135 resultados para relativismo


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Pós-graduação em Ciências Sociais - FFC

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Coordenação de Aperfeiçoamento de Pessoal de Nível Superior (CAPES)

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A presente pesquisa parte do pressuposto de que, no Brasil, não se segue uma teoria consistente da decisão penal. Tem por finalidade desenvolver argumentos para demonstrar que a epistemologia garantista de Luigi Ferrajoli apresenta problemas que a afastam do mundo prático e dificultam a construção de fundamentos para impor limites ao poder do juiz criminal. Embora se preocupe bastante com o relativismo interpretativo, propondo uma técnica de formalização da linguagem para reduzir os espaços de incerteza, a teoria do garantismo ainda admite uma margem insuprimível de discricionariedade (sempre pro reo). A proposta da tese é a superação desse modelo semântico de percepção do Direito por uma compreensão hermenêutica do fenômeno. A partir da hermenêutica filosófica (Hans Georg Gadamer) e da teoria do Direito como integridade (Ronald Dworkin), a pesquisa defende a hipótese de que o Direito não é fruto de descobertas (convencionalismo), tampouco de invenções (pragmatismo). Não está, pois, escrito em algum lugar do passado, também não é aquilo que os juízes pensam que ele é; o Direito é uma prática social interpretativa, é fruto da melhor argumentação moral possível. A partir da articulação de conceitos caros a Gadamer (tais como estrutura prévia da compreensão, fusão de horizontes, tradição, diálogo, experiência, finitude e linguagem) com a análise da integridade em Dworkin, a pesquisa – sem a pretensão de corrigir a epistemologia garantista, mas objetivando superar os entraves que uma teoria semântica do Direito pode causar – apresenta a hermenêutica como uma via privilegiada para o controle da decisão penal.

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Pós-graduação em Música - IA

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Pós-graduação em História - FCHS

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This paper aims to base the thesis that the varied currents of the post-modern thought, in so far as have recourse to relativism to a greater or lesser degree, contribute to the legitimation of the religious education in public schools and, in a broader aspect, the religion in the public spaces. The methodological resource used to demonstrate the link between post-modern thought and religious education is the analysis at the historical and dialectical materialism perspective of publications produced to increase teachers on this discipline that is, in compliance with the Constitution, optional for students and mandatory for public elementary schools. The subject of this analysis is the learning content and has as prime concern to highlight the discourse of legitimation recurrent in authors when it is explicit in itself and explicit when it does not. The “religious education in public schools” as object of study allows us to understand the relationship between the post-modern thought, with its hegemony space within the human sciences and contextualized in the neoliberal economic environment, and the “learning to learn” pedagogies currently hegemonic in the educational landscape. We intend to contribute to the legal debate on laity, the philosophical debate on post-modernism and especially to the debate on the pedagogical theories in the educational fundaments.

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L’ermeneutica filosofica di Hans-Georg Gadamer – indubbiamente uno dei capisaldi del pensiero novecentesco – rappresenta una filosofia molto composita, sfaccettata e articolata, per così dire formata da una molteplicità di dimensioni diverse che si intrecciano l’una con l’altra. Ciò risulta evidente già da un semplice sguardo alla composizione interna della sua opera principale, Wahrheit und Methode (1960), nella quale si presenta una teoria del comprendere che prende in esame tre differenti dimensioni dell’esperienza umana – arte, storia e linguaggio – ovviamente concepite come fondamentalmente correlate tra loro. Ma questo quadro d’insieme si complica notevolmente non appena si prendano in esame perlomeno alcuni dei numerosi contributi che Gadamer ha scritto e pubblicato prima e dopo il suo opus magnum: contributi che testimoniano l’importante presenza nel suo pensiero di altre tematiche. Di tale complessità, però, non sempre gli interpreti di Gadamer hanno tenuto pienamente conto, visto che una gran parte dei contributi esegetici sul suo pensiero risultano essenzialmente incentrati sul capolavoro del 1960 (ed in particolare sui problemi della legittimazione delle Geisteswissenschaften), dedicando invece minore attenzione agli altri percorsi che egli ha seguito e, in particolare, alla dimensione propriamente etica e politica della sua filosofia ermeneutica. Inoltre, mi sembra che non sempre si sia prestata la giusta attenzione alla fondamentale unitarietà – da non confondere con una presunta “sistematicità”, da Gadamer esplicitamente respinta – che a dispetto dell’indubbia molteplicità ed eterogeneità del pensiero gadameriano comunque vige al suo interno. La mia tesi, dunque, è che estetica e scienze umane, filosofia del linguaggio e filosofia morale, dialogo con i Greci e confronto critico col pensiero moderno, considerazioni su problematiche antropologiche e riflessioni sulla nostra attualità sociopolitica e tecnoscientifica, rappresentino le diverse dimensioni di un solo pensiero, le quali in qualche modo vengono a convergere verso un unico centro. Un centro “unificante” che, a mio avviso, va individuato in quello che potremmo chiamare il disagio della modernità. In altre parole, mi sembra cioè che tutta la riflessione filosofica di Gadamer, in fondo, scaturisca dalla presa d’atto di una situazione di crisi o disagio nella quale si troverebbero oggi il nostro mondo e la nostra civiltà. Una crisi che, data la sua profondità e complessità, si è per così dire “ramificata” in molteplici direzioni, andando ad investire svariati ambiti dell’esistenza umana. Ambiti che pertanto vengono analizzati e indagati da Gadamer con occhio critico, cercando di far emergere i principali nodi problematici e, alla luce di ciò, di avanzare proposte alternative, rimedi, “correttivi” e possibili soluzioni. A partire da una tale comprensione di fondo, la mia ricerca si articola allora in tre grandi sezioni dedicate rispettivamente alla pars destruens dell’ermeneutica gadameriana (prima e seconda sezione) ed alla sua pars costruens (terza sezione). Nella prima sezione – intitolata Una fenomenologia della modernità: i molteplici sintomi della crisi – dopo aver evidenziato come buona parte della filosofia del Novecento sia stata dominata dall’idea di una crisi in cui verserebbe attualmente la civiltà occidentale, e come anche l’ermeneutica di Gadamer possa essere fatta rientrare in questo discorso filosofico di fondo, cerco di illustrare uno per volta quelli che, agli occhi del filosofo di Verità e metodo, rappresentano i principali sintomi della crisi attuale. Tali sintomi includono: le patologie socioeconomiche del nostro mondo “amministrato” e burocratizzato; l’indiscriminata espansione planetaria dello stile di vita occidentale a danno di altre culture; la crisi dei valori e delle certezze, con la concomitante diffusione di relativismo, scetticismo e nichilismo; la crescente incapacità a relazionarsi in maniera adeguata e significativa all’arte, alla poesia e alla cultura, sempre più degradate a mero entertainment; infine, le problematiche legate alla diffusione di armi di distruzione di massa, alla concreta possibilità di una catastrofe ecologica ed alle inquietanti prospettive dischiuse da alcune recenti scoperte scientifiche (soprattutto nell’ambito della genetica). Una volta delineato il profilo generale che Gadamer fornisce della nostra epoca, nella seconda sezione – intitolata Una diagnosi del disagio della modernità: il dilagare della razionalità strumentale tecnico-scientifica – cerco di mostrare come alla base di tutti questi fenomeni egli scorga fondamentalmente un’unica radice, coincidente peraltro a suo giudizio con l’origine stessa della modernità. Ossia, la nascita della scienza moderna ed il suo intrinseco legame con la tecnica e con una specifica forma di razionalità che Gadamer – facendo evidentemente riferimento a categorie interpretative elaborate da Max Weber, Martin Heidegger e dalla Scuola di Francoforte – definisce anche «razionalità strumentale» o «pensiero calcolante». A partire da una tale visione di fondo, cerco quindi di fornire un’analisi della concezione gadameriana della tecnoscienza, evidenziando al contempo alcuni aspetti, e cioè: primo, come l’ermeneutica filosofica di Gadamer non vada interpretata come una filosofia unilateralmente antiscientifica, bensì piuttosto come una filosofia antiscientista (il che naturalmente è qualcosa di ben diverso); secondo, come la sua ricostruzione della crisi della modernità non sfoci mai in una critica “totalizzante” della ragione, né in una filosofia della storia pessimistico-negativa incentrata sull’idea di un corso ineluttabile degli eventi guidato da una razionalità “irrazionale” e contaminata dalla brama di potere e di dominio; terzo, infine, come la filosofia di Gadamer – a dispetto delle inveterate interpretazioni che sono solite scorgervi un pensiero tradizionalista, autoritario e radicalmente anti-illuminista – non intenda affatto respingere l’illuminismo scientifico moderno tout court, né rinnegarne le più importanti conquiste, ma più semplicemente “correggerne” alcune tendenze e recuperare una nozione più ampia e comprensiva di ragione, in grado di render conto anche di quegli aspetti dell’esperienza umana che, agli occhi di una razionalità “limitata” come quella scientista, non possono che apparire come meri residui di irrazionalità. Dopo aver così esaminato nelle prime due sezioni quella che possiamo definire la pars destruens della filosofia di Gadamer, nella terza ed ultima sezione – intitolata Una terapia per la crisi della modernità: la riscoperta dell’esperienza e del sapere pratico – passo quindi ad esaminare la sua pars costruens, consistente a mio giudizio in un recupero critico di quello che egli chiama «un altro tipo di sapere». Ossia, in un tentativo di riabilitazione di tutte quelle forme pre- ed extra-scientifiche di sapere e di esperienza che Gadamer considera costitutive della «dimensione ermeneutica» dell’esistenza umana. La mia analisi della concezione gadameriana del Verstehen e dell’Erfahrung – in quanto forme di un «sapere pratico (praktisches Wissen)» differente in linea di principio da quello teorico e tecnico – conduce quindi ad un’interpretazione complessiva dell’ermeneutica filosofica come vera e propria filosofia pratica. Cioè, come uno sforzo di chiarificazione filosofica di quel sapere prescientifico, intersoggettivo e “di senso comune” effettivamente vigente nella sfera della nostra Lebenswelt e della nostra esistenza pratica. Ciò, infine, conduce anche inevitabilmente ad un’accentuazione dei risvolti etico-politici dell’ermeneutica di Gadamer. In particolare, cerco di esaminare la concezione gadameriana dell’etica – tenendo conto dei suoi rapporti con le dottrine morali di Platone, Aristotele, Kant e Hegel – e di delineare alla fine un profilo della sua ermeneutica filosofica come filosofia del dialogo, della solidarietà e della libertà.

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The aim of the thesis is to investigate the topic of semantic under-determinacy, i.e. the failure of the semantic content of certain expressions to determine a truth-evaluable utterance content. In the first part of the thesis, I engage with the problem of setting apart semantic under-determinacy as opposed to other phenomena such as ambiguity, vagueness, indexicality. As I will argue, the feature that distinguishes semantic under-determinacy from these phenomena is its being explainable solely in terms of under-articulation. In the second part of the thesis, I discuss the topic of how communication is possible, despite the semantic under-determinacy of language. I discuss a number of answers that have been offered: (i) the Radical Contextualist explanation which emphasises the role of pragmatic processes in utterance comprehension; (ii) the Indexicalist explanation in terms of hidden syntactic positions; (iii) the Relativist account, which regards sentences as true or false relative to extra coordinates in the circumstances of evaluation (besides possible worlds). In the final chapter, I propose an account of the comprehension of utterances of semantically under-determined sentences in terms of conceptual constraints, i.e. ways of organising information which regulate thought and discourse on certain matters. Conceptual constraints help the hearer to work out the truth-conditions of an utterance of a semantically under-determined sentence. Their role is clearly semantic, in that they contribute to “what is said” (rather than to “what is implied”); however, they do not respond to any syntactic constraint. The view I propose therefore differs, on the one hand, from Radical Contextualism, because it stresses the role of semantic-governed processes as opposed to pragmatics-governed processes; on the other hand, it differs from Indexicalism in its not endorsing any commitment as to hidden syntactic positions; and it differs from Relativism in that it maintains a monadic notion if truth.

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En diversos ensayos sobre literatura y cultura industrial, escritos sostenidamente desde la década del 60 y recogidos en libros que desde fines de los 80 pautan su consagración en el campo literario argentino, Juan José Saer consolida una figura de autor y repone otras categorías valorativas que el auge posmoderno declaraba muertas (obra, estilo, autonomía). A partir de la tensión entre imperativos personales y determinaciones públicas, desde los inicios su ensayística sostiene agonalmente la especificidad literaria, contra los falsos compromisos sociológicos y las limitaciones exteriores a la forma estética, ampliando los embates contra el democratismo de la posmodernidad hacia fines de los 90 e inicios de la década actual. A la vez, algunos ensayos reformulan la tradición literaria argentina a partir de la postulación de su violencia de origen y de lo que Saer llama "una estricta y subjetiva privacidad del uso lingüístico" con la cual producir "figuras universales", operatoria que lee en la gauchesca y que puede tomarse como balance autorreferencial del proyecto. La "privacidad en sentido estricto", esa "intimidad con las palabras" que da aliento a la manera narrativa que Saer ha practicado durante cinco décadas, se afianza en el final del milenio como una distinción, apropiada y necesaria ante el relativismo posmoderno, que permita mantener a la literatura en su sitio, en su forma específica ajena a determinaciones externas, a salvo de los parámetros de mercado y de la opresión política y cultural

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En diversos ensayos sobre literatura y cultura industrial, escritos sostenidamente desde la década del 60 y recogidos en libros que desde fines de los 80 pautan su consagración en el campo literario argentino, Juan José Saer consolida una figura de autor y repone otras categorías valorativas que el auge posmoderno declaraba muertas (obra, estilo, autonomía). A partir de la tensión entre imperativos personales y determinaciones públicas, desde los inicios su ensayística sostiene agonalmente la especificidad literaria, contra los falsos compromisos sociológicos y las limitaciones exteriores a la forma estética, ampliando los embates contra el democratismo de la posmodernidad hacia fines de los 90 e inicios de la década actual. A la vez, algunos ensayos reformulan la tradición literaria argentina a partir de la postulación de su violencia de origen y de lo que Saer llama "una estricta y subjetiva privacidad del uso lingüístico" con la cual producir "figuras universales", operatoria que lee en la gauchesca y que puede tomarse como balance autorreferencial del proyecto. La "privacidad en sentido estricto", esa "intimidad con las palabras" que da aliento a la manera narrativa que Saer ha practicado durante cinco décadas, se afianza en el final del milenio como una distinción, apropiada y necesaria ante el relativismo posmoderno, que permita mantener a la literatura en su sitio, en su forma específica ajena a determinaciones externas, a salvo de los parámetros de mercado y de la opresión política y cultural

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En diversos ensayos sobre literatura y cultura industrial, escritos sostenidamente desde la década del 60 y recogidos en libros que desde fines de los 80 pautan su consagración en el campo literario argentino, Juan José Saer consolida una figura de autor y repone otras categorías valorativas que el auge posmoderno declaraba muertas (obra, estilo, autonomía). A partir de la tensión entre imperativos personales y determinaciones públicas, desde los inicios su ensayística sostiene agonalmente la especificidad literaria, contra los falsos compromisos sociológicos y las limitaciones exteriores a la forma estética, ampliando los embates contra el democratismo de la posmodernidad hacia fines de los 90 e inicios de la década actual. A la vez, algunos ensayos reformulan la tradición literaria argentina a partir de la postulación de su violencia de origen y de lo que Saer llama "una estricta y subjetiva privacidad del uso lingüístico" con la cual producir "figuras universales", operatoria que lee en la gauchesca y que puede tomarse como balance autorreferencial del proyecto. La "privacidad en sentido estricto", esa "intimidad con las palabras" que da aliento a la manera narrativa que Saer ha practicado durante cinco décadas, se afianza en el final del milenio como una distinción, apropiada y necesaria ante el relativismo posmoderno, que permita mantener a la literatura en su sitio, en su forma específica ajena a determinaciones externas, a salvo de los parámetros de mercado y de la opresión política y cultural

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La tesis se acerca a la cuestión del método en arquitectura focalizando su análisis principalmente en 5 obras concretas del panorama contemporáneo, tratando de desvelar las motivaciones últimas que las constituyen. El objeto y la obra arquitectónica se consideran así los elementos susceptibles de ofrecer el conocimiento material que permite desentrañar el modo y la metodología por el que éstos han sido concebidos. Con esta particular aproximación se desafían los tradicionales estudios que han comprendido al método como una sistemática universal o reglada, ya que en este caso el propósito consiste más bien en esclarecer los fundamentos y principios que subyacen a cada objeto arquitectónico más específico. Este hecho ha llevado al índice de la tesis a ordenarse según una lista de arquitectos y obras que no presentan otra particularidad que la de ser recientes y muy diferentes entre sí. Esta aparente arbitrariedad con la que las obras se eligen cobra sentido a lo largo del propio análisis y recorrido, ya que éste apuesta por recabar el suficiente contenido que diversifique y singularice cada elección, de tal modo que ya en sí, ésta obtenga rango paradigmático. El hecho de que la tesis evite los planteamientos totalitarios no quiere decir que trate de promover el relativismo de las diferentes opciones, dado que más bien pretende analizar hasta el fondo las cuestiones últimas y lo más valioso que cada opción representa. Por su parte, la conclusión de la tesis muestra una complementariedad al carácter específico de los capítulos previos, ya que ésta se atreve a avanzar con cierta voluntad conclusiva hacia la definición de los principios más sustanciales del método en arquitectura hoy. Y precisamente, una de las claves esenciales que ha mostrado la arquitectura del hoy que nos toca vivir consiste en la condición más específica de la obra arquitectónica misma por encima de cualquier connotación genérica o transcendente que ésta pueda sugerir. De tal modo que los arquitectos elegidos, por muy diferentes que aparentan ser, han tomado como punto de partida la condición objetual de la obra más allá de cualquier contenido ideal que a ésta pueda adscribírsele. En todos los casos, si bien de diferente manera, la obra arquitectónica en sí misma se ha constituido en una nueva clave en la que tratan de dirimirse las eternas dialécticas entre el objeto y su significado, entre la estructura conceptual y su connotación simbólica. De este modo, las dialécticas relativas a la unidad de la diversidad, la identidad de la multiplicidad, la síntesis que pretende la integración de lo complejo, o en su caso, la indispensable sostenibilidad de lo inconsistente, se han convertido en la temática principal de este análisis que ha comprendido al método a partir la misma paradoja por la que la arquitectura actual se ve afectada. La misma dialéctica imposible de resolver que ha conducido a la arquitectura más reciente a decantarse a favor de la consustancialidad intrínseca a la misma obra. La tesis por su parte también se ha focalizado en la obra y en el hecho arquitectónico puntual, siguiendo la tendencia de la misma arquitectura que se analizaba. Sin embargo, sus extensos análisis nos han llevado a desentrañar el sentido y la posición estratégica personal que se encuentra más allá de la exacerbación inmanente de la arquitectura de estos últimos años. Es decir, tal y como se ha insistido, el análisis de la obra nos ha llevado, a través de la pregunta por su método, al arquitecto que la ha proyectado. Y así se ha creado este triángulo trinitario, ‘Arquitecto, obra y método’, tratando de preguntarse hasta el final por la singularidad más específica del método de cada arquitecto, en el convencimiento de que método y obra se vinculan precisamente ahí, en las experiencias personales singulares que han posibilitado las mayores creaciones y más sustantivas novedades. ABSTRACT This thesis approaches the question of Method in architecture by focusing its analysis on 5 specific contemporary projects, trying to unveil their underlying constitutive motivations. Thus, architectonical object and work are considered the susceptible elements that provide the material knowledge that unravels the manner and the methodology by which they were conceived. With this particular approach, this thesis challenges other traditional studies, those that regard the Method in architecture as a regulated or universal systematic procedure. On the contrary, the purpose of this thesis is to clarify the foundations and principles that underlie each specific architectonical object. This has led to the ordering of the thesis index according to a list of architects and projects that do not present any other distinctiveness except that they are recent and very different to each other. However, this apparent arbitrariness of the choice of each architect becomes meaningful during its analytical development. This analysis attempts to seek out the content which diversifies each choice enough, and makes it singular enough, so that each selected candidate acquires paradigmatic range by itself. Therefore, the fact that the thesis avoids totalitarian approaches does not lead it to promote the relativism of different choices, but rather the thesis tries to thoroughly analyze the most valuable achievements of each option. Nonetheless, the conclusion of the thesis shows a position that complements the specific character of the previous chapters, since it dares to move forward conclusively towards the definition of the essential principles of the Method in architecture today. Indeed, the thesis shows one of the basic keys of today’s architecture, which is the specific condition of the architectural work itself above any generic or transcendental connotation. Thus, the selected architects, however different they appear to be, take the objectual condition of the work (thingness) as their starting point beyond any ideal content that might be ascribed to their architecture. Although differently, in each case the architectonical work itself has become the new indispensable key to deal with the eternal dialectics between the object and its meaning, between conceptual structure and its symbolic connotation. Thus, the dialectics between unity and diversity, the identity of multiplicity, the synthesis that aims at the integration of complexity, or even, the indispensable consistency of the unavoidable inconsistency, have all become the main themes of this analysis, an analysis that understands the issue of Method from the same paradoxical situation of today’s architecture. This is the same paradox which has led the latest architecture to align itself with the intrinsic consubstantiality of the architectonical work itself. Therefore, the thesis is also focused on the Work, on the specific architectonical fact, following the course of the same architecture that it analyses. However, extensive analyses of the thesis have led us to clarify the sense and personal strategic position that is beyond the immanent exacerbation of architecture in recent years. Therefore, as stressed throughout the text, the analysis, that has explored the Method of architectonical Work, has led us to the architect who conceived it. Thus, this trinitarian triangle, ‘Architect, Work and Method’, has been created, attempting to explore in depth the specific uniqueness of each architect’s method, convinced that Method and Work do actually connect in the singular experiences that have achieved the greatest and most substantial creations.