844 resultados para revisitations of tradition


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La dissertazione si articola attorno all’idea di tradizione e alla concettualizzazione di genere nella musica di villaggio dei Banyoro e dei Batooro dell’Uganda occidentale. Il lavoro si sviluppa nel complesso in tre parti principali. Nella prima si presentano le trasformazioni storiche intervenute nelle relazioni di genere dal periodo precoloniale al presente e si introduce la musica di villaggio delle popolazioni considerate, ponendola a confronto con la musica di corte e con quella religiosa. La seconda sezione è dedicata allo studio dei repertori vocali e di danza di villaggio, a partire dalla documentazione realizzata con informatori anziani: di queste musiche sono considerate le caratteristiche stilistiche ed è condotta un’analisi che mira a mettere in luce le idee di genere trasmesse attraverso questi repertori. L’ultima parte del lavoro prende in considerazione le trasformazioni intervenute nel panorama musicale ugandese nell’ultimo secolo, a partire dall’influenza di musiche esterne, dall’insegnamento della musica tradizionale nelle scuole e dall’istituzione di festival scolastici e di gruppi folklorici: diverse performance attuali di canti e di danza sotto sottoposte a studio analitico. Nel complesso, si rileva una generale rifunzionalizzazione di musiche e idee di genere che si rifanno al passato, ma hanno valore soprattutto per il recupero della cultura locale nel presente,connotato dal contesto multiculturale dell’Uganda contemporanea e dalle politiche, promosse dal Governo, che favoriscono l’emancipazione femminile.

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L’obbiettivo del lavoro è quello di delimitare uno spazio critico che consenta di ripensare il concetto di modernità nelle culture ispanoamericane degli inizi del XX secolo. In questa direzione, si è deciso di focalizzare l’attenzione su un’opera letteraria, quella dell’uruguaiano Julio Herrera y Reissig, del tutto particolare se comparata al resto delle produzioni estetiche a essa più immediatamente contigue. Tornare a leggere Herrera y Reissig equivale, infatti, nella sostanza, a rimettere mano criticamente a tutta l’epoca modernista, interpretandola non in senso unitario, bensì plurale e frammentario. Spunto di partenza dell’analisi sono state le coordinate culturali comuni in cui quelle estetiche si sono determinate e sviluppate, per poi procedere verso una moltiplicazione di percorsi in grado di rendere conto della sostanziale discrepanza di mezzi e finalità che intercorre fra Julio Herrera y Reissig e gran parte del Modernismo a lui contemporaneo. Mantenendo come base metodologica i presupposti dell’archeologia culturale foucauldiana, è stato possibile rintracciare, nell’opera dell’uruguaiano, un eterogeneo ma costante movimento di riemersione e riutilizzo delle più svariate esperienze del pensiero – estetico e non – occidentale. Nelle particolarità d’uso a cui la tradizione è sottomessa nella scrittura di Herrera y Reissig si è reso così possibile tornare a ragionare sui punti focali dell’esperienza della modernità: il legame fra patrimonio culturale e attualità, la relazione fra sedimentazione tradizionale e novità, nonché, in definitiva, le modalità attraverso le quali alla letteratura è consentito di pensare e dire la propria storia – passata, presente e futura – e, in conseguenza, metabolizzarla, per tornare ad agire attivamente su di essa.

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La ricerca si propone di analizzare una di quelle stagioni architettoniche controverse e lontane dalle internazionali strade maestre del nascente Neues Bauen: il romanticismo-nazionale svedese riletto attraverso l’esperienza del suo massimo esponente, Ragnar Östberg (1866-1945). L’obiettivo della tesi non è solamente quello di una revisione della critica storiografica, facendo così luce su una di quelle personalità considerate marginali, quanto quello di ricavare dalla lettura comparata di due tra i suoi progetti, fino ad ora mai indagati, quegli elementi che fanno dell’architettura un “fatto urbano” in cui la collettività può riconoscersi e parallelamente un fatto di rappresentazione della stessa. L’arcipelago di Stoccolma e quel processo di “renovatio urbis” a cui fu sottoposta proprio agli albori del XX secolo furono gli scenari in cui presero vita i due progetti: il complesso formato dallo Stockholms Stadshuset e la vicina parte mai realizzata del Nämndhuset, e villa Geber. Condensano due dimensioni che la città immersa nel paesaggio contiene: la natura urbana dell’edificio municipale e quella domestica della villa urbana isolata. La ricerca intesse un itinerario di disvelamento attraverso una matrice duale di lettura: “genius loci” e memorie urbane. I capitoli cercano di dimostrare come i due casi-studio siano espressione di quella pendolarità di ricerca tra lo spirito del luogo e le rimembranze delle forme urbane della tradizione. Questa analisi ci conduce in un viaggio alla ricerca dell’atlante delle “memorie urbane”, raccolte nei viaggi e nella formazione, comprendendo così il mondo analogico di riferimenti culturali con altre architetture europee della tradizione. I due progetti sorgono in opposte aree di espansione di Stoccolma e, pur nella loro diversità di scala, sono chiara espressione di appropriatezza al luogo e di strutture formali analoghe. Stockholm Stadshuset-Nämndhuset e villa Geber esprimono il metodo di Östberg, dove i riferimenti raccolti dall’imagination passive sono tramutati ed assemblati grazie alla imagination active.

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La ponencia aborda la cuestión del origen inmediato del poder político en Francisco Suárez, a partir de un análisis de su formulación de la teoría de la traslación. Tras plantear dicha teoría, dominante en la segunda escolástica, el trabajo intenta una aproximación al problema de en qué medida la filosofía política del Eximio –y en particular su teoría de la traslación- expresa continuidad o ruptura respecto de la tradición política de la escolástica aristotélica.

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La pregunta acerca de la relación entre escritura moderna, ligada a una firma, a una imagen de autor, y el acervo folklórico con el que dialoga, aún comporta una exigencia crítica en torno a la obra de Violeta Parra. La relación entre Décimas autobiográficas y Cantos folklóricos chilenos, desde una perspectiva que pone en el centro la escritura como experiencia, puede cuestionar el aspecto teleológico con que se ha leído ese diálogo. El punto de análisis será esa zona inestable de las huellas de escritura, la operación sobre el acervo colectivo. El cuerpo, como ausencia y metáfora, es uno de los puntos de intensidad donde esas huellas textuales de la tradición pugnan por cobrar sentido; pero esos espacios, para usar una palabra parriana, 'mudan' constantemente

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La pregunta acerca de la relación entre escritura moderna, ligada a una firma, a una imagen de autor, y el acervo folklórico con el que dialoga, aún comporta una exigencia crítica en torno a la obra de Violeta Parra. La relación entre Décimas autobiográficas y Cantos folklóricos chilenos, desde una perspectiva que pone en el centro la escritura como experiencia, puede cuestionar el aspecto teleológico con que se ha leído ese diálogo. El punto de análisis será esa zona inestable de las huellas de escritura, la operación sobre el acervo colectivo. El cuerpo, como ausencia y metáfora, es uno de los puntos de intensidad donde esas huellas textuales de la tradición pugnan por cobrar sentido; pero esos espacios, para usar una palabra parriana, 'mudan' constantemente

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En este artículo analizamos el "Coloquio de los centauros" de Rubén Darío dando cuenta de los diversos procesos de apropiación de la tradición vigentes en la literatura latinoamericana así como de las operaciones del modernismo hispanoamericano allí presentes que traducen la incorporación de América Latina a la modernidad

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Fiel a los temas recurrentes en sus hondos versos elegíacos, en su último libro Miradas al último espejo, Fernando Ortiz recuerda las personas y los lugares de su existencia, canta los efectos del paso del tiempo y la precariedad de la vida, reflexiona sobre la poesía haciendo hincapié en el papel fundamental de la tradición. Lo que pertenece al pasado sobrevive aquí en unas palabras llenas de belleza y emoción, que pretenden abatir la barrera entre el hoy y el ayer: las distintas épocas se mezclan en el sentir de Ortiz y concurren juntas a guiarlo hasta el punto final. El poder lenitivo de los versos, el sarcasmo y la ironía alivian la resignación ante el fluir temporal y le ayudan a aceptar el disgregarse del ser humano en su rápido recorrido por la vida. La única certeza del peregrino es su viaje, razón por la que tiene que aprovecharlo, mostrando gratitud y gozando de los placeres de este mundo entre los que prima indudablemente el amor. Concibiendo la ardua tarea del poeta como una búsqueda de la verdad para transmitirla en sus versos, en Miradas al último espejo Ortiz avisa a sus lectores del destino que todos compartimos, aconseja sobre cómo actuar a lo largo del camino, ofrece el alivio de su poesía y se despide 'con cervantino agradecimiento de la vida'

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La pregunta acerca de la relación entre escritura moderna, ligada a una firma, a una imagen de autor, y el acervo folklórico con el que dialoga, aún comporta una exigencia crítica en torno a la obra de Violeta Parra. La relación entre Décimas autobiográficas y Cantos folklóricos chilenos, desde una perspectiva que pone en el centro la escritura como experiencia, puede cuestionar el aspecto teleológico con que se ha leído ese diálogo. El punto de análisis será esa zona inestable de las huellas de escritura, la operación sobre el acervo colectivo. El cuerpo, como ausencia y metáfora, es uno de los puntos de intensidad donde esas huellas textuales de la tradición pugnan por cobrar sentido; pero esos espacios, para usar una palabra parriana, 'mudan' constantemente

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En este artículo analizamos el "Coloquio de los centauros" de Rubén Darío dando cuenta de los diversos procesos de apropiación de la tradición vigentes en la literatura latinoamericana así como de las operaciones del modernismo hispanoamericano allí presentes que traducen la incorporación de América Latina a la modernidad

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Fiel a los temas recurrentes en sus hondos versos elegíacos, en su último libro Miradas al último espejo, Fernando Ortiz recuerda las personas y los lugares de su existencia, canta los efectos del paso del tiempo y la precariedad de la vida, reflexiona sobre la poesía haciendo hincapié en el papel fundamental de la tradición. Lo que pertenece al pasado sobrevive aquí en unas palabras llenas de belleza y emoción, que pretenden abatir la barrera entre el hoy y el ayer: las distintas épocas se mezclan en el sentir de Ortiz y concurren juntas a guiarlo hasta el punto final. El poder lenitivo de los versos, el sarcasmo y la ironía alivian la resignación ante el fluir temporal y le ayudan a aceptar el disgregarse del ser humano en su rápido recorrido por la vida. La única certeza del peregrino es su viaje, razón por la que tiene que aprovecharlo, mostrando gratitud y gozando de los placeres de este mundo entre los que prima indudablemente el amor. Concibiendo la ardua tarea del poeta como una búsqueda de la verdad para transmitirla en sus versos, en Miradas al último espejo Ortiz avisa a sus lectores del destino que todos compartimos, aconseja sobre cómo actuar a lo largo del camino, ofrece el alivio de su poesía y se despide 'con cervantino agradecimiento de la vida'

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En este artículo analizamos el "Coloquio de los centauros" de Rubén Darío dando cuenta de los diversos procesos de apropiación de la tradición vigentes en la literatura latinoamericana así como de las operaciones del modernismo hispanoamericano allí presentes que traducen la incorporación de América Latina a la modernidad

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La pregunta acerca de la relación entre escritura moderna, ligada a una firma, a una imagen de autor, y el acervo folklórico con el que dialoga, aún comporta una exigencia crítica en torno a la obra de Violeta Parra. La relación entre Décimas autobiográficas y Cantos folklóricos chilenos, desde una perspectiva que pone en el centro la escritura como experiencia, puede cuestionar el aspecto teleológico con que se ha leído ese diálogo. El punto de análisis será esa zona inestable de las huellas de escritura, la operación sobre el acervo colectivo. El cuerpo, como ausencia y metáfora, es uno de los puntos de intensidad donde esas huellas textuales de la tradición pugnan por cobrar sentido; pero esos espacios, para usar una palabra parriana, 'mudan' constantemente

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Fiel a los temas recurrentes en sus hondos versos elegíacos, en su último libro Miradas al último espejo, Fernando Ortiz recuerda las personas y los lugares de su existencia, canta los efectos del paso del tiempo y la precariedad de la vida, reflexiona sobre la poesía haciendo hincapié en el papel fundamental de la tradición. Lo que pertenece al pasado sobrevive aquí en unas palabras llenas de belleza y emoción, que pretenden abatir la barrera entre el hoy y el ayer: las distintas épocas se mezclan en el sentir de Ortiz y concurren juntas a guiarlo hasta el punto final. El poder lenitivo de los versos, el sarcasmo y la ironía alivian la resignación ante el fluir temporal y le ayudan a aceptar el disgregarse del ser humano en su rápido recorrido por la vida. La única certeza del peregrino es su viaje, razón por la que tiene que aprovecharlo, mostrando gratitud y gozando de los placeres de este mundo entre los que prima indudablemente el amor. Concibiendo la ardua tarea del poeta como una búsqueda de la verdad para transmitirla en sus versos, en Miradas al último espejo Ortiz avisa a sus lectores del destino que todos compartimos, aconseja sobre cómo actuar a lo largo del camino, ofrece el alivio de su poesía y se despide 'con cervantino agradecimiento de la vida'