998 resultados para 430207 Archaeological Science
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In the Amazon Basin, within a landscape of infertile soils, fertile Anthrosols of pre-Columbian origin occur (Amazonian Dark Earths or terra preta de Indio). These soils are characterized by high amounts of charred organic matter (black carbon, biochar) and high nutrient stocks. Frequently, they were considered as sign for intensive landscape domestication by way of sedentary agriculture and as sign for large settlements in pre-Columbian Amazonia. Beyond the archaeological interest in Amazonian Dark Earths, they increasingly receive attention because it is assumed that they could serve as a model for sustainable agriculture in the humid tropics (terra preta nova). Both questions lack information about the pre-Columbian practices which were responsible for the genesis of Amazonian Dark Earths. It has often been hypothesized that deposition of faeces could have contributed to the high nutrient stocks in these soils, but no study has focussed on this question yet. We analyzed the biomarkers for faeces 5 beta-stanols as well as their precursors and their 5 alpha-isomers in Amazonian Dark Earths and reference soils to investigate the input of faeces into Amazonian Dark Earths. Using Amazonian Dark Earths as example, we discuss the application of threshold values for specific stanols to evaluate faeces deposition in archaeological soils and demonstrate an alternative approach which is based on a comparison of the concentration patterns of 5 beta-stanols with the concentration patterns of their precursors and their 5 alpha-isomers as well as with local backgrounds. The concentration patterns of sterols show that faeces were deposited on Amazonian Dark Earths. (C) 2011 Elsevier Ltd. All rights reserved.
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In this paper, we present the results of an experimental approach developed to study the macroscopic and microbiological alteration of bird and small mammal bones buried under a Cerrado biome. The first experiment evaluated the macroscopic alteration of cooked and fresh carcasses buried through the dry and rainy seasons. The second experiment analyzed the mycobiota associated to the decomposition of a complete bird that remained buried for almost a year. Results show that in tropical forest environments: 1) bone structure and pre-taphonomic factors determine its differential alteration by biochemical processes; 2) fungal populations associated to the decomposition of animal remains depend on soil chemistry and ecological dynamics; 3) even in a corrosive environment, bird bones are more capable of surviving to several mycological decomposition steps. (C) 2011 Elsevier Ltd. All rights reserved.
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CAPITOLO 1 INTRODUZIONE Il lavoro presentato è relativo all’utilizzo a fini metrici di immagini satellitari storiche a geometria panoramica; in particolare sono state elaborate immagini satellitari acquisite dalla piattaforma statunitense CORONA, progettata ed impiegata essenzialmente a scopi militari tra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, e recentemente soggette ad una declassificazione che ne ha consentito l’accesso anche a scopi ed utenti non militari. Il tema del recupero di immagini aeree e satellitari del passato è di grande interesse per un ampio spettro di applicazioni sul territorio, dall’analisi dello sviluppo urbano o in ambito regionale fino ad indagini specifiche locali relative a siti di interesse archeologico, industriale, ambientale. Esiste infatti un grandissimo patrimonio informativo che potrebbe colmare le lacune della documentazione cartografica, di per sé, per ovvi motivi tecnici ed economici, limitata a rappresentare l’evoluzione territoriale in modo asincrono e sporadico, e con “forzature” e limitazioni nel contenuto informativo legate agli scopi ed alle modalità di rappresentazione delle carte nel corso del tempo e per diversi tipi di applicazioni. L’immagine di tipo fotografico offre una rappresentazione completa, ancorché non soggettiva, dell’esistente e può complementare molto efficacemente il dato cartografico o farne le veci laddove questo non esista. La maggior parte del patrimonio di immagini storiche è certamente legata a voli fotogrammetrici che, a partire dai primi decenni del ‘900, hanno interessato vaste aree dei paesi più avanzati, o regioni di interesse a fini bellici. Accanto a queste, ed ovviamente su periodi più vicini a noi, si collocano le immagini acquisite da piattaforma satellitare, tra le quali rivestono un grande interesse quelle realizzate a scopo di spionaggio militare, essendo ad alta risoluzione geometrica e di ottimo dettaglio. Purtroppo, questo ricco patrimonio è ancora oggi in gran parte inaccessibile, anche se recentemente sono state avviate iniziative per permetterne l’accesso a fini civili, in considerazione anche dell’obsolescenza del dato e della disponibilità di altre e migliori fonti di informazione che il moderno telerilevamento ci propone. L’impiego di immagini storiche, siano esse aeree o satellitari, è nella gran parte dei casi di carattere qualitativo, inteso ad investigare sulla presenza o assenza di oggetti o fenomeni, e di rado assume un carattere metrico ed oggettivo, che richiederebbe tra l’altro la conoscenza di dati tecnici (per esempio il certificato di calibrazione nel caso delle camere aerofotogrammetriche) che sono andati perduti o sono inaccessibili. Va ricordato anche che i mezzi di presa dell’epoca erano spesso soggetti a fenomeni di distorsione ottica o altro tipo di degrado delle immagini che ne rendevano difficile un uso metrico. D’altra parte, un utilizzo metrico di queste immagini consentirebbe di conferire all’analisi del territorio e delle modifiche in esso intercorse anche un significato oggettivo che sarebbe essenziale per diversi scopi: per esempio, per potere effettuare misure su oggetti non più esistenti o per potere confrontare con precisione o co-registrare le immagini storiche con quelle attuali opportunamente georeferenziate. Il caso delle immagini Corona è molto interessante, per una serie di specificità che esse presentano: in primo luogo esse associano ad una alta risoluzione (dimensione del pixel a terra fino a 1.80 metri) una ampia copertura a terra (i fotogrammi di alcune missioni coprono strisce lunghe fino a 250 chilometri). Queste due caratteristiche “derivano” dal principio adottato in fase di acquisizione delle immagini stesse, vale a dire la geometria panoramica scelta appunto perché l’unica che consente di associare le due caratteristiche predette e quindi molto indicata ai fini spionaggio. Inoltre, data la numerosità e la frequenza delle missioni all’interno dell’omonimo programma, le serie storiche di questi fotogrammi permettono una ricostruzione “ricca” e “minuziosa” degli assetti territoriali pregressi, data appunto la maggior quantità di informazioni e l’imparzialità associabili ai prodotti fotografici. Va precisato sin dall’inizio come queste immagini, seppur rappresentino una risorsa “storica” notevole (sono datate fra il 1959 ed il 1972 e coprono regioni moto ampie e di grandissimo interesse per analisi territoriali), siano state molto raramente impiegate a scopi metrici. Ciò è probabilmente imputabile al fatto che il loro trattamento a fini metrici non è affatto semplice per tutta una serie di motivi che saranno evidenziati nei capitoli successivi. La sperimentazione condotta nell’ambito della tesi ha avuto due obiettivi primari, uno generale ed uno più particolare: da un lato il tentativo di valutare in senso lato le potenzialità dell’enorme patrimonio rappresentato da tali immagini (reperibili ad un costo basso in confronto a prodotti simili) e dall’altro l’opportunità di indagare la situazione territoriale locale per una zona della Turchia sud orientale (intorno al sito archeologico di Tilmen Höyük) sulla quale è attivo un progetto condotto dall’Università di Bologna (responsabile scientifico il Prof. Nicolò Marchetti del Dipartimento di Archeologia), a cui il DISTART collabora attivamente dal 2005. L’attività è condotta in collaborazione con l’Università di Istanbul ed il Museo Archeologico di Gaziantep. Questo lavoro si inserisce, inoltre, in un’ottica più ampia di quelle esposta, dello studio cioè a carattere regionale della zona in cui si trovano gli scavi archeologici di Tilmen Höyük; la disponibilità di immagini multitemporali su un ampio intervallo temporale, nonché di tipo multi sensore, con dati multispettrali, doterebbe questo studio di strumenti di conoscenza di altissimo interesse per la caratterizzazione dei cambiamenti intercorsi. Per quanto riguarda l’aspetto più generale, mettere a punto una procedura per il trattamento metrico delle immagini CORONA può rivelarsi utile all’intera comunità che ruota attorno al “mondo” dei GIS e del telerilevamento; come prima ricordato tali immagini (che coprono una superficie di quasi due milioni di chilometri quadrati) rappresentano un patrimonio storico fotografico immenso che potrebbe (e dovrebbe) essere utilizzato sia a scopi archeologici, sia come supporto per lo studio, in ambiente GIS, delle dinamiche territoriali di sviluppo di quelle zone in cui sono scarse o addirittura assenti immagini satellitari dati cartografici pregressi. Il lavoro è stato suddiviso in 6 capitoli, di cui il presente costituisce il primo. Il secondo capitolo è stato dedicato alla descrizione sommaria del progetto spaziale CORONA (progetto statunitense condotto a scopo di fotoricognizione del territorio dell’ex Unione Sovietica e delle aree Mediorientali politicamente correlate ad essa); in questa fase vengono riportate notizie in merito alla nascita e all’evoluzione di tale programma, vengono descritti piuttosto dettagliatamente gli aspetti concernenti le ottiche impiegate e le modalità di acquisizione delle immagini, vengono riportati tutti i riferimenti (storici e non) utili a chi volesse approfondire la conoscenza di questo straordinario programma spaziale. Nel terzo capitolo viene presentata una breve discussione in merito alle immagini panoramiche in generale, vale a dire le modalità di acquisizione, gli aspetti geometrici e prospettici alla base del principio panoramico, i pregi ed i difetti di questo tipo di immagini. Vengono inoltre presentati i diversi metodi rintracciabili in bibliografia per la correzione delle immagini panoramiche e quelli impiegati dai diversi autori (pochi per la verità) che hanno scelto di conferire un significato metrico (quindi quantitativo e non solo qualitativo come è accaduto per lungo tempo) alle immagini CORONA. Il quarto capitolo rappresenta una breve descrizione del sito archeologico di Tilmen Höyuk; collocazione geografica, cronologia delle varie campagne di studio che l’hanno riguardato, monumenti e suppellettili rinvenute nell’area e che hanno reso possibili una ricostruzione virtuale dell’aspetto originario della città ed una più profonda comprensione della situazione delle capitali del Mediterraneo durante il periodo del Bronzo Medio. Il quinto capitolo è dedicato allo “scopo” principe del lavoro affrontato, vale a dire la generazione dell’ortofotomosaico relativo alla zona di cui sopra. Dopo un’introduzione teorica in merito alla produzione di questo tipo di prodotto (procedure e trasformazioni utilizzabili, metodi di interpolazione dei pixel, qualità del DEM utilizzato), vengono presentati e commentati i risultati ottenuti, cercando di evidenziare le correlazioni fra gli stessi e le problematiche di diversa natura incontrate nella redazione di questo lavoro di tesi. Nel sesto ed ultimo capitolo sono contenute le conclusioni in merito al lavoro in questa sede presentato. Nell’appendice A vengono riportate le tabelle dei punti di controllo utilizzati in fase di orientamento esterno dei fotogrammi.
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Despite an increasing number of publications regarding the Pre-Columbian earthworks of the Llanos de Moxos, there have been no serious attempts to undertake a systematic survey of the archaeological remains of this lowland region in the Bolivian Amazon. Based on the GIS analysis of data gathered in the field and retrieved from satellite images, we discuss the spatial distribution of the Pre-Columbian settlements in a 4500 Km2 area of the Llanos de Moxos to the east of Trinidad, capital of the Beni Department, and their relationship with the geographical settings. Our findings shed new light on the prehistory of the region and bear important implications for our understanding of the impact of Pre-Columbian human occupation.
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Diepkloof Rock Shelter offers an exceptional opportunity to study the onset and evolution of both Still Bay (SB) and Howiesons Poort (HP) techno-complexes. However, previous age estimates based on luminescence dating of burnt quartzites (Tribolo et al., 2009) and of sediments (Jacobs et al., 2008) were not in agreement. Here, we present new luminescence ages for 17 rock samples (equivalent dose estimated with a SAR-ITL protocol instead of classical MAAD-TL) as well as for 5 sediment samples (equivalent dose estimated with SAR-single grain OSL protocol) and an update of the 22 previous age estimates for burnt lithics (modified calibration and beta dose estimates). While a good agreement between the rock and sediment ages is obtained, these estimates are still significantly older than those reported by Jacobs et al. (2008). After our own analyses of the sediment from Diepkloof, it is suspected that these authors did not correctly chose the parameters for the equivalent dose determination, leading to an underestimate of the equivalent doses, and thus of the ages. From bottom to top, the mean ages are 100 ± 10 ka for stratigraphic unit (SU) Noël and 107 ± 11 ka for SU Mark (uncharacterized Lower MSA), 100 ± 10 ka for SU Lynn-Leo (Pre-SB type Lynn), 109 ± 10 ka for SUs Kim-Larry (SB), 105 ± 10 ka for SUs Kerry-Kate and 109 ± 10 ka for SU Jess (Early HP), 89 ± 8 ka for SU Jude (MSA type Jack), 77 ± 8 ka for SU John, 85 ± 9 ka for SU Fox, 83 ± 8 ka for SU Fred and 65 ± 8 ka for SU OB5 (Intermediate HP), 52 ± 5 ka for SUs OB2-4 (Late HP). This chronology, together with the technological analyses, greatly modifies the current chrono-cultural model regarding the SB and the HP and has important archaeological implications. Indeed, SB and HP no longer appear as short-lived techno-complexes with synchronous appearances for each and restricted to Oxygen Isotopic Stage (OIS) 4 across South Africa, as suggested by Jacobs et al. (2008, 2012). Rather, the sequence of Diepkloof supports a long chronology model with an early appearance of both SB and HP in the first half of OIS 5 and a long duration of the HP into OIS 3. These new dates imply that different technological traditions coexisted during OIS 5 and 4 in southern Africa and that SB and HP can no longer be considered as horizon markers.
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This study presents the results of a series of wool measurements from Bronze Age and Iron Age skins and textiles from Hallstatt, and Bronze Age textiles from Scandinavia and the Balkans. A new method of classification that was set up and applied on mostly mineralised Iron Age material has now been applied to a large body of non-mineralised material from the Bronze and Iron Ages. Three types of microscopes were used and their advantages and disadvantages assessed. The results of the investigation cast new light on sheep breeding and fibre processing in prehistoric Europe, and suggest that different sheep breeds existed in Bronze Age Europe.
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Ancient DNA from a Neolithic legging (1st half of the 3rd millennium BC) found at Lenk, Schnidejoch (2750 m a.sl.) in the Swiss Alps has demonstrated, that modern distribution of genetic variation does not reflect past spatio-temporal signatures. The legging was made from the skin of a domestic goat (Capra hircus), belonging to the caprine haplogroup B1, which is marginal in Europe today, but represents a third highly diverse goat haplogroup entering Europe already in the Neolithic. Population expansion of lineage B therefore happened more than 4500 years ago, but their members were at some point almost completely replaced by goats of today's common A and C haplogroups.
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Archaeological leather samples recovered from the ice field at the Schnidejoch Pass (altitude 2756 m amsl) in the western Swiss Alps were studied using optical, chemical molecular and isotopic (δ13C and δ15N of the bulk leather, and compound-specific δ13C analyses of the organic-solvent extracted fatty acids) methods to obtain insight into the origin of the leather and ancient tanning procedures. For comparison, leathers from modern native animals in alpine environment (red deer, goat, sheep, chamois, and calf/cow) were analyzed using the same approach. Optical and electron microscopically comparisons of Schnidejoch and modern leathers showed that the gross structure (pattern of collagen fibrils and intra-fibrils material) of archaeological leather had survived essentially intact for five millennia. The SEM studies of the hairs from the most important archaeological find, a Neolithic leather legging, show a wave structure of the hair cuticle, which is a diagnostic feature for goatskins. The variations of the bulk δ13C and δ15N values, and δ13C values of the main fatty acids are within the range expected for pre-industrial temperate C3 environment. The archaeological leather samples contain a mixture of indigenous (from the animal) and exogenous plant/animal lipids. An important amount of waxy n-alkanes, n-alkan-1-ols and phytosterols (β-sitosterol, sitostanol) in all samples, and abundant biomarker of conifers (nonacosan-10-ol) in the legging leathers clearly indicate that the Neolithic people were active in a subalpine coniferous forest, and that they used an aqueous extract of diverse plant material for tanning leather.
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Was the spread of agropastoralism from the Fertile Crescent throughout Europe influenced by rapid climatic shifts? We here generate idealized climate events using palaeoclimate records. In a mathematical model of regional sociocultural development, these events disturb the subsistence base of simulated forager and farmer societies. We evaluate the regional simulated transition timings and durations against a published large set of radiocarbon dates for western Eurasia; the model is able to realistically hindcast much of the inhomogeneous space-time evolution of regional Neolithic transitions. Our study shows that the inclusion of climate events improves the simulation of typical lags between cultural complexes, but that the overall difference to a model without climate events is not significant. Climate events may not have been as important for early sociocultural dynamics as endogenous factors.
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Farming and herding were introduced to Europe from the Near East and Anatolia; there are, however, considerable arguments about the mechanisms of this transition. Were it the people who moved and either outplaced, or admixed with, the indigenous hunter-gatherer groups? Or was it material and information that moved---the Neolithic Package---consisting of domesticated plants and animals and the knowledge of their use? The latter process is commonly referred to as cultural diffusion and the former as demic diffusion. Despite continuous and partly combined efforts by archaeologists, anthropologists, linguists, palaeontologists and geneticists, a final resolution of the debate has not yet been reached. In the present contribution we interpret results from the Global Land Use and technological Evolution Simulator (GLUES). GLUES is a mathematical model for regional sociocultural development, embedded in the geoenvironmental context, during the Holocene. We demonstrate that the model is able to realistically hindcast the expansion speed and the inhomogeneous space-time evolution of the transition to agropastoralism in western Eurasia. In contrast to models that do not resolve endogenous sociocultural dynamics, our model describes and explains how and why the Neolithic advanced in stages. We uncouple the mechanisms of migration and information exchange and also of migration and the spread of agropastoralism. We find that: (1) An indigenous form of agropastoralism could well have arisen in certain Mediterranean landscapes, but not in Northern and Central Europe, where it depended on imported technology and material. (2) Both demic diffusion by migration and cultural diffusion by trade may explain the western European transition equally well. (3) Migrating farmers apparently contribute less than local adopters to the establishment of agropastoralism. Our study thus underlines the importance of adoption of introduced technologies and economies by resident foragers.
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This salinization simulation enables irrigation salinity, capillary rise, rainfall, leaching, salt mitigation strategies via fallowing, and other functions that are addressed in a coupled social-environment model applied to southern Mesopotamia. The simulation is applied to the Modeling Ancient Settlement Systems Project supported by the University of Chicago, Durham University, and Argonne National Laboratory. The simulation can be used for other regions.