998 resultados para indirizzo :: 654 :: Curriculum A (ambiente marino)


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Questo lavoro ha l’obbiettivo di valutare i risultati ottenuti su campioni stratificati sabbia/argilla attraverso l’applicazione della risonanza magnetica nucleare e di confrontare la risposta ottenuta tramite uno strumento di misura di laboratorio con quella di una sonda geofisica normalmente utilizzata per le analisi in pozzo. Tale lavoro si è reso necessario per comprendere le cause per cui la sonda CMR-Tool realizzata da Schlumberger non sia in grado di mettere in evidenza la stratificazione sabbia/argilla che caratterizza il bacino sedimentario dell’Adriatico in cui è presente un importante bacino di coltivazione di gas naturale. La tipica risposta NMR su una formazione stratificata sabbia/argilla è costituita da una distribuzione bimodale dei tempi di rilassamento che la sonda suddetta, nel caso specifico, non è in grado di produrre. Pertanto, per conoscere le cause per cui tale bimodalità della distribuzione non si presenti, è stato necessario confrontare i risultati derivanti dalla sonda CMR-Tool e quelli ottenuti con un rilassometro a basso campo (0,2T) presente nei laboratori LAGIRN della Facoltà di Ingegneria di Bologna. Le misure sono state eseguite su diversi campioni, stratificati e non, realizzati ad hoc con conformazioni diverse per i due strumenti. Si sono inoltre eseguite misure su 4 sabbie a diversa granulometria, per valutare l’andamento dei tempi di rilassamento in funzione della dimensione dei grani. A tal fine, il lavoro di tesi si struttura in cinque capitoli principali. Nei primi due capitoli si sono discusse in breve le metodologie e le tecniche di valutazione delle georisorse fluide e si sono introdotti i principi fisici della risonanza magnetica nucleare ed i meccanismi che regolano tale fenomeno nei mezzi porosi. Nel terzo e quarto capitolo sono descritte le applicazioni petrofisiche, le tecniche e le metodologie di indagine comunemente usate allo scopo di ricavare alcune grandezze fisiche di interesse e gli strumenti adoperati per ottenere le misure geofisiche in pozzo. Nell’ultimo capitolo sono invece esposti, in maniera completa e schematica, le prove sperimentali eseguite sia presso il laboratorio LAGIRN dell’Università di Bologna e presso quello Schlumberger di Pescara. Nella sua impostazione, il lavoro è stato sviluppato per essere studiato e compreso in maniera chiara, cercando di rendere la lettura la più semplice possibile, in relazione con la complessità caratteristica del fenomeno NMR. I risultati ottenuti hanno una valenza importante e di estrema attualità nell’ambito della valutazione delle georisorse fluide ed arricchiscono ancor di più le conoscenze riguardanti le applicazioni delle tecniche a risonanza magnetica nucleare sui mezzi porosi.

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Negli ultimi anni si è assistito ad una radicale rivoluzione nell’ambito dei dispositivi di interazione uomo-macchina. Da dispositivi tradizionali come il mouse o la tastiera si è passati allo sviluppo di nuovi sistemi capaci di riconoscere i movimenti compiuti dall’utente (interfacce basate sulla visione o sull’uso di accelerometri) o rilevare il contatto (interfacce di tipo touch). Questi sistemi sono nati con lo scopo di fornire maggiore naturalezza alla comunicazione uomo-macchina. Le nuove interfacce sono molto più espressive di quelle tradizionali poiché sfruttano le capacità di comunicazione naturali degli utenti, su tutte il linguaggio gestuale. Essere in grado di riconoscere gli esseri umani, in termini delle azioni che stanno svolgendo o delle posture che stanno assumendo, apre le porte a una serie vastissima di interessanti applicazioni. Ad oggi sistemi di riconoscimento delle parti del corpo umano e dei gesti sono ampiamente utilizzati in diversi ambiti, come l’interpretazione del linguaggio dei segni, in robotica per l’assistenza sociale, per indica- re direzioni attraverso il puntamento, nel riconoscimento di gesti facciali [1], interfacce naturali per computer (valida alternativa a mouse e tastiera), ampliare e rendere unica l’esperienza dei videogiochi (ad esempio Microsoft 1 Introduzione Kinect© e Nintendo Wii©), nell’affective computing1 . Mostre pubbliche e musei non fanno eccezione, assumendo un ruolo cen- trale nel coadiuvare una tecnologia prettamente volta all’intrattenimento con la cultura (e l’istruzione). In questo scenario, un sistema HCI deve cercare di coinvolgere un pubblico molto eterogeneo, composto, anche, da chi non ha a che fare ogni giorno con interfacce di questo tipo (o semplicemente con un computer), ma curioso e desideroso di beneficiare del sistema. Inoltre, si deve tenere conto che un ambiente museale presenta dei requisiti e alcune caratteristiche distintive che non possono essere ignorati. La tecnologia immersa in un contesto tale deve rispettare determinati vincoli, come: - non può essere invasiva; - deve essere coinvolgente, senza mettere in secondo piano gli artefatti; - deve essere flessibile; - richiedere il minor uso (o meglio, la totale assenza) di dispositivi hardware. In questa tesi, considerando le premesse sopracitate, si presenta una sistema che può essere utilizzato efficacemente in un contesto museale, o in un ambiente che richieda soluzioni non invasive. Il metodo proposto, utilizzando solo una webcam e nessun altro dispositivo personalizzato o specifico, permette di implementare i servizi di: (a) rilevamento e (b) monitoraggio dei visitatori, (c) riconoscimento delle azioni.

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Il territorio di Ferrara è caratterizzata da un’area ad elevata concentrazione di stabilimenti a rischio di incidente rilevante e dalla movimentazione di ingenti quantitativi di sostanze pericolose sulla rete stradale, ferroviaria ed in condotta. Basti pensare che nel solo Comune di Ferrara sono ben 5 le aziende che, per tipologia e quantità di sostanze presenti, rientrano nel campo di applicazione del D.Lgs. 334/99 (“Attuazione delle direttiva 96/82/CE relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose”). Per questo motivo, il 24 febbraio 2012 è stato sottoscritto a Ferrara il protocollo d’intesa per l’avvio dello Studio di Sicurezza Integrato d’Area (SSIA) del polo chimico ferrarese da parte della Regione Emilia Romagna, dell’Agenzia Regionale di Protezione Civile, del Comune e della Provincia di Ferrara, dell’Ufficio Territoriale del Governo, della Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco, dell’Agenzia Regionale Prevenzione e Ambiente e delle stesse aziende del polo chimico. L’Università di Bologna, tramite il Dipartimento di Ingegneria Chimica, Mineraria e delle Tecnologie Ambientali presso il quale è stato svolto il presente lavoro di tesi, prende parte al Consiglio Scientifico ed al Comitato Tecnico del SSIA, aventi funzioni di direzione e di gestione operativa della ricerca. Il progetto è modellato sulla precedente esperienza realizzata in regione per il polo industriale di Ravenna (progetto ARIPAR), la cui validità è stata ampiamente riconosciuta a livello nazionale ed internazionale. L’idea alla base dello studio deriva dal fatto che per avere un quadro della situazione in un’area così complessa, è necessario non solo valutare l’insieme dei rischi presenti, ma anche le loro correlazioni e le conseguenze sul territorio di riferimento. In un’analisi di rischio d’area risulta di primaria importanza l’analisi della vulnerabilità del territorio circostante il sito industriale, in quanto scenari attesi di danno di pari severità assumono una differente valenza in relazione all’effettiva presenza di bersagli nell’area di interesse. Per tale motivo il presente lavoro di tesi ha avuto l’obiettivo di istruire il censimento della vulnerabilità del territorio di Ferrara, con riferimento ai bersagli “uomo”, “ambiente” e “beni materiali”. In primo luogo si è provveduto, sulla base delle distanze di danno degli scenari incidentali attesi, a definire l’estensione dell’area in cui effettuare il censimento. Successivamente si è approfondito il censimento della vulnerabilità del bersaglio “uomo”, prendendo in considerazione sia la popolazione residente, sia i centri di vulnerabilità localizzati all’interno dell’area potenzialmente interessata da incidenti rilevanti. I centri di vulnerabilità non sono altro che luoghi ad elevata densità di persone (ad esempio scuole, ospedali, uffici pubblici, centri commerciali), spesso caratterizzati da una maggiore difficoltà di evacuazione, sia per l’elevato numero di persone presenti sia per la ridotta mobilità delle stesse. Nello specifico si è proceduto alla creazione di un database (grazie all’utilizzo del software ArcView GIS 3.2) di tutti i centri di vulnerabilità presenti, ai quali è stato possibile associare una precisa localizzazione territoriale ed altri dati di carattere informativo. In una fase successiva dello SSIA sarà possibile associare ai centri di vulnerabilità le relative categorie di popolazione, indicando per ciascuna il numero dei presenti. I dati inseriti nel database sono stati forniti in massima parte dal Comune di Ferrara e, in misura più limitata, dall’Agenzia Regionale di Protezione Civile e dalla Camera di Commercio. Presentando spesso tali dati un’aggregazione diversa da quella necessaria ai fini dello SSIA, è stato necessario un intenso lavoro di analisi, di depurazione e di riaggregazione allo scopo di renderli disponibili in una forma fruibile per lo SSIA stesso. Da ultimo si è effettuata una valutazione preliminare della vulnerabilità dei bersagli “ambiente” e “beni materiali”. Per quanto riguarda l’ambiente, si sono messe in luce le aree sottoposte a vincoli di tutela naturalistica e quindi particolarmente vulnerabili in caso di un rilascio accidentale di sostanze pericolose. Per il bersaglio “beni materiali”, non essendo stato possibile reperire dati, si è sono evidenziate le categorie di beni da censire. In conclusione, è possibile affermare che lo studio effettuato in questo lavoro di tesi, ha consentito non solo di conseguire l’obiettivo inizialmente stabilito – l’istruzione del censimento della vulnerabilità del territorio di Ferrara - ma ha contribuito anche alla definizione di una metodologia per il censimento di aree vaste che potrà essere utilmente applicata ad altre zone del territorio nazionale.

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Il presente lavoro di tesi, sviluppato nell’arco di sei mesi presso l’Institut Supérieur Industriel de Bruxelles (ISIB) in collaborazione con Ion Beam Application Group (IBA, Louvain la Neuve), ha come principale soggetto lo studio della risposta del rem meter WENDI-2 commercializzato da Thermo Scientific. Lo studio si è basato principalmente sull’uso del codice Monte Carlo MCNPX 2.5.0, simulando la risposta del detector sia in caso di campi di radiazione neutronica monoenergetici sia in corrispondenza di spettri neutronici continui. La prima fase è stata dedicata alla modellizzazione MCNPX del rem counter, consentendo così la valutazione della sua funzione risposta. Questa è stata ricostruita interpolando 93 punti, ciascuno calcolato in corrispondenza di un singolo valore di energia di una sorgente puntiforme, compreso tra 1 meV e 5 GeV. In tal caso è stata rilevata un’ottima corrispondenza tra i risultati ottenuti e quelli riportati nella letteratura scientifica esistente. In una seconda fase, al fine di ottenere informazioni sulla risposta di WENDI II in corrispondenza di campi complessi di radiazione, simulazioni MCNPX sono state realizzate riproducendo un ambiente di lavoro esistente presso la sede IBA di Louvain la Neuve: la risposta del detector è stata valutata in corrispondenza di 9 diverse posizioni all’interno di un bunker contenente un ciclotrone PET (18 MeV H-), implicando la rilevazione di campi di radiazione neutronica continui ed estesi dalle energie termiche fino a 18 MeV. I risultati ottenuti sono stati infine comparati con i valori di dose ambiente equivalente calcolata nelle stesse condizioni di irraggiamento.

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Nel presente elaborato si è affrontato il tema dell’utilizzo di biogas per la produzione di energia elettrica e termica; in primo luogo è stata fatta una panoramica sulla diffusione degli impianti di digestione anaerobica in Europa e in Italia, con particolare attenzione alla logica degli incentivi volti alla promozione delle fonti rinnovabili. Il biogas presenta infatti il duplice vantaggio di inserirsi sia nell’ottica del “Pacchetto Clima-Energia” volto alla riduzione di consumi energetici da fonti fossili, sia nella migliore gestione dei rifiuti organici volta alla riduzione del conferimento in discarica. L’allineamento degli incentivi italiani con quelli europei, prevista dal Decreto Ministeriale 6 luglio 2012, presuppone un’espansione del settore biogas più oculata e meno speculativa di quella degli ultimi anni: inoltre la maggiore incentivazione all’utilizzo di rifiuti come materia prima per la produzione di biogas, comporta l’ulteriore vantaggio di utilizzare, per la produzione di energia e compost di qualità, materia organica che nel peggiore dei casi sarebbe inviata in discarica. Il progetto oggetto di studio nasce dalla necessità di trattare una quantità superiore di Frazione Organica di Rifiuti Solidi Urbani da R.D, a fronte di una riduzione drastica delle quantità di rifiuti indifferenziati conferiti ai siti integrati di trattamento di rifiuti non pericolosi. La modifica nella gestione integrata dei rifiuti prevista dal progetto comporta un aumento di efficienza del sito, con una drastica riduzione dei sovvalli conferiti a discariche terze, inoltre si ha una produzione di energia elettrica e termica annua in grado di soddisfare gli autoconsumi del sito e di generare un surplus di elettricità da cedere in rete. Nel contesto attuale è perciò conveniente predisporre nei siti integrati impianti per il trattamento della FORSU utilizzando le Migliori Tecniche Disponibili proposte dalle Linee Guida Italiane ed Europee, in modo tale da ottimizzare gli aspetti ambientali ed economici dell’impianto. Nell’elaborato sono stati affrontati poi gli iter autorizzativi necessari per le autorizzazioni all’esercizio ed alla costruzione degli impianti biogas: a seguito di una dettagliata disamina delle procedure necessarie, si è approfondito il tema del procedimento di Valutazione di Impatto Ambientale, con particolare attenzione alla fase di Studio di Impatto Ambientale. Inserendosi il digestore in progetto in un sito già esistente, era necessario che il volume del reattore fosse compatibile con l’area disponibile nel sito stesso; il dimensionamento di larga massima, che è stato svolto nel Quadro Progettuale, è stato necessario anche per confrontare le tipologie di digestori dry e wet. A parità di rifiuto trattato il processo wet richiede una maggiore quantità di fluidi di diluizione, che dovranno essere in seguito trattati, e di un volume del digestore superiore, che comporterà un maggiore dispendio energetico per il riscaldamento della biomassa all’interno. È risultata perciò motivata la scelta del digestore dry sia grazie al minore spazio occupato dal reattore, sia dal minor consumo energetico e minor volume di reflui da trattare. Nella parte finale dell’elaborato sono stati affrontati i temi ambientali,confrontando la configurazione del sito ante operam e post operam. È evidente che la netta riduzione di frazione indifferenziata di rifiuti, non totalmente bilanciata dall’aumento di FORSU, ha consentito una riduzione di traffico veicolare indotto molto elevato, dell’ordine di circa 15 mezzi pesanti al giorno, ciò ha comportato una riduzione di inquinanti emessi sul percorso più rilevante per l’anidride carbonica che per gli altri inquinanti. Successivamente è stata valutata, in modo molto conservativo, l’entità delle emissioni ai camini dell’impianto di cogenerazione. Essendo queste l’unico fattore di pressione sull’ambiente circostante, è stato valutato tramite un modello semplificato di dispersione gaussiana, che il loro contributo alla qualità dell’aria è generalmente una frazione modesta del valore degli SQA. Per gli ossidi di azoto è necessario un livello di attenzione superiore rispetto ad altri inquinanti, come il monossido di carbonio e le polveri sottili, in quanto i picchi di concentrazione sottovento possono raggiungere frazioni elevate (fino al 60%) del valore limite orario della qualità dell’aria, fissato dal D.Lgs 155/2010. Infine, con riferimento all’ energia elettrica producibile sono state valutate le emissioni che sarebbero generate sulla base delle prestazioni del parco elettrico nazionale: tali emissioni sono da considerare evitate in quanto l’energia prodotta nel sito in esame deriva da fonti rinnovabili e non da fonti convenzionali. In conclusione, completando il quadro di emissioni evitate e indotte dalla modifica dell’impianto, si deduce che l’impatto sull’ambiente non modificherà in maniera significativa le condizioni dell’aria nella zona, determinando una variazione percentuale rispetto agli inquinanti emessi a livello regionale inferiore all’1% per tutti gli inquinanti considerati (CO, PM10, NOX, NMCOV). Il vantaggio più significativo riguarda una riduzione di emissioni di CO2 dell’ordine delle migliaia di tonnellate all’anno; questo risultato è importante per la riduzione di emissione dei gas serra in atmosfera e risulta in accordo con la logica dell’utilizzo di biomasse per la produzione di energia. Dal presente elaborato si evince infine come l’utilizzo del biogas prodotto dalla digestione anaerobica della Frazione Organica dei Rifiuti Solidi Urbani non comporti solo un vantaggio dal punto di vista economico, grazie alla presenza degli incentivi nazionali, ma soprattutto dal punto di vista ambientale, grazie alla riduzione notevole dei gas serra in atmosfera, in accordo con gli obiettivi europei e mondiali, e grazie al recupero di rifiuti organici per la produzione di energia e compost di qualità.

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“Dì che ti piace questa pagina”. Questo è uno dei tanti inviti rivolti a chi, ogni giorno, naviga in Internet. Che si stia leggendo un articolo sul sito de La Repubblica, o visitando il blog di un personaggio famoso o di un politico, i riferimenti ai social network sono ormai una presenza costante nelle pagine web. La facilità di restare in contatto con i propri amici, e la possibilità di collegarsi in qualsiasi momento, hanno portato gli utenti del Web 2.0 ad intensificare le discussioni, ed a commentare gli argomenti ed i contenuti prodotti dagli altri in un continuo e complesso “botta e risposta”. È possibile che quest'ambiente abbia favorito lo sviluppo di una nuova prospettiva della Rete, inteso come un nuovo modo di vedersi e di rapportarsi con gli altri, di esprimersi e di condividere le proprie storie e la propria storia. Per approfondire queste tematiche si è deciso di osservare alcuni dei social networks più diffusi, tra i quali Twitter e Facebook e, per raccogliere i dati più significativi di quest'ultimo, di sviluppare un'apposita applicazione software. Questa tesi tratterà gli aspetti teorici che hanno portato questa ricerca su scala nazionale e l'analisi dei requisiti del progetto; approfondirà le dinamiche progettuali e lo sviluppo dell'applicazione entro i vincoli imposti da Facebook, integrando un questionario per l'utente alla lettura dei dati. Dopo la descrizione delle fasi di testing e deployment, l'elaborato includerà un'analisi preliminare dei dati ottenuti per mezzo di una pre-elaborazione all'interno dell'applicazione stessa.

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Il presente lavoro è stato avviato per caratterizzare dal punto di vista geochimico i siti di alimentazione e di riproduzione del Fenicottero ed ottenere così un dataset relativo alle concentrazioni di metalli nei sedimenti di alcune zone umide, utilizzate da questa specie per alimentarsi e riprodursi e scarsamente studiate in passato. Il lavoro di tesi qui presentato si è articolato in due differenti studi: • Un’indagine dettagliata sulla presenza e distribuzione di metalli ed elementi potenzialmente tossici nei sedimenti provenenti da alcune delle principali aree di alimentazione del Fenicottero nell’Alto Adriatico; • Un’indagine preliminare relativa ai metalli contenuti nei sedimenti provenienti da alcuni siti riproduttivi del Fenicottero nel Mediterraneo occidentale. Per quanto riguarda i siti di alimentazione sono state campionate tre zone umide dell’area deltizia del fiume Po: le Valli di Rosolina, Valle Bertuzzi e le Valli di Comacchio. Riguardo i siti riproduttivi sono state campionate cinque aree umide nel Mediterraneo occidentale: le Paludi dell’Odiel nel sud-ovest della Spagna, la Camargue in Francia, lo Stagno di Cagliari in Sardegna, le Valli di Comacchio in Emilia-Romagna e Valle Dogà in Laguna di Venezia. I 57 campioni raccolti sono stati analizzati mediante analisi XRF ed analisi termiche, presso il Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali, dell’Università di Bologna, e mediante analisi ICP-MS, presso l’AcmeLabs di Vancouver (Canada). Il complesso deltizio del fiume Po ha registrato concentrazioni anomale di Cd, Pb, Sb e Sn mostrando un generale arricchimento nei sedimenti delle aree umide investigate rispetto al valore di riferimento. Analizzando le correlazioni di questo elemento con le frazioni dei sedimenti, si è evidenziata una buona correlazione con la componente organica del sedimento. Ciò potrebbe indicare la presenza di fenomeni di adsorbimento di questo elemento ad opera della matrice organica. L’area di studio non è apparentemente interessata da importanti attività industriali, che potrebbero in parte spiegare le elevate concentrazioni di Cd, Pb, Sb e Sn. Due potenziali sorgenti antropogeniche di contaminazione sono rappresentate da un’estensiva attività agricola nelle zone limitrofe alle valli considerate e da un elevata pressione venatoria esercitata proprio all’interno di queste zone umide. In particolare, quest’ultima attività umana, potrebbe rappresentare una spiegazione più che plausibile per l’elevata presenza di Pb, messa in evidenza dallo studio, dato che fino ad pochissimi anni venivano utilizzate munizioni al Pb con conseguente rilascio in ambiente di ingenti quantitativi di questo metallo. Il Cu e lo Zn si distribuiscono invece in modo relativamente omogeneo nelle tre zone umide investigate, con un debole arricchimento di questi due elementi nei sedimenti delle Valli di Rosolina. Per quanto riguarda l’As, la sua distribuzione nell’area di studio, confrontata con i valori di background, non sembra sollevare particolare preoccupazione, cosi come la presenza di Hg in tutti e tre i siti investigati. Le Valli di Comacchio e Valle Bertuzzi sono inoltre caratterizzate da concentrazioni elevate di Cr e Ni, dati che confermano il naturale arricchimento di questi due elementi nell’area di studio evidenziato da un ampia letteratura e riconducibile ad apporti litologici provenienti dai depositi ofiolitici delle Alpi occidentali trasportati dal fiume Po verso l’Adriatico. Tuttavia, in alcuni campioni la concentrazione di Cr è molto superiore a quella caratteristica delle ofioliti di origine alpina, soprattutto per Valle Bertuzzi. Per spiegare queste anomalie sono necessarie indagini più approfondite sulla presenza e distribuzione di Cr nell’area di Comacchio e Bertuzzi. Riguardo ai 5 siti riproduttivi del Fenicottero, la colonia di Odiel (Spagna) si distingue per essere il sito maggiormente contaminato tra quelli investigati. Si sono infatti riscontrate elevate concentrazioni di As, Cu, Hg, Pb, Sb, Sn e Zn, se confrontate con quelle degli altri siti campionati. Questo risultato non sorprende. Il sito è infatti riconosciuto in letteratura come uno dei sistemi estuarini più inquinati dell’Europa occidentale, in quanto interessato dall’attività mineraria della IPB (Iberian Pyrite Belt), uno dei più importanti siti minerari mondiali, e dall’attività del polo industriale di Huelva. La colonia francese della Camargue si distingue invece per essere il sito meno impattato dall’attività antropica, non mostrando concentrazioni anomale per nessuno degli elementi in traccia analizzati. I sito riproduttivo situato nei pressi di Cagliari, in Sardegna, ha riportato elevate concentrazioni di Cd, Hg e Pb. La contaminazione di questo sito a seguito di ingenti scarichi di rifiuti industriali contenenti Hg e Pb a partire dagli anni ’60 è ben documentata in letteratura. Sebbene negli anni ’90 siano stati realizzati progetti di bonifica del sito, le concentrazioni ottenute nel presente studio sono ancora elevate suggerendo la possibilità che il processo di rimozione di Hg e Pb messo in atto in passato possa aver avuto scarsa efficacia. La colonia riproduttiva di Comacchio ha registrato concentrazioni elevate di Cr, Ni e Pb. Come già detto riguardo ai siti di alimentazione l’abbondanza di Cr e Ni nell’area è da ricondurre a fattori naturali, mentre le elevate concentrazioni di Pb non trovano riscontri in precedenti studi. La presenza di alcuni campioni con concentrazioni anomale di Cr e il generale arricchimento di Pb nel sito suggeriscono la necessità di studi più approfonditi e specifici sulla presenza di questi elementi nell’area di Comacchio. Infine, la colonia situata in Laguna di Venezia si caratterizza per avere concentrazioni relativamente elevate di Cd e Hg riconducibili all’attività del polo industriale di Porto Marghera, come già evidenziato da numerosi studi. Tuttavia, i dati del presente studio non confermano le concentrazioni anomale di Zn messe in evidenza da molti studi effettuati nell’intera laguna veneta. Ciò può trovare una spiegazione nel fatto che il sito indagato in questo studio corrisponde ad un piccola porzione dell’intera laguna, molto raramente investigato negli studi passati. Mediante il presente studio è stato quindi possibile implementare le scarse conoscenze geochimiche relative ai sedimenti di alcune zone umide frequentate dai fenicotteri nell’Alto Adriatico e, al contempo, mettere in luce alcune importanti criticità, in particolar modo riguardo Cd, Cr, Pb, Sb e Sn, la cui presenza e distribuzione nell’area dovrebbero essere ulteriormente investigate da studi futuri.

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L’obiettivo del seguente lavoro di tesi è stato quello di studiare ed individuare la litologia e stratigrafia dei sondaggi oggetto del mio studio, al fine di realizzare un modello stratigrafico,attraverso l’impiego del Software Rockworks, che mettesse in risalto le diverse facies che caratterizzano il territorio della pianura romagnola. Il territorio da me esaminato interessa il territorio della provincia di Ravenna e Ferrara. In seguito ho analizzato la distribuzione di alcuni elementi chimici maggiori, per la determinazione della provenienza degli stessi