999 resultados para Campo magnetico,Via Lattea,Metodi di rilevazione


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Il presente studio ha avuto l’obiettivo di indagare la produzione di bioetanolo di seconda generazione a partire dagli scarti lignocellulosici della canna da zucchero (bagassa), facendo riscorso al processo enzimatico. L’attività di ricerca è stata svolta presso il Dipartimento di Ingegneria Chimica dell’Università di Lund (Svezia) all’interno di rapporti scambio con l’Università di Bologna. Il principale scopo è consistito nel valutare la produzione di etanolo in funzione delle condizioni operative con cui è stata condotta la saccarificazione e fermentazione enzimatica (SSF) della bagassa, materia prima che è stata sottoposta al pretrattamento di Steam Explosion (STEX) con aggiunta di SO2 come catalizzatore acido. Successivamente, i dati ottenuti in laboratorio dalla SSF sono stati utilizzati per implementare, in ambiente AspenPlus®, il flowsheet di un impianto che simula tutti gli aspetti della produzione di etanolo, al fine di studiarne il rendimento energetico dell’intero processo. La produzione di combustibili alternativi alle fonti fossili oggigiorno riveste primaria importanza sia nella limitazione dell’effetto serra sia nel minimizzare gli effetti di shock geopolitici sulle forniture strategiche di un Paese. Il settore dei trasporti in continua crescita, consuma nei paesi industrializzati circa un terzo del fabbisogno di fonti fossili. In questo contesto la produzione di bioetanolo può portare benefici per sia per l’ambiente che per l’economia qualora valutazioni del ciclo di vita del combustibile ne certifichino l’efficacia energetica e il potenziale di mitigazione dell’effetto serra. Numerosi studi mettono in risalto i pregi ambientali del bioetanolo, tuttavia è opportuno fare distinzioni sul processo di produzione e sul materiale di partenza utilizzato per comprendere appieno le reali potenzialità del sistema well-to-wheel del biocombustibile. Il bioetanolo di prima generazione ottenuto dalla trasformazione dell’amido (mais) e delle melasse (barbabietola e canna da zucchero) ha mostrato diversi svantaggi: primo, per via della competizione tra l’industria alimentare e dei biocarburanti, in secondo luogo poiché le sole piantagioni non hanno la potenzialità di soddisfare domande crescenti di bioetanolo. In aggiunta sono state mostrate forti perplessità in merito alla efficienza energetica e del ciclo di vita del bioetanolo da mais, da cui si ottiene quasi la metà della produzione di mondiale di etanolo (27 G litri/anno). L’utilizzo di materiali lignocellulosici come scarti agricolturali e dell’industria forestale, rifiuti urbani, softwood e hardwood, al contrario delle precedenti colture, non presentano gli svantaggi sopra menzionati e per tale motivo il bioetanolo prodotto dalla lignocellulosa viene denominato di seconda generazione. Tuttavia i metodi per produrlo risultano più complessi rispetto ai precedenti per via della difficoltà di rendere biodisponibili gli zuccheri contenuti nella lignocellulosa; per tale motivo è richiesto sia un pretrattamento che l’idrolisi enzimatica. La bagassa è un substrato ottimale per la produzione di bioetanolo di seconda generazione in quanto è disponibile in grandi quantità e ha già mostrato buone rese in etanolo se sottoposta a SSF. La bagassa tal quale è stata inizialmente essiccata all’aria e il contenuto d’acqua corretto al 60%; successivamente è stata posta a contatto per 30 minuti col catalizzatore acido SO2 (2%), al termine dei quali è stata pretrattata nel reattore STEX (10L, 200°C e 5 minuti) in 6 lotti da 1.638kg su peso umido. Lo slurry ottenuto è stato sottoposto a SSF batch (35°C e pH 5) utilizzando enzimi cellulolitici per l’idrolisi e lievito di birra ordinario (Saccharomyces cerevisiae) come consorzio microbico per la fermentazione. Un obiettivo della indagine è stato studiare il rendimento della SSF variando il medium di nutrienti, la concentrazione dei solidi (WIS 5%, 7.5%, 10%) e il carico di zuccheri. Dai risultati è emersa sia una buona attività enzimatica di depolimerizzazione della cellulosa che un elevato rendimento di fermentazione, anche per via della bassa concentrazione di inibitori prodotti nello stadio di pretrattamento come acido acetico, furfuraldeide e HMF. Tuttavia la concentrazione di etanolo raggiunta non è stata valutata sufficientemente alta per condurre a scala pilota un eventuale distillazione con bassi costi energetici. Pertanto, sono stati condotti ulteriori esperimenti SSF batch con addizione di melassa da barbabietola (Beta vulgaris), studiandone preventivamente i rendimenti attraverso fermentazioni alle stesse condizioni della SSF. I risultati ottenuti hanno suggerito che con ulteriori accorgimenti si potranno raggiungere gli obiettivi preposti. E’ stato inoltre indagato il rendimento energetico del processo di produzione di bioetanolo mediante SSF di bagassa con aggiunta di melassa in funzione delle variabili più significative. Per la modellazione si è fatto ricorso al software AspenPlus®, conducendo l’analisi di sensitività del mix energetico in uscita dall’impianto al variare del rendimento di SSF e dell’addizione di saccarosio. Dalle simulazioni è emerso che, al netto del fabbisogno entalpico di autosostentamento, l’efficienza energetica del processo varia tra 0.20 e 0.53 a seconda delle condizioni; inoltre, è stata costruita la curva dei costi energetici di distillazione per litro di etanolo prodotto in funzione delle concentrazioni di etanolo in uscita dalla fermentazione. Infine sono già stati individuati fattori su cui è possibile agire per ottenere ulteriori miglioramenti sia in laboratorio che nella modellazione di processo e, di conseguenza, produrre con alta efficienza energetica bioetanolo ad elevato potenziale di mitigazione dell’effetto serra.

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Oltre un miliardo di persone non ha oggi accesso all’acqua potabile; più di due miliardi è il numero di coloro che vivono in condizioni igienico-sanitarie realmente proibitive. Sono 80 i paesi nel mondo (con il 40% della popolazione totale) in cui si riscontra difficoltà di approvvigionamento e presenza di risorse idriche che mancano dei requisiti che dovrebbero essere assicurati per la tutela della salute: quotidianamente e sistematicamente il diritto di accesso all’acqua, che nessun individuo dovrebbe vedersi negato, viene violato. Scarsità di acqua e non omogenea distribuzione sulla superficie terrestre sono fattori che concorrono alla crisi della risorsa, cui contribuiscono processsi di natura ambientale (cambiamenti climatici, desertificazione), di natura economica (le sorti dell’industria agroalimentare, la globalizzazione degli scambi, il bisogno crescente di energia), di natura sociale (migrazioni, urbanizzazione, crescita demografica, epidemie), di natura culturale (passaggio dal rurale all’urbano, dall’agricoltura di sussistenza a quella di profitto). Nell’ottica di uno sviluppo sostenibile un aumento indiscriminato dell’offerta non può costituire soluzione al continuo incremento della domanda di acqua. Si rende pertanto necessaria la definizione di politiche e strumenti di cambiamento nei modelli di consumo e nella pianificazione che consentano una riduzione degli squilibri nella distribuzione e nella gestione della risorsa a livello domestico e civile, industriale, agricolo. L’uso efficiente, e quindi sostenibile, dell’acqua è da perseguirsi secondo le modalità: • Risparmio, inteso come minore consumo di acqua all’inizio del ciclo. • Riciclo dell’acqua in circuito chiuso, inteso come riuso dell’acqua di scarico, o uso multiplo dell’acqua. Una idonea utilizzazione dipende da una idonea progettazione, che abbia come finalità: • La destinazione in via prioritaria delle fonti e delle risorse di più elevata qualità agli usi idropotabili, con una graduale sostituzione del consumo per altri usi con risorse di minore pregio. • La regolamentazione dell’uso delle acque sotterranee, mediante la limitazione del ricorso all’impiego di pozzi solo in mancanza di forniture alternative per uso civile, industriale, agricolo. • L’incentivazione ad un uso razionale della risorsa, anche mediante l’attuazione di idonee politiche tariffarie. • L’aumento dell’efficienza delle reti di adduzione e distribuzione, sia civili che irrigue. • La promozione di uso efficiente, riciclo e recupero di acqua nell’industria. • Il miglioramento dell’efficienza ed efficacia delle tecniche di irrigazione. • La promozione del riutilizzo delle acque nei vari settori. • La diffusione nella pratica domestica di apparati e tecnologie progettati per la riduzione degli sprechi e dei consumi di acqua. In ambito agricolo la necessità di un uso parsimonioso della risorsa impone il miglioramento dell’efficienza irrigua, pari appena al 40%. La regione Emilia Romagna a livello locale, Israele a livello internazionale, forniscono ottimi esempi in termini di efficacia dei sistemi di trasporto e di distribuzione, di buona manutenzione delle strutture. Possibili soluzioni verso le quali orientare la ricerca a livello mondiale per arginare la progressiva riduzione delle riserve idriche sono: • Revisione dei costi idrici. • Recupero delle riserve idriche. • Raccolta dell’acqua piovana. • Miglioramento degli impianti di distribuzione idrica. • Scelta di metodi di coltivazione idonei alle caratteristiche locali. • Scelta di colture a basso fabbisogno idrico. • Conservazione della risorsa attraverso un sistema di irrigazione efficiente. • Opere di desalinizzazione. • Trasferimento idrico su vasta scala da un’area all’altra. Si tratta di tecniche la cui attuazione può incrementare la disponibilità media pro capite di acqua, in particolare di coloro i quali non ne posseggono in quantità sufficiente per bere o sono privi di sistemi igienico-sanitari sufficienti.

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Gli istoni sono proteine basiche che possono essere classificate in varie classi: H1, H2A, H2B, H3 e H4. Queste proteine formano l’ottamero proteico attorno al quale si avvolge il DNA per formare il nucleosoma che è l’unità fondamentale della cromatina. A livello delle code N-terminali, gli istoni possono essere soggetti a numerose modifiche posttraduzionali quali acetilazioni, metilazioni, fosforilazioni, ADP-ribosilazioni e ubiquitinazioni. Queste modifiche portano alla formazione di diversi siti di riconoscimento per diversi complessi enzimatici coinvolti in importanti processi come la riparazione e la replicazione del DNA e l’assemblaggio della cromatina. La più importante e la più studiata di queste modifiche è l’acetilazione che avviene a livello dei residui amminici della catena laterale dell’amminoacido lisina. I livelli corretti di acetilazione delle proteine istoniche sono mantenuti dall’attività combinata di due enzimi: istone acetil transferasi (HAT) e istone deacetilasi (HDAC). Gli enzimi appartenenti a questa famiglia possono essere suddivisi in varie classi a seconda delle loro diverse caratteristiche, quali la localizzazione cellulare, la dimensione, l’omologia strutturale e il meccanismo d’azione. Recentemente è stato osservato che livelli aberranti di HDAC sono coinvolti nella carcinogenesi; per questo motivo numerosi gruppi di ricerca sono interessati alla progettazione e alla sintesi di composti che siano in grado di inibire questa classe enzimatica. L’inibizione delle HDAC può infatti provocare arresto della crescita cellulare, apoptosi o morte cellulare. Per questo motivo la ricerca farmaceutica in campo antitumorale è mirata alla sintesi di inibitori selettivi verso le diverse classi di HDAC per sviluppare farmaci meno tossici e per cercare di comprendere con maggiore chiarezza il ruolo biologico di questi enzimi. Il potenziale antitumorale degli inibitori delle HDAC deriva infatti dalla loro capacità di interferire con diversi processi cellulari, generalmente non più controllati nelle cellule neoplastiche. Nella maggior parte dei casi l’attività antitumorale risiede nella capacità di attivare programmi di differenziamento, di inibire la progressione del ciclo cellulare e di indurre apoptosi. Inoltre sembra essere molto importante anche la capacità di attivare la risposta immunitaria e l’inibizione dell’angiogenesi. Gli inibitori delle HDAC possono essere a loro volta classificati in base alla struttura chimica, alla loro origine (naturale o sintetica), e alla loro capacità di inibire selettivamente le HDAC appartenenti a classi diverse. Non è ancora chiaro se la selettività di queste molecole verso una specifica classe di HDAC sia importante per ottenere un effetto antitumorale, ma sicuramente inibitori selettivi possono essere molto utili per investigare e chiarire il ruolo delle HDAC nei processi cellulari che portano all’insorgenza del tumore. Nel primo capitolo di questa tesi quindi è riportata un’introduzione sull’importanza delle proteine istoniche non solo da un punto di vista strutturale ma anche funzionale per il destino cellulare. Nel secondo capitolo è riportato lo stato dell’arte dell’analisi delle proteine istoniche che comprende sia i metodi tradizionali come il microsequenziamento e l’utilizzo di anticorpi, sia metodi più innovativi (RP-LC, HILIC, HPCE) ideati per poter essere accoppiati ad analisi mediante spettrometria di massa. Questa tecnica consente infatti di ottenere importanti e precise informazioni che possono aiutare sia a identificare gli istoni come proteine che a individuare i siti coinvolti nelle modifiche post-traduzionali. Nel capitolo 3 è riportata la prima parte del lavoro sperimentale di questa tesi volto alla caratterizzazione delle proteine istoniche mediante tecniche cromatografiche accoppiate alla spettrometria di massa. Nella prima fase del lavoro è stato messo a punto un nuovo metodo cromatografico HPLC che ha consentito di ottenere una buona separazione, alla linea di base, delle otto classi istoniche (H1-1, H1-2, H2A-1, H2A-2, H2B, H3-1, H3-2 e H4). La separazione HPLC delle proteine istoniche ha permesso di poter eseguire analisi accurate di spettrometria di massa mediante accoppiamento con un analizzatore a trappola ionica tramite la sorgente electrospray (ESI). E’ stato così possibile identificare e quantificare tutte le isoforme istoniche, che differiscono per il tipo e il numero di modifiche post-traduzionali alle quali sono soggette, previa estrazione da colture cellulari di HT29 (cancro del colon). Un’analisi così dettagliata delle isoforme non può essere ottenuta con i metodi immunologici e permette di eseguire un’indagine molto accurata delle modifiche delle proteine istoniche correlandole ai diversi stadi della progressione del ciclo e alla morte cellulare. Il metodo messo a punto è stato convalidato mediante analisi comparative che prevedono la stessa separazione cromatografica ma accoppiata a uno spettrometro di massa avente sorgente ESI e analizzatore Q-TOF, dotato di maggiore sensibilità e risoluzione. Successivamente, per identificare quali sono gli specifici amminoacidi coinvolti nelle diverse modifiche post-traduzionali, l’istone H4 è stato sottoposto a digestione enzimatica e successiva analisi mediante tecniche MALDI-TOF e LC-ESI-MSMS. Queste analisi hanno permesso di identificare le specifiche lisine acetilate della coda N-terminale e la sequenza temporale di acetilazione delle lisine stesse. Nel quarto capitolo sono invece riportati gli studi di inibizione, mirati a caratterizzare le modifiche a carico delle proteine istoniche indotte da inibitori delle HDAC, dotati di diverso profilo di potenza e selettività. Dapprima Il metodo messo a punto per l’analisi delle proteine istoniche è stato applicato all’analisi di istoni estratti da cellule HT29 trattate con due noti inibitori delle HDAC, valproato e butirrato, somministrati alle cellule a dosi diverse, che corrispondono alle dosi con cui sono stati testati in vivo, per convalidare il metodo per studi di inibizione di composti incogniti. Successivamente, lo studio è proseguito con lo scopo di evidenziare effetti legati alla diversa potenza e selettività degli inibitori. Le cellule sono state trattate con due inibitori più potenti, SAHA e MS275, alla stessa concentrazione. In entrambi i casi il metodo messo a punto ha permesso di evidenziare l’aumento dei livelli di acetilazione indotto dal trattamento con gli inibitori; ha inoltre messo in luce differenti livelli di acetilazione. Ad esempio il SAHA, potente inibitore di tutte le classi di HDAC, ha prodotto un’estesa iperacetilazione di tutte le proteine istoniche, mentre MS275 selettivo per la classe I di HDAC, ha prodotto modifiche molto più blande. E’ stato quindi deciso di applicare questo metodo per studiare la dose e la tempo-dipendenza dell’effetto di quattro diversi inibitori delle HDAC (SAHA, MS275, MC1855 e MC1568) sulle modifiche post-traduzionali di istoni estratti da cellule HT29. Questi inibitori differiscono oltre che per la struttura chimica anche per il profilo di selettività nei confronti delle HDAC appartenenti alle diverse classi. Sono stati condotti quindi studi di dose-dipendenza che hanno consentito di ottenere i valori di IC50 (concentrazione capace di ridurre della metà la quantità relativa dell’istone meno acetilato) caratteristici per ogni inibitore nei confronti di tutte le classi istoniche. E’ stata inoltre calcolata la percentuale massima di inibizione per ogni inibitore. Infine sono stati eseguiti studi di tempo-dipendenza. I risultati ottenuti da questi studi hanno permesso di correlare i livelli di acetilazione delle varie classi istoniche con la selettività d’azione e la struttura chimica degli inibitori somministrati alle cellule. In particolare, SAHA e MC1855, inibitori delle HDAC di classi I e II a struttura idrossamica, hanno causato l’iperacetilazione di tutte le proteine istoniche, mentre MC1568 (inibitore selettivo per HDAC di classe II) ha prodotto l’iperacetilazione solo di H4. Inoltre la potenza e la selettività degli inibitori nel provocare un aumento dei livelli di acetilazione a livello delle distinte classi istoniche è stata correlata al destino biologico della cellula, tramite studi di vitalità cellulare. E’ stato osservato che il SAHA e MC1855, inibitori potenti e non selettivi, somministrati alla coltura HT29 a dose 50 μM producono morte cellulare, mentre MS275 alla stessa dose produce accumulo citostatico in G1/G0. MC1568, invece, non produce effetti significatici sul ciclo cellulare. Questo studio ha perciò dimostrato che l’analisi tramite HPLC-ESI-MS delle proteine istoniche permette di caratterizzare finemente la potenza e la selettività di nuovi composti inibitori delle HDAC, prevedendone l’effetto sul ciclo cellulare. In maggiore dettaglio è risultato che l’iperacetilazione di H4 non è in grado di provocare modifiche significative sul ciclo cellulare. Questo metodo, insieme alle analisi MALDI-TOF e LC-ESI-MSMS che permettono di individuare l’ordine di acetilazione delle lisine della coda N-terminale, potrà fornire importanti informazioni sugli inibitori delle HDAC e potrà essere applicato per delineare la potenza, la selettività e il meccanismo di azione di nuovi potenziali inibitori di questa classe enzimatica in colture cellulari tumorali.

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Adaptation and acclimation to different temperatures of obligate psychrophilic, facultative psychrophilic and mesophilic yeasts. Production of ω-3 and ω-6 polyunsaturated fatty acids by fermentative way. Obligate psychrophilic, facultative psychrophilic and mesophilic yeasts were cultured in a carbon rich medium at different temperatures to investigate if growth parameters, lipid accumulation and fatty acid composition were adaptive and/or acclimatory responses. Acclimation of facultative psychrophiles and mesophiles to lower temperature negatively affected their specific growth rate. Obligate psychrophiles exhibited the highest biomass yield (YX/S), followed by facultative psychrophiles, then by mesophiles. The growth temperature did not influence the YX/S of facultative psychrophiles and mesophiles. Acclimation to lower temperature caused the increase in lipid yield (YL/X) in mesophilic yeasts, but did not affect YL/X in facultative psychrophiles. Similar YL/X were found in both facultative and obligated psychrophiles, suggesting that lipid accumulation is not a distinctive character of adaptation to permanently cold environments. The extent of unsaturation of fatty acids was one major adaptive feature of the yeasts which colonize permanently cold ecosystems. Remarkable amounts of α-linolenic acid were found in obligate psychrophiles at the expenses of linoleic acid, whereas it was generally scarce or absent in all the others strains. Increased unsaturation of fatty acids was also an acclimatory response of mesophiles and facultative psychrophiles to lower temperature. It’s well known that omega-3 polyunsaturated fatty acids (PUFAs) display a variety of beneficial effects on various organ systems and diseases, therefore a process for the microbial production of omega-3 PUFAs would be of great interest. This work sought also to investigate if one of the better psychrophilic yeast, Rhodotorula glacialis DBVPG 4785, stimulated by acclamatory responses, produced omega-3 PUFAs. In fact, the adaptation of psychrophilic yeasts to cold niches is related to the production of higher amounts of lipids and to increased unsaturation degree of fatty acids, presumably to maintain membrane fluidity and functionality at low temperatures. Bioreactor fermentations of Rhodotorula glacialis DBVPG 4785 were carried out at 25, 20, 15, 10, 5, 0, and -3°C in a complex medium with high C:N ratio for 15 days. High biomass production was attained at all the temperatures with a similar biomass/glucose yield (YXS), between 0.40 and 0.45, but the specific growth rate of the strain decreased as the temperature diminished. The coefficients YL/X have been measured between a minimum of 0.50 to a maximum of 0.67, but it was not possible to show a clear effect of temperature. Similarly, the coefficient YL/S ranges from a minimum of 0.22 to a maximum of 0.28: again, it does not appear to be any significant changes due to temperature. Among omega-3 PUFAs, only α-linolenic acid (ALA, 18:3n-3) was found at temperatures below to 0°C, while, it’s remarkable, that the worthy arachidonic acid (C20:4,n-6), stearidonic acid (C20:4,n-3) C22:0 and docosahexaenoic acid (C22:6n-3) were produced only at the late exponential phase and the stationary phase of batch fermentations at 0 and -3°C. The docosahexaenoic acid (DHA) is a beneficial omega-3 PUFA that is usually found in fatty fish and fish oils. The results herein reported improve the knowledge about the responses which enable psychrophilic yeasts to cope with cold and may support exploitation of these strains as a new resource for biotechnological applications.

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Fino ad un recente passato, le macchine elettriche di tipo trifase costituivano l’unica soluzione in ambito industriale per la realizzazione di azionamenti di grande potenza. Da quando i motori sono gestiti da convertitori elettronici di potenza si è ottenuto un notevole passo in avanti verso l’innovazione tecnologica. Infatti, negli ultimi decenni, le tecnologie sempre più all’avanguardia e l’aumento dell’utilizzo dell’elettronica, sia in campo civile quanto in quello industriale, hanno contribuito a una riduzione dei costi dei relativi componenti; questa situazione ha permesso di utilizzare tecnologie elaborate che in passato avevano costi elevati e quindi risultavano di scarso interesse commerciale. Nel campo delle macchine elettriche tutto questo ha permesso non solo la realizzazione di azionamenti alimentati e controllati tramite inverter, in grado di garantire prestazioni nettamente migliori di quelle ottenute con i precedenti sistemi di controllo, ma anche l’avvento di una nuova tipologia di macchine con un numero di fasi diverso da quello tradizionale trifase, usualmente impiegato nella generazione e distribuzione dell’energia elettrica. Questo fatto ha destato crescente interesse per lo studio di macchine elettriche multifase. Il campo di studio delle macchine multifase è un settore relativamente nuovo ed in grande fermento, ma è già possibile affermare che le suddette macchine sono in grado di fornire prestazioni migliori di quelle trifase. Un motore con un numero di fasi maggiore di tre presenta numerosi vantaggi: 1. la possibilità di poter dividere la potenza su più fasi, riducendo la taglia in corrente degli interruttori statici dell’inverter; 2. la maggiore affidabilità in caso di guasto di una fase; 3. la possibilità di sfruttare le armoniche di campo magnetico al traferro per ottenere migliori prestazioni in termini di coppia elettromagnetica sviluppata (riduzione dell’ampiezza e incremento della frequenza della pulsazione di coppia); 4. l’opportunità di creare azionamenti elettrici multi-motore, collegando più macchine in serie e comandandole con un unico convertitore di potenza; 5. Maggiori e più efficaci possibilità di utilizzo nelle applicazioni Sensorless. Il presente lavoro di tesi, ha come oggetto lo studio e l’implementazione di una innovativa tecnica di controllo di tipo “sensorless”, da applicare in azionamenti ad orientamento di campo per macchine asincrone eptafase. Nel primo capitolo vengono illustrate le caratteristiche e le equazioni rappresentanti il modello della macchina asincrona eptafase. Nel secondo capitolo si mostrano il banco di prova e le caratteristiche dei vari componenti. Nel terzo capitolo sono rappresentate le tecniche di modulazione applicabili per macchine multifase. Nel quarto capitolo vengono illustrati il modello del sistema implementato in ambiente Simulink ed i risultati delle simulazioni eseguite. Nel quinto capitolo viene presentato il Code Composer Studio, il programma necessario al funzionamento del DSP. Nel sesto capitolo, sono presentati e commentati i risultati delle prove sperimentali.

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Oggigiorno si osserva a livello mondiale un continuo aumento dei consumi di acqua per uso domestico, agricolo ed industriale che dopo l’impiego viene scaricata nei corpi idrici (laghi, fiumi, torrenti, bacini, ecc) con caratteristiche chimico fisiche ed organolettiche completamente alterate, necessitando così di specifici trattamenti di depurazione. Ricerche relative a metodi di controllo della qualità dell’acqua e, soprattutto, a sistemi di purificazione rappresentano pertanto un problema di enorme importanza. I trattamenti tradizionali si sono dimostrati efficienti, ma sono metodi che operano normalmente trasferendo l’inquinante dalla fase acquosa contaminata ad un’altra fase, richiedendo perciò ulteriori processi di depurazione. Recentemente è stata dimostrata l’efficacia di sistemi nano strutturati come TiO2-Fe3O4 ottenuto via sol-gel, nella foto-catalisi di alcuni sistemi organici. Questo lavoro di tesi è rivolto alla sintesi e caratterizzazione di un catalizzatore nanostrutturato composito costituito da un core di Fe3O4 rivestito da un guscio di TiO2 separate da un interstrato inerte di SiO2, da utilizzare nella foto-catalisi di sistemi organici per la depurazione delle acque utilizzando un metodo di sintesi alternativo che prevede un “approccio” di tipo colloidale. Partendo da sospensioni colloidali dei diversi ossidi, presenti in commercio, si è condotta la fase di deposizione layer by layer via spray drying, sfruttando le diverse cariche superficiali dei reagenti. Questo nuovo procedimento permette di abbattere i costi, diminuire i tempi di lavoro ed evitare possibili alterazioni delle proprietà catalitiche della titania, risultando pertanto adatto ad una possibile applicazione su scala industriale. Tale sistema composito consente di coniugare le proprietà foto-catalitiche dell’ossido di titanio con le proprietà magnetiche degli ossidi di ferro permettendo il recupero del catalizzatore a fine processo. Il foto-catalizzatore è stato caratterizzato durante tutte la fasi di preparazione tramite microscopia SEM e TEM, XRF, Acusizer, spettroscopia Raman e misure magnetiche. L’attività foto-calitica è stata valutata con test preliminari utilizzando una molecola target tipo il rosso di metile in fase acquosa. I risultati ottenuti hanno dimostrato che il sistema core-shell presenta inalterate sia le proprietà magnetiche che quelle foto-catalitiche tipiche dei reagenti.

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Il Protocollo di Montreal, che succede alla Convenzione di Vienna per la protezione dello strato di ozono richiede l’eliminazione di idrocarburi contenenti cloro (CFC). Nel corso degli ultimi decenni ha quindi assunto importanza la reazione di idrodeclorurazione di clorofluorocarburi, in particolare rivolta alla produzione di idrocarburi fluorurati che sono risultati interessanti per la produzione di polimeri con specifiche caratteristiche di resistenza meccanica, termica e chimica. In questo lavoro di tesi, svolto in collaborazione con SOLVAY SPECIALTY POLYMERS ITALY, sono stati studiati catalizzatori innovativi per la produzione di perfluorometilviniletere (MVE), mediante idrodeclorurazione di perfluorometilcloroviniletere (AM). Attualmente la reazione di produzione industriale dell’MVE, condotta con l'utilizzo di quantità stechiometriche di Zn e dimetilformammide (DMF), presenta il notevole problema dello smaltimento di grandi quantità di zinco cloruro e di DMF. La reazione studiata, condotta in catalisi eterogenea, in presenta di H2, presenta una forte dipendenza dalla natura dei metalli utilizzati oltre che dal tipo di sintesi dei catalizzatori impiegati. Nell'ambito di questo lavoro è stato sviluppato un metodo, a basso impatto ambientale, per la sintesi si nanoparticelle preformate da utilizzare per la preparazione di catalizzatori supportati si TiO2 e SiO2. Le nanosospensioni ed i sistemi catalitici prodotti sono stati caratterizzati utilizzando diverse metodologie di analisi quali: XRD, XRF, TEM, TPR-MS, che hanno permesso di ottimizzare le diverse fasi della preparazione. Allo scopo di osservare effetti sinergici tra le specie utilizzate sono stati confrontati sistemi catalitici monometallici con sistemi bimetallici, rivelando interessanti implicazioni derivanti dall’utilizzo di fasi attive nanoparticellari a base di Pd e Cu. In particolare, è stato possibile apprezzare miglioramenti significativi nelle prestazioni catalitiche in termini di selettività a perfluorometilviniletere all’aumentare del contenuto di Cu. La via di sintesi ottimizzata e impiegata per la produzione di nanoparticelle bimetalliche è risultata una valida alternativa, a basso impatto ambientale, ai metodi di sintesi normalmente usati, portando alla preparazione di catalizzatori maggiormente attivi di quelli preparati con i metalli standard.

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Proposta di Linee Guida Italiane per la progettazione di opere di sostegno in terra rinforzata con geosintetici

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La tesi ha mostrato come il pensiero politico di Montesquieu possa costituire un utile riferimento teorico per affrontare il problema della ricontestualizzazione dello studio delle relazioni internazionali. La prima parte del lavoro evidenzia alcuni aspetti del metodo di ricerca e del pensiero politico di Montesquieu. Nel primo capitolo, è stato identificato un metodo di ricerca ed un approccio sociologico nello studio della politica, che rappresenta un precedente rispetto alla fondazione di una scienza politica che si propone di identificare nessi causali tra i fenomeni politici. In particolare, si deve riconoscere a Montesquieu il merito di aver introdotto un tipo di analisi della politica che consideri l’interazione di più fattori tra loro. La complessità del reale può essere spiegata soltanto identificando i rapporti che si formano tra gli elementi della realtà. Quindi è possibile porre dei principi in grado di produrre un ordine conoscibile ed interpretabile di tutti questi elementi. Nel secondo capitolo è stata presentata un’analisi delle tipologie delle forme di governo e del concetto di libertà politica. Questo capitolo ha evidenziato solo alcuni aspetti del pensiero politico di Montesquieu utili alla comprensione del pensiero politico internazionale. In particolare, è stata analizzata la struttura e il ressort di ogni forma di governo sottolineando gli aspetti di corruzione e i relativi processi di mutamento. La seconda parte del lavoro ha affrontato l’analisi di un pensiero politico internazionale ed ha evidenziato la rilevanza di una riflessione geopolitica. Nel terzo capitolo abbiamo mostrato l’emersione di una riflessione su alcuni argomenti di relazioni internazionali, quali il problema della guerra e della pace, il diritto internazionale e l’interdipendenza economica, legandoli alle forme di governo. Quindi sono stati identificati ed analizzati tre modelli di sistema internazionale sottolineando in particolare il nesso con il concetto di società internazionale. Tra questi modelli di sistema internazionale, quello che presenta le caratteristiche più singolari, è certamente il sistema della federazione di repubbliche. Infine, nell’ultimo capitolo, abbiamo evidenziato l’importanza della rappresentazione spaziale del mondo di Montesquieu e l’uso di categorie concettuali e metodi di analisi della geopolitica. In particolare, è stata rilevata l’importanza dell’aspetto dimensionale per la comprensione delle dinamiche di ascesa e declino delle forme di Stato e delle forme di governo. Si è mostrato come non sia possibile ascrivere il pensiero di Montesquieu nella categoria del determinismo geografico o climatico. Al contrario, abbiamo evidenziato come tale pensiero possa essere considerato un precedente di una corrente di pensiero della geopolitica francese definita “possibilismo”. Secondo questa teoria i fattori ambientali, più che esercitare un’azione diretta sul comportamento dell’uomo, agiscono selezionando il campo delle scelte possibili.

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A causa della limitata estensione del campo di vista del sistema, con un microscopio ottico tradizionale non è possibile acquisire una singola immagine completamente a fuoco se l’oggetto è caratterizzato da una profondità non trascurabile. Fin dagli anni ’70, il problema dell’estensione della profondidi fuoco è stato ampiamente trattato in letteratura e molti metodi sono stati proposti per superare questo limite. Tuttavia, è molto difficile riuscire a decretare quale metodo risulti essere il migliore in una specifica applicazione, a causa della mancanza di una metrica validata e adatta ad essere utilizzata anche in casi reali, dove generalmente non si ha a disposizione un’immagine di riferimento da considerare come “la verità” (ground truth). L’Universal Quality Index (UQI) è ampiamente utilizzato in letteratura per valutare la qualità dei risultati in processi di elaborazione di immagini. Tuttavia, per poter calcolare questo indice è necessaria una ground truth. In effetti, sono state proposte in letteratura alcune estensioni dell’UQI per valutare il risultato dei metodi di fusione anche senza immagine di riferimento, ma nessuna analisi esaustiva è stata proposta per dimostrare la loro equivalenza con l’UQI standard nel valutare la qualità di un’immagine. In questo lavoro di Tesi, partendo dai limiti dei metodi attualmente utilizzati per l'estensione della profondidi campo di un microscopio, ed esposti in letteratura, per prima cosa è stato proposto un nuovo metodo, basato su approccio spaziale e fondato su analisi locale del segnale appositamente filtrato. Attraverso l’uso di sequenze di immagini sintetiche, delle quali si conosce la ground truth, è stato dimostrato, utilizzando metriche comuni in image processing, che il metodo proposto è in grado di superare le performance dei metodi allo stato dell'arte. In seguito, attraverso una serie di esperimenti dedicati, è stato provato che metriche proposte e ampiamente utilizzate in letteratura come estensione dell'UQI per valutare la qualità delle immagini prodotte da processi di fusione, sebbene dichiarate essere sue estensioni, non sono in grado di effettuare una valutazione quale quella che farebbe l'UQI standard. E’ quindi stato proposto e validato un nuovo approccio di valutazione che si è dimostrato in grado di classificare i metodi di fusione testati così come farebbe l’UQI standard, ma senza richiedere un’immagine di riferimento. Infine, utilizzando sequenze di immagini reali acquisite a differenti profondidi fuoco e l’approccio di valutazione validato, è stato dimostrato che il metodo proposto per l’estensione della profondidi campo risulta sempre migliore, o almeno equivalente, ai metodi allo stato dell’arte.

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Le moderne tecniche di imaging e i recenti sviluppi nel campo della visione computazionale consentono sempre più diffusamente l'utilizzo di metodi di image analysis, specialmente in ambito medico e biologico, permettendo un maggiore supporto sia alla diagnosi, sia alla ricerca. Il lavoro svolto in questa tesi si pone in un contesto di ricerca di carattere interdisciplinare, e riguarda il progetto e la realizzazione di un‘interfaccia grafica per l'analisi di colture batteriche geneticamente modificate, marcate con proteine fluorescenti (GFP), acquisite tramite un microscopio ad epifluorescenza. Nota la funzione di risposta del sistema di acquisizione delle immagini, l'analisi quantitativa delle colture batteriche è effettuata mediante la misurazione di proprietà legate all'intensità della risposta al marcatore fluorescente. L'interfaccia consente un'analisi sia globale dei batteri individuati nell'immagine, sia di singoli gruppi di batteri selezionati dall'utente, fornendo utili informazioni statistiche, sia in forma grafica che numerica. Per la realizzazione dell'interfaccia sono state adottate tecniche di ingegneria del software, con particolare enfasi alla interazione uomo-macchina e seguendo criteri di usability, al fine di consentire un corretto utilizzo dello strumento anche da parte di personale senza conoscenza in campo informatico.

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Questa tesi propone una riflessione critica sulle pratiche della pianificazione urbanistica attraverso l’analisi di un significativo caso di studio, costituito dalla Darsena di Città a Ravenna. Questo approccio di ricerca è dal nostro punto di vista una conseguenza della difficoltà di governare le attuali problematiche di sviluppo dello spazio urbano attraverso gli strumenti tradizionali della pianificazione e dell’urbanistica. La tesi ha lo scopo di far emergere temi di dibattito attuale sulle aree di sviluppo urbano, in particolare la complessità dei compiti decisionali riguardanti aree oggetto di interventi di rigenerazione urbana. La definizione “area di sviluppo urbano” si pone come prodotto di un’attiva collaborazione tra Stato, mercato e società civile e costituisce dal nostro punto di vista una vera “questione sociale”. Prenderemo come riferimento il caso della Darsena di Città di Ravenna, oggetto della sperimentazione urbanistica degli ultimi trenta anni, sul quale diversi “stili” e strumenti di pianificazione si sono confrontati, nell’intento di guidare un processo di riqualificazione che ha portato ad oggi a risultati concreti assai limitati. Attraverso gli strumenti consultabili e un rapido sopralluogo infatti, possiamo intuire immediatamente come la realizzazione di interventi sull’area si limiti a casi localizzati come la riqualificazione della raffineria Almagià, la nuova sede dell’autorità portuale e l’ex molino Pineta, oltre agli interventi residenziali riconducibili all’edificio progettato dall’architetto Cino Zucchi e ai nuovi isolati attorno alla parte centrale di via Trieste. Le problematiche di fondo che hanno creato conflitti sono molte, dall’elevata divisione proprietaria alla cesura del comparto con il centro storico data dalla barriera ferroviaria, alla questione relativa al risanamento delle acque e dei suoli, solo per citare le più evidenti. Siamo quindi interessati a capire il problema dal punto di vista del processo di pianificazione per poi concentrare la nostra riflessione su possibili soluzioni che possano risolvere i conflitti che sembrano all’oggi non trovare una risposta condivisa. Per meglio comprendere come rapportarci al caso specifico si è cercato di analizzare alcuni aspetti teorici fondanti del “procedimento archetipico” di pianificazione urbana in contrapposizione con metodi di pianificazione “non convenzionali”. Come lo studio dei primi ci ha permesso di capire come si è arrivati all’attuale situazione di stallo nella trasformazione urbana della Darsena di Città, i secondi ci hanno aiutato a comprendere per quali ragioni i piani urbanistici di tipo “tradizionale” pensati per la Darsena di Città non sono stati portati a realizzazione. Consci che i fattori in gioco sono molteplici abbiamo deciso di affrontare questa tesi attraverso un approccio aperto al dialogo con le reali problematiche presenti sul territorio, credendo che la pianificazione debba relazionarsi con il contesto per essere in grado di proporre e finalizzare i suoi obiettivi. Conseguenza di questo è per noi il fatto che una sensibile metodologia di pianificazione debba confrontarsi sia con i processi istituzionali sia con le dinamiche e i valori socio-culturali locali. In generale gerarchie di potere e decisioni centralizzate tendono a prevalere su pratiche decisionali di tipo collaborativo; questa tesi si è proposta quindi l’obiettivo di ragionare sulle une e sulle altre in un contesto reale per raggiungere uno schema di pianificazione condiviso. La pianificazione urbanistica è da noi intesa come una previsione al futuro di pratiche di accordo e decisione finalizzate a raggiungere un obiettivo comune, da questo punto di vista il processo è parte essenziale della stessa pianificazione. Il tema è attuale in un contesto in cui l’urbanistica si è sempre confrontata in prevalenza con i temi della razionalizzazione della crescita, e con concetti da tempo in crisi che vanno oggi rimessi in discussione rispetto alle attuali istanze di trasformazione “sostenibile” delle città e dei territori. Potremmo riassumere le nostre riflessioni sull’urbanistica ed i nostri intenti rispetto al piano della Darsena di Città di Ravenna attraverso una definizione di Rem Koolhaas: l’urbanistica è la disciplina che genera potenziale, crea opportunità e causa eventi, mentre l’architettura è tradizionalmente la disciplina che manipola questo potenziale, sfrutta le possibilità e circoscrive. Il percorso di ragionamento descritto in questa tesi intende presentare attraverso alcune questioni significative l’evoluzione dello spazio urbano e delle pratiche di pianificazione, arrivando a formulare un “progetto tentativo” sul territorio della Darsena di Città.