123 resultados para Termografia de infravermelhos


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Conselho Nacional de Desenvolvimento Científico e Tecnológico (CNPq)

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Coordenação de Aperfeiçoamento de Pessoal de Nível Superior (CAPES)

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Many social wasps are known to use thermogenesis to warm up their flight muscles and are therefore able to forage under a broad range of ambient temperatures. However it is uncertain whether there exists a possible relation between ambient temperature and thermogenic capacity for tropical species, as we lack studies focusing on these species. Therefore, we examined the use of this mechanism in the neotropical Epiponini wasp Polybia ignobilis. More specifically, we used a thermographic camera to obtain data of the surface temperatures of three body regions (head, thorax and abdomen) of wasps during foraging activities (pre-flight, flight and post-flight) in cold [initial pe- riod of foraging activity: TAM : 15 − 20◦C] and warm [final period of foraging activity: TPM : 30 − 35◦C] conditions. Thorax temperature (Tth) was always higher than head (Th) and abdomen temperature (Tabd). In general, the lowest body temperatures were observed during the pre-flight period, while the highest values occurred upon the return of the wasps from the foraging flight. Except for the pre-flight period, Tth was always higher than Tabd, indicating that heat generated at the thorax was preferentially directed to the cephalic region. Therefore we confirmed the use of thermogenesis by a neotropical social wasp, although its magnitude was found modest compared to temperate species, which suggests a link between thermal environment and thermogenic capacity. We also showed that P. ignobilis modulates heat production as a function of ambient temperature (TA), maintaining a greater temperature difference (Tbody − TA) at cooler temperatures. Finally, we identified the cephalic region of wasps as an important route for the dissipation of the heat generated during flight

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Many social wasps are known to use thermogenesis to warm up their flight muscles and are therefore able to forage under a broad range of ambient temperatures. However it is uncertain whether there exists a possible relation between ambient temperature and thermogenic capacity for tropical species, as we lack studies focusing on these species. Therefore, we examined the use of this mechanism in the neotropical Epiponini wasp Polybia ignobilis. More specifically, we used a thermographic camera to obtain data of the surface temperatures of three body regions (head, thorax and abdomen) of wasps during foraging activities (pre-flight, flight and post-flight) in cold [initial pe- riod of foraging activity: TAM : 15 − 20◦C] and warm [final period of foraging activity: TPM : 30 − 35◦C] conditions. Thorax temperature (Tth) was always higher than head (Th) and abdomen temperature (Tabd). In general, the lowest body temperatures were observed during the pre-flight period, while the highest values occurred upon the return of the wasps from the foraging flight. Except for the pre-flight period, Tth was always higher than Tabd, indicating that heat generated at the thorax was preferentially directed to the cephalic region. Therefore we confirmed the use of thermogenesis by a neotropical social wasp, although its magnitude was found modest compared to temperate species, which suggests a link between thermal environment and thermogenic capacity. We also showed that P. ignobilis modulates heat production as a function of ambient temperature (TA), maintaining a greater temperature difference (Tbody − TA) at cooler temperatures. Finally, we identified the cephalic region of wasps as an important route for the dissipation of the heat generated during flight

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Le prove non distruttive che sono state studiate in questa tesi sono il monitoraggio termografico, le prove soniche, la tecnica tomografica sonica e l’indagine tramite georadar. Ogni capitolo di applicazione in sito o in laboratorio è sempre preceduto da un capitolo nel quale sono spiegati i principi fondamentali della tecnica applicata. I primi cinque capitoli riguardano un problema molto diffuso nelle murature, cioè la risalita capillare di umidità o di soluzione salina all’interno delle stesse. Spiegati i principi alla base della risalita capillare in un mezzo poroso e della tecnica termografica, sono state illustrate le tre prove svolte in laboratorio: una prova di risalita (di umidità e di salamoia) su laterizi, una prova di risalita di salamoia su tripletta muraria monitorata da sensori e una prova di risalita di umidità su muretto fessurato monitorata tramite termografia ad infrarossi. Nei capitoli 6 e 7 sono stati illustrati i principi fondamentali delle prove soniche ed è stata presentata un’analisi approfondita di diverse aree del Duomo di Modena in particolare due pareti esterne, un pilastro di muratura e una colonna di pietra. Nelle stesse posizioni sono state effettuate anche prove tramite georadar (Capitoli 11 e 12) per trovare analogie con le prove soniche o aggiungere informazioni che non erano state colte dalle prove soniche. Nei capitoli 9 e 10 sono stati spiegati i principi della tomografia sonica (tecnica di inversione dei tempi di volo e tecnica di inversione delle ampiezze dei segnali), sono stati illustrati i procedimenti di elaborazione delle mappe di velocità e sono state riportate e commentate le mappe ottenute relativamente ad un pilastro di muratura del Duomo di Modena (sezioni a due quote diverse) e ad un pilastro interno di muratura della torre Ghirlandina di Modena.

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Questa tesi affronta lo sviluppo di sistemi elettronici per il collaudo automatizzato di centraline elettroniche per sistemi automotive. Viene illustrato lo sviluppo di un simulatore per il collaudo basato su ambiente Labview. Inoltre, viene presentata un'analisi di fattibiltà del rilevamento di malfunzionamenti basata sull'elaborazione di immagini termografiche.

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Dopo aver introdotto l'argomento della certificazione energetica attraverso l'analisi delle direttive europee in materia, delle legislazioni nazionali, dei regolamenti regionali e delle procedure di calcolo (ITACA, LEED, etc.) si passa poi allo studio di un caso reale, la Masseria Sant'Agapito. All'inquadramento della masseria e delle attività connesse, segue un focus sull'edificio attualmente adibito a b&b, del quale si esegue la diagnosi sperimentale (termografia all'infrarosso, test di tenuta, etc.) e la certificazione con l'ausilio del software DOCET di ENEA. Si delineano quindi interventi atti alla riqualificazione energetica e alla riduzione dei consumi per tale edificio. In seguito si ipotizza un progetto di recupero funzionale, da attuarsi secondo i criteri della conservazione dell'esistente e della bioedilizia, impiegando materiali naturali e con un ciclo di vita a basso impatto ecologico. Alla progettazione d'involucro, segue la progettazione dell'impianto termico alimentato a biomassa, degli impianti solare termico (autocostruito) e fotovoltaico (inegrato in copertura) e del generatore mini-eolico. Tali tecnologie consentono, attraverso l'impiego di fonti di energia rinnovabile, la totale autosufficienza energetica e l'abbattimento delle emissioni climalteranti riferibili all'esercizio dell'edificio. La certificazione energetica di tale edificio, condotta questa volta con l'ausilio del software TERMUS di ACCA, consente una classificazione nella categoria di consumo "A".

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Il presente studio si concentra sulle diverse applicazioni del telerilevamento termico in ambito urbano. Vengono inizialmente descritti la radiazione infrarossa e le sue interazioni con l’atmosfera terrestre, le leggi principali che regolano lo scambio di calore per irraggiamento, le caratteristiche dei sensori e le diverse applicazioni di termografia. Successivamente sono trattati nel dettaglio gli aspetti caratteristici della termografia da piattaforma satellitare, finalizzata principalmente alla valutazione del fenomeno dell'Urban Heat Island; vengono descritti i sensori disponibili, le metodologie di correzione per gli effetti atmosferici, per la stima dell'emissività delle superfici e per il calcolo della temperatura superficiale dei pixels. Viene quindi illustrata la sperimentazione effettuata sull'area di Bologna mediante immagini multispettrali ASTER: i risultati mostrano come sull'area urbana sia riscontrabile la presenza dell'Isola di Calore Urbano, anche se la sua quantificazione risulta complessa. Si procede quindi alla descrizione di potenzialità e limiti della termografia aerea, dei suoi diversi utilizzi, delle modalità operative di rilievo e degli algoritmi utilizzati per il calcolo della temperatura superficiale delle coperture edilizie. Tramite l’analisi di alcune esperienze precedenti vengono trattati l’influenza dell’atmosfera, la modellazione dei suoi effetti sulla radianza rilevata, i diversi metodi per la stima dell’emissività. Viene quindi introdotto il progetto europeo Energycity, finalizzato alla creazione di un sistema GeoWeb di supporto spaziale alle decisioni per la riduzione di consumi energetici e produzione di gas serra su sette città dell'Europa Centrale. Vengono illustrate le modalità di rilievo e le attività di processing dei datasets digitali per la creazione di mappe di temperatura superficiale da implementare nel sistema SDSS. Viene infine descritta la sperimentazione effettuata sulle immagini termiche acquisite nel febbraio 2010 sulla città di Treviso, trasformate in un mosaico georiferito di temperatura radiometrica tramite correzioni geometriche e radiometriche; a seguito della correzione per l’emissività quest’ultimo verrà trasformato in un mosaico di temperatura superficiale.

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Ad oggi, grazie al progresso tecnologico, sono stati realizzati accuratissimi rivelatori di radiazione infrarossa, rendendo possibili misure altamente precise. L’impiego massiccio dell’indagine termografica infrarossa è basato sull’emissione termica da parte della materia. Tutta la materia a temperatura superiore dello zero assoluto emette radiazione elettromagnetica con una certa distribuzione spettrale, dipendente dalla temperatura e dalle caratteristiche costitutive. Le capacità emissive di un corpo sono quantificate da un parametro, l’emissività, che confronta i corpi reali con il corpo nero, modellizzazione matematica di un perfetto emettitore. I corpi a temperatura ambiente emettono principalmente nell’infrarosso. Poichè la radiazione infrarossa non è percepibile dall’occhio umano, i corpi a temperature ordinarie non appaiono luminosi e sono visti brillare unicamente di luce riflessa. Solo fornendo calore al sistema, aumentandone cioè la temperatura, l’emissione di picco si sposta verso le frequenze del visibile ed i corpi appaiono luminosi; si pensi ad esempio alle braci della legna bruciata. La possibilità di rivelare la radiazione infrarossa con opportuni dispositivi permette quindi di vedere la “luce” emessa da corpi relativamente freddi. Per questo motivo la termografia trova applicazione nella visione o videoregistrazione notturna o in condizioni di scarsa visibilità. Poichè la distribuzione spettrale dipende dalla temperatura, oltre al picco di emissione anche la quantità di radiazione emessa dipende dalla teperatura, in particolare è proporzionale alla quarta potenza della temperatura. Rilevando la quantità di radiazione emessa da un corpo se ne può dunque misurare la temperatura superficiale, o globale se il corpo è in equilibrio termico. La termometria, ovvero la misura della temperatura dei corpi, può dunque sfruttare la termografia per operare misure a distanza o non invasive.

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La termografia è un metodo d’indagine ampiamente utilizzato nei test diagnostici non distruttivi, in quanto risulta una tecnica d’indagine completamente non invasiva, ripetibile nel tempo e applicabile in diversi settori. Attraverso tale tecnica è possibile individuare difetti superficiali e sub–superficiali, o possibili anomalie, mediante la rappresentazione della distribuzione superficiale di temperatura dell’oggetto o dell’impianto indagato. Vengono presentati i risultati di una campagna sperimentale di rilevamenti termici, volta a stabilire i miglioramenti introdotti da tecniche innovative di acquisizione termografica, quali ad esempio la super-risoluzione, valutando un caso di studio di tipo industriale. Si è effettuato un confronto tra gli scatti registrati, per riuscire a individuare e apprezzare le eventuali differenze tra le diverse modalità di acquisizione adottate. L’analisi dei risultati mostra inoltre come l’utilizzo dei dispositivi di acquisizione termografica in modalità super-resolution sia possibile anche su cavalletto.

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Le immagini termiche all’ infrarosso sono utilizzate da molte decadi per monitorare la distribuzione di temperatura della pelle umana. Anormalità come infiammazioni ed infezioni causano un aumento locale della temperatura, visibile sulle immagini sotto forma di hot spot. In tal senso la termografia ad infrarossi può essere utilizzata nel campo ortopedico per rilevare le zone sovra-caricate dalla protesi. Per effettuare una valutazione precisa dell’interfaccia moncone-invasatura può essere utile combinare i dati termografici e i dati antropometrici (superficie tridimensionale del moncone), relativi ai singoli pazienti. Di ciò si occupa tale studio, che dopo aver fornito una panoramica sulla termografia e sulla reverse engineering, sperimenta delle tecniche semplici e low-cost per combinare i dati termici e i dati antropometrici. Buoni risultati si riescono ad ottenere utilizzando un Kinect come scanner e un software open-source per il texture mapping. I termogrammi 3D ricreati costituiscono un ottimo strumento di valutazione, per medici e tecnici ortopedici, circa il design dell’invasatura.

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O objetivo do estudo foi avaliar o uso de bagaço de cana como enriquecimento ambiental para suínos a partir do comportamento e respostas fisiológicas do estresse causado pelo confinamento e mudança de ambiente, na fase de creche. O projeto foi conduzido no Laboratório de Biometeorologia e Etologia, da Faculdade de Zootecnia e Engenharia de Alimentos da Universidade de São Paulo, Pirassununga-SP, e no setor da Suinocultura da Prefeitura do Campus Administrativo Fernando Costa (PUSP-FC), entre os meses de abril e junho de 2015. Foram utilizados 66 leitões (NK75 X Naïma), machos e fêmeas desmamados aos 28 dias, separados em grupos homogêneos com relação ao peso, transferidos para baias da creche e distribuídos em dois tratamentos: Tratamento Enriquecido (TE) onde as baias foram fornecidas com cama profunda de bagaço de cana, de até 15 cm de profundidade e Tratamento Não Enriquecido (TNE) as baias foram utilizadas da forma convencional, sem cobertura no piso cimentado. Foram avaliadas diferentes respostas fisiológicas, especificamente, níveis de cortisol salivar, temperatura superficial por meio de um termómetro infravermelho e temperatura ocular a través de fotos termográficas. O comportamento dos leitões foi registrado e as análises das observações das atividades foram realizadas pelo efeito dos tratamentos e a interação do tempo. Os dados de desempenho dos animais foram analisados, igualmente como o Ganho de peso diário (GPD) e a conversão alimentar (CA). Animais que receberam enriquecimento ambiental apresentaram concentrações de cortisol mais baixas (P<0,001) durante a primeira semana pós-desmama. A partir da segunda semana pós desmama até o final da fase da creche houve efeito do tratamento (P<0,05), encontrando níveis de cortisol até quatro vezes mais altos para o TNE referentes aos níveis basais, enquanto o TE continua tendo níveis mais baixos (P<0,05). Animais que receberam enriquecimento ambiental tiveram maior frequência em comportamentos exploratórios (P<0,05) e maior atividade brincando (P<0,05) durante toda a fase experimental. Leitões que foram criados em baias pobres manifestaram maior frequência em comportamentos agonísticos (P<0,05) e em repouso (P<0,05). A correlação entre a temperatura superficial do dorso e termografia ocular indicou uma associação moderada positiva (P<0,0001) com a temperatura ocular mínima (r=0,43) e máxima (r=0,41). Apesar de não existir diferença estatística para o desempenho entre tratamentos (P>0,05), o TE apresentou maior ganho de peso diário (0,47±0,015 kg.dia-1) e total (23,47±0,73 kg.dia-1). A conversão alimentar foi maior no TE (2,88±0,25), provavelmente porque os leitões precisavam de mais alimento para compensar a energia gasta pela sua atividade de fuçar e brincar. Ambientes enriquecidos durante a fase da creche melhoram o bem-estar dos animais em confinamento, diminuindo o estresse pela desmama, motivando o animal a expressar comportamentos próprios da espécie suína, tais como fuçar e explorar.

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Este trabalho apresenta as propriedades morfológicas, físicas e químicas do diamante da região do Alto Araguaia, situada na borda norte da Bacia do Paraná. Os cristais estudados provém dos garimpos dos rios Garças, Araguaia, Caiapó e seus tributários menores. As dimensões dos cristais embora variáveis concentram-se no intervalo 2-15 mm. Ao contrário do que se observa no Alto Paranaíba, são raros os achados de grande porte. Os fragmentos de clivagem são abundantes, indicando transporte prolongado. Cerca de metade dos indivíduos cristalinos são incolores, sendo os demais castanhos, amarelos, verdes e cinzas. Outras cores como rosa e violeta ocorrem excepcionalmente. A morfologia dos cristais é complexa e variada, caracterizando-se pelo acentuado predomínio do hábito rombododecaédrico, grande número de geminados de contato e ausência de formas cúbicas. As faces exibem grau variável de curvatura e diversos padrões de microestruturas resultantes da dissolução provocada por agentes oxidantes. O ataque parece ocorrer durante a colocação do kimberlito, quando o alívio de pressão eleva a temperatura favorecendo a corrosão. As microestruturas mais freqüentes são degraus, colinas e micro-discos em (110), depressões triangulares eqüiláteras em (111), e depressões quadráticas em (100). Alguns diamantes contém inclusões cristalinas, sendo as mais comuns olivina (forsterita), granada (piropo) e o próprio diamante. Esses minerais apresentam-se geralmente idiomorfos e circundados por anomalias ópticas (birrefringência anômala), evidenciando o caráter epigenético dessas inclusões. Anàlogamente ao que ocorre nos kimberlitos africanos e siberianos, essas inclusões são minerais característicos de altas pressões e temperaturas, sendo a olivina a variedade mais freqüente, seguida pelo diamante e granada. Essa é uma evidência de que o diamante do Alto Araguaia provém de matrizes ultrabásicas (kimberlíticas). As inclusões negras (carvões) são extremamente comuns e parecem constituir defeitos do retículo cristalino (clivagens internas, deslocamentos estruturais), resultando talvez de impactos sofridos pelos cristais durante as diversas fases de transporte. O comportamento ao infravermelho indica que a maior parte dos cristais (85%) contém impurezas de nitrogênio (tipo I), sob forma de placas submicroscópicas paralelas a (100) (tipo Ia), ou átomos dispersos no retículo cristalino (tipo Ib). Os espécimes desprovidos de nitrogênio (tipo II) são relativamente raros (6%), sendo os demais intermediários (9%) entre I e II. Além do nitrogênio, os espectros infravermelhos revelaram que alguns diamantes contém hidrogênio. A presença deste elemento juntamente com o carbono e nitrogênio, sugere uma derivação a partir de sedimentos ricos em matéria orgânica, os quais teriam sido incorporados ao magma kimberlítico por correntes de convecção subcrostais. Outras impurezas menores (elementos traços) são: Al, Ca, Si, Mg, Fe, Cu, Cr e Co. Estes elementos são os mesmos encontrados nos diamantes dos kimberlitos africanos. Observado sob luz ultravioleta, 36% dos cristais exibem cores de fluorescência, sendo as mais comuns o azul e verde, e mais raramente amarelo e castanho. Entre as variedades fluorescentes, 27% são também fosforescentes, sendo a cor mais comum o azul. Não foi observada nenhuma relação entre o comportamento luminescente e as demais propriedades estudadas. O peso específico varia entre 3,500 a 3,530. As principais causas dessa variação são as impurezas de nitrogênio, as inclusões minerais e alguns defeitos cristalinos. Os resultados desta pesquisa indicam claramente que as propriedades do diamante do Alto araguaia são semelhantes às dos diamantes africanos e siberianos, originários de matrizes kimberlíticas. Nenhum dado foi obtido que sugerisse uma origem \"sui generis\" para o material estudado. Em relação à localização das possíveis chaminés dispersoras dos cristais, duas alternativas se apresentam: 1) poderiam estar relacionadas ao magmatismo Neocretáceo, responsável por numerosos focos vulcânicos próximos à área; ou 2) ligadas a episódios mais antigos ocorridos no Pré-Cambriano. Em qualquer das alternativas, poderiam estar recobertas por sedimentos mais recentes ou alteradas superficialmente, sendo que, no caso de uma idade pré-cambriana, há ainda a possibilidade destas matrizes terem sido totalmente destruídas.

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Este trabalho pretende contribuir para o conhecimento da gênese da Mina de Cobre Santa Blandina (situada a 10 km a sudoeste da cidade de Itapeva, Sul do Estado de São Paulo) através do estudo da associação mineralógica presente na jazida e da geologia local, inclusive com algumas observações sobre a litologia. A mina é constituída por um vieiro com direção N-40-E, mergulhando cerca de \'50 GRAUS\' NW, encaixado em metassedimentos calcossilicatos (gorutubito) pertencentes ao Grupo Assungui - antiga série ou Grupo São Roque - pré-Cambriano Superior, associados a filitos e mármores. Um grande dique de diabásio, com 30 m de espessura, corta-o na direção N-18W, com mergulho de \'65 GRAUS\' SW; outros pequenos corpos básicos intrusivos existem na área. A sudoeste da Mina aflora um estoque de granito, ou apófise, intensamente fraturado e milonitizado, que teria sido a fonte dos fluidos magmáticos mineralizantes. Uma faixa de alguns metros acima e abaixo do vieiro foi intensamente escartinizada, antes da mineralização cuprífera, com desenvolvimento de microclínio através de fraturas e outras aberturas de encaixante. Os minerais primários seriam a calcopirita - em quantidade predominante - a pirita e possivelmente a bornita em pequenas quantidades, depositados juntamente com quartzo e epídoto, este tardiamente. A deposição primária ocorreu em fraturas da rocha, mas o metassomatismo foi o processo mais intenso, com a remoção de grande porcentagem dos constituintes da rocha principalmente os carbonatos do mármore encaixado na jazida e os calco-silicatos dos metassedimentos, e consequente ocupação dos espaços pelos sulfetos e silicatos primários. A conformação topográfica local deu oportunidade para que o diabásio funcionasse como uma barragem natural às águas subterrâneas, facilitando a intensa oxidação dos sulfetos e formação de sulfetos secundários (bornita e calcocita), carbonatos (malaquita e azurita), silicatos (crisocola e outros materiais silicatados coloidais), sulfatos (antlerita e brochantita), fosfatos (cornetita e pseudomalaquita), óxidos (goethita e outros hidratados de ferro e cuprita), bem como outros materiais de diversos minerais (argilas, óxidos hidratados e colóides). O estudo consistiu na determinação das propriedades físicas minerais (cor, brilho, traço, dureza, peso específico relativo, clivagem, fratura e hábitos), das suas propriedades ópticas sob luz transmitida (transparência, pleocroísmo, caráter axial, sinal óptico, índices de refração) e sob luz refletida - no caso dos opacos -, do seu comportamento em Análise Termo-Diferencial, bem como na determinação da composição química dos principais minerais na jazida. Todos os minerais encontrados tiveram a sua identificação confirmada por difração de raios X - diversos métodos -, sendo que em relação a alguns (granadas) foi feita a determinação do parâmetro da cela unitária. As granadas tiveram a sua composição química estudada por método recém desenvolvido nesta Universidade, sendo que alguns minerais e materiais de difícil caracterização mereceram estudo específico com aplicação do espectro de absorção de raios infravermelhos.