153 resultados para gadamer


Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

Pós-graduação em Música - IA

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

Pós-graduação em Educação - FFC

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

Pós-graduação em Educação - FFC

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

Conselho Nacional de Desenvolvimento Científico e Tecnológico (CNPq)

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

O presente estudo busca identificar as abordagens da morte no currículo de formação inicial de professores de Ensino Religioso no Pará, partindo dos pressupostos metodológicos da pesquisa qualitativa, de tradição fenomenológico-hermenêutica, aplicando a abordagem hermenêutica filosófica de Hans Georg Gadamer (1900-2002), discutida na obra Verdade e método (2011), para o qual a compreensão é um diálogo entre pergunta e resposta, cuja finalidade é estabelecer um acordo quanto ao assunto em discussão. Dessa forma, o assunto em discussão consiste em identificar essas abordagens e o diálogo é estabelecido de modo mais específico com o currículo de formação inicial desses professores. O diálogo entre o texto (currículo) e intérprete (pesquisa) permite pela linguagem identificar vários preconceitos, que segundo Gadamer são herdados da tradição. A tarefa hermenêutica, nesse aspecto, consiste em encontrar os preconceitos legítimos, sendo estes fundamentais para a compreensão. Dito isso, e a partir do estudo realizado, a ressurreição vem se mantendo como abordagem da morte predominante em relação às demais que não deixam de acontecer, haja vista a forte presença da tradição judaico-cristã católica na sociedade brasileira, servindo de base e manutenção de vários preconceitos legítimos e ilegítimos alcançando as Ciências da Religião e o Ensino Religioso, restringindo a importância de outras abordagens tanto na formação inicial quanto na prática do componente curricular, implicando no diálogo e na própria compreensão do ser que pode ser compreendido como linguagem.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

A presente pesquisa parte do pressuposto de que, no Brasil, não se segue uma teoria consistente da decisão penal. Tem por finalidade desenvolver argumentos para demonstrar que a epistemologia garantista de Luigi Ferrajoli apresenta problemas que a afastam do mundo prático e dificultam a construção de fundamentos para impor limites ao poder do juiz criminal. Embora se preocupe bastante com o relativismo interpretativo, propondo uma técnica de formalização da linguagem para reduzir os espaços de incerteza, a teoria do garantismo ainda admite uma margem insuprimível de discricionariedade (sempre pro reo). A proposta da tese é a superação desse modelo semântico de percepção do Direito por uma compreensão hermenêutica do fenômeno. A partir da hermenêutica filosófica (Hans Georg Gadamer) e da teoria do Direito como integridade (Ronald Dworkin), a pesquisa defende a hipótese de que o Direito não é fruto de descobertas (convencionalismo), tampouco de invenções (pragmatismo). Não está, pois, escrito em algum lugar do passado, também não é aquilo que os juízes pensam que ele é; o Direito é uma prática social interpretativa, é fruto da melhor argumentação moral possível. A partir da articulação de conceitos caros a Gadamer (tais como estrutura prévia da compreensão, fusão de horizontes, tradição, diálogo, experiência, finitude e linguagem) com a análise da integridade em Dworkin, a pesquisa – sem a pretensão de corrigir a epistemologia garantista, mas objetivando superar os entraves que uma teoria semântica do Direito pode causar – apresenta a hermenêutica como uma via privilegiada para o controle da decisão penal.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

Pós-graduação em Educação Matemática - IGCE

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

Il presente studio, per ciò che concerne la prima parte della ricerca, si propone di fornire un’analisi che ripercorra il pensiero teorico e la pratica critica di Louis Marin, mettendone in rilievo i caratteri salienti affinché si possa verificare se, nella loro eterogenea interdisciplinarità, non emerga un profilo unitario che consenta di ricomprenderli in un qualche paradigma estetico moderno e/o contemporaneo. Va innanzitutto rilevato che la formazione intellettuale di Marin è avvenuta nell’alveo di quel montante e pervasivo interesse che lo strutturalismo di stampo linguistico seppe suscitare nelle scienze sociali degli anni sessanta. Si è cercato, allora, prima di misurare la distanza che separa l’approccio di Marin ai testi da quello praticato dalla semiotica greimasiana, impostasi in Francia come modello dominante di quella svolta semiotica che ha interessato in quegli anni diverse discipline: dagli studi estetici all’antropologia, dalla psicanalisi alla filosofia. Si è proceduto, quindi, ad un confronto tra l’apparato concettuale elaborato dalla semiotica e alcune celebri analisi del nostro autore – tratte soprattutto da Opacité de la peinture e De la représentation. Seppure Marin non abbia mai articolato sistematicametne i principi teorici che esplicitassero la sua decisa contrapposizione al potente modello greimasiano, tuttavia le reiterate riflessioni intorno ai presupposti epistemologici del proprio modo di interpretare i testi – nonché le analisi di opere pittoriche, narrative e teoriche che ci ha lasciato in centinaia di studi – permettono di definirne una concezione estetica nettamente distinta dalla pratica semio-semantica della scuola di A. J. Greimas. Da questo confronto risulterà, piuttosto, che è il pensiero di un linguista sui generis come E. Benveniste ad avere fecondato le riflessioni di Marin il quale, d’altra parte, ha saputo rielaborare originalmente i contributi fondamentali che Benveniste diede alla costruzione della teoria dell’enunciazione linguistica. Impostando l’equazione: enunciazione linguistica=rappresentazione visiva (in senso lato), Marin diviene l’inventore del dispositivo concettuale e operativo che consentirà di analizzare l’enunciazione visiva: la superficie di rappresentazione, la cornice, lo sguardo, l’iscrizione, il gesto, lo specchio, lo schema prospettico, il trompe-l’oeil, sono solo alcune delle figure in cui Marin vede tradotto – ma in realtà immagina ex novo – quei dispositivi enunciazionali che il linguista aveva individuato alla base della parole come messa in funzione della langue. Marin ha saputo così interpretare, in modo convincente, le opere e i testi della cultura francese del XVII secolo alla quale sono dedicati buona parte dei suoi studi: dai pittori del classicismo (Poussin, Le Brun, de Champaigne, ecc.) agli eruditi della cerchia di Luigi XIV, dai filosofi (soprattutto Pascal), grammatici e logici di Port-Royal alle favole di La Fontaine e Perrault. Ma, come si evince soprattutto da testi come Opacité de la peinture, Marin risulterà anche un grande interprete del rinascimento italiano. In secondo luogo si è cercato di interpretare Le portrait du Roi, il testo forse più celebre dell’autore, sulla scorta dell’ontologia dell’immagine che Gadamer elabora nel suo Verità e metodo, non certo per praticare una riduzione acritica di due concezioni che partono da presupposti divergenti – lo strutturalismo e la critica d’arte da una parte, l’ermeneutica filosofica dall’altra – ma per rilevare che entrambi ricorrono al concetto di rappresentazione intendendolo non tanto come mimesis ma soprattutto, per usare il termine di Gadamer, come repraesentatio. Sia Gadamer che Marin concepiscono la rappresentazione non solo come sostituzione mimetica del rappresentato – cioè nella direzione univoca che dal rappresentato conduce all’immagine – ma anche come originaria duplicazione di esso, la quale conferisce al rappresentato la sua legittimazione, la sua ragione o il suo incremento d’essere. Nella rappresentazione in quanto capace di legittimare il rappresentato – di cui pure è la raffigurazione – abbiamo così rintracciato la cifra comune tra l’estetica di Marin e l’ontologia dell’immagine di Gadamer. Infine, ci è sembrato di poter ricondurre la teoria della rappresentazione di Marin all’interno del paradigma estetico elaborato da Kant nella sua terza Critica. Sebbene manchino in Marin espliciti riferimenti in tal senso, la sua teoria della rappresentazione – in quanto dire che mostra se stesso nel momento in cui dice qualcos’altro – può essere intesa come una riflessione estetica che trova nel sensibile la sua condizione trascendentale di significazione. In particolare, le riflessioni kantiane sul sentimento di sublime – a cui abbiamo dedicato una lunga disamina – ci sono sembrate chiarificatrici della dinamica a cui è sottoposta la relazione tra rappresentazione e rappresentato nella concezione di Marin. L’assolutamente grande e potente come tratti distintivi del sublime discusso da Kant, sono stati da noi considerati solo nella misura in cui ci permettevano di fare emergere la rappresentazione della grandezza e del potere assoluto del monarca (Luigi XIV) come potere conferitogli da una rappresentazione estetico-politica costruita ad arte. Ma sono piuttosto le facoltà in gioco nella nostra più comune esperienza delle grandezze, e che il sublime matematico mette esemplarmente in mostra – la valutazione estetica e l’immaginazione – ad averci fornito la chiave interpretativa per comprendere ciò che Marin ripete in più luoghi citando Pascal: una città, da lontano, è una città ma appena mi avvicino sono case, alberi, erba, insetti, ecc… Così abbiamo applicato i concetti emersi nella discussione sul sublime al rapporto tra la rappresentazione e il visibile rappresentato: rapporto che non smette, per Marin, di riconfigurarsi sempre di nuovo. Nella seconda parte della tesi, quella dedicata all’opera di Bernard Stiegler, il problema della comprensione delle immagini è stato affrontato solo dopo aver posto e discusso la tesi che la tecnica, lungi dall’essere un portato accidentale e sussidiario dell’uomo – solitamente supposto anche da chi ne riconosce la pervasività e ne coglie il cogente condizionamento – deve invece essere compresa proprio come la condizione costitutiva della sua stessa umanità. Tesi che, forse, poteva essere tematizzata in tutta la sua portata solo da un pensatore testimone delle invenzioni tecnico-tecnologiche del nostro tempo e del conseguente e radicale disorientamento a cui esse ci costringono. Per chiarire la propria concezione della tecnica, nel I volume di La technique et le temps – opera alla quale, soprattutto, sarà dedicato il nostro studio – Stiegler decide di riprendere il problema da dove lo aveva lasciato Heidegger con La questione della tecnica: se volgiamo coglierne l’essenza non è più possibile pensarla come un insieme di mezzi prodotti dalla creatività umana secondo un certi fini, cioè strumentalmente, ma come un modo di dis-velamento della verità dell’essere. Posto così il problema, e dopo aver mostrato come i sistemi tecnici tendano ad evolversi in base a tendenze loro proprie che in buona parte prescindono dall’inventività umana (qui il riferimento è ad autori come F. Gille e G. Simondon), Stiegler si impegna a riprendere e discutere i contributi di A. Leroi-Gourhan. È noto come per il paletnologo l’uomo sia cominciato dai piedi, cioè dall’assunzione della posizione eretta, la quale gli avrebbe permesso di liberare le mani prima destinate alla deambulazione e di sviluppare anatomicamente la faccia e la volta cranica quali ondizioni per l’insorgenza di quelle capacità tecniche e linguistiche che lo contraddistinguono. Dei risultati conseguiti da Leroi-Gourhan e consegnati soprattutto in Le geste et la parole, Stiegler accoglie soprattutto l’idea che l’uomo si vada definendo attraverso un processo – ancora in atto – che inizia col primo gesto di esteriorizzazione dell’esperienza umana nell’oggetto tecnico. Col che è già posta, per Stiegler, anche la prima forma di simbolizzazione e di rapporto al tempo che lo caratterizzano ancora oggi. Esteriorità e interiorità dell’uomo sono, per Stiegler, transduttive, cioè si originano ed evolvono insieme. Riprendendo, in seguito, l’anti-antropologia filosofica sviluppata da Heidegger nell’analitica esistenziale di Essere e tempo, Stiegler dimostra che, se si vuole cogliere l’effettività della condizione dell’esistenza umana, è necessaria un’analisi degli oggetti tecnici che però Heidegger relega nella sfera dell’intramondano e dunque esclude dalla temporalità autentica dell’esser-ci. Se è vero che l’uomo – o il chi, come lo chiama Stiegler per distinguerlo dal che-cosa tecnico – trova nell’essere-nel-mondo la sua prima e più fattiva possibilità d’essere, è altrettanto verò che questo mondo ereditato da altri è già strutturato tecnicamente, è già saturo della temporalità depositata nelle protesi tecniche nelle quali l’uomo si esteriorizza, e nelle quali soltanto, quindi, può trovare quelle possibilità im-proprie e condivise (perché tramandate e impersonali) a partire dalle quali poter progettare la propria individuazione nel tempo. Nel percorso di lettura che abbiamo seguito per il II e III volume de La technique et le temps, l’autore è impegnato innanzitutto in una polemica serrata con le analisi fenomenologiche che Husserl sviluppa intorno alla coscienza interna del tempo. Questa fenomenologia del tempo, prendendo ad esame un oggetto temporale – ad esempio una melodia – giunge ad opporre ricordo primario (ritenzione) e ricordo secondario (rimemorazione) sulla base dell’apporto percettivo e immaginativo della coscienza nella costituzione del fenomeno temporale. In questo modo Husserl si preclude la possibilità di cogliere il contributo che l’oggetto tecnico – ad esempio la registrazione analogica di una melodia – dà alla costituzione del flusso temporale. Anzi, Husserl esclude esplicitamente che una qualsiasi coscienza d’immagine – termine al quale Stiegler fa corrispondere quello di ricordo terziario: un testo scritto, una registrazione, un’immagine, un’opera, un qualsiasi supporto memonico trascendente la coscienza – possa rientrare nella dimensione origianaria e costitutiva di tempo. In essa può trovar posto solo la coscienza con i suo vissuti temporali percepiti, ritenuti o ricordati (rimemorati). Dopo un’attenta rilettura del testo husserliano, abbiamo seguito Stiegler passo a passo nel percorso di legittimazione dell’oggetto tecnico quale condizione costitutiva dell’esperienza temporale, mostrando come le tecniche di registrazione analogica di un oggetto temporale modifichino, in tutta evidenza, il flusso ritentivo della coscienza – che Husserl aveva supposto automatico e necessitante – e con ciò regolino, conseguente, la reciproca permeabilità tra ricordo primario e secondario. L’interpretazione tecnica di alcuni oggetti temporali – una foto, la sequenza di un film – e delle possibilità dispiegate da alcuni dispositivi tecnologici – la programmazione e la diffusione audiovisiva in diretta, l’immagine analogico-digitale – concludono questo lavoro richiamando l’attenzione sia sull’evidenza prodotta da tali esperienze – evidenza tutta tecnica e trascendente la coscienza – sia sul sapere tecnico dell’uomo quale condizione – trascendentale e fattuale al tempo stesso – per la comprensione delle immagini e di ogni oggetto temporale in generale. Prendendo dunque le mosse da una riflessione, quella di Marin, che si muove all’interno di una sostanziale antropologia filosofica preoccupata di reperire, nell’uomo, le condizioni di possibilità per la comprensione delle immagini come rappresentazioni – condizione che verrà reperità nella sensibilità o nell’aisthesis dello spettatore – il presente lavoro passerà, dunque, a considerare la riflessione tecno-logica di Stiegler trovando nelle immagini in quanto oggetti tecnici esterni all’uomo – cioè nelle protesi della sua sensibilità – le condizioni di possibilità per la comprensione del suo rapporto al tempo.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

Questa tesi ricostruisce la storia della giurisprudenza italiana che ha riguardato la legittimità o meno dell’impiego della diagnosi genetica preimpianto nell’ambito della procreazione medicalmente assistita, dall’emanazione della legge 40 del 2004 a tutt’oggi. Ed in particolare questa tesi si prefigge due obiettivi: uno, individuare ed illustrare le tipologie di argomenti utilizzati dal giurista-interprete per giudicare della legittimità o meno della pratica della diagnosi preimpianto degli embrioni prodotti, mediante le tecniche relative alla procreazione assistita; l’altro obiettivo, mostrare sia lo scontro fra i differenti argomenti, sia le ragioni per le quali prevalgono gli argomenti usati per legittimare la pratica della diagnosi preimpianto. Per raggiungere questi obiettivi, e per mostrare in maniera fenomenologica come avviene l’interpretazione giuridica in materia di diagnosi preimpianto, si è fatto principalmente riferimento alla visione che ha della detta interpretazione la prospettiva ermeneutica (concepita originariamente sul piano teoretico, quale ermeneutica filosofica, da H.G. Gadamer; divulgata ed approfondita sul piano giusfilosofico e della teoria dell’interpretazione giudica in Italia, fra gli altri, da F. Viola e G. Zaccaria). Così, in considerazione dei vari argomenti utilizzati per valutare la legittimità o meno della pratica della diagnosi preimpianto, i motivi per i quali in ultimo il giurista-interprete per giudicare ragionevolmente, deve ritenere legittima la pratica della diagnosi preimpianto sono i seguenti. I principi superiori dell’ordinamento e talune direttive giuridiche fondamentali dell’ordinamento, elaborate della giurisprudenza, le quali costituiscono la concretizzazione di detti principi e di una serie di disposizioni normative fondamentali per disciplinare il fenomeno procreativo, depongono per la legittimità della diagnosi preimpianto. Le tipologie degli argomenti impiegati per avallare la legittimità della diagnosi preimpianto attengono al tradizionale repertorio argomentativo a cui attinge il giurista, mentre la stessa cosa non si può dire per gli argomenti usati per negare la legittimità della diagnosi. Talune tipologie di argomenti utilizzate per negare la legittimità della diagnosi preimpianto costituiscono delle fallacie logiche, per esempio l’argomento del pendio scivoloso, e soprattutto le tipologie degli argomenti utilizzati per sostenere la legittimità della diagnosi preimpianto sono per lo più caratterizzate dalla ragionevolezza ed applicate per lo più opportunamente. Poi, si può osservare che: determinati argomenti, associati dal giurista-interprete ai principi i quali depongono per l’illegittimità della diagnosi preimpianto, facendo leva sulla categoria della possibilità, ed equiparando attualità e possibilità, privilegiano l’immaginazione alla realtà e portano a risultati interpretativi non razionalmente fondati; mentre gli argomenti associati dal giurista-interprete ai principi i quali depongono per la legittimità della diagnosi preimpianto, facendo leva sulla categoria della attualità, e tenendo ben distinte attualità e possibilità, privilegiano l’osservazione della realtà e portano a risultati razionalmente fondati.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

Todo saber está enraizado en una situación concreta histórico-temporal. Aquí y ahora, lugar e instante, condicionamiento histórico, condicionamiento geográfico son determinaciones básicas del saber y de la vida. El saber, sin embargo, tiene también movimiento y libertad. Libertad en la elección desde dónde partir y en la elección para la clarificación de las metas, pues el campo de lo dado inmediato es un amplio campo de múltiples singularidades y relaciones. El lugar y el tiempo donde se vivió y tuvo lugar el Primer Congreso Nacional de Filosofía de 1949, en Mendoza, Argentina, constituyeron el enclave donde una sociedad de personas condicionadas por su historia y simultáneamente libres en la elección y ejecución de sus actos lo llevaron a cabo. Determinismo y libertad conjugados en este momento de la historia argentina, nuestra historia concreta.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

La tesis analiza dos objeciones corrientes a la interpretación del problema de las reglas por el Wittgenstein de Kripke: el PROBLEMA DE LA OBJETIVIDAD DE LA REGLA, ¿puede un individuo estar acertado en contra de la opinión comunitaria consensuada?; y el PROBLEMA DE LAS RELACIONES INTERNAS entre reglas y casos, presuntamente violentada por el rol de la noción de acuerdo en la misma. La estrategia general de la tesis es examinar las vías de ataque al lenguaje privado (LP) previas a la de Kripke. El contraste con las mismas permite conceptualizar adecuadamente la propuesta de Kripke, para mostrar que las objeciones mencionadas no se le aplican. En el marco de la tesis, comprendemos por LP a cualquier tesis que sostenga que las condiciones de significatividad del lenguaje pueden ser provistas por estados mentales subjetivos, p.e. creencias, de ahí el solapamiento de la tesis del lenguaje privado con el escepticismo epistemológico y con posiciones solipsistas, y la convicción de que la refutación del LP acarrea la ruina del escepticismo epistemológico. Hay dos versiones clásicas del argumento del LP. Las versiones epistemológicas (Malcom, Fogelin son los representantes que examinamos) derivan la imposibilidad del LP de la imposibilidad de establecer la verdad/corrección de un uso en el contexto de privacidad. La crítica a estas versiones (Ayer, thomson) muestra un círculo justificatorio entre oraciones subjetivas y objetivas. Las versiones semánticas (Kenny, Canfield, Tugendhat) intentan evitar el círculo, elucidando las presuposiciones que le subyacen. Esta respuesta no es satisfactoria ya que o bien regenera el círculo en un nuevo nivel, o bien no logran derrocar al círculo de la justificación. Con Stroud identificamos el fallo común de estas estrategias en el hecho de que en su intento de derrotar al escéptico-privatista, requieren o bien una PREMISA FÁCTICA que indica que conocemos, o bien la especificación del conocimiento como una NOTA DEFINICIONAL de los criterios/condiciones de significatividad que el argumento trascendental elucida en la pregunta del escéptico. Kripke impone un cambio de rumbo en el argumento, al plantear el desafío como una forma de ESCEPTICISMO SEMÁNTICO ONTOLÓGICO, el cual ya no se basa en las limitaciones cognitivas de la privacidad, sino justamente en las presuntas ventajas que presenta. El desafío de Kripke pregunta por las razones que podemos aportar para sostener que no ha ocurrido un cambio en el uso, lo cual equivale a preguntar ¿cómo sabes que tu uso actual CORRESPONDE con tu intención/significado previo? De la imposibilidad de responder a la cuestión clave del realismo clásico (correspondencia) en el caso del significado, Kripke concluye que no puede haber condiciones de verdad para las oraciones semánticas. Esto motiva una paradoja escéptica y una SOLUCIÓN ESCÉPTICA de la paradoja en términos de condiciones de aseverabilidad. Tener en cuenta el abandono de las condiciones de verdad es la clave para responder al problema de la objetividad, mientras que la forma del desafío y el funcionamiento de la concordancia en los juicios como base de atribución, es la clave para la solución del problema de las relaciones internas.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

El tema de la tesis es la fundamentación ético discursiva propuesta por Karl-Otto Apel en el marco de su pragmática trascendental. El examen crítico de esta propuesta filosófica tiene el objetivo de reforzar los argumentos a favor de una fundamentación trascendental de la ética. Se enfrenta inicialmente a la pragmática apeliana con una serie de críticas provenientes del debate analítico sobre los "argumentos trascendentales", iniciada en los años sesenta del siglo XX. Se reconstruyen tres líneas principales: una que atañe a la forma de los argumentos trascendentales, otra a su capacidad para demostrar validez objetiva, y la otra a su capacidad para demostrar la unicidad de un esquema conceptual (iniciadas respectivamente por M. Gram, B. Stroud y S. Körner). La discusión y posterior aplicación a Apel de las críticas de este debate conduce a tres conclusiones principales. La primera es que no existen razones concluyentes en contra de realizar una reflexión trascendental sobre las condiciones de posibilidad del conocimiento válido. La segunda es que la fundamentación trascendental debe hacerse en el marco de un modelo filosófico dialógico y auto-reflexivo (diferente al asumido por los autores del debate). Precisamente, la tercera conclusión es que todo método trascendental debe ser "interno", es decir, debe asumir las condiciones que investiga. Se aborda entonces el problema de concebir un método que asuma la circularidad de la investigación y le dé un contenido concreto a la fundamentación. En lugar de la fórmula apeliana, se sostiene la conveniencia de entender la pragmática trascendental como una continuación, corregida en un sentido trascendental, de la hermenéutica iniciada por Heidegger y renovada por Gadamer. Un método interno "hermenéutico trascendental" puede describirse con los rasgos de la dialogicidad, la auto-reflexión y la crítica del sentido. El interés fundamental es, como para Apel, la reconstrucción de aquellos presupuestos que conforman la base de la ética discursiva, la cual transforma de manera comunicativa el imperativo categórico kantiano. Se discute finalmente la cuestión de cómo es posible pensar que los presupuestos argumentativos no están sometidos a cambios históricos. La respuesta apunta a señalar que la objeción de "otra razón posible" carece de argumentos sustantivos en contra de la fundamentación.