959 resultados para Hábitat popular urbano


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La ricerca si propone di definire le linee guida per la stesura di un Piano che si occupi di qualità della vita e di benessere. Il richiamo alla qualità e al benessere è positivamente innovativo, in quanto impone agli organi decisionali di sintonizzarsi con la soggettività attiva dei cittadini e, contemporaneamente, rende evidente la necessità di un approccio più ampio e trasversale al tema della città e di una più stretta relazione dei tecnici/esperti con i responsabili degli organismi politicoamministrativi. La ricerca vuole indagare i limiti dell’urbanistica moderna di fronte alla complessità di bisogni e di nuove necessità espresse dalle popolazioni urbane contemporanee. La domanda dei servizi è notevolmente cambiata rispetto a quella degli anni Sessanta, oltre che sul piano quantitativo anche e soprattutto sul piano qualitativo, a causa degli intervenuti cambiamenti sociali che hanno trasformato la città moderna non solo dal punto di vista strutturale ma anche dal punto di vista culturale: l’intermittenza della cittadinanza, per cui le città sono sempre più vissute e godute da cittadini del mondo (turisti e/o visitatori, temporaneamente presenti) e da cittadini diffusi (suburbani, provinciali, metropolitani); la radicale trasformazione della struttura familiare, per cui la famiglia-tipo costituita da una coppia con figli, solido riferimento per l’economia e la politica, è oggi minoritaria; l’irregolarità e flessibilità dei calendari, delle agende e dei ritmi di vita della popolazione attiva; la mobilità sociale, per cui gli individui hanno traiettorie di vita e pratiche quotidiane meno determinate dalle loro origini sociali di quanto avveniva nel passato; l’elevazione del livello di istruzione e quindi l’incremento della domanda di cultura; la crescita della popolazione anziana e la forte individualizzazione sociale hanno generato una domanda di città espressa dalla gente estremamente variegata ed eterogenea, frammentata e volatile, e per alcuni aspetti assolutamente nuova. Accanto a vecchie e consolidate richieste – la città efficiente, funzionale, produttiva, accessibile a tutti – sorgono nuove domande, ideali e bisogni che hanno come oggetto la bellezza, la varietà, la fruibilità, la sicurezza, la capacità di stupire e divertire, la sostenibilità, la ricerca di nuove identità, domande che esprimono il desiderio di vivere e di godere la città, di stare bene in città, domande che non possono essere più soddisfatte attraverso un’idea di welfare semplicemente basata sull’istruzione, la sanità, il sistema pensionistico e l’assistenza sociale. La città moderna ovvero l’idea moderna della città, organizzata solo sui concetti di ordine, regolarità, pulizia, uguaglianza e buon governo, è stata consegnata alla storia passata trasformandosi ora in qualcosa di assai diverso che facciamo fatica a rappresentare, a descrivere, a raccontare. La città contemporanea può essere rappresentata in molteplici modi, sia dal punto di vista urbanistico che dal punto di vista sociale: nella letteratura recente è evidente la difficoltà di definire e di racchiudere entro limiti certi l’oggetto “città” e la mancanza di un convincimento forte nell’interpretazione delle trasformazioni politiche, economiche e sociali che hanno investito la società e il mondo nel secolo scorso. La città contemporanea, al di là degli ambiti amministrativi, delle espansioni territoriali e degli assetti urbanistici, delle infrastrutture, della tecnologia, del funzionalismo e dei mercati globali, è anche luogo delle relazioni umane, rappresentazione dei rapporti tra gli individui e dello spazio urbano in cui queste relazioni si muovono. La città è sia concentrazione fisica di persone e di edifici, ma anche varietà di usi e di gruppi, densità di rapporti sociali; è il luogo in cui avvengono i processi di coesione o di esclusione sociale, luogo delle norme culturali che regolano i comportamenti, dell’identità che si esprime materialmente e simbolicamente nello spazio pubblico della vita cittadina. Per studiare la città contemporanea è necessario utilizzare un approccio nuovo, fatto di contaminazioni e saperi trasversali forniti da altre discipline, come la sociologia e le scienze umane, che pure contribuiscono a costruire l’immagine comunemente percepita della città e del territorio, del paesaggio e dell’ambiente. La rappresentazione del sociale urbano varia in base all’idea di cosa è, in un dato momento storico e in un dato contesto, una situazione di benessere delle persone. L’urbanistica moderna mirava al massimo benessere del singolo e della collettività e a modellarsi sulle “effettive necessità delle persone”: nei vecchi manuali di urbanistica compare come appendice al piano regolatore il “Piano dei servizi”, che comprende i servizi distribuiti sul territorio circostante, una sorta di “piano regolatore sociale”, per evitare quartieri separati per fasce di popolazione o per classi. Nella città contemporanea la globalizzazione, le nuove forme di marginalizzazione e di esclusione, l’avvento della cosiddetta “new economy”, la ridefinizione della base produttiva e del mercato del lavoro urbani sono espressione di una complessità sociale che può essere definita sulla base delle transazioni e gli scambi simbolici piuttosto che sui processi di industrializzazione e di modernizzazione verso cui era orientata la città storica, definita moderna. Tutto ciò costituisce quel complesso di questioni che attualmente viene definito “nuovo welfare”, in contrapposizione a quello essenzialmente basato sull’istruzione, sulla sanità, sul sistema pensionistico e sull’assistenza sociale. La ricerca ha quindi analizzato gli strumenti tradizionali della pianificazione e programmazione territoriale, nella loro dimensione operativa e istituzionale: la destinazione principale di tali strumenti consiste nella classificazione e nella sistemazione dei servizi e dei contenitori urbanistici. E’ chiaro, tuttavia, che per poter rispondere alla molteplice complessità di domande, bisogni e desideri espressi dalla società contemporanea le dotazioni effettive per “fare città” devono necessariamente superare i concetti di “standard” e di “zonizzazione”, che risultano essere troppo rigidi e quindi incapaci di adattarsi all’evoluzione di una domanda crescente di qualità e di servizi e allo stesso tempo inadeguati nella gestione del rapporto tra lo spazio domestico e lo spazio collettivo. In questo senso è rilevante il rapporto tra le tipologie abitative e la morfologia urbana e quindi anche l’ambiente intorno alla casa, che stabilisce il rapporto “dalla casa alla città”, perché è in questa dualità che si definisce il rapporto tra spazi privati e spazi pubblici e si contestualizzano i temi della strada, dei negozi, dei luoghi di incontro, degli accessi. Dopo la convergenza dalla scala urbana alla scala edilizia si passa quindi dalla scala edilizia a quella urbana, dal momento che il criterio del benessere attraversa le diverse scale dello spazio abitabile. Non solo, nei sistemi territoriali in cui si è raggiunto un benessere diffuso ed un alto livello di sviluppo economico è emersa la consapevolezza che il concetto stesso di benessere sia non più legato esclusivamente alla capacità di reddito collettiva e/o individuale: oggi la qualità della vita si misura in termini di qualità ambientale e sociale. Ecco dunque la necessità di uno strumento di conoscenza della città contemporanea, da allegare al Piano, in cui vengano definiti i criteri da osservare nella progettazione dello spazio urbano al fine di determinare la qualità e il benessere dell’ambiente costruito, inteso come benessere generalizzato, nel suo significato di “qualità dello star bene”. E’ evidente che per raggiungere tale livello di qualità e benessere è necessario provvedere al soddisfacimento da una parte degli aspetti macroscopici del funzionamento sociale e del tenore di vita attraverso gli indicatori di reddito, occupazione, povertà, criminalità, abitazione, istruzione, etc.; dall’altra dei bisogni primari, elementari e di base, e di quelli secondari, culturali e quindi mutevoli, trapassando dal welfare state allo star bene o well being personale, alla wellness in senso olistico, tutte espressioni di un desiderio di bellezza mentale e fisica e di un nuovo rapporto del corpo con l’ambiente, quindi manifestazione concreta di un’esigenza di ben-essere individuale e collettivo. Ed è questa esigenza, nuova e difficile, che crea la diffusa sensazione dell’inizio di una nuova stagione urbana, molto più di quanto facciano pensare le stesse modifiche fisiche della città.

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Le musiche “popolaresche” urbane, in genere trascurate nella letteratura etnomusicologica, sono state quasi completamente ignorate nel caso della Romania. Il presente studio si propone di colmare almeno in parte questa lacuna, indagando questo fenomeno musicale nella Bucarest degli anni Trenta e Quaranta del Novecento. Le musiche esaminate sono tuttavia inserite entro una cornice storica più ampia, che data a partire dalla fine del XVIII secolo, e messe in relazione con alcune produzioni di origine rurale che con queste hanno uno stretto rapporto. Il caso di Maria Lătărețu (1911-1972) si è rivelato particolarmente fecondo in questo senso, dal momento che la cantante apparteneva ad entrambi i versanti musicali, rurale e urbano, e nepadroneggiava con disinvoltura i rispettivi repertori. Dopo il suo trasferimento nella capitale, negli anni Trenta, è diventata una delle figure di maggior spicco di quel fenomeno noto come muzică populară (creazione musicale eminentemente urbana e borghese con radici però nel mondo delle musiche rurali). L’analisi del repertorio (o, per meglio dire, dei due repertori) della Lătărețu, anche nel confronto con repertori limitrofi, ha permesso di comprendere più da vicino alcuni dei meccanismi musicali alla base di questa creazione. Un genere musicale che non nasce dal nulla nel dopo-guerra, ma piuttosto continua una tradizione di musica urbana, caratterizzata in senso locale, ma influenzata dal modello della canzone europea occidentale, che data almeno dagli inizi del Novecento. Attraverso procedimenti in parte già collaudati da compositori colti che sin dal XIX secolo, in Romania come altrove, si erano cimentati con la creazione di melodie in stile popolare o nell’armonizzazione di musiche di provenienza contadina, le melodie rurali nel bagaglio della cantante venivano trasformate in qualcosa di inedito. Una trasformazione che, come viene dimostrato efficacemente nell’ultimo capitolo, non investe solo il livello superficiale, ma coinvolge in modo profondo la sintassi musicale.

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La primera mitad del siglo XX, fue un período de discusión y experimentación en torno al tema de la habitación popular. El interés por la modernización del hábitat, la industrialización de la construcción y la necesidad del abaratamiento de la vivienda para el “alojamiento popular", hizo que algunos estados provinciales comenzaran a plantear su intervención en el tema habitacional a través de políticas públicas que facilitaran el acceso a la vivienda. Este artículo presenta la acción técnico-política del período conservador en torno de la vivienda popular, es decir, sobre la habitación individual o colectiva de bajo costo destinada a sectores sociales medios y bajos, provista por el Estado en forma masiva y que responde a propuestas de técnicos, en nuestro caso, arquitectos insertos en la burocracia estatal. Abordamos, en clave histórica, los proyectos y las concreciones que consideramos sitúan a Mendoza como una de las primeras provincias argentinas en encarar el “problema de la vivienda" desde la órbita estatal en los años treinta.

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Desde fines del siglo XIX, en diferentes ámbitos institucionales, científicos, y profesionales, se comenzó a dirimir sobre la construcción de viviendas por parte del Estado destinadas a los sectores y grupos sociales identificados como empleados, pobres, trabajadores, obreros, e inmigrantes, a la vez que se establecían correspondencias entre los niveles socioculturales y socioeconómicos, las localizaciones urbanas y sus espacios domésticos. Las propuestas oscilaban entre la aceptación, transformación, y erradicación, y hacían evidente los juicios de valor divergentes sobre la coexistencia de grupos y sectores sociales diversos en el medio urbano, hasta arribar en la década de 1930 a concepciones conciliadoras que comenzaron a operar bajo el signo de lo popular. Se analizarán los discursos sobre el espacio doméstico que emergieron en los contextos de difusión y discusión de los diferentes proyectos habitacionales legislativos y arquitecturales con la finalidad de dar cuenta acerca de las caracterizaciones sociales que operaban en cada escenario histórico.

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El objetivo del presente trabajo es analizar los objetivos y alcances del Programa de Mejoramiento de Barrios de Argentina (PROMEBA) en relación con el proceso participativo que se lleva a cabo en la gestión de este programa social. Para ello nos proponemos definir los antecedentes de la intervención estatal para atender el problema social y urbano de los asentamientos informales. Luego definiremos los objetivos y alcances del PROMEBA, haciendo hincapié en el eje de la participación, para finalmente proponer una mirada analítica que problematicé la medida en que la gestión de esta política habitacional puede adquirir una modalidad de inclusiva

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La Ciudad sufrió en los últimos años cambios en su configuración socio-espacial así como en las formas de apropiación que reflejan los conflictos de clase e intereses de los actores que intervienen en el territorio. Esta construcción del espacio urbano supone una lucha de intereses entre los agentes que intervienen en él, profundizando las desigualdades y las controversias existentes en cada grupo social. El hábitat resultante se presenta desigual y segregador, siendo la demanda por el suelo urbano el epicentro de lucha de intereses de los diferentes sectores sociales. La selección del sector de la Traza de la Ex Autopista AU3 como caso de estudio, responde a la presencia de un área fragmentada y heterogénea a intervenir a través de políticas de gestión urbana sustentadas en la participación ciudadana. Este espacio físico compartido por los diferentes actores sociales (propietarios, ocupantes de inmuebles y Estado), generó una degradación socio-ambiental que aún hoy se verifica. Por ello, se torna necesario incorporar nuevos modelos a la gestión del gobierno local que dejen atrás viejas prácticas de orden jerárquico y concentrador de poder en torno a la toma de decisiones sobre lo público, para dar paso a un modelo de mayor gobernabilidad y gobernanza

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La recuperación de la economía argentina luego de la crisis del 2001/02 implicó una importante mejora de múltiples indicadores sociales y económicos, dada entre otros factores, la orientación de políticas públicas tendiente a recuperar el tejido productivo y el empleo. En este contexto, el tándem construcción-obra pública se transformó en un tema central de la agenda y la expansión inmobiliaria fue bien recibida desde la mirada macroeconómica. Sin embargo, este proceso no estuvo exento de contradicciones, y se observan en la región metropolitana un conjunto de tendencias concurrentes producto de la hibridación entre el neoliberalismo urbano aún vigente y la difusión del neodesarrollismo urbano. De allí que la ampliación de acciones de desmercatilización estatal del consumo de bienes y servicios orientados a la reproducción social coexiste con la persistencia del proceso de desmercatilización social regresivo de la producción del espacio habitacional, junto a la intensa mercantilización del espacio construido asociada a la creciente financierización de los ladrillos

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Este artículo pretende exponer la influencia que las nuevas estrategias de organización territorial para la campaña bonaerense, materializadas durante la primera mitad del siglo XIX, pudieron ejercer sobre la estructura urbana y social de los pueblos de la región. Partimos del supuesto, desarrollado en otros trabajos, de que dichas estrategias definieron, en parte, la transformación espacial del territorio a partir de tres premisas: la consolidación de los poblados existentes, la fundación de nuevos poblados y el desarrollo de la colonización ejidal (1). Para poder examinar en profundidad dichas estrategias tomamos como base el análisis del espacio urbano de Chascomús y sus alrededores considerando dos momentos de su conformación: 1826 y 1855. Estas fechas se corresponden con la existencia de documentos que representan espacialmente el lugar: los planos de Saubidet de 1826 y el plano de Arrufó de 1855. A partir de estos documentos intentaremos determinar cuáles son las estrategias oficiales en relación a la organización espacial, cómo se materializa el poblado, qué tipo de entramado social presenta y cuáles son las diferencias que encontramos entre una época y otra, teniendo en consideración que la primera corresponde al inicio de la expansión de la frontera bonaerense y la segunda al auge de la etapa lanera que tiene en Chascomús uno de sus centros.

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La recuperación de la economía argentina luego de la crisis del 2001/02 implicó una importante mejora de múltiples indicadores sociales y económicos, dada entre otros factores, la orientación de políticas públicas tendiente a recuperar el tejido productivo y el empleo. En este contexto, el tándem construcción-obra pública se transformó en un tema central de la agenda y la expansión inmobiliaria fue bien recibida desde la mirada macroeconómica. Sin embargo, este proceso no estuvo exento de contradicciones, y se observan en la región metropolitana un conjunto de tendencias concurrentes producto de la hibridación entre el neoliberalismo urbano aún vigente y la difusión del neodesarrollismo urbano. De allí que la ampliación de acciones de desmercatilización estatal del consumo de bienes y servicios orientados a la reproducción social coexiste con la persistencia del proceso de desmercatilización social regresivo de la producción del espacio habitacional, junto a la intensa mercantilización del espacio construido asociada a la creciente financierización de los ladrillos

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La recuperación de la economía argentina luego de la crisis del 2001/02 implicó una importante mejora de múltiples indicadores sociales y económicos, dada entre otros factores, la orientación de políticas públicas tendiente a recuperar el tejido productivo y el empleo. En este contexto, el tándem construcción-obra pública se transformó en un tema central de la agenda y la expansión inmobiliaria fue bien recibida desde la mirada macroeconómica. Sin embargo, este proceso no estuvo exento de contradicciones, y se observan en la región metropolitana un conjunto de tendencias concurrentes producto de la hibridación entre el neoliberalismo urbano aún vigente y la difusión del neodesarrollismo urbano. De allí que la ampliación de acciones de desmercatilización estatal del consumo de bienes y servicios orientados a la reproducción social coexiste con la persistencia del proceso de desmercatilización social regresivo de la producción del espacio habitacional, junto a la intensa mercantilización del espacio construido asociada a la creciente financierización de los ladrillos

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Este artículo pretende exponer la influencia que las nuevas estrategias de organización territorial para la campaña bonaerense, materializadas durante la primera mitad del siglo XIX, pudieron ejercer sobre la estructura urbana y social de los pueblos de la región. Partimos del supuesto, desarrollado en otros trabajos, de que dichas estrategias definieron, en parte, la transformación espacial del territorio a partir de tres premisas: la consolidación de los poblados existentes, la fundación de nuevos poblados y el desarrollo de la colonización ejidal (1). Para poder examinar en profundidad dichas estrategias tomamos como base el análisis del espacio urbano de Chascomús y sus alrededores considerando dos momentos de su conformación: 1826 y 1855. Estas fechas se corresponden con la existencia de documentos que representan espacialmente el lugar: los planos de Saubidet de 1826 y el plano de Arrufó de 1855. A partir de estos documentos intentaremos determinar cuáles son las estrategias oficiales en relación a la organización espacial, cómo se materializa el poblado, qué tipo de entramado social presenta y cuáles son las diferencias que encontramos entre una época y otra, teniendo en consideración que la primera corresponde al inicio de la expansión de la frontera bonaerense y la segunda al auge de la etapa lanera que tiene en Chascomús uno de sus centros.

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El objetivo del presente trabajo es analizar los objetivos y alcances del Programa de Mejoramiento de Barrios de Argentina (PROMEBA) en relación con el proceso participativo que se lleva a cabo en la gestión de este programa social. Para ello nos proponemos definir los antecedentes de la intervención estatal para atender el problema social y urbano de los asentamientos informales. Luego definiremos los objetivos y alcances del PROMEBA, haciendo hincapié en el eje de la participación, para finalmente proponer una mirada analítica que problematicé la medida en que la gestión de esta política habitacional puede adquirir una modalidad de inclusiva

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La recuperación de la economía argentina luego de la crisis del 2001/02 implicó una importante mejora de múltiples indicadores sociales y económicos, dada entre otros factores, la orientación de políticas públicas tendiente a recuperar el tejido productivo y el empleo. En este contexto, el tándem construcción-obra pública se transformó en un tema central de la agenda y la expansión inmobiliaria fue bien recibida desde la mirada macroeconómica. Sin embargo, este proceso no estuvo exento de contradicciones, y se observan en la región metropolitana un conjunto de tendencias concurrentes producto de la hibridación entre el neoliberalismo urbano aún vigente y la difusión del neodesarrollismo urbano. De allí que la ampliación de acciones de desmercatilización estatal del consumo de bienes y servicios orientados a la reproducción social coexiste con la persistencia del proceso de desmercatilización social regresivo de la producción del espacio habitacional, junto a la intensa mercantilización del espacio construido asociada a la creciente financierización de los ladrillos

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