121 resultados para Musicología


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I libretti che Pascoli scrisse in forma di abbozzi e che sognò potessero calcare il palcoscenico di un teatro furono davvero un “melodramma senza musica”. In primo luogo, perché non giunsero mai ad essere vestiti di note e ad arrivare in scena; ma anche perché il tentativo di scrivere per il teatro si tinse per Pascoli di toni davvero melodrammatici, nel senso musicale di sconfitta ed annullamento, tanto da fare di quella pagina della sua vita una piccola tragedia lirica, in cui c’erano tante parole e, purtroppo, nessuna musica. Gli abbozzi dei drammi sono abbastanza numerosi; parte di essi è stata pubblicata postuma da Maria Pascoli.1 Il lavoro di pubblicazione è stato poi completato da Antonio De Lorenzi.2 Ho deciso di analizzare solo quattro di questi abbozzi, che io reputo particolarmente significativi per poter cogliere lo sviluppo del pensiero drammatico e della poetica di Pascoli. I drammi che analizzo sono Nell’Anno Mille (con il rifacimento Il ritorno del giullare), Gretchen’s Tochter (con il rifacimento La figlia di Ghita), Elena Azenor la Morta e Aasvero o Caino nel trivio o l’Ebreo Errante. La prima ragione della scelta risiede nel fatto che questi abbozzi presentano una lunghezza più consistente dell’appunto di uno scheletro di dramma registrato su un foglietto e, quindi, si può seguire attraverso di essi il percorso della vicenda, delle dinamiche dei personaggi e dei significati dell’opera. Inoltre, questi drammi mostrano cosa Pascoli intendesse comporre per sollevare le vesti del libretto d’opera e sono funzionali all’esemplificazione delle sue concezioni teoriche sulla musica e il melodramma, idee che egli aveva espresso nelle lettere ad amici e compositori. In questi quattro drammi è possibile cogliere bene le motivazioni della scelta dei soggetti, il loro significato entro la concezione melodrammatica del poeta, il sistema simbolico che soggiace alla creazione delle vicende e dei personaggi e i legami con la poetica pascoliana. Compiere un’analisi di questo tipo significa per me, innanzitutto, risalire alle concezioni melodrammatiche di Pascoli e capire esattamente cosa egli intendesse per dramma musicale e per rinnovamento dello stesso. Pascoli parla di musica e dei suoi tentativi di scrivere per il teatro lirico nelle lettere ai compositori e, sporadicamente, ad alcuni amici (Emma Corcos, Luigi Rasi, Alfredo Caselli). La ricostruzione del pensiero e dell’estetica musicale di Pascoli ha dovuto quindi legarsi a ricerche d’archivio e di materiali inediti o editi solo in parte e, nella maggioranza dei casi, in pubblicazioni locali o piuttosto datate (i primi anni del Novecento). Quindi, anche in presenza della pubblicazione di parte del materiale necessario, quest’ultimo non è certo facilmente e velocemente consultabile e molto spesso è semi sconosciuto. Le lettere di Pascoli a molti compositori sono edite solo parzialmente; spesso, dopo quei primi anni del Novecento, in cui chi le pubblicò poté vederle presso i diretti possessori, se ne sono perse le tracce. Ho cercato di ricostruire il percorso delle lettere di Pascoli a Giacomo Puccini, Riccardo Zandonai, Giovanni Zagari, Alfredo Cuscinà e Guglielmo Felice Damiani. Si tratta sempre di contatti che Pascoli tenne per motivi musicali, legati alla realizzazione dei suoi drammi. O per le perdite prodotte dalla storia (è il 1 Giovanni Pascoli, Nell’Anno Mille. Sue notizie e schemi da altri drammi, a c. di Maria Pascoli, Bologna, Zanichelli, 1924. 2 Giovanni Pascoli, Testi teatrali inediti, a c. di Antonio De Lorenzi, Ravenna, Longo, 1979. caso delle lettere di Pascoli a Zandonai, che andarono disperse durante la seconda guerra mondiale, come ha ricordato la prof.ssa Tarquinia Zandonai, figlia del compositore) o per l’impossibilità di stabilire contatti quando i possessori dei materiali sono privati e, spesso, collezionisti, questa parte delle mie ricerche è stata vana. Mi è stato possibile, però, ritrovare gli interi carteggi di Pascoli e i due Bossi, Marco Enrico e Renzo. Le lettere di Pascoli ai Bossi, di cui do notizie dettagliate nelle pagine relative ai rapporti con i compositori e all’analisi dell’Anno Mille, hanno permesso di cogliere aspetti ulteriori circa il legame forte e meditato che univa il poeta alla musica e al melodramma. Da queste riflessioni è scaturita la prima parte della tesi, Giovanni Pascoli, i musicisti e la musica. I rapporti tra Pascoli e i musicisti sono già noti grazie soprattutto agli studi di De Lorenzi. Ho sentito il bisogno di ripercorrerli e di darne un aggiornamento alla luce proprio dei nuovi materiali emersi, che, quando non sono gli inediti delle lettere di Pascoli ai Bossi, possono essere testi a stampa di scarsa diffusione e quindi poco conosciuti. Il quadro, vista la vastità numerica e la dispersione delle lettere di Pascoli, può subire naturalmente ancora molti aggiornamenti e modifiche. Quello che ho qui voluto fare è stato dare una trattazione storico-biografica, il più possibile completa ed aggiornata, che vedesse i rapporti tra Pascoli e i musicisti nella loro organica articolazione, come premessa per valutare le posizioni del poeta in campo musicale. Le lettere su cui ho lavorato rientrano tutte nel rapporto culturale e professionale di Pascoli con i musicisti e non toccano aspetti privati e puramente biografici della vita del poeta: sono legate al progetto dei drammi teatrali e, per questo, degne di interesse. A volte, nel passato, alcune di queste pagine sono state lette, soprattutto da giornalisti e non da critici letterari, come un breve aneddoto cronachistico da inserire esclusivamente nel quadro dell’insuccesso del Pascoli teatrale o come un piccolo ragguaglio cronologico, utile alla datazione dei drammi. Ricostruire i rapporti con i musicisti equivale nel presente lavoro a capire quanto tenace e meditato fu l’avvicinarsi di Pascoli al mondo del teatro d’opera, quali furono i mezzi da lui perseguiti e le proposte avanzate; sempre ho voluto e cercato di parlare in termini di materiale documentario e archivistico. Da qui il passo ad analizzare le concezioni musicali di Pascoli è stato breve, dato che queste ultime emergono proprio dalle lettere ai musicisti. L’analisi dei rapporti con i compositori e la trattazione del pensiero di Pascoli in materia di musica e melodramma hanno in comune anche il fatto di avvalersi di ricerche collaterali allo studio della letteratura italiana; ricerche che sconfinano, per forza di cose, nella filosofia, estetica e storia della musica. Non sono una musicologa e non è stata mia intenzione affrontare problematiche per le quali non sono provvista di conoscenze approfonditamente adeguate. Comprendere il panorama musicale di quegli anni e i fermenti che si agitavano nel teatro lirico, con esiti vari e contrapposti, era però imprescindibile per procedere in questo cammino. Non sono pertanto entrata negli anfratti della storia della musica e della musicologia, ma ho compiuto un volo in deltaplano sopra quella terra meravigliosa e sconfinata che è l’opera lirica tra Ottocento e Novecento. Molti consigli, per non smarrirmi in questo volo, mi sono venuti da valenti musicologi ed esperti conoscitori della materia, che ho citato nei ringraziamenti e che sempre ricordo con viva gratitudine. Utile per gli studi e fondamentale per questo mio lavoro è stato riunire tutte le dichiarazioni, da me conosciute finora, fornite da Pascoli sulla musica e il melodramma. Ne emerge quella che è la filosofia pascoliana della musica e la base teorica della scrittura dei suoi drammi. Da questo si comprende bene perché Pascoli desiderasse tanto scrivere per il teatro musicale: egli riteneva che questo fosse il genere perfetto, in cui musica e parola si compenetravano. Così, egli era convinto che la sua arte potesse parlare ed arrivare a un pubblico più vasto. Inoltre e soprattutto, egli intese dare, in questo modo, una precisa risposta a un dibattito europeo sul rinnovamento del melodramma, da lui molto sentito. La scrittura teatrale di Pascoli non è tanto un modo per trovare nuove forme espressive, quanto soprattutto un tentativo di dare il suo contributo personale a un nuovo teatro musicale, di cui, a suo dire, l’umanità aveva bisogno. Era quasi un’urgenza impellente. Le risposte che egli trovò sono in linea con svariate concezioni di quegli anni, sviluppate in particolare dalla Scapigliatura. Il fatto poi che il poeta non riuscisse a trovare un compositore disposto a rischiare fino in fondo, seguendolo nelle sue creazioni di drammi tutti interiori, con scarso peso dato all’azione, non significa che egli fosse una voce isolata o bizzarra nel contesto culturale a lui contemporaneo. Si potranno, anche in futuro, affrontare studi sugli elementi di vicinanza tra Pascoli e alcuni compositori o possibili influenze tra sue poesie e libretti d’opera, ma penso non si potrà mai prescindere da cosa egli effettivamente avesse ascoltato e avesse visto rappresentato. Il che, documenti alla mano, non è molto. Solo ciò a cui possiamo effettivamente risalire come dato certo e provato è valido per dire che Pascoli subì il fascino di questa o di quell’opera. Per questo motivo, si trova qui (al termine del secondo capitolo), per la prima volta, un elenco di quali opere siamo certi Pascoli avesse ascoltato o visto: lo studio è stato possibile grazie ai rulli di cartone perforato per il pianoforte Racca di Pascoli, alle testimonianze della sorella Maria circa le opere liriche che il poeta aveva ascoltato a teatro e alle lettere del poeta. Tutto questo è stato utile per l’interpretazione del pensiero musicale di Pascoli e dei suoi drammi. I quattro abbozzi che ho scelto di analizzare mostrano nel concreto come Pascoli pensasse di attuare la sua idea di dramma e sono quindi interpretati attraverso le sue dichiarazioni di carattere musicale. Mi sono inoltre avvalsa degli autografi dei drammi, conservati a Castelvecchio. In questi abbozzi hanno un ruolo rilevante i modelli che Pascoli stesso aveva citato nelle sue lettere ai compositori: Wagner, Dante, Debussy. Soprattutto, Nell’Anno Mille, il dramma medievale sull’ultima notte del Mille, vede la significativa presenza del dantismo pascoliano, come emerge dai lavori di esegesi della Commedia. Da questo non è immune nemmeno Aasvero o Caino nel trivio o l’Ebreo Errante, che è il compimento della figura di Asvero, già apparsa nella poesia di Pascoli e portatrice di un messaggio di rinascita sociale. I due drammi presentano anche una specifica simbologia, connessa alla figura e al ruolo del poeta. Predominano, invece, in Gretchen’s Tochter e in Elena Azenor la Morta le tematiche legate all’archetipo femminile, elemento ambiguo, materno e infero, ma sempre incaricato di tenere vivo il legame con l’aldilà e con quanto non è direttamente visibile e tangibile. Per Gretchen’s Tochter la visione pascoliana del femminile si innesta sulle fonti del dramma: il Faust di Marlowe, il Faust di Goethe e il Mefistofele di Boito. I quattro abbozzi qui analizzati sono la prova di come Pascoli volesse personificare nel teatro musicale i concetti cardine e i temi dominanti della sua poesia, che sarebbero così giunti al grande pubblico e avrebbero avuto il merito di traghettare l’opera italiana verso le novità già percorse da Wagner. Nel 1906 Pascoli aveva chiaramente compreso che i suoi drammi non sarebbero mai arrivati sulle scene. Molti studi e molti spunti poetici realizzati per gli abbozzi gli restavano inutilizzati tra le mani. Ecco, allora, che buona parte di essi veniva fatta confluire nel poema medievale, in cui si cantano la storia e la cultura italiane attraverso la celebrazione di Bologna, città in cui egli era appena rientrato come professore universitario, dopo avervi già trascorso gli anni della giovinezza da studente. Le Canzoni di Re Enzio possono quindi essere lette come il punto di approdo dell’elaborazione teatrale, come il “melodramma senza musica” che dà il titolo a questo lavoro sul pensiero e l’opera del Pascoli teatrale. Già Cesare Garboli aveva collegato il manierismo con cui sono scritte le Canzoni al teatro musicale europeo e soprattutto a Puccini. Alcuni precisi parallelismi testuali e metrici e l’uso di fonti comuni provano che il legame tra l’abbozzo dell’Anno Mille e le Canzoni di Re Enzio è realmente attivo. Le due opere sono avvicinate anche dalla presenza del sostrato dantesco, tenendo presente che Dante era per Pascoli uno dei modelli a cui guardare proprio per creare il nuovo e perfetto dramma musicale. Importantissimo, infine, è il piccolo schema di un dramma su Ruth, che egli tracciò in una lettera della fine del 1906, a Marco Enrico Bossi. La vicinanza di questo dramma e di alcuni degli episodi principali della Canzone del Paradiso è tanto forte ed evidente da rendere questo abbozzo quasi un cartone preparatorio della Canzone stessa. Il Medioevo bolognese, con il suo re prigioniero, la schiava affrancata e ancella del Sole e il giullare che sulla piazza intona la Chanson de Roland, costituisce il ritorno del dramma nella poesia e l’avvento della poesia nel dramma o, meglio, in quel continuo melodramma senza musica che fu il lungo cammino del Pascoli librettista.

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El trabajo recorre críticamente cuatro textos del musicólogo finés Eero Tarasti. Los mismos apuntan a la refundación de una nueva semiótica, la semiótica existencial que, si bien se basa en los postulados tradicionales de esa disciplina, provee una mirada más fenomenológica y antropomorfa. Se sintetizan también los aportes fundamentales de Tarasti, especialmente en relación a su aplicación en la investigación musical. Estos aportes son ejes tácitos que recorren solapadamente su obra, pero que apuntan en todos los casos a la superación de la semiótica “esclerotizada".

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A pesar de haber sido considerada tradicionalmente como la más "abstracta" y "autónoma" de todas las artes, la música participa activamente en la construcción, propagación y perpetuación de estereotipos de género y nacionalidad, condicionando nuestra percepción de lo femenino y lo masculino y nuestro sentido de pertenencia o alteridad respecto de una cultura determinada. El objeto de este trabajo es explorar esta problemática a partir del análisis de una obra en la que se articulan significativamente las construcciones de género y nacionalidad, las Tres danzas argentinas de Alberto Ginastera (1916-1983).

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Una de las problemáticas planteadas por la musicología es la limitación del análisis musical centrado sólo en las estructuras musicales. Con el presente trabajo intentamos realizar un análisis a través de una aproximación múltiple a una obra; una mirada o enfoque integral que permita llegar a un nivel de análisis más significativo, a través de la articulación de las diferentes aproximaciones. En este caso nos hemos ocupado de una obra emblemática dentro de la producción de Tito Francia, compositor mendocino en cuyo catálogo se reúnen géneros populares con géneros académicos.

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Esta tesis trata acerca de una de las músicas populares vigentes de nuestra región: la cueca cuyana. Partimos de tres ámbitos distintos, poniéndolos en diálogo; por un lado, hemos profundizado en los textos y autores que han estudiado este género musical, especialmente la perspectiva del musicólogo Carlos Vega; por otro lado, hemos trabajado con los protagonistas de esta expresión cultural, realizando entrevistas a cultores de música cuyana; y por último, hemos analizado un importante corpus de composiciones grabadas fonográficamente. Nos pareció pertinente indagar acerca de la red de construcciones ideológicas existente entorno de la cueca, tanto las implicadas en los estudios musicológicos, como las que sustentan sentidos relacionados con identidades socioculturales. Asimismo, intentamos evidenciar intereses, necesidades y propósitos de los cultores de música cuyana ¾expresión que comparte espacios y prácticas tradicionales y mediatizadas desde principios del siglo XX¾, en relación con la industria cultural, el centralismo administrativo, los espacios de legitimación y las determinaciones ideológicas, económicas y estéticas. Este complejo tramado de significaciones ancla en sonidos organizados de maneras particulares; en consecuencia, creímos oportuno también estudiar los distintos elementos que colaboran en la definición de la identidad sonora de la cueca cuyana contemporánea, considerando aspectos estructurales y performativos. Algunos de los procedimientos que hemos realizado con el objeto de describir la cueca cuyana implicaron la construcción de un aparato teórico metodológico donde articulamos los enfoques del etnomusicólogo Simha Arom con los del musicólogo Philip Tagg. Por otro lado, la Semiótica de la Cultura de Iuri Lotman aparece como marco en el tratamiento de las significaciones y tensiones presentes en torno de estas músicas y sus cultores.

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Con la edición del presente trabajo, entregamos a los estudiosos de la historia regional y socio-cultural un corpus documental referido a la actividad y producción musical desarrolladas en Mendoza en el Siglo XIX, relevado de publicaciones periódicas y legajos institucionales provinciales de esa época que se encuentran en la Hemeroteca Mayor de la Biblioteca Pública General San Martín, en el Archivo General de la Provincia de Mendoza y en la Biblioteca de la Facultad de Filosofía y Letras (Universidad Nacional de Cuyo), conservados en encuadernaciones denominadas "pre-joyas bibliográficas" y en microfilmaciones. Basados en la siguiente hipótesis: "Los documentos históricos de las manifestaciones musicales desarrolladas en Mendoza durante el siglo XIX son testigos fehacientes de esa época, y se determinan como fuentes primarias de información", se trabaja el objetivo general de rescatar nuestro patrimonio musical y, en especial, preservar documentación musical significativa de Mendoza, aportando información fehaciente sobre diferentes aspectos de la historia de la música de nuestra provincia en el siglo XIX. Al tratarse de documentación contenida en soportes perecederos, debe ser rescatada de inmediato, ya que los efectos del tiempo, del uso y de los descuidos involuntarios, hacen que la fuente se deteriore, la información vaya desapareciendo y nuestra historia se vea invadida por grandes huecos de silencios. El relevamiento de datos relacionados con la historia de la música en Mendoza abarca temporalmente desde 1852 a enero de 1902. El momento de inicio de nuestro estudio es 1852, ya que a partir de esa fecha se publica el diario "El constitucional de Los Andes". Para completar cronológicamente el período fijado, se decide continuar con diario "Los Andes".

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Con la edición del presente trabajo, entregamos a los estudiosos de la historia regional y socio-cultural un corpus documental referido a la actividad y producción musical desarrolladas en Mendoza en el Siglo XIX, relevado de publicaciones periódicas y legajos institucionales provinciales de esa época que se encuentran en la Hemeroteca Mayor de la Biblioteca Pública General San Martín, en el Archivo General de la Provincia de Mendoza y en la Biblioteca de la Facultad de Filosofía y Letras (Universidad Nacional de Cuyo), conservados en encuadernaciones denominadas "pre-joyas bibliográficas" y en microfilmaciones. Basados en la siguiente hipótesis: "Los documentos históricos de las manifestaciones musicales desarrolladas en Mendoza durante el siglo XIX son testigos fehacientes de esa época, y se determinan como fuentes primarias de información", se trabaja el objetivo general de rescatar nuestro patrimonio musical y, en especial, preservar documentación musical significativa de Mendoza, aportando información fehaciente sobre diferentes aspectos de la historia de la música de nuestra provincia en el siglo XIX. Al tratarse de documentación contenida en soportes perecederos, debe ser rescatada de inmediato, ya que los efectos del tiempo, del uso y de los descuidos involuntarios, hacen que la fuente se deteriore, la información vaya desapareciendo y nuestra historia se vea invadida por grandes huecos de silencios. El relevamiento de datos relacionados con la historia de la música en Mendoza abarca temporalmente desde 1852 a enero de 1902. El momento de inicio de nuestro estudio es 1852, ya que a partir de esa fecha se publica el diario "El constitucional de Los Andes". Para completar cronológicamente el período fijado, se decide continuar con diario "Los Andes".

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El heavy metal es uno de los movimientos socioculturales más extendidos de la cultura occidental. Musicalmente es, además, uno de los géneros más ricos de cuantos conforman el crisol de la música popular urbana, habiendo despertado el interés de sociólogos y musicólogos, fundamentalmente europeos y norteamericanos, que lo han introducido en el currículo académico. Una normalización que contrasta, sin embargo, con su apreciación en España, donde apenas se ha considerado como objeto de estudio, y mantiene un estatus de marginalidad. Esta tesis doctoral se plantea como punto de partida de una nueva línea de investigación, analizando las etapas evolutivas del heavy metal español; y con la intención de alcanzar la normalización que unifique criterios con las corrientes musicológicas anglosajonas. Trata de demostrar que existió una escena significativa de heavy metal en España, con unas características propias que la diferenciaron del resto, y que tuvo una presencia importante en el panorama musical y cultural español de principios de los años ochenta. A partir de esta hipótesis, presenta los siguientes objetivos principales: -­‐ Establecer una historia detallada de la evolución del heavy metal en España en sus fases de formación, cristalización y crecimiento, dentro de un contexto histórico, social y cultural. -­‐ Detallar las características musicales del heavy metal español en sus fases de formación, cristalización y crecimiento. -­‐ Esclarecer las principales influencias, los precedentes y la dimensión verbal del heavy metal español. -­‐ Evidenciar la trascendencia del heavy metal sobre la cultura y la música popular española. -­‐ Asentar el heavy metal como objeto de estudio en la musicología española. Debido a su doble enfoque histórico musical y analítico, la investigación está dividida en dos partes diferenciadas: una primera que trata el género desde su vertiente histórica, teniendo en cuenta su evolución dentro de un contexto político, social y cultural determinado; y una segunda, técnica, que atiende a su condición de estilo musical...

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Existe un amplio consenso acerca de que uno de los medios más efectivos para medir el grado de conocimientos que una nación ha alcanzado, tanto en materia de ciencias como de artes, puede consistir en el análisis de sus diccionarios o enciclopedias. En ellos se codifica el sentir general de una sociedad y, mediante una lectura integral y analítica, parecen servir como muestra del pulso intelectual y cultural de una comunidad lingüística en un momento determinado. Partiendo de dichas hipótesis, Las palabras de la música… plantea un estudio en profundidad –a caballo entre la ciencia musicológica y la investigación lexicográfica– de las voces de la música contenidas en el Diccionario de autoridades (1726-1739). De igual manera, con el presente trabajo pretendemos apuntar las principales problemáticas derivadas de la inclusión de una alta cantidad de léxico de la música en el primer corpus académico, la ambigua relación de la Corporación con esta disciplina, así como reivindicar enfoques y metodologías interdisciplinares para ensayar, desde la musicología, nuevas narrativas historiográficas.

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Esta investigación aporta un modelo multidisciplinar con el objetivo de analizar las bandas sonoras de las colaboraciones que se dieron entre directores del Nuevo Cine Español y compositores de la denominada Generación del 51: Carlos Saura y Luis de Pablo, Mario Camus y Antón García Abril, Basilio Martín Patino y Carmelo Bernaola. El modelo analítico que se desarrolla en este estudio responde a dos cuestiones: ¿Existen fórmulas universales en el lenguaje musical aplicado a la imagen cinematográfica que influyan en la percepción del espectador? ¿De dónde vienen esas fórmulas? Una vez identificadas las variables que pueden determinar el proceso de percepción y planteadas las herramientas que estas variables nos aportan, proponemos un modelo analítico que contemple estas herramientas. Tras revisar los estudios realizados en diversos campos, concluimos el alto grado de importancia que tiene el sonido y la música como extensión y estilización de éste, a la hora de influir, modificar y dirigir las percepciones del espectador. A partir de esta premisa, el modelo analítico que desarrollamos para abordar las relaciones en el audiovisual, se basa en herramientas proporcionadas por la semiótica, la etnomusicología, la antropología, la psicología de la música, la musicología cognitiva, la neurociencia, la musicoterapia, las funciones narrativas cinematográficas y la música...

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El carácter innovador y feminista del mediometraje Margarita y el lobo (1969) supuso la censura total de la película y el ostracismo hacia su directora, la entonces estudiante de la EOC, Cecilia Bartolomé. En este artículo repasamos sus anteriores cortometrajes para desgranar los primeros matices de protesta así como la utilización de la expresión musical como vehículo del discurso feminista en Margarita y el lobo. A través de los planteamientos de la musicóloga Susan McClary que abordan sexualidad, género y feminismo concluimos con una visión del análisis de género en las obras musicales, al vincular sus es­tudios al film de Bartolomé. Del mismo modo, analizamos la función que cumple la música en el medio­metraje. Para ello, examinamos el repertorio de canciones presente en Margarita y el lobo para terminar reconociendo la función discursiva y referencial como piezas claves en la película de la directora.

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Este trabajo estudia la presencia e importancia de las diversiones y el placer en distintos momentos de la vida de la corte de los reyes de Aragón: las prostitutas, dirigidas por el rey Arlot, la música, el juego, el baile o los juglares, observando el aumento de su presencia a lo largo del siglo xiv, con el correlativo aumento de los gastos. También se observa el incremento en el lujo y la complejidad de estas actividades y la siempre mayor presencia de elementos espectaculares como bestias, carros, figuras alegóricas y otros entremeses en coronaciones, bodas o entradas reales, todos ellos aspectos de la progresiva glorificación de la monarquía.