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Scopo della ricerca è stato definire le dinamiche spazio-temporali degli insetti studiati mediante lâimpiego di tecniche geostatistiche. La ricerca è stata condotta su due casi studio, il primo riguardante tre specie di Elateridi di elevata importanza economica su scala aziendale, il secondo inerente al monitoraggio di Diabrotica virgifera virgifera (diabrotica del mais) su scala regionale. Gli scopi specifici dei due casi studio sono stati: Caso studio 1 a) Monitorare lâentità della popolazione di Elateridi su scala aziendale mediante approccio geostatistico. b) Elaborazione di mappe di distribuzione spaziale interfacciabili allâambiente GIS. c) Individuare i fattori predisponenti lâinfestazione. d) Verificare la necessità dellâimpiego di mezzi chimici per il controllo delle specie dannose. e) Proporre strategie alternative volte alla riduzione dellâimpiego di trattamenti geodisinfestanti. Caso studio 2 a) Studiare la distribuzione spaziale su scala regionale la popolazione del fitofago D. virgifera virgifera. b) Applicare a livello regionale una griglia di monitoraggio efficace per studiarne la diffusione. c) Individuare le aree a rischio e studiare i fattori predisponenti lâinfestazione e diffusione. d) Ottimizzare ed economizzare il piano di monitoraggio.
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Vengono presentate correzioni agli sviluppi asintotici di Edgeworth per densità di somme di variabili aleatorie stabili. Queste stime sono successivamente implementate in Matlab, con particolare attenzioni agli approssimanti in forma razionale di Padè. Nell'Appendice viene poi fornita la distribuzione di zeri degli approssimanti di Padè per la funzione esponenziale.
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La studio della distribuzione spaziale e temporale della associazioni a foraminiferi planctonici, campionati in zone con differente regime idrografico, ha permesso di comprendere che molte specie possono essere diagnostiche della presenza di diverse masse d’acqua superficiali e sottosuperficiali e di diversi regimi di nutrienti nelle acque oceaniche. Parte di questo lavoro di tesi si basa sullo studio delle associazioni a foraminiferi planctonici attualmente viventi nel Settore Pacifico dell’Oceano Meridionale (Mare di Ross e Zona del Fronte Polare) e nel Mare Mediterraneo (Mar Tirreno Meridionale). L’obiettivo di questo studio è quello di comprendere i fattori (temperatura, salinità, nutrienti etc.) che determinano la distribuzione attuale delle diverse specie al fine di valutarne il valore di “indicatori” (proxies) utili alla ricostruzione degli scenari paleoclimatici e paleoceanografici succedutisi in queste aree. I risultati documentano che la distribuzione delle diverse specie, il numero di individui e le variazioni nella morfologia di alcuni taxa sono correlate alle caratteristiche chimico-fisiche della colonna e alla disponibilità di nutrienti e di clorofilla. La seconda parte del lavoro di tesi ha previsto l’analisi degli isotopi stabili dell’ossigeno e del rapporto Mg/Ca in gusci di N. pachyderma (sin) prelevati da pescate di micro zooplancton (per tarare l’equazione di paleo temperatura) da un box core e da una carota provenienti dalla zona del Fronte Polare (Oceano Pacifico meridionale), al fine di ricostruire le variazioni di temperatura negli ultimi 13 ka e durante la Mid-Pleistocene Revolution. Le temperature, dedotte tramite i valori degli isotopi stabili dell’ossigeno, sono coerenti con le temperature attuali documentate in questa zona e il trend di temperatura è paragonabile a quelli riportati in letteratura anche per eventi climatici come lo Younger Dryas e il mid-Holocene Optimum. I valori del rapporto Mg/Ca misurato tramite due diverse tecniche di analisi (laser ablation e analisi in soluzione) sono risultati sempre molto più alti dei valori riportati in letteratura per la stessa specie. La laser ablation sembra carente dal punto di vista del cleaning del campione e da questo studio emerge che le due tecniche non sono comparabili e che non possono essere usate indifferentemente sullo stesso campione. Per quanto riguarda l’analisi dei campioni in soluzione è stato migliorato il protocollo di cleaning per il trattamento di campioni antartici, che ha permesso di ottenere valori veritieri e utili ai fini delle ricostruzioni di paleotemperatura. Tuttavia, rimane verosimile l’ipotesi che in ambienti particolari come questo, con salinità e temperature molto basse, l’incorporazione del Mg all’interno del guscio risenta delle condizioni particolari e che non segua quindi la relazione esponenziale con la temperatura ampiamente dimostrata ad altre latitudini.
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Oggetto della ricerca è il tema dello spazio delle centrali idroelettriche costruite nella prima metà del Novecento dagli architetti Giovanni Muzio e Piero Portaluppi. L’individuazione del tema sorge dalla volontà di indagare quali siano stati gli sviluppi dal punto di vista architettonico all’interno di un genere così specifico durante un periodo di tempo in cui gli stili architettonici e le tendenze hanno subito stravolgimenti ed evoluzioni che ancora oggi trovano una difficile connotazione e definizione precisa. L’analisi dell’architettura delle centrali idroelettriche, effettuata ripercorrendo le principali vicende del settore idroelettrico dalla fine del secolo scorso al secondo dopoguerra, oltre a considerare il rapporto con il contesto territoriale e culturale del nostro Paese vuole prendere in considerazione anche il particolare rapporto che in più casi si è venuto a creare tra committenti e progettisti. Compito della tesi è rileggere un settore poco indagato finora e capire se vi sia stata effettivamente una evoluzione architettonica dal punto di vista tipologico o se la centrale sia stata sempre affrontata come semplice esercizio di “vestizione” di un involucro precostituito da precise esigenze tecniche. La ricerca infatti si pone come obiettivo lo studio delle centrali non solo dal punto di vista tipologico e spaziale dei suoi principali elementi, ma si pone come obiettivo anche lo studio della loro distribuzione nel sito in cui sono sorte, distribuzione che spesso ha portato alla formazione di una sorta di vera e propria “città elettrica”, in cui la composizione dei vari elementi segue una logica compositiva ben precisa. Dal punto di vista del contributo originale la ricerca vuole proporre una serie di riflessioni ed elaborati inerenti alcune centrali non ancora indagate. Nel caso specifico di Portaluppi l’apporto originale consiste nell’aver portato alla luce notizie inerenti centrali che sono sempre state poste in secondo piano rispetto le ben più note e studiate centrali della Val d’Ossola. Nel caso invece di Muzio il contributo consiste in una analisi approfondita e in una comparazione di documenti che di solito sono sempre stati pubblicati come semplice apparato iconografico, ma che messi a confronto danno una lettura di quelle che sono state le fasi e le elaborazioni progettuali apportate dall’autore. Il tema della ricerca è stato affrontato poi attraverso una lettura delle fonti dirette relative agli scritti degli autori, con una contemporanea lettura di testi, articoli e interventi tratti dalle riviste appartenenti al periodo in esame per comprendere al meglio il panorama culturale e architettonico che hanno fatto da scenario alle esperienze di entrambe le figure oggetto di studio. Infine la ricerca si è concentrata sull’analisi di alcune opere in particolare - due centrali idroelettriche per ciascun autore oggetto della tesi - scelte perché considerate rappresentative sia per impianto spaziale e tipologico, sia per le scelte compositive e stilistiche adottate. La lettura dei manufatti architettonici scelti è stata condotta con l’analisi di copie di elaborati grafici originali, foto d’epoca e altri documenti reperiti grazie ad una ricerca condotta in vari archivi. Le centrali scelte nell’ambito delle esperienze maturate da Muzio e Portaluppi sono state individuate per rappresentare il quadro relativo allo sviluppo e alla ricerca di un nuovo linguaggio formale da adottare nell’ambito dell’architettura di questi manufatti. Per entrambi i protagonisti oggetto della ricerca sono state individuate due centrali in grado di dare una visione il più possibile completa dell’evoluzione della tematica delle centrali idroelettriche all’interno della loro esperienza, prendendo in considerazione soprattutto gli aspetti legati all’evoluzione del loro linguaggio compositivo e stilistico. L’individuazione delle centrali da analizzare è stata dettata prendendo in considerazione alcuni fattori come il tipo di impianto, le relazioni e confronto con il contesto geografico e naturale e le soluzioni adottate.
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La valutazione dell’intensità secondo una procedura formale trasparente, obiettiva e che permetta di ottenere valori numerici attraverso scelte e criteri rigorosi, rappresenta un passo ed un obiettivo per la trattazione e l’impiego delle informazioni macrosismiche. I dati macrosismici possono infatti avere importanti applicazioni per analisi sismotettoniche e per la stima della pericolosità sismica. Questa tesi ha affrontato il problema del formalismo della stima dell’intensità migliorando aspetti sia teorici che pratici attraverso tre passaggi fondamentali sviluppati in ambiente MS-Excel e Matlab: i) la raccolta e l’archiviazione del dataset macrosismico; ii), l’associazione (funzione di appartenenza o membership function) tra effetti e gradi di intensità della scala macrosismica attraverso i principi della logica dei fuzzy sets; iii) l’applicazione di algoritmi decisionali rigorosi ed obiettivi per la stima dell’intensità finale. L’intera procedura è stata applicata a sette terremoti italiani sfruttando varie possibilità, anche metodologiche, come la costruzione di funzioni di appartenenza combinando le informazioni macrosismiche di più terremoti: Monte Baldo (1876), Valle d’Illasi (1891), Marsica (1915), Santa Sofia (1918), Mugello (1919), Garfagnana (1920) e Irpinia (1930). I risultati ottenuti hanno fornito un buon accordo statistico con le intensità di un catalogo macrosismico di riferimento confermando la validità dell’intera metodologia. Le intensità ricavate sono state poi utilizzate per analisi sismotettoniche nelle aree dei terremoti studiati. I metodi di analisi statistica sui piani quotati (distribuzione geografica delle intensità assegnate) si sono rivelate in passato uno strumento potente per analisi e caratterizzazione sismotettonica, determinando i principali parametri (localizzazione epicentrale, lunghezza, larghezza, orientazione) della possibile sorgente sismogenica. Questa tesi ha implementato alcuni aspetti delle metodologie di analisi grazie a specifiche applicazioni sviluppate in Matlab che hanno permesso anche di stimare le incertezze associate ai parametri di sorgente, grazie a tecniche di ricampionamento statistico. Un’analisi sistematica per i terremoti studiati è stata portata avanti combinando i vari metodi per la stima dei parametri di sorgente con i piani quotati originali e ricalcolati attraverso le procedure decisionali fuzzy. I risultati ottenuti hanno consentito di valutare le caratteristiche delle possibili sorgenti e formulare ipotesi di natura sismotettonica che hanno avuto alcuni riscontri indiziali con dati di tipo geologico e geologico-strutturale. Alcuni eventi (1915, 1918, 1920) presentano una forte stabilità dei parametri calcolati (localizzazione epicentrale e geometria della possibile sorgente) con piccole incertezze associate. Altri eventi (1891, 1919 e 1930) hanno invece mostrato una maggiore variabilità sia nella localizzazione dell’epicentro che nella geometria delle box: per il primo evento ciò è probabilmente da mettere in relazione con la ridotta consistenza del dataset di intensità mentre per gli altri con la possibile molteplicità delle sorgenti sismogenetiche. Anche l’analisi bootstrap ha messo in evidenza, in alcuni casi, le possibili asimmetrie nelle distribuzioni di alcuni parametri (ad es. l’azimut della possibile struttura), che potrebbero suggerire meccanismi di rottura su più faglie distinte.
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Fino ad un recente passato, le macchine elettriche di tipo trifase costituivano l’unica soluzione in ambito industriale per la realizzazione di azionamenti di grande potenza. Da quando i motori sono gestiti da convertitori elettronici di potenza si è ottenuto un notevole passo in avanti verso l’innovazione tecnologica. Infatti, negli ultimi decenni, le tecnologie sempre più all’avanguardia e l’aumento dell’utilizzo dell’elettronica, sia in campo civile quanto in quello industriale, hanno contribuito a una riduzione dei costi dei relativi componenti; questa situazione ha permesso di utilizzare tecnologie elaborate che in passato avevano costi elevati e quindi risultavano di scarso interesse commerciale. Nel campo delle macchine elettriche tutto questo ha permesso non solo la realizzazione di azionamenti alimentati e controllati tramite inverter, in grado di garantire prestazioni nettamente migliori di quelle ottenute con i precedenti sistemi di controllo, ma anche l’avvento di una nuova tipologia di macchine con un numero di fasi diverso da quello tradizionale trifase, usualmente impiegato nella generazione e distribuzione dell’energia elettrica. Questo fatto ha destato crescente interesse per lo studio di macchine elettriche multifase. Il campo di studio delle macchine multifase è un settore relativamente nuovo ed in grande fermento, ma è già possibile affermare che le suddette macchine sono in grado di fornire prestazioni migliori di quelle trifase. Un motore con un numero di fasi maggiore di tre presenta numerosi vantaggi: 1. la possibilità di poter dividere la potenza su più fasi, riducendo la taglia in corrente degli interruttori statici dell’inverter; 2. la maggiore affidabilità in caso di guasto di una fase; 3. la possibilità di sfruttare le armoniche di campo magnetico al traferro per ottenere migliori prestazioni in termini di coppia elettromagnetica sviluppata (riduzione dell’ampiezza e incremento della frequenza della pulsazione di coppia); 4. l’opportunità di creare azionamenti elettrici multi-motore, collegando più macchine in serie e comandandole con un unico convertitore di potenza; 5. Maggiori e più efficaci possibilità di utilizzo nelle applicazioni Sensorless. Il presente lavoro di tesi, ha come oggetto lo studio e l’implementazione di una innovativa tecnica di controllo di tipo “sensorless”, da applicare in azionamenti ad orientamento di campo per macchine asincrone eptafase. Nel primo capitolo vengono illustrate le caratteristiche e le equazioni rappresentanti il modello della macchina asincrona eptafase. Nel secondo capitolo si mostrano il banco di prova e le caratteristiche dei vari componenti. Nel terzo capitolo sono rappresentate le tecniche di modulazione applicabili per macchine multifase. Nel quarto capitolo vengono illustrati il modello del sistema implementato in ambiente Simulink ed i risultati delle simulazioni eseguite. Nel quinto capitolo viene presentato il Code Composer Studio, il programma necessario al funzionamento del DSP. Nel sesto capitolo, sono presentati e commentati i risultati delle prove sperimentali.
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E’ stato affrontato in modo approfondito lo studio dei campi gravitazionali della relatività generale (RG) che producono un’accelerazione uniforme, e si è confrontato tale studio con i sistemi si riferimento (SR) accelerati della relatività ristretta (RR). Nel corso di quest’analisi sono stati trovati alcuni aspetti non evidenziati in precedenza nella letteratura scientifica, di cui il più rilevante è il fatto che la metrica di Rindler produce un campo che, osservato con misure di tipo radar, appare uniforme a un osservatore solidale con il campo stesso. Si è inoltre trovata più di una metrica cui corrisponde un’accelerazione che non dipende dalla coordinata di partenza. Per il campo di Rindler è stata eseguita anche un’analisi approfondita, tramite un’applicazione diretta del principio di equivalenza (PE). La metodologia utilizzata e i risultati sono un contributo originale di questa tesi e sono di interesse da un punto di vista didattico. Nel corso dell’analisi delle proprietà del campo di Rindler sono stati analizzati in modo operativo: il confronto del ritmo di marcia di due orologi che si trovano a una quota differente, la deflessione dei raggi luminosi e la traiettoria di un corpo in caduta libera. Infine si è indagato sulla forma della metrica di una distribuzione di massa a simmetrica planare.
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L’H2 è attualmente un elemento di elevato interesse economico, con notevoli prospettive di sviluppo delle sue applicazioni. La sua produzione industriale supera attualmente i 55 ∙ 1010 m3/anno, avendo come maggiori utilizzatori (95% circa) i processi di produzione dell’ammoniaca e quelli di raffineria (in funzione delle sempre più stringenti normative ambientali). Inoltre, sono sempre più importanti le sue applicazioni come vettore energetico, in particolare nel settore dell’autotrazione, sia dirette (termochimiche) che indirette, come alimentazione delle fuel cells per la produzione di energia elettrica. L’importanza economica degli utilizzi dell’ H2 ha portato alla costruzione di una rete per la sua distribuzione di oltre 1050 km, che collega i siti di produzione ai principali utilizzatori (in Francia, Belgio, Olanda e Germania). Attualmente l’ H2 è prodotto in impianti di larga scala (circa 1000 m3/h) da combustibili fossili, in particolare metano, attraverso i processi di steam reforming ed ossidazione parziale catalitica, mentre su scala inferiore (circa 150 m3/h) trovano applicazione anche i processi di elettrolisi dell’acqua. Oltre a quella relativa allo sviluppo di processi per la produzione di H2 da fonti rinnovabili, una tematica grande interesse è quella relativa al suo stoccaggio, con una particolare attenzione ai sistemi destinati alle applicazioni nel settore automotivo o dei trasposti in generale. In questo lavoro di tesi, svolto nell’ambito del progetto europeo “Green Air” (7FP – Transport) in collaborazione (in particolare) con EADS (D), CNRS (F), Jonhson-Matthey (UK), EFCECO (D), CESA (E) e HyGEAR (NL), è stato affrontato uno studio preliminare della reazione di deidrogenazione di miscele di idrocarburi e di differenti kerosene per utilizzo aereonautico, finalizzato allo sviluppo di nuovi catalizzatori e dei relativi processi per la produzione di H2 “on board” utilizzando il kerosene avio per ottenere, utilizzando fuel cells, l’energia elettrica necessaria a far funzionare tutta la strumentazione ed i sistemi di comando di aeroplani della serie Airbus, con evidenti vantaggi dal punto di vista ponderale e delle emissioni.
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Il distretto è un luogo relazionale dinamico dove le imprese danno luogo a differenti comportamenti economici di vario genere e natura, cooperando in un certo senso per lo sviluppo e la crescita del distretto stesso. In un primo momento di formazione del distretto si sono delineati comportamenti di tipo path dependent per vantaggi economici dovuti alla distribuzione delle imprese nel territorio, ma con il tempo si sono cominciati ad avere comportamenti espansionistici differenti sia dall'interno che dall'esterno del distretto influendo direttamente sulla struttura del stesso. É ragionevole dunque pensare che gli attori guardino al rapporto “locale/globale” con una sorta di "strabismo", da un lato leggendo il distretto (dall’interno come dall’esterno) come un luogo privilegiato per la formazione di economie di prossimità, dall’altro puntando a disporre le catene produttive nello spazio globale, alla ricerca dei vantaggi derivanti da un minor costo del lavoro o dalla immediata prossimità dei mercati di sbocco. il distretto viene dunque attraversato da dinamiche che lo globalizzano ma, al contempo, ne preservano (almeno per ora) la specificità. Non è più possibile leggere la sua forma economica solo nella logica della embeddedness, e non sarebbe certo corretto farlo solo in chiave di openness. Si tratta dunque di interrogarsi sul rapporto più di integrazione/complementarità che di contrapposizione fra openness ed embeddedness. In questa tesi verrà descritto un metodo d'approccio per dare un valore al fenomeno di Openness e Embeddedness presente nel distretto partendo da un dataset di dati relazionali ricavati da due database economici Amadeus e Aida. Non essendo possibile trovare pubblicamente dati sulle reti di fornitura delle singole aziende, siamo partiti dai dati relazionali di cinque aziende “seme”, ed attraverso una ricerca ricorsiva nelle relazioni di azionariato/partecipazione, siamo riusciti ad ottenere un campione di analisi che ci permette di mettere in luce tramite la custer analysis le principali tipologie di reti di imprese presenti nel distretto ed estese nello spazio globale.
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L’Azienda USL di Bologna è la più grande della regione ed è una delle più grandi in Italia: serve una popolazione di 836.697 abitanti ed è distribuita su 50 comuni. E’ stata istituita il 1° gennaio 2004 con la Legge della Regione Emilia Romagna n. 21 del 20/10/2003 che ha unificato i Comuni di tre Aziende USL: “Città di Bologna”, “Bologna Sud” e “Bologna Nord” (ad eccezione del Comune di Medicina che dall’Area Nord è entrato a far parte dell’Azienda USL di Imola che ha mantenuto un’autonoma configurazione giuridica). Il territorio dell’Azienda USL di Bologna si estende per 2915,4 Kmq ed è caratterizzato dalla particolare ubicazione geografica dei suoi distretti. Al Distretto prettamente urbano, quale quello di Bologna Città si affiancano nell’Area Nord i Distretti di pianura quali Pianura Est e Pianura Ovest, mentre nell’Area Sud si collocano i Distretti con territorio più collinare, quali quelli di Casalecchio di Reno e San Lazzaro di Savena ed il Distretto di Porretta Terme che si caratterizza per l’alta percentuale di territorio montuoso. L’unificazione di territori diversi per caratteristiche orografiche, demografiche e socioeconomiche, ha comportato una maggiore complessità rispetto al passato in termini di governo delle condizioni di equità. La rimodulazione istituzionale ed organizzativa dell’offerta dei sevizi sanitari ha comportato il gravoso compito di razionalizzarne la distribuzione, tenendo conto delle peculiarità del contesto. Alcuni studi di fattibilità precedenti l’unificazione, avevano rilevato come attraverso la costituzione di un’Azienda USL unica si sarebbero potuti più agevolmente perseguire gli obiettivi collegati alle prospettive di sviluppo e di ulteriore qualificazione del sistema dei servizi delle Aziende USL dell’area bolognese, con benefici per il complessivo servizio sanitario regionale. Le tre Aziende precedentemente operanti nell’area bolognese erano percepite come inadeguate, per dimensioni, a supportare uno sviluppo dei servizi ritenuto indispensabile per la popolazione ma, che, se singolarmente realizzato, avrebbe condotto ad una inutile duplicazione di servizi già presenti. Attraverso l’integrazione delle attività di acquisizione dei fattori produttivi e di gestione dei servizi delle tre Aziende, si sarebbero potute ragionevolmente conseguire economie più consistenti rispetto a quanto in precedenza ottenuto attraverso il coordinamento volontario di tali processi da parte delle tre Direzioni. L’istituzione della nuova Azienda unica, conformemente al Piano sanitario regionale si proponeva di: o accelerare i processi di integrazione e di redistribuzione dell’offerta dei servizi territoriali, tenendo conto della progressiva divaricazione fra i cambiamenti demografici, che segnavano un crescente deflusso dal centro storico verso le periferie, ed i flussi legati alle attività lavorative, che si muovevano in senso contrario; o riorganizzare i servizi sanitari in una logica di rete e di sistema, condizione necessaria per assicurare l’equità di accesso ai servizi e alle cure, in stretta interlocuzione con gli Enti Locali titolari dei servizi sociali; o favorire il raggiungimento dell’equilibrio finanziario dell’Azienda e contribuire in modo significativo alla sostenibilità finanziaria dell’intero sistema sanitario regionale. L’entità delle risorse impegnate nell’Area bolognese e le dimensioni del bilancio della nuova Azienda unificata offrivano la possibilità di realizzare economie di scala e di scopo, attraverso la concentrazione e/o la creazione di sinergie fra funzioni e attività, sia in ambito ospedaliero, sia territoriale, con un chiaro effetto sull’equilibrio del bilancio dell’intero Servizio sanitario regionale. A cinque anni dalla sua costituzione, l’Azienda USL di Bologna, ha completato una significativa fase del complessivo processo riorganizzativo superando le principali difficoltà dovute alla fusione di tre Aziende diverse, non solo per collocazione geografica e sistemi di gestione, ma anche per la cultura dei propri componenti. La tesi affronta il tema dell’analisi dell’impatto della fusione sugli assetti organizzativi aziendali attraverso uno sviluppo così articolato: o la sistematizzazione delle principali teorie e modelli organizzativi con particolare attenzione alla loro contestualizzazione nella realtà delle organizzazioni professionali di tipo sanitario; o l’analisi principali aspetti della complessità del sistema tecnico, sociale, culturale e valoriale delle organizzazioni sanitarie; o l’esame dello sviluppo organizzativo dell’Azienda USL di Bologna attraverso la lettura combinata dell’Atto e del Regolamento Organizzativo Aziendali esaminati alla luce della normativa vigente, con particolare attenzione all’articolazione distrettuale e all’organizzazione Dipartimentale per cogliere gli aspetti di specificità che hanno caratterizzano il disegno organizzativo globalmente declinato. o l’esposizione degli esiti di un questionario progettato, in accordo con la Direzione Sanitaria Aziendale, allo scopo di raccogliere significativi elementi per valutare l’impatto della riorganizzazione dipartimentale rispetto ai tre ruoli designati in “staff “alle Direzioni degli otto Dipartimenti Ospedalieri dell’AUSL di Bologna, a tre anni dalla loro formale istituzione. La raccolta dei dati è stata attuata tramite la somministrazione diretta, ai soggetti indagati, di un questionario costituito da numerosi quesiti a risposta chiusa, integrati da domande aperte finalizzate all’approfondimento delle dimensioni di ruolo che più frequentemente possono presentare aspetti di criticità. Il progetto ha previsto la rielaborazione aggregata dei dati e la diffusione degli esiti della ricerca: alla Direzione Sanitaria Aziendale, alle Direzioni Dipartimentali ospedaliere ed a tutti i soggetti coinvolti nell’indagine stessa per poi riesaminare in una discussione allargata i temi di maggiore interesse e le criticità emersi. Gli esiti sono esposti in una serie di tabelle con i principali indicatori e vengono adeguatamente illustrati.
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Il lavoro presentato si propone di fornire un contributo all'implementazione di indagini finalizzate a misurare l'evoluzione delle intenzioni d'acquisto del consumatore italiano nei confronti degli OGM, data anche l'impossibilità al momento di avere indicazioni e dati sul comportamento (vista la quasi totale assenza dei prodotti OGM nella distribuzione, se si eccettuano i prodotti d'allevamento di animali alimentati con OGM per cui non è previsto nessun obbligo di etichettatura). Le coltivazioni transgeniche (Organismi Geneticamente Modificati) si stanno diffondendo abbastanza rapidamente nel contesto mondiale, dal 1996, primo anno in cui sono uscite dalla fase sperimentale, ad oggi. Nel 2008 la superficie globale delle colture biotech è stata di 125 milioni di ettari, circa il 9% in più rispetto ai 114 milioni del 2007, mentre il numero dei Paesi che hanno adottato varietà GM è giunto a 25. Di questi sono soprattutto Usa, Canada, Argentina, Brasile, Cina e India a trainare la crescita; le colture più diffuse sono soia, mais, cotone e colza, prodotti destinati principalmente al segmento feed e al segmento no-food e solo in minima parte al segmento food (cioè all'alimentazione diretta umana). Molte più resistenze ha incontrato tale sviluppo nei Paesi dell'Unione europea. A tutt'oggi le coltivazioni GM hanno raggiunto estensioni significative solamente in Spagna, con alcune decine di migliaia di ettari di mais GM. Mais che peraltro è l'unica produzione per cui è stata autorizzata una varietà GM alla coltivazione. Si intuisce in sostanza come in Europa si sia assunto un atteggiamento molto più prudente verso l'utilizzo su larga scala di tale innovazione scientifica, rispetto a quanto accaduto nei grandi Paesi citati in precedenza. Una prudenza dettata dal serrato dibattito, tuttora in corso, tra possibilisti e contrari, con contrapposizioni anche radicali, al limite dell'ideologia. D'altro canto, le indagini di Eurobarometro hanno messo in luce un miglioramento negli ultimi anni nella percezione dei cittadini europei verso le biotecnologie: dopo aver raggiunto un livello minimo di fiducia nel 1999, si è manifestata una lenta risalita verso i livelli di inizio anni '90, con percentuali di "fiduciosi" intorno al 55-60% sul totale della popolazione. Tuttavia, sebbene sulle biotecnologie in genere (l'Eurobarometro individua quattro filoni: alimenti contenenti OGM, terapie geniche, nanotecnologie e farmaci contenenti OGM), il giudizio sia abbastanza positivo, sugli alimenti permane un certo scetticismo legato soprattutto a considerazioni di inutilità della tecnologia, di rischio percepito e di accettabilità morale: per citare il caso italiano, che, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, è tra i più elevati nel contesto europeo, solamente un cittadino su tre valuta positivamente gli alimenti contenenti OGM. Se si analizza, inoltre, il sentiment del settore agricolo, nel quale il tema riveste anche un'importanza di natura economico-produttiva, in quanto incidente sui comportamenti e sulla strategie aziendali, sembra emergere un'apertura significativamente più elevata, se non una vera e propria frattura rispetto all'opinione pubblica. Infatti, circa due maiscoltori lombardi su tre (Demoskopea, 2008), cioè la tipologia di agricoltori che potrebbe beneficiare di tale innovazione, coltiverebbero mais GM se la normativa lo consentisse. Ebbene, in tale contesto diventa d'estremo interesse, sebbene di non facile praticabilità , lo studio e l'implementazione di modelli volti a monitorare le componenti che concorrono a formare l'intenzione e, in ultima analisi, il comportamento, dei consumatori verso gli OGM. Un esercizio da attuare per lo più tramite una serie di misurazioni indirette che devono fermarsi necessariamente all'intenzione nel caso italiano, mentre in altri Paesi che hanno avuto legislazioni più favorevoli all'introduzione degli OGM stessi nella produzione food può perseguire approcci d'analisi field, focalizzati non solo sull'intenzione, ma anche sul legame tra intenzione ed effettivo comportamento. Esiste una vasta letteratura che studia l'intenzione del consumatore verso l'acquisto di determinati beni. Uno degli approcci teorici che negli ultimi anni ha avuto più seguito è stato quello della Teoria del Comportamento Pianificato (Ajzen, 1991). Tale teoria prevede che l'atteggiamento (cioè l'insieme delle convinzioni, credenze, opinioni del soggetto), la norma soggettiva (cioè l'influenza dell'opinione delle persone importanti per l'individuo) e il controllo comportamentale percepito (ovvero la capacità , auto-percepita dal soggetto, di riuscire a compiere un determinato comportamento, in presenza di un'intenzione di ugual segno) siano variabili sufficienti a spiegare l'intenzione del consumatore. Tuttavia, vari ricercatori hanno e stanno cercando di verificare la correlazione di altre variabili: per esempio la norma morale, l'esperienza, l'attitudine al rischio, le caratteristiche socio-demografiche, la cosiddetta self-identity, la conoscenza razionale, la fiducia nelle fonti d'informazione e via discorrendo. In tale lavoro si è cercato, quindi, di esplorare, in un'indagine "pilota" quali-quantitativa su un campione ragionato e non probabilistico, l'influenza sull'intenzione d'acquisto di prodotti alimentari contenenti OGM delle variabili tipiche della Teoria del Comportamento Pianificato e di alcune altre variabili, che, nel caso degli OGM, appaiono particolarmente rilevanti, cioè conoscenza, fiducia nelle fonti d'informazione ed elementi socio-demografici. Tra i principali risultati da porre come indicazioni di lavoro per successive analisi su campioni rappresentativi sono emersi: - La conoscenza, soprattutto se tecnica, sembra un fattore, relativamente al campione ragionato analizzato, che conduce ad una maggiore accettazione degli OGM; le stesse statistiche descrittive mettono in luce una netta differenza in termini di intenzione d'acquisto dei prodotti contenenti OGM da parte del sub-campione più preparato sull'argomento; - L'esplorazione della fiducia nelle fonti d'informazione è sicuramente da approfondire ulteriormente. Dall'indagine effettuata risulta come l'unica fonte che influenza con le sue informazioni la decisione d'acquisto sugli OGM è la filiera agroalimentare. Dato che tali attori si caratterizzano per lo più con indicazioni contrarie all'introduzione degli OGM nei loro processi produttivi, è chiaro che se il consumatore dichiara di avere fiducia in loro, sarà anche portato a non acquistare gli OGM; - Per quanto riguarda le variabili della Teoria del Comportamento Pianificato, l'atteggiamento mette in luce una netta preponderanza nella spiegazione dell'intenzione rispetto alla norma soggettiva e al controllo comportamentale percepito. Al contrario, queste ultime appaiono variabili deboli, forse perchè a tutt'oggi la possibilità concreta di acquistare OGM è praticamente ridotta a zero ; - Tra le variabili socio-demografiche, l'influenza positiva del titolo di studio sulla decisione d'acquisto sembra confermare almeno in parte quanto emerso rispetto alla variabile "conoscenza"; - Infine, il fatto che il livello di reddito non influisca sull'intenzione d'acquisto appare abbastanza scontato, se si pensa, ancora una volta, come a tutt'oggi gli OGM non siano presenti sugli scaffali. Il consumatore non ha al momento nessuna idea sul loro prezzo. Decisamente interessante sarà indagare l'incidenza di tale variabile quando il "fattore OGM" sarà prezzato, presumibilmente al ribasso rispetto ai prodotti non OGM.
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Individuazione dei valori ottimali di crescita di dinoflagellate bentoniche, valutazione della tossicità e di interazioni allelopatiche. Il fitoplancton rappresenta la base della catena trofica in ambiente marino, nonché oltre la metà della produzione primaria a livello mondiale. Le dinoflagellate, assieme alle diatomee, costituiscono la maggior parte del fitoplancton, comprendendo numerose e diversificate specie di microalghe dalla differente distribuzione, ecologia e fisiologia. Alcune specie appartenenti a tale gruppo sono in grado di dare luogo, in determinate condizioni, a estesi fenomeni di fioriture algali, che diventano particolarmente impattanti se le specie coinvolte sono responsabili della produzione di biotossine, le quali possono direttamente uccidere altri organismi o accumularsi nei loro tessuti. Gli effetti nocivi di questi fenomeni si ripercuotono pesantemente sull'ecosistema marino, con ingenti morie di organismi acquatici (da pesci a molluschi, dal bentos al necton) e profonde alterazioni nelle comunità specifiche. Un forte coinvolgimento si ha di conseguenza anche per le attività umane, in seguito a forti esternalità negative su pesca, turismo, attività ricreative, o spesso con rischi direttamente correlati alla salute umana, dovuti perlopiù ad ingestione di organismi contaminati o all'inalazione di tossine per via aerea. Negli ultimi anni le fioriture algali tossiche si sono fortemente intensificate in distribuzione, estensione e frequenza, attirando l'interesse globale della comunità scientifica. Diversi studi condotti in questo senso hanno portato all'identificazione di numerose specie di dinoflagellate tossiche e all'isolamento di una lunga serie di composti chimici con effetti dannosi da esse sintetizzate. Tuttavia si conosce ancora ben poco sull'ecologia di queste specie, in particolare su quali siano i fattori che possano indurre o regolare la proliferazione e lo sviluppo di un bloom algale. Questo studio si è focalizzato su due specie di dinoflagellate bentoniche tossiche, Ostreopsis ovata e Coolia monotis, entrambe appartenenti alla famiglia Ostreopsidaceae, note già da tempo nei paesi tropicali poiché associate alla sindrome da ciguatera. Negli ultimi anni, Ostreopsis ovata è stata oggetto di numerose ricerche in Europa, poiché ha dato luogo a fenomeni di bloom, collegati con danni respiratori nell'uomo, anche lungo i litorali italiani; soltanto recentemente grazie ad una tecnica analitica basata sulla combinazione di cromatografia liquida e spettrometria di massa (LC-MS), è stato possibile isolare la diverse tossine responsabili. Durante i vari monitoraggi e campionamenti delle acque, questa dinoflagellata è stata sempre riscontrata in presenza di Coolia monotis (e Prorocentrum lima), di cui invece si conosce ben poco, visto che la sua tossicità in Mediterraneo non è ancora stata dimostrata, né la sua tossina caratterizzata. Il primo step di questo studio è stato quello di valutare, attraverso il mantenimento di colture in vitro, l'importanza della temperatura nella crescita di O. ovata e C. monotis (singolarmente) provenienti dalla zona del monte Conero (Ancona, Marche). Esistono già studi di questo tipo su ceppi adriatici di O. ovata, tuttavia è stato effettuato un esperimento similare utilizzando un nuovo ceppo, isolato in anni recenti; per C. monotis invece non sono presenti molti studi in letteratura, in particolare nessuno riguardante ceppi italiani. La valutazione della crescita è stata effettuata attraverso conteggio delle cellule, misura dell'efficienza fotosintetica e consumo dei macronutrienti. Quindi, visto che le due specie vivono in associazione nell'ambiente marino, si è cercato di evidenziare l'instaurarsi di eventuali processi competitivi o di fenomeni di allelopatia. Dall'analisi dei risultati è emerso che, se coltivate individualmente, sia C. monotis che O. ovata mostrano un optimum di crescita alla temperatura di 20°C, con tasso di crescita, numero di cellule e rendimento fotosintetico raggiunti più elevati, seppure non di molto rispetto alle colture a 25°C. Le colture a 30°C al contrario hanno mostrato valori sensibilmente inferiori. Se fatte crescere assieme, invece, C. monotis mantiene lo stesso pattern riscontrato nella monoculture a 20 e 25°C, seppur raggiungendo numeri di cellule inferiori, mentre a 30°C ha una crescita bassissima. Al contrario, O. ovata alla temperatura più elevata raggiunge lo stesso numero di cellule della monocultura, alla temperatura intermedia registra il tasso di crescita, ma non il numero di cellule, più elevato, mentre alla temperatura più bassa (che era l'optimum per la monocultura) si ha il maggior stress per la specie, evidenziando forti fenomeni di competizione. Esperimenti su C. monotis fatta crescere in un filtrato di O. ovata non hanno invece chiarito l'esistenza o meno di eventuali effetti allelopatici di Ostreopsis su Coolia, dato che non sono apparse differenze evidenti tra il controllo e il filtrato, mentre hanno messo in luce l'importanza dei batteri associati alle microalghe come supporto alla loro crescita, poiché le colture cresciute in filtrato sterile hanno manifestato tutte quante un rendimento quantico fotosintetico inferiore.
Resumo:
Il mio elaborato finale si chiama “Restauro tra storia e progetto”, in cui rimetto a sistema, quanto appreso nelle materie di restauro, partendo dal laboratorio di restauro, dove la Prof. Antonella Ranaldi ci ha fatto trattare il complesso monumentale dell’ex convento di Sant’ Agostino a Cesena. Partendo da una lunga ricerca bibliografica, abbiamo individuato gli interventi da effettuare sul prospetto lungo via delle Mura di Sant’ Agostino ed effettuato il rilievo che ci ha permesso l’elaborazione del progetto. Gli interventi realizzati nel corso dei secoli costituiscono un esempio inquietante perchè se pure con esiti diversi ed in parte anche positivi, hanno però complessivamente portato alla situazione attuale, ormai compromessa per la definitiva perdita di molte interessanti tracce storiche. Data l'impossibilità di restituire al prospetto la sua immagine originaria abbiamo deciso di effettuare la sagramatura, che ha cancellato le stratificazioni che si sono succedute nei vari periodi storici. Abbiamo dato al prospetto una nuova immagine, riportando il prospetto ad un periodo storico non esattamente datato. L'illuminazione di questa preziosa facciata ha voluto essere un elemento discreto, capace di porre in risalto gli elementi architettonici e consentire, anche al calare del sole, un'intensa esperienza emotiva. In ogni caso si vuole evitare una scenografia serale eccessiva o artificiosa , e illuminare la facciata in maniera uniforme. Per fare questo si sono scelti apparecchi di illuminazione dotati di ottica asimmetrica, in modo da indirizzare il fascio di luce solo sulle superfici da illuminare e di ridurre così al minimo l'inquinamento luminoso. L'illuminazione omogenea della facciata in mattoni avviene attraverso riflettori con ottica larga, vetro allungante in verticale e schermo antiabbagliamento, posizionati su appositi pali (due pezzi per palo, paralleli alla facciata) situati dall'altra parte della strada di via delle mura. Mentre le lesene e il basamento sono illuminati da riflettori con condensatore ottico incassati nel terreno o nascosti nella parte superiore della cornice, con distribuzione della luce per un'altezza di circa 7 metri. Si è scelto di utilizzare sorgenti a luce bianca per mettere in risalto i materiali della facciata, senza alterarne i colori già di per se saturi. Abbiamo previsto nonostante lo stato di degrado, di recuperare il portone e le porte. Le parti mancanti vengono integrate con parti in legno della stessa essenza. Tutte le forature verranno poi tamponate con adeguati stucchi. Si ritiene fondamentale, in termini di restauro conservativo, mantenere ogni elemento che ancora sia in grado di svolgere la sua funzione. E' evidente in facciata il filo dell'impianto elettrico. E' stato pensato di farlo scorrere all'interno di una canalina, di dimensioni 4,5 x 7 cm, posizionata sopra il cornicione, nascosta alla vista del prospetto. Le gronde e i pluviali sono stati sostituiti durante l'ultimo intervento di rifacimento delle coperture, tuttavia non è stato studiato un posizionamento adeguato dei pluviali. Infatti, alcuni di questi, sopratutto quelli del prospetto principale sono posizionati senza alcun ordine. In alcuni casi i pluviali risultano essere scarsi con conseguente allagamento delle gronde e colate di acqua piovana sul muro. Nel nostro progetto si prevede di posizionare gli scarichi delle gronde sui lati, in maniera tale da non ostruire la facciata, inoltre vengono aumentati i pluviali per la gronda più alta. La seconda parte riguarda il restauro del borgo di Castelleale, che abbiamo trattato con il Prof. Andrea Ugolini nel laboratorio di sintesi finale. Il tema del corso ha previsto una prima fase di studio comprendente la ricerca storica e bibliografica, l’inquadramento dell’oggetto nel contesto urbano, la redazione delle piante di fase e ricostruzioni planivolumetriche nelle varie fasi storiche. Nella seconda fase abbiamo effettuato il rilievo, fatto foto esterne e interne di dettaglio per l’inquadramento del tema e delle sue caratteristiche architettoniche, studiato le principali cause di degrado e alterazione dei materiali da costruzione redigendo le tavole del degrado e dello stato di conservazione. Nella fase progettuale abbiamo deciso di effettuare un minimo intervento sul rudere, ripristinando la copertura crollata attraverso una copertura moderna sostenuta da pilastri, che vanno a costituire una struttura staccata rispetto al rudere. La terza parte riguarda l’efficienza energetica, il tema che ho affrontato sotto la guida del Prof. Kristian Fabbri in occasione dell’elaborato finale.
Resumo:
Benessere delle popolazioni, gestione sostenibile delle risorse, povertà e degrado ambientale sono dei concetti fortemente connessi in un mondo in cui il 20% della popolazione mondiale consuma più del 75% delle risorse naturali. Sin dal 1992 al Summit della Terra a Rio de Janeiro si è affermato il forte legame tra tutela dell’ambiente e riduzione della povertà, ed è anche stata riconosciuta l’importanza di un ecosistema sano per condurre una vita dignitosa, specialmente nelle zone rurali povere dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina. La natura infatti, soprattutto per le popolazioni rurali, rappresenta un bene quotidiano e prezioso, una forma essenziale per la sussistenza ed una fonte primaria di reddito. Accanto a questa constatazione vi è anche la consapevolezza che negli ultimi decenni gli ecosistemi naturali si stanno degradando ad un ritmo impressionate, senza precedenti nella storia della specie umana: consumiamo le risorse più velocemente di quanto la Terra sia capace di rigenerarle e di “metabolizzare” i nostri scarti. Allo stesso modo aumenta la povertà: attualmente ci sono 1,2 miliardi di persone che vivono con meno di un dollaro al giorno, mentre circa metà della popolazione mondiale sopravvive con meno di due dollari al giorno (UN). La connessione tra povertà ed ambiente non dipende solamente dalla scarsità di risorse che rende più difficili le condizioni di vita, ma anche dalla gestione delle stesse risorse naturali. Infatti in molti paesi o luoghi dove le risorse non sono carenti la popolazione più povera non vi ha accesso per motivi politici, economici e sociali. Inoltre se si paragona l’impronta ecologica con una misura riconosciuta dello “sviluppo umano”, l’Indice dello Sviluppo Umano (HDI) delle Nazioni Unite (Cfr. Cap 2), il rapporto dimostra chiaramente che ciò che noi accettiamo generalmente come “alto sviluppo” è molto lontano dal concetto di sviluppo sostenibile accettato universalmente, in quanto i paesi cosiddetti “sviluppati” sono quelli con una maggior impronta ecologica. Se allora lo “sviluppo” mette sotto pressione gli ecosistemi, dal cui benessere dipende direttamente il benessere dell’uomo, allora vuol dire che il concetto di “sviluppo” deve essere rivisitato, perché ha come conseguenza non il benessere del pianeta e delle popolazioni, ma il degrado ambientale e l’accrescimento delle disuguaglianze sociali. Quindi da una parte vi è la “società occidentale”, che promuove l’avanzamento della tecnologia e dell’industrializzazione per la crescita economica, spremendo un ecosistema sempre più stanco ed esausto al fine di ottenere dei benefici solo per una ristretta fetta della popolazione mondiale che segue un modello di vita consumistico degradando l’ambiente e sommergendolo di rifiuti; dall’altra parte ci sono le famiglie di contadini rurali, i “moradores” delle favelas o delle periferie delle grandi metropoli del Sud del Mondo, i senza terra, gli immigrati delle baraccopoli, i “waste pickers” delle periferie di Bombay che sopravvivono raccattando rifiuti, i profughi di guerre fatte per il controllo delle risorse, gli sfollati ambientali, gli eco-rifugiati, che vivono sotto la soglia di povertà, senza accesso alle risorse primarie per la sopravvivenza. La gestione sostenibile dell’ambiente, il produrre reddito dalla valorizzazione diretta dell’ecosistema e l’accesso alle risorse naturali sono tra gli strumenti più efficaci per migliorare le condizioni di vita degli individui, strumenti che possono anche garantire la distribuzione della ricchezza costruendo una società più equa, in quanto le merci ed i servizi dell’ecosistema fungono da beni per le comunità. La corretta gestione dell’ambiente e delle risorse quindi è di estrema importanza per la lotta alla povertà ed in questo caso il ruolo e la responsabilità dei tecnici ambientali è cruciale. Il lavoro di ricerca qui presentato, partendo dall’analisi del problema della gestione delle risorse naturali e dal suo stretto legame con la povertà, rivisitando il concetto tradizionale di “sviluppo” secondo i nuovi filoni di pensiero, vuole suggerire soluzioni e tecnologie per la gestione sostenibile delle risorse naturali che abbiano come obiettivo il benessere delle popolazioni più povere e degli ecosistemi, proponendo inoltre un metodo valutativo per la scelta delle alternative, soluzioni o tecnologie più adeguate al contesto di intervento. Dopo l’analisi dello “stato del Pianeta” (Capitolo 1) e delle risorse, sia a livello globale che a livello regionale, il secondo Capitolo prende in esame il concetto di povertà, di Paese in Via di Sviluppo (PVS), il concetto di “sviluppo sostenibile” e i nuovi filoni di pensiero: dalla teoria della Decrescita, al concetto di Sviluppo Umano. Dalla presa di coscienza dei reali fabbisogni umani, dall’analisi dello stato dell’ambiente, della povertà e delle sue diverse facce nei vari paesi, e dalla presa di coscienza del fallimento dell’economia della crescita (oggi visibile più che mai) si può comprendere che la soluzione per sconfiggere la povertà, il degrado dell’ambiente, e raggiungere lo sviluppo umano, non è il consumismo, la produzione, e nemmeno il trasferimento della tecnologia e l’industrializzazione; ma il “piccolo e bello” (F. Schumacher, 1982), ovvero gli stili di vita semplici, la tutela degli ecosistemi, e a livello tecnologico le “tecnologie appropriate”. Ed è proprio alle Tecnologie Appropriate a cui sono dedicati i Capitoli successivi (Capitolo 4 e Capitolo 5). Queste sono tecnologie semplici, a basso impatto ambientale, a basso costo, facilmente gestibili dalle comunità, tecnologie che permettono alle popolazioni più povere di avere accesso alle risorse naturali. Sono le tecnologie che meglio permettono, grazie alle loro caratteristiche, la tutela dei beni comuni naturali, quindi delle risorse e dell’ambiente, favorendo ed incentivando la partecipazione delle comunità locali e valorizzando i saperi tradizionali, grazie al coinvolgimento di tutti gli attori, al basso costo, alla sostenibilità ambientale, contribuendo all’affermazione dei diritti umani e alla salvaguardia dell’ambiente. Le Tecnologie Appropriate prese in esame sono quelle relative all’approvvigionamento idrico e alla depurazione dell’acqua tra cui: - la raccolta della nebbia, - metodi semplici per la perforazione di pozzi, - pompe a pedali e pompe manuali per l’approvvigionamento idrico, - la raccolta dell’acqua piovana, - il recupero delle sorgenti, - semplici metodi per la depurazione dell’acqua al punto d’uso (filtro in ceramica, filtro a sabbia, filtro in tessuto, disinfezione e distillazione solare). Il quinto Capitolo espone invece le Tecnolocie Appropriate per la gestione dei rifiuti nei PVS, in cui sono descritte: - soluzioni per la raccolta dei rifiuti nei PVS, - soluzioni per lo smaltimento dei rifiuti nei PVS, - semplici tecnologie per il riciclaggio dei rifiuti solidi. Il sesto Capitolo tratta tematiche riguardanti la Cooperazione Internazionale, la Cooperazione Decentrata e i progetti di Sviluppo Umano. Per progetti di sviluppo si intende, nell’ambito della Cooperazione, quei progetti che hanno come obiettivi la lotta alla povertà e il miglioramento delle condizioni di vita delle comunità beneficiarie dei PVS coinvolte nel progetto. All’interno dei progetti di cooperazione e di sviluppo umano gli interventi di tipo ambientale giocano un ruolo importante, visto che, come già detto, la povertà e il benessere delle popolazioni dipende dal benessere degli ecosistemi in cui vivono: favorire la tutela dell’ambiente, garantire l’accesso all’acqua potabile, la corretta gestione dei rifiuti e dei reflui nonché l’approvvigionamento energetico pulito sono aspetti necessari per permettere ad ogni individuo, soprattutto se vive in condizioni di “sviluppo”, di condurre una vita sana e produttiva. È importante quindi, negli interventi di sviluppo umano di carattere tecnico ed ambientale, scegliere soluzioni decentrate che prevedano l’adozione di Tecnologie Appropriate per contribuire a valorizzare l’ambiente e a tutelare la salute della comunità. I Capitoli 7 ed 8 prendono in esame i metodi per la valutazione degli interventi di sviluppo umano. Un altro aspetto fondamentale che rientra nel ruolo dei tecnici infatti è l’utilizzo di un corretto metodo valutativo per la scelta dei progetti possibili che tenga presente tutti gli aspetti, ovvero gli impatti sociali, ambientali, economici e che si cali bene alle realtà svantaggiate come quelle prese in considerazione in questo lavoro; un metodo cioè che consenta una valutazione specifica per i progetti di sviluppo umano e che possa permettere l’individuazione del progetto/intervento tecnologico e ambientale più appropriato ad ogni contesto specifico. Dall’analisi dei vari strumenti valutativi si è scelto di sviluppare un modello per la valutazione degli interventi di carattere ambientale nei progetti di Cooperazione Decentrata basato sull’Analisi Multi Criteria e sulla Analisi Gerarchica. L’oggetto di questa ricerca è stato quindi lo sviluppo di una metodologia, che tramite il supporto matematico e metodologico dell’Analisi Multi Criteria, permetta di valutare l’appropriatezza, la sostenibilità degli interventi di Sviluppo Umano di carattere ambientale, sviluppati all’interno di progetti di Cooperazione Internazionale e di Cooperazione Decentrata attraverso l’utilizzo di Tecnologie Appropriate. Nel Capitolo 9 viene proposta la metodologia, il modello di calcolo e i criteri su cui si basa la valutazione. I successivi capitoli (Capitolo 10 e Capitolo 11) sono invece dedicati alla sperimentazione della metodologia ai diversi casi studio: - “Progetto ambientale sulla gestione dei rifiuti presso i campi Profughi Saharawi”, Algeria, - “Programa 1 milhão de Cisternas, P1MC” e - “Programa Uma Terra e Duas Águas, P1+2”, Semi Arido brasiliano.