzione della potenza termica rilasciata dal fuoco, al fine di determinare le temperature massime raggiunte, in corrispondenza delle quali valutare il comportamento di resistenza strutturale degli edifici. Il presente lavoro è articolato in 6 capitoli. Dopo il Capitolo 1, avente carattere introduttivo, vengono richiamati nel Capitolo 2 i principali concetti della chimica e fisica degli incendi. Nel Capitolo 3 vengono esaminate le normative intese ad unificare l’approccio ingegneristico alla sicurezza antincendio. Il Capitolo 4 fornisce una dettagliata descrizione del software di calcolo, FDS - Fire Dynamics Simulator, adoperato per la modellazione dell’incendio. Nel Capitolo 5 si procede alla progettazione prestazionale che conduce alla determinazione della curva naturale d'incendio in presenza degli impianti di spegnimento automatici. Infine nel Capitolo 6 si riportano le considerazioni conclusive.

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Gli eventi sismici che hanno colpito l’Emilia Romagna nel corso del 2012, hanno mostrato come le strutture in muratura qui presenti siano particolarmente sensibili alle azioni di forze dinamiche. Questa vulnerabilità deriva principalmente dal fatto che gran parte del patrimonio edilizio italiano è stato realizzato prima dell’introduzione di apposite normative antisismiche e, in secondo luogo, dalla qualità dei materiali utilizzati e dalle tecniche “artigianali” di realizzazione. La valutazione della vulnerabilità degli edifici è pertanto un punto fondamentale per poterne stimare il livello di sicurezza in caso di terremoto. In particolare, i parametri fondamentali da studiare sono: Resistenza caratteristica a compressione (f_k): parametro importante per la stima della resistenza alla rottura in corrispondenza di variazioni delle forze verticali, per effetto di un’azione sismica; Resistenza a taglio in assenza di sforzo normale (f_vk0): valore che stima la capacità resistente della muratura quando essa è soggetta a sole azioni taglianti. Gli obbiettivi principali di questa tesi sono: Determinare i parametri medi di resistenza sopra descritti per le murature site in Emilia Romagna; Confrontare valori ottenuti mediante prove semi-distruttive e distruttive al fine di verificare la loro affidabilità.

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Lo studio compiuto in questa tesi è posto ad identificare i caratteri ricorrenti dell'architettura spontanea della Romagna toscana al fine di definire una strategia di riconquista territoriale. La zona è infatti caratterizzata da un forte abbandono, causa del degrado e perdita di tutti quei manufatti simbolo della storia e cultura particolari dell'area. Osservando i processi di mutazione dei singoli insediativi storici, una serie di nuove azioni viene identificata e, tramite queste, delineate le linee guida compositive per l'inserimento di un nuovo nucleo all'interno degli edifici rurali allo stato di rudere. Insieme a processi di associazione e mutazione, viene fornita un'analisi della relazione che questi hanno con l'assetto morfologico delle vallate, combinando un sistema modulare e ripetitivo con quello della realtà fisica. Infine è proposto un esempio progettuale, dove le dinamiche prima teorizzate vengono esposte attraverso le necessità del progetto architettonico.

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Sulla base di analisi pluviometriche, stima delle LSPP e tempi di ritorno, si è proceduto a creare le mappe di Pericolosità dell'area del Bacino del Torrente Ravone, Bologna, Quartiere Saragozza. Segue l'analisi degli edifici esposti e la loro vulnerabilità ad eventi con Tr noto, creazione di mappe di danno potenziale secondo normativa per arrivare a realizzare la carta del rischio idraulico. Si è utilizzato il Modello INSYDE per i calcoli.

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1944/1945 wurde in Cham-Hagendorn eine Wassermühle ausgegraben, die dank ihrer aussergewöhnlich guten Holzerhaltung seit langem einen prominenten Platz in der Forschung einnimmt. 2003 und 2004 konnte die Kantonsarchäologie Zug den Platz erneut archäologisch untersuchen. Dabei wurden nicht nur weitere Reste der Wassermühle, sondern auch Spuren älterer und jüngerer Anlagen geborgen: eine ältere und eine jüngere Schmiedewerkstatt (Horizont 1a/Horizont 3) sowie ein zweiphasiges Heiligtum (Horizonte 1a/1b). All diese Anlagen lassen sich nun in das in den neuen Grabungen erkannte stratigraphische Gerüst einhängen (s. Beil. 2). Dank der Holzerhaltung können die meisten Phasen dendrochronologisch datiert werden (s. Abb. 4.1/1a): Horizont 1a mit Schlagdaten zwischen 162(?)/173 und 200 n. Chr., Horizont 1b um 215/218 n. Chr. und Horizont 2 um 231 n. Chr. Ferner konnten in den neuen Grabungen Proben für mikromorphologische und archäobotanische Untersuchungen entnommen werden (Kap. 2.2; 3.11). In der vorliegenden Publikation werden der Befund und die Baustrukturen vorgelegt, (Kap. 2), desgleichen sämtliche stratifizierten Funde und eine umfassende Auswahl der 1944/1945 geborgenen Funde (Kap. 3). Dank anpassender Fragmente, sog. Passscherben, lassen sich diese zum Teil nachträglich in die Schichtenabfolge einbinden. Die mikromorphologischen und die archäobotanischen Untersuchungen (Kap. 2.2; 3.11) zeigen, dass der Fundplatz in römischer Zeit inmitten einer stark vom Wald und dem Fluss Lorze geprägten Landschaft lag. In unmittelbarer Nähe können weder eine Siedlung noch einzelne Wohnbauten gelegen haben. Die demnach nur gewerblich und sakral genutzten Anlagen standen an einem Bach, der vermutlich mit jenem Bach identisch ist, der noch heute das Groppenmoos entwässert und bei Cham-Hagendorn in die Lorze mündet (s. Abb. 2.4/1). Der antike Bach führte wiederholt Hochwasser ─ insgesamt sind fünf grössere Überschwemmungsphasen auszumachen (Kap. 2.2; 2.4). Wohl anlässlich eines Seehochstandes durch ein Überschwappen der Lorze in den Bach ausgelöst, müssen diese Überschwemmungen eine enorme Gewalt entwickelt haben, der die einzelnen Anlagen zum Opfer fielen. Wie die Untersuchung der Siedlungslandschaft römischer Zeit rund um den Zugersee wahrscheinlich macht (Kap. 6 mit Abb. 6.2/2), dürften die Anlagen von Cham-Hagendorn zu einer in Cham-Heiligkreuz vermuteten Villa gehören, einem von fünf grösseren Landgütern in diesem Gebiet. Hinweise auf Vorgängeranlagen fehlen, mit denen die vereinzelten Funde des 1. Jh. n. Chr. (Kap. 4.5) in Verbindung gebracht werden könnten. Diese dürften eher von einer der Überschwemmungen bachaufwärts weggerissen und nach Cham-Hagendorn eingeschwemmt worden sein. Die Nutzung des Fundplatzes (Horizont 1a; s. Beil. 6) setzte um 170 n. Chr. mit einer Schmiedewerkstatt ein (Kap. 2.5.1). Der Fundanfall, insbesondere die Schmiedeschlacken (Kap. 3.9) belegen, dass hier nur hin und wieder Geräte hergestellt und repariert wurden (Kap. 5.2). Diese Werkstatt war vermutlich schon aufgelassen und dem Verfall preisgegeben, als man 200 n. Chr. (Kap. 4.2.4) auf einer Insel zwischen dem Bach und einem Lorzearm ein Heiligtum errichtete (Kap. 5.3). Beleg für den sakralen Status dieser Insel ist in erster Linie mindestens ein eigens gepflanzter Pfirsichbaum, nachgewiesen mit Pollen, einem Holz und über 400 Pfirsichsteinen (Kap. 3.11). Die im Bach verlaufende Grenze zwischen dem sakralen Platz und der profanen Umgebung markierte man zusätzlich mit einer Pfahlreihe (Kap. 2.5.3). In diese war ein schmaler Langbau integriert (Kap. 2.5.2), der an die oft an Temenosmauern antiker Heiligtümer angebauten Portiken erinnert und wohl auch die gleiche Funktion wie diese gehabt hatte, nämlich das Aufbewahren von Weihegaben und Kultgerät (Kap. 5.3). Das reiche Fundmaterial, das sich in den Schichten der ersten Überschwemmung fand (s. Abb. 5./5), die um 205/210 n. Chr. dieses Heiligtum zerstört hatte, insbesondere die zahlreiche Keramik (Kap. 3.2.4), und die zum Teil auffallend wertvollen Kleinfunde (Kap. 3.3.3), dürften zum grössten Teil einst in diesem Langbau untergebracht gewesen sein. Ein als Glockenklöppel interpretiertes, stratifiziertes Objekt spricht dafür, dass die fünf grossen, 1944/1945 als Stapel aufgefundenen Eisenglocken vielleicht auch dem Heiligtum zuzuweisen sind (Kap. 3.4). In diesen Kontext passen zudem die überdurchschnittlich häufig kalzinierten Tierknochen (Kap. 3.10). Nach der Überschwemmung befestigte man für 215 n. Chr. (Kap. 4.2.4) das unterspülte Bachufer mit einer Uferverbauung (Kap. 2.6.1). Mit dem Bau eines weiteren, im Bach stehenden Langbaus (Kap. 2.6.2) stellte man 218 n. Chr. das Heiligtum auf der Insel in ähnlicher Form wieder her (Horizont 1b; s. Beil. 7). Von der Pfahlreihe, die wiederum die sakrale Insel von der profanen Umgebung abgrenzte, blieben indes nur wenige Pfähle erhalten. Dennoch ist der sakrale Charakter der Anlage gesichert. Ausser dem immer noch blühenden Pfirsichbaum ist es ein vor dem Langbau aufgestelltes Ensemble von mindestens 23 Terrakottafigurinen (s. Abb. 3.6/1), elf Veneres, zehn Matres, einem Jugendlichen in Kapuzenmantel und einem kindlichen Risus (Kap. 3.6; s. auch Kap. 2.6.3). In den Sedimenten der zweiten Überschwemmung, der diese Anlage um 225/230 n. Chr. zum Opfer gefallen war, fanden sich wiederum zahlreiche Keramikgefässe (Kap. 3.2.4) und zum Teil wertvolle Kleinfunde wie eine Glasperle mit Goldfolie (Kap. 3.8.2) und eine Fibel aus Silber (Kap. 3.3.3), die wohl ursprünglich im Langbau untergebracht waren (Kap. 5.3.2 mit Abb. 5/7). Weitere Funde mit sicherem oder möglichem sakralem Charakter finden sich unter den 1944/1945 geborgenen Funden (s. Abb. 5/8), etwa ein silberner Fingerring mit Merkurinschrift, ein silberner Lunula-Anhänger, eine silberne Kasserolle (Kap. 3.3.3), eine Glasflasche mit Schlangenfadenauflage (Kap. 3.8.2) und einige Bergkristalle (Kap. 3.8.4). Im Bereich der Terrakotten kamen ferner mehrere Münzen (Kap. 3.7) zum Vorschein, die vielleicht dort niedergelegt worden waren. Nach der zweiten Überschwemmung errichtete man um 231 n. Chr. am Bach eine Wassermühle (Horizont 2; Kap. 2.7; Beil. 8; Abb. 2.7/49). Ob das Heiligtum auf der Insel wieder aufgebaut oder aufgelassen wurde, muss mangels Hinweisen offen bleiben. Für den abgehobenen Zuflusskanal der Wassermühle verwendete man mehrere stehen gebliebene Pfähle der vorangegangenen Anlagen der Horizonte 1a und 1b. Obwohl die Wassermühle den 28 jährlichen Überschwemmungshorizonten (Kap. 2.2) und den Funden (Kap. 4.3.2; 4.4.4; 45) zufolge nur bis um 260 n. Chr., während gut einer Generation, bestand, musste sie mindestens zweimal erneuert werden – nachgewiesen sind drei Wasserräder, drei Mühlsteinpaare und vermutlich drei Podeste, auf denen jeweils das Mahlwerk ruhte. Grund für diese Umbauten war wohl der weiche, instabile Untergrund, der zu Verschiebungen geführt hatte, so dass das Zusammenspiel von Wellbaum bzw. Sternnabe und Übersetzungsrad nicht mehr funktionierte und das ganze System zerbrach. Die Analyse von Pollen aus dem Gehhorizont hat als Mahlgut Getreide vom Weizentyp nachgewiesen (Kap. 3.11.4). Das Abzeichen eines Benefiziariers (Kap. 3.3.2 mit Abb. 3.3/23,B71) könnte dafür sprechen, dass das verarbeitete Getreide zumindest zum Teil für das römische Militär bestimmt war (s. auch Kap. 6.2.3). Ein im Horizont 2 gefundener Schreibgriffel und weitere stili sowie eine Waage für das Wägen bis zu 35-40 kg schweren Waren aus dem Fundbestand von 1944/1945 könnten davon zeugen, dass das Getreide zu wägen und zu registrieren war (Kap. 3.4.2). Kurz nach 260 n. Chr. fiel die Wassermühle einem weiteren Hochwasser zum Opfer. Für den folgenden Horizont 3 (Beil. 9) brachte man einen Kiesboden ein und errichtete ein kleines Gebäude (Kap. 2.8). Hier war wohl wiederum eine Schmiede untergebracht, wie die zahlreichen Kalottenschlacken belegen (Kap. 3.9), die im Umfeld der kleinen Baus zum Vorschein kamen. Aufgrund der Funde (Kap. 4.4.4; 4.5) kann diese Werkstatt nur kurze Zeit bestanden haben, höchstens bis um 270 n. Chr., bevor sie einem weiteren Hochwasser zum Opfer fiel. Von der jüngsten Anlage, die wohl noch in römische Zeit datiert (Horizont 4; Beil. 10), war lediglich eine Konstruktion aus grossen Steinplatten zu fassen (Kap. 2.9.1). Wozu sie diente, muss offen bleiben. Auch der geringe Fundanfall spricht dafür, dass die Nutzung des Platzes, zumindest für die römische Zeit, allmählich ein Ende fand (Kap. 4.5). Zu den jüngsten Strukturen gehören mehrere Gruben (Kap. 2.9.2), die vielleicht der Lehmentnahme dienten. Mangels Funden bleibt ihre Datierung indes ungewiss. Insbesondere wissen wir nicht, ob sie noch in römische Zeit datieren oder jünger sind. Spätestens mit der fünften Überschwemmung, die zur endgültigen Verlandung führte und wohl schon in die frühe Neuzeit zu setzen ist, wurde der Platz aufgelassen und erst mit dem Bau der bestehenden Fensterfabrik Baumgartner wieder besetzt.

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El tema de la tesis se centra en el pensamiento de Walter Benjamin y en el concepto de percepción distraída, desarrollado en el ensayo La obra de arte en la época de su reproducibilidad técnica (1936). El título percepción dispersa deriva de una profundización de los conceptos benjaminianos en términos lingüísticos, adoptando otros significados de la palabra distracción que relacionan este concepto a cuestiones de ámbito espacial y atmosférico. Benjamin sostiene que la arquitectura, en una época en la que se desarrollan y se difunden nuevas técnicas de reproducción/ comunicación, no se puede percibir solo de manera visual sino también táctil, interrelacionando la difusión de nuevas técnicas de reproducción, la tensión entre diferentes modalidades perceptivas y la arquitectura: según él, la dispersión de la vista a favor de la percepción táctil/háptica es un rasgo característico de una sociedad en la que se desarrollan y se difunden nuevas técnicas de reproducción. La tesis profundiza en estos temas, actualizando el concepto de distracción/dispersión para valorar las repercusiones de esta intuición en el ámbito de una parte de la producción arquitectónica contemporánea: se propone una contextualización histórica y una conceptual, relativas a los proyectos recientes de algunos de los autores que profundizan en el impacto de las nuevas tecnologías en el ámbito del proyecto de arquitectura. La hipótesis que se quiere demostrar es que se está desarrollando una tendencia que lleva proyectos o edificios de alto nivel tecnológico y informático desde un ámbito de (supuesto) predominio de la percepción visual, hasta una arquitectura que proporciona experiencias multisensoriales: espacios que se pueden medir con el movimiento, los músculos y el tacto, que desarrollan un conjunto de sensaciones táctiles/hápticas y no solo visuales. Finalmente se quiere verificar si, revertiendo siglos de evolución visual, la visión táctil y cercana siga siendo uno de los polos dialécticos que estructuran la experiencia de la arquitectura, como previsto por Benjamin hace 75 años. ABSTRACT The thesis focuses on the thought of Walter Benjamin and the concept of distracted perception, developed in the essay The Work of Art in the Age of Mechanical Reproduction (1936). The title derives from a linguistic approach to this concept which further explores the meaning of the word distraction, finally relating this kind of perception to spatial and atmospheric issues. Benjamin argues that architecture, thanks to the development of new reproduction/communication technologies, cannot be perceived exclusively in a visual way but also in a tactile way, interrelating new technologies of reproduction, perceptual modalities and architecture: according to him, the dispersion of the view in favor of tactile/ haptic perception is a fundamental characteristic of a technologically developed society. The thesis explores these issues, updating the concept of distraction/dispersion to assess its implications in the works of some architects that are exploring with their buildings the impact of new communication technologies in the field of architectural design. The hypothesis at the base of this work is that we are facing a new trend in this particular field: many of the most advanced buildings provide multisensory experience, and define spaces that can be better perceived with the sense of touch (haptic sense), going beyond a mere visual perception. Finally the thesis wants to verify if, reversing centuries of visual evolution, tactile and close vision remains one of the dialectical poles that stay at the base of the experience of architecture, as foreseen by Benjamin 75 years ago. ABSTRACT La tesi si basa sul pensiero di Walter Benjamin e sul concetto di percezione distratta, sviluppato nel saggio La opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (1936). Il titolo, percezione dispersa, deriva da un approfondimento dei concetti benjaminiani in termini linguistici, adottando ulteriori significati della parola che il filosofo utilizza per indicare la distrazione e che relazionano questo termine a questioni di ambito spaziale ed atmosferico. Benjamin sostiene che l’architettura, in un’epoca nella quale si sviluppano e si diffondono nuove tecniche di riproduzione (o meglio: nuove tecnologie di comunicazione), non possa essere percepita solamente in maniera visuale, ma anche tattile, mettendo in relazione la diffusione di nuove tecnologie, la tensione tra differenti modalità percettive e l’architettura: secondo Benjamin, la dispersione della vista a favore di una ricezione tattile/aptica della realtà è una caratteristica tipica di quei momenti storici nei quali si manifestano grandi trasformazioni di ambito sociale e culturale dovute allo sviluppo di nuove tecnologie di comunicazione. La tesi approfondisce questi temi, aggiornando il concetto di distrazione/dispersione per valutarne le ripercussioni su una certa parte della produzione architettonica contemporanea: si propone una contestualizzazione storica ed una concettuale, relative ai progetti di alcuni architetti che lavorano da tempo sull’impatto delle nuove tecnologie nell’ambito del progetto di architettura. La ipotesi che si dimostra con questa tesi è che si sta sviluppando una contro-tendenza tattile, a seguito della quale molti degli edifici tecnologicamente ed informaticamente più avanzati strutturano la relazione con i propri utenti sulla base di esperienze multisensoriali, definendo spazi che possono essere percepiti attraverso una percezione aptica, piuttosto che visuale. In definitiva la tesi verifica che, superando secoli di evoluzione visuale, la visione tattile e ravvicinata e - più in generale - una percezione di tipo aptico continuano ad essere uno dei poli dialettici che strutturano l’esperienza dell’architettura, come previsto da Benjamin più di 75 anni fa.