942 resultados para TCP, criteri di valutazione, fairness, latenza


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Negli ultimi anni la longevità è divenuto un argomento di notevole interesse in diversi settori scientifici. Le ricerche volte ad indagare i meccanismi che regolano i fattori della longevità si sono moltiplicate nell’ultimo periodo interessando, in maniera diversa, alcune regioni del territorio italiano. Lo studio presentato nella tesi ha l’obiettivo di identificare eventuali aggregazioni territoriali caratterizzate da una significativa propensione alla longevità nella regione Emilia-Romagna mediante l’impiego di metodologie di clustering spaziale, alcune delle quali di recente implementazione. La popolazione in esame è costituita dagli individui residenti in Emilia- Romagna nel quinquennio 2000-2004 suddivisa in classi di età, sesso e comune. L’analisi è di tipo puramente spaziale, in cui l’unità geografica elementare è identificata dal comune, ed è stata condotta separatamente per i due sessi. L’identificazione delle aree regionali ad elevata longevità è avvenuta utilizzando quattro metodologie di clustering spaziale, basate sulla teoria della massima verosimiglianza, che si differenziano tra loro per la modalità di ricerca dei potenziali clusters. La differenza consiste nella capacità di identificare aggregazioni territoriali di forma regolare (spatial scan statistic, Kulldorff e Nagarwalla,1995; Kulldorff,1997, 1999) o dall’andamento geometrico “libero” (flexible scan statistic, Tango e Takahashi,2005; algoritmo genetico, Duczmal et al.,2007; greedy growth search, Yiannakoulias et al.,2007). Le caratteristiche di ciascuna metodologia consentono, in tal modo, di “catturare” le possibili conformazioni geografiche delle aggregazioni presenti sul territorio e la teoria statistica di base, comune ad esse, consente di effettuare agevolmente un confronto tra i risultati ottenuti. La persistenza di un’area caratterizzata da un’elevata propensione alla longevità consente, infatti, di ritenere il cluster identificato di notevole interesse per approfondimenti successivi. Il criterio utilizzato per la valutazione della persistenza di un cluster è stato derivato dalla teoria dei grafi, con particolare riferimento ai multigrafi. L’idea è confrontare, a parità di parametri di ricerca, i grafi associati alle aggregazioni spaziali identificate con le diverse metodologie attraverso una valutazione delle occorrenze dei collegamenti esistenti tra le coppie di vertici. Alcune valutazioni di carattere demografico ed un esame della letteratura esistente sugli studi di longevità, hanno indotto alla definizione di una classe (aperta) di età per rappresentare il fenomeno nella nostra ricerca: sono stati considerati gli individui con età superiore o uguale a 95 anni (indicata con 95+). La misura di sintesi utilizzata per descrivere il fenomeno è un indicatore specifico di longevità, mutuato dalla demografia, indicato con Centenarian Rate (CR) (Robine e Caselli, 2005). Esso è definito dal rapporto tra la popolazione 95+ e la popolazione residente, nello stesso comune, al censimento del 1961. L’idea alla base del CR è confrontare gli individui longevi di un istante temporale con quelli presenti, nella stessa area, circa 40 anni prima dell’osservazione, ipotizzando che l’effetto migratorio di una popolazione possa ritenersi trascurabile oltre i 60 anni di età. La propensione alla longevità coinvolge in maniera diversa le aree del territorio dell’Emilia-Romagna. Le province della regione caratterizzate da una maggiore longevità sono Bologna, Ravenna e parte di Forlì-Cesena mentre la provincia di Ferrara si distingue per un livello ridotto del fenomeno. La distinzione per sesso non appare netta: gli uomini con età 95+, numericamente inferiori alle donne, risiedono principalmente nei comuni delle province di Bologna e Ravenna, con qualche estensione nel territorio forlivese, analogamente a quanto accade per la popolazione femminile che mostra, tuttavia, una maggiore prevalenza nei territori di Bologna e Forlì-Cesena, includendo alcune aree del riminese. Le province occidentali della regione, invece, non risultano interessate significativamente da questo fenomeno. Le metodologie di cluster detection utilizzate nello studio hanno prodotto risultati pressoché simili seppur con criteri di ricerca differenti. La spatial scan statistic si conferma una metodologia efficace e veloce ma il vincolo geometrico regolare imposto al cluster condiziona il suo utilizzo, rivelando una scarsa adattabilità nell’identificazione di aggregazioni irregolari. La metodologia FSC ha evidenziato buone capacità di ricerca e velocità di esecuzione, completata da una descrizione chiara e dettagliata dei risultati e dalla possibilità di poter visualizzare graficamente i clusters finali, anche se con un livello minimo di dettaglio. Il limite principale della metodologia è la dimensione ridotta del cluster finale: l’eccessivo impegno computazionale richiesto dalla procedura induce a fissare il limite massimo al di sotto delle 30 aree, rendendola così utilizzabile solo nelle indagini in cui si ipotizza un’estensione limitata del fenomeno sul territorio. L’algoritmo genetico GA si rivela efficace nell’identificazione di clusters di qualsiasi forma ed estensione, seppur con una velocità di esecuzione inferiore rispetto alle procedure finora descritte. Senza un’adeguata selezione dei parametri di ricerca,la procedura può individuare clusters molto irregolari ed estesi, consigliando l’uso di penalizzazione non nulla in fase di ricerca. La scelta dei parametri di ricerca non è comunque agevole ed immediata e, spesso, è lasciata all’esperienza del ricercatore. Questo modo di procedere, in aggiunta alla mancanza di informazioni a priori sul fenomeno, aumenta il grado di soggettività introdotto nella selezione dei parametri influenzando i risultati finali. Infine, la metodologia GGS richiede un carico computazionale nettamente superiore rispetto a quello necessario per le altre metodologie utilizzate e l’introduzione di due parametri di controllo favorisce una maggiore arbitrarietà nella selezione dei valori di ricerca adeguati; inoltre, la recente implementazione della procedura e la mancanza di studi su dati reali inducono ad effettuare un numero maggiore di prove durante la fase di ricerca dei clusters.

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Le reti di distribuzione idrica conservano un ruolo importante ed irrinunciabile nella sicurezza antincendio, ma diversi fattori sul piano normativo e strutturale limitano la loro potenzialità  nelle fasi di estinzione dell'incendio. Ma in che modo si è evoluta in Italia negli ultimi anni la lotta all'incendio? E' ormai noto che non esistono incendi standard, quelli per i quali è possibile definire procedure d'intervento e modalità  di estinzione; non è quindi banale identificare le portate antincendio necessarie (Needed Fire Flow) e il tempo per il quale esse devono essere garantite. In certi contesti è possibile ipotizzare un certo standard d'incendio ma ciò presuppone che edifici, strutture e tutto ciò che è sottoposto ad incendio, possano essere considerati fabbricati a "regola d'arte", ovvero realizzati attraverso procedure esecutive aventi standard di qualità  certificata. Ciò è stato affrontato nei criteri di realizzazione delle nuove costruzioni, ma le vecchie costruzioni, soprattutto gli edifici presenti nei centri storici, sono evidentemente più vulnerabili e sfuggono alla possibilità  di identificare affidabili valori del NFF. Il quadro che si presenta coinvolge quindi carenze normative, contesti urbani con differente vulnerabilità  e una sostanziale disomogeneità  prestazionale delle reti di distribuzione idrica presenti nel territorio nazionale, legata non solo alla disponibilità  idrica ma, anche e soprattutto, alla conformazione della rete, ai livelli di pressione ed alla specifica capacità della rete nel sostenere incrementi di flusso dovuto al prelievo dagli idranti stradali. La scarsa conoscenza di questi aspetti, piuttosto che tradursi in miglioramenti della rete idrica e della sua efficienza ai fini antincendio, ha portato nel tempo ad adottare soluzioni alternative che agiscono principalmente sulle modalità operative di utilizzo dei mezzi dei VV.F. e sul fronte dei dispositivi antincendio privati, quali una migliore protezione passiva, legata all'uso di materiali la cui risposta all'incendio fosse la minore possibile, e protezioni attive alternative, quali impianti sprinkler, di tipo aerosol o misti. Rimangono tutte le problematiche legate alla caratterizzazione nell'area urbanizzata in termini di risposta al prelievo per incendio dagli idranti pubblici sui quali la normativa vigente non impone regole circa le prestazioni e la loro dislocazione sul territorio. Questa incertezza spesso si traduce in un maggiore dispiego di mezzi rispetto all'entità dell'incendio ed ad una scarsa possibilità  di ottimizzare l'allocazione delle unità  operative dei VV.F., con un evidente incremento del rischio nel caso in cui si verifichino più eventi di incendio contemporaneamente. La simulazione numerica avanzata, su modelli opportunamente calibrati delle reti di distribuzione, può consentire una maggiore comprensione quantitativa del livello di sicurezza antincendio offerto da una rete di distribuzione idrica.

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La ricerca si propone d’indagare sul concetto di “congruità” riferito alle trasformazioni di specifici contesti urbani, e di definire quindi un metodo “non arbitrario” per la valutazione di opere esistenti o in progetto, al fine di riconoscerne il carattere di congruità o, al contrario, d’incongruità. Interventi d’inserimento e di trasformazione, alla scala del comparto urbanistico o anche alla scala edilizia, possono presentarsi come congrui o incongrui rispetto all’identità del luogo di appartenenza (organismo a scala urbana o territoriale). Congrua risulta l’opera che non si pone in (conclamato) contrasto rispetto ai caratteri identitari del contesto. Le definizioni d’incongruità e di opera incongrua, divengono il metro di giudizio del rapporto tra un intervento ed il suo contesto, e si applicano mediante una valutazione che sia metodologicamente fondata e verificata. La valutazione di congruità-incongruità può riferirsi a opere esistenti già realizzate, oppure a progetti di nuove opere; in questo secondo approccio il metodo di valutazione si configura come linea-guida per l’orientamento del progetto stesso in termini di congruità rispetto al contesto. In una fase iniziale la ricerca ha fissato i principi di base, con la definizione di ciò che deve intendersi per congruità e per profilo di congruità. La specifica di congruità, non potendosi basare su una consolidata letteratura (il concetto nei termini descritti è stato introdotto dalla legge 16/2002 della Regione Emilia-Romagna; la Regione stessa riconosce che il concetto è in fase di precisazione tramite sperimentazioni, studi e interventi pilota), muove dallo studio dei concetti di luogo, caratteri del luogo, identità del luogo, contesto urbano, trasformazione dell’ambiente costruito, tutela del patrimonio edilizio, sviluppo tipologico, e superfetazione incongrua. Questi concetti, pur mutuati da ambiti di ricerca affini, costituiscono i presupposti per la definizione di congruità delle trasformazioni di contesti urbani, rispetto all’identità del luogo, tramite la tutela e valorizzazione dei suoi caratteri tipologici costitutivi. Successivamente, la ricerca ha affrontato l’analisi di taluni casi-tipo di opere incongrue. A tale scopo sono stati scelti quattro casi-tipo d’interventi per rimozione di opere ritenute incongrue, indagando la metodologia di valutazione di congruità in essi applicata. Inoltre è stata sperimentata l’applicazione del metodo di valutazione per “categorie di alterazioni” tramite lo studio del centro storico di Reggio Emilia, assunto come contesto urbano campione. Lo studio analitico è sviluppato attraverso l’indagine del rapporto tra edifici e caratteri del contesto, individuando e classificando gli edifici ritenuti incongrui. Qui sono emersi i limiti del metodo di individuazione delle incongruità per categorie di alterazioni; di fatto le alterazioni definite a priori rispetto al contesto, determinano un giudizio arbitrario, in quanto disancorato dai caratteri del luogo. La definizione di ciò che è congruo o incongruo deve invece riferirsi a uno specifico contesto, e le alterazioni dei caratteri che rappresentano l’identità del luogo non possono definirsi a priori generalizzandone i concetti. Completando la ricerca nella direzione del risultato proposto, si è precisato il metodo di valutazione basato sulla coincidenza dei concetti di congruità e di pertinenza di fase, in rapporto allo sviluppo tipologico del contesto. La conoscenza del contesto nei suoi caratteri tipologici, è già metodo di valutazione: nella misura in cui sia possibile effettuare un confronto fra contesto ed opera da valutare. La valutazione non si pone come vincolo all’introduzione di nuove forme che possano rappresentare un’evoluzione dell’esistente, aggiornando il processo di sviluppo tipologico in relazione alle mutazioni del quadro esigenzialeprestazionale, ma piuttosto come barriera alle trasformazioni acritiche nei confronti del contesto, che si sovrappongano o ne cancellino inconsapevolmente i segni peculiari e identitari. In ultima analisi, ai fini dell’applicabilità dei concetti esposti, la ricerca indaga sulla convergenza tra metodo proposto e possibili procedure applicative; in questo senso chiarisce come sia auspicabile definire la congruità in relazione a procedure valutative aperte. Lo strumento urbanistico, inteso come sistema di piani alle diverse scale, è l’ambito idoneo a recepire la lettura della stratificazione dei segni indentitari rilevabili in un contesto; lettura che si attua tramite processi decisionali partecipati, al fine di estendere alla collettività la definizione d’identità culturale del luogo. La valutazione specifica di opere o progetti richiede quindi una procedura aperta, similmente alla procedura di valutazione in vigore presso le soprintendenze, basandosi sul concetto di responsabilità del progettista e del valutatore, in riferimento alla responsabilità della collettività, espressa invece nello strumento urbanistico. Infatti la valutazione di tipo oggettivo, basata sul riferimento a regolamenti o schemi precostituiti, confligge con il senso della valutazione metodologicamente fondata che, al contrario, è assunto teorico basilare della ricerca.

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L’obiettivo della presente dissertazione è la valutazione della vulnerabilità sismica del nucleo storico del complesso di San Giovanni in Monte a Bologna, con i metodi indicati nelle “Linee Guida” del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, secondo i livelli di valutazione LV1 ed LV3. Gli edifici oggetto di studio si inseriscono all’interno di un aggregato storico unico nel suo genere che ha avuto come centro di sviluppo la Chiesa di San Giovanni in Monte e successivamente il complesso costituito da Chiesa e monastero adiacente.

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L'elaborato di tesi sviluppato ha come obiettivo l'ottimizzazione della Supply Chian di contesti manufatturieri con particolare attenzione alle procedure di approvvigionamento dei materiali e al problema dei materiali "mancanti" in produzione.Viene esposto il risultato di un’attività di analisi di due casi reali per l’ottimizzazione dell'impatto logistico del problema dell'alimentazione di sistemi di fabbricazione e montaggio. Lo studio è stato affrontato definendo un approccio basato su una duplice analisi del processo, top-down e bottom-up. Le due analisi condotte hanno permesso di procedere alla mappatura dell’intero processo end to end (che inizia con le richieste del cliente e termina con la consegna dei prodotti allo stesso) e di individuare le criticità in esso presenti, sulla base delle quali sono state fornite una serie di linee guida per la risoluzione del problema dei mancanti. I risultati ottenuti hanno evidenziato che l’ottimizzazione dell’area di pianificazione permette di migliorare la qualità dei dati in ingresso all’intero processo con conseguente diminuzione del numero di materiali mancanti. Tuttavia, la trasversalità dell’argomento ai processi aziendali impedisce la definizione di un approccio al problema focalizzato su un’area specifica. Infine, è stata eseguita una bozza di valutazione economica per la stima dei tempi di recupero degli investimenti necessari.

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Descrizione, tema e obiettivi della ricerca La ricerca si propone lo studio delle possibili influenze che la teoria di Aldo Rossi ha avuto sulla pratica progettuale nella Penisola Iberica, intende quindi affrontare i caratteri fondamentali della teoria che sta alla base di un metodo progettuale ed in particolar modo porre l'attenzione alle nuove costruzioni quando queste si confrontano con le città storiche. Ha come oggetto principale lo studio dei documenti, saggi e scritti riguardanti il tema della costruzione all'interno delle città storiche. Dallo studio di testi selezionati di Aldo Rossi sulla città si vuole concentrare l'attenzione sull'influenza che tale teoria ha avuto nei progetti della Penisola Iberica, studiare come è stata recepita e trasmessa successivamente, attraverso gli scritti di autori spagnoli e come ha visto un suo concretizzarsi poi nei progetti di nuove costruzioni all'interno delle città storiche. Si intende restringere il campo su un periodo ed un luogo precisi, Spagna e Portogallo a partire dagli anni Settanta, tramite la lettura di un importante evento che ha ufficializzato il contatto dell'architetto italiano con la Penisola Iberica, quale il Seminario di Santiago de Compostela tenutosi nel 1976. Al Seminario parteciparono numerosi architetti che si confrontarono su di un progetto per la città di Santiago e furono invitati personaggi di fama internazionale a tenere lezioni introduttive sul tema di dibattito in merito al progetto e alla città storica. Il Seminario di Santiago si colloca in un periodo storico cruciale per la Penisola Iberica, nel 1974 cade il regime salazarista in Portogallo e nel 1975 cade il regime franchista in Spagna ed è quindi di rilevante importanza capire il legame tra l'architettura e la nuova situazione politica. Dallo studio degli interventi, dei progetti che furono prodotti durante il Seminario, della relazione tra questo evento ed il periodo storico in cui esso va contestualizzato, si intende giungere alla individuazione delle tracce della reale presenza di tale eredità. Presupposti metodologici. Percorso e strumenti di ricerca La ricerca può quindi essere articolata in distinte fasi corrispondenti per lo più ai capitoli in cui si articola la tesi: una prima fase con carattere prevalentemente storica, di ricerca del materiale per poter definire il contesto in cui si sviluppano poi le vicende oggetto della tesi; una seconda fase di impronta teorica, ossia di ricerca bibliografica del materiale e delle testimonianze che provvedono alla definizione della reale presenza di effetti scaturiti dai contatti tra Rossi e la Penisola Iberica, per andare a costruire una eredità ; una terza fase che entra nel merito della composizione attraverso lo studio e la verifica delle prime due parti, tramite l'analisi grafica applicata ad uno specifico esempio architettonico selezionato; una quarta fase dove il punto di vista viene ribaltato e si indaga l'influenza dei luoghi visitati e dei contatti intrattenuti con alcuni personaggi della Penisola Iberica sull'architettura di Rossi, ricercandone i riferimenti. La ricerca è stata condotta attraverso lo studio di alcuni eventi selezionati nel corso degli anni che si sono mostrati significativi per l'indagine, per la risonanza che hanno avuto sulla storia dell'architettura della Penisola. A questo scopo si sono utilizzati principalmente tre strumenti: lo studio dei documenti, le pubblicazioni e le riviste prodotte in Spagna, gli scritti di Aldo Rossi in merito, e la testimonianza diretta attraverso interviste di personaggi chiave. La ricerca ha prodotto un testo suddiviso per capitoli che rispetta l'organizzazione in fasi di lavoro. A seguito di determinate condizioni storiche e politiche, studiate nella ricerca a supporto della tesi espressa, nella Penisola Iberica si è verificato il diffondersi della necessità e del desiderio di guardare e prendere a riferimento l'architettura europea e in particolar modo quella italiana. Il periodo sul quale viene focalizzata l'attenzione ha inizio negli anni Sessanta, gli ultimi prima della caduta delle dittature, scenario dei primi viaggi di Aldo Rossi nella Penisola Iberica. Questi primi contatti pongono le basi per intense e significative relazioni future. Attraverso l'approfondimento e la studio dei materiali relativi all'oggetto della tesi, si è cercato di mettere in luce il contesto culturale, l'attenzione e l'interesse per l'apertura di un dibattito intorno all'architettura, non solo a livello nazionale, ma europeo. Ciò ha evidenziato il desiderio di innescare un meccanismo di discussione e scambio di idee, facendo leva sull'importanza dello sviluppo e ricerca di una base teorica comune che rende coerente i lavori prodotti nel panorama architettonico iberico, seppur ottenendo risultati che si differenziano gli uni dagli altri. E' emerso un forte interesse per il discorso teorico sull'architettura, trasmissibile e comunicabile, che diventa punto di partenza per un metodo progettuale. Ciò ha reso palese una condivisione di intenti e l'assunzione della teoria di Aldo Rossi, acquisita, diffusa e discussa, attraverso la pubblicazione dei suoi saggi, la conoscenza diretta con l'architetto e la sua architettura, conferenze, seminari, come base teorica su cui fondare il proprio sapere architettonico ed il processo metodologico progettuale da applicare di volta in volta negli interventi concreti. Si è giunti così alla definizione di determinati eventi che hanno permesso di entrare nel profondo della questione e di sondare la relazione tra Rossi e la Penisola Iberica, il materiale fornito dallo studio di tali episodi, quali il I SIAC, la diffusione della rivista "2C. Construccion de la Ciudad", la Coleccion Arquitectura y Critica di Gustavo Gili, hanno poi dato impulso per il reperimento di una rete di ulteriori riferimenti. E' stato possibile quindi individuare un gruppo di architetti spagnoli, che si identificano come allievi del maestro Rossi, impegnato per altro in quegli anni nella formazione di una Scuola e di un insegnamento, che non viene recepito tanto nelle forme, piuttosto nei contenuti. I punti su cui si fondano le connessioni tra l'analisi urbana e il progetto architettonico si centrano attorno due temi di base che riprendono la teoria esposta da Rossi nel saggio L'architettura della città : - relazione tra l'area-studio e la città nella sua globalità, - relazione tra la tipologia edificatoria e gli aspetti morfologici. La ricerca presentata ha visto nelle sue successive fasi di approfondimento, come si è detto, lo sviluppo parallelo di più tematiche. Nell'affrontare ciascuna fase è stato necessario, di volta in volta, operare una verifica delle tappe percorse precedentemente, per mantenere costante il filo del discorso col lavoro svolto e ritrovare, durante lo svolgimento stesso della ricerca, gli elementi di connessione tra i diversi episodi analizzati. Tale operazione ha messo in luce talvolta nodi della ricerca rimasti in sospeso che richiedevano un ulteriore approfondimento o talvolta solo una rivisitazione per renderne possibile un più proficuo collegamento con la rete di informazioni accumulate. La ricerca ha percorso strade diverse che corrono parallele, per quanto riguarda il periodo preso in analisi: - i testi sulla storia dell'architettura spagnola e la situazione contestuale agli anni Settanta - il materiale riguardante il I SIAC - le interviste ai partecipanti al I SIAC - le traduzioni di Gustavo Gili nella Coleccion Arquitectura y Critica - la rivista "2C. Construccion de la Ciudad" Esse hanno portato alla luce una notevole quantità di tematiche, attraverso le quali, queste strade vengono ad intrecciarsi e a coincidere, verificando l'una la veridicità dell'altra e rafforzandone il valore delle affermazioni. Esposizione sintetica dei principali contenuti esposti dalla ricerca Andiamo ora a vedere brevemente i contenuti dei singoli capitoli. Nel primo capitolo Anni Settanta. Periodo di transizione per la Penisola Iberica si è cercato di dare un contesto storico agli eventi studiati successivamente, andando ad evidenziare gli elementi chiave che permettono di rintracciare la presenza della predisposizione ad un cambiamento culturale. La fase di passaggio da una condizione di chiusura rispetto alle contaminazioni provenienti dall'esterno, che caratterizza Spagna e Portogallo negli anni Sessanta, lascia il posto ad un graduale abbandono della situazione di isolamento venutasi a creare intorno al Paese a causa del regime dittatoriale, fino a giungere all'apertura e all'interesse nei confronti degli apporti culturali esterni. E' in questo contesto che si gettano le basi per la realizzazione del I Seminario Internazionale di Architettura Contemporanea a Santiago de Compostela, del 1976, diretto da Aldo Rossi e organizzato da César Portela e Salvador Tarragó, di cui tratta il capitolo secondo. Questo è uno degli eventi rintracciati nella storia delle relazioni tra Rossi e la Penisola Iberica, attraverso il quale è stato possibile constatare la presenza di uno scambio culturale e l'importazione in Spagna delle teorie di Aldo Rossi. Organizzato all'indomani della caduta del franchismo, ne conserva una reminescenza formale. Il capitolo è organizzato in tre parti, la prima si occupa della ricostruzione dei momenti salienti del Seminario Proyecto y ciudad historica, dagli interventi di architetti di fama internazionale, quali lo stesso Aldo Rossi, Carlo Aymonino, James Stirling, Oswald Mathias Ungers e molti altri, che si confrontano sul tema delle città storiche, alle giornate seminariali dedicate all’elaborazione di un progetto per cinque aree individuate all’interno di Santiago de Compostela e quindi dell’applicazione alla pratica progettuale dell’inscindibile base teorica esposta. Segue la seconda parte dello stesso capitolo riguardante La selezione di interviste ai partecipanti al Seminario. Esso contiene la raccolta dei colloqui avuti con alcuni dei personaggi che presero parte al Seminario e attraverso le loro parole si è cercato di approfondire la materia, in particolar modo andando ad evidenziare l’ambiente culturale in cui nacque l’idea del Seminario, il ruolo avuto nella diffusione della teoria di Aldo Rossi in Spagna e la ripercussione che ebbe nella pratica costruttiva. Le diverse interviste, seppur rivolte a persone che oggi vivono in contesti distanti e che in seguito a questa esperienza collettiva hanno intrapreso strade diverse, hanno fatto emergere aspetti comuni, tale unanimità ha dato ancor più importanza al valore di testimonianza offerta. L’elemento che risulta più evidente è il lascito teorico, di molto prevalente rispetto a quello progettuale che si è andato mescolando di volta in volta con la tradizione e l’esperienza dei cosiddetti allievi di Aldo Rossi. Negli stessi anni comincia a farsi strada l’importanza del confronto e del dibattito circa i temi architettonici e nel capitolo La fortuna critica della teoria di Aldo Rossi nella Penisola Iberica è stato affrontato proprio questo rinnovato interesse per la teoria che in quegli anni si stava diffondendo. Si è portato avanti lo studio delle pubblicazioni di Gustavo Gili nella Coleccion Arquitectura y Critica che, a partire dalla fine degli anni Sessanta, pubblica e traduce in lingua spagnola i più importanti saggi di architettura, tra i quali La arquitectura de la ciudad di Aldo Rossi, nel 1971, e Comlejidad y contradiccion en arquitectura di Robert Venturi nel 1972. Entrambi fondamentali per il modo di affrontare determinate tematiche di cui sempre più in quegli anni si stava interessando la cultura architettonica iberica, diventando così ¬ testi di riferimento anche nelle scuole. Le tracce dell’influenza di Rossi sulla Penisola Iberica si sono poi ricercate nella rivista “2C. Construccion de la Ciudad” individuata come strumento di espressione di una teoria condivisa. Con la nascita nel 1972 a Barcellona di questa rivista viene portato avanti l’impegno di promuovere la Tendenza, facendo riferimento all’opera e alle idee di Rossi ed altri architetti europei, mirando inoltre al recupero di un ruolo privilegiato dell’architettura catalana. A questo proposito sono emersi due fondamentali aspetti che hanno legittimato l’indagine e lo studio di questa fonte: - la diffusione della cultura architettonica, il controllo ideologico e di informazione operato dal lavoro compiuto dalla rivista; - la documentazione circa i criteri di scelta della redazione a proposito del materiale pubblicato. E’ infatti attraverso le pubblicazioni di “2C. Construccion de la Ciudad” che è stato possibile il ritrovamento delle notizie sulla mostra Arquitectura y razionalismo. Aldo Rossi + 21 arquitectos españoles, che accomuna in un’unica esposizione le opere del maestro e di ventuno giovani allievi che hanno recepito e condiviso la teoria espressa ne “L’architettura della città”. Tale mostra viene poi riproposta nella Sezione Internazionale di Architettura della XV Triennale di Milano, la quale dedica un Padiglione col titolo Barcelona, tres epocas tres propuestas. Dalla disamina dei progetti presentati è emerso un interessante caso di confronto tra le Viviendas para gitanos di César Portela e la Casa Bay di Borgo Ticino di Aldo Rossi, di cui si è occupato l’ultimo paragrafo di questo capitolo. Nel corso degli studi è poi emerso un interessante risvolto della ricerca che, capovolgendone l’oggetto stesso, ne ha approfondito gli aspetti cercando di scavare più in profondità nell’analisi della reciproca influenza tra la cultura iberica e Aldo Rossi, questa parte, sviscerata nell’ultimo capitolo, La Penisola Iberica nel “magazzino della memoria” di Aldo Rossi, ha preso il posto di quello che inizialmente doveva presentarsi come il risvolto progettuale della tesi. Era previsto infatti, al termine dello studio dell’influenza di Aldo Rossi sulla Penisola Iberica, un capitolo che concentrava l’attenzione sulla produzione progettuale. A seguito dell’emergere di un’influenza di carattere prettamente teorica, che ha sicuramente modificato la pratica dal punto di vista delle scelte architettoniche, senza però rendersi esplicita dal punto di vista formale, si è preferito, anche per la difficoltà di individuare un solo esempio rappresentativo di quanto espresso, sostituire quest’ultima parte con lo studio dell’altra faccia della medaglia, ossia l’importanza che a sua volta ha avuto la cultura iberica nella formazione della collezione dei riferimenti di Aldo Rossi. L’articolarsi della tesi in fasi distinte, strettamente connesse tra loro da un filo conduttore, ha reso necessari successivi aggiustamenti nel percorso intrapreso, dettati dall’emergere durante la ricerca di nuovi elementi di indagine. Si è pertanto resa esplicita la ricercata eredidi Aldo Rossi, configurandosi però prevalentemente come un’influenza teorica che ha preso le sfumature del contesto e dell’esperienza personale di chi se ne è fatto ricevente, diventandone così un continuatore attraverso il proprio percorso autonomo o collettivo intrapreso in seguito. Come suggerisce José Charters Monteiro, l’eredidi Rossi può essere letta attraverso tre aspetti su cui si basa la sua lezione: la biografia, la teoria dell’architettura, l’opera. In particolar modo per quanto riguarda la Penisola Iberica si può parlare dell’individuazione di un insegnamento riferito alla seconda categoria, i suoi libri di testo, le sue partecipazioni, le traduzioni. Questo è un lascito che rende possibile la continuazione di un dibattito in merito ai temi della teoria dell’architettura, della sue finalità e delle concrete applicazioni nelle opere, che ha permesso il verificarsi di una apertura mentale che mette in relazione l’architettura con altre discipline umanistiche e scientifiche, dalla politica, alla sociologia, comprendendo l’arte, le città la morfologia, la topografia, mediate e messe in relazione proprio attraverso l’architettura.

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Questa tesi si pone come obiettivo la riqualificazione architettonica del plesso scolastico del Comune di Galeata, cittadina della media valle del Bidente conosciuta sia per gli estesi ritrovamenti archeologici dell’antica città romana di Mevaniola e del cosiddetto “Palazzo di Teodorico”, sia per essere la città con la percentuale più alta di immigrati regolari a livello nazionale. Sono proprio queste peculiarità a guidare il progetto verso un intervento mirato non solo alla rigenerazione urbana dell’area ma anche civica e sociale attraverso la dotazione di nuovi servizi e spazi pubblici. Il progetto nasce dall’idea di dare un carattere unitario e riconoscibile ad un’area attualmente caratterizzata da singoli edifici che semplicemente si susseguono l’uno dopo l’altro in modo paratattico. La volontà è invece quella di dar vita ad un vero e proprio “palazzo” dell’istruzione, caratterizzato da spazi privati e spazi pubblici, spazi aperti e spazi chiusi in grado di dare una molteplicità di risposte e soluzioni alla complessità della società odierna galeatese. Proprio lo spazio pubblico è infatti il vero motore dell’intervento; quello spazio pubblico attualmente negato a Galeata, che si è vista mutilata nella parte centrale del suo centro storico sventrato alla fine dell’Ottocento per la costruzione della strada statale bidentina, diventa ora generatore di nuove relazioni con gli edifici dell’area e di nuove dinamiche tra il plesso scolastico e la città grazie alla realizzazione di corti aperte e terrazzate, piazze e strade pedonali che fungono sia da giardini sia da spazi espositivi o comunque spazi polifunzionali che possono accogliere eventi nei vari mesi dell’anno, entrando così a far parte di quella serie di attrezzature a servizio delle manifestazioni culturali in cui è sempre attiva la valle del Bidente e la comunità di Galeata. La scuola d’infanzia e di istruzione primaria viene così a configurarsi non solo come il primo luogo della crescita culturale del bambino, ma anche come primo luogo di integrazione sociale, perché il nuovo progetto genera all’interno e all’esterno degli edifici occasioni di incontro e confronto tra gli scolari grazie all’attenzione riservata agli spazi per le attività di interciclo e per le attività libere. Inoltre l’area viene dotata di un centro maternità/consultorio dove sono collocati servizi di assistenza per le donne in gravidanza e dove le stesse possono confrontare e condividere la propria esperienza con le altre future mamme. L’intero intervento è guidato a livello progettuale anche da criteri di ecoefficienza come educazione alla responsabilità ambientale.

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L'attività di ricerca descritta in questa tesi fornisce linee guida per la progettazione di arti protesici inferiori, con particolare riferimento alla progettazione di protesi a basso costo. La necessità di efficienti protesi a basso costo risulta infatti sentita nei Paesi in via di sviluppo ma anche dalle fasce meno abbienti dei paesi occidentali. Al fine di comprendere le strategie adottate dall'apparato locomotorio per muoversi con le protesi sono analizzati il cammino fisiologico, le protesi presenti sul mercato ed infine le modalità con cui le loro prestazioni sono valutate. Con il presente lavoro, dopo aver osservato la presenza di una scarsa strutturazione della metodologia di progettazione che riguarda specialmente il settore del basso costo, si propone una metodologia il più possibile oggettiva e ripetibile tesa ad individuare quali sono gli aspetti essenziali di una protesi per garantire al paziente una buona qualità di vita. Solo questi aspetti dovranno essere selezionati al fine di ottenere la massima semplificazione della protesi e ridurre il più possibile i costi. Per la simulazione delle attività di locomozione, in particolare del cammino, è stato elaborato un apposito modello spaziale del cammino. Il modello proposto ha 7 membri rigidi (corrispondenti a piedi, tibie, femori e bacino) e 24 gradi di libertà. Le articolazioni e l'appoggio dei piedi al suolo sono modellati con giunti sferici. La pianta del piede consente tre possibili punti di appoggio. I criteri di realizzazione delle simulazioni possono comprendere aspetti energetici, cinematici e dinamici considerati come obiettivo dall'apparato locomotorio. In questa tesi vengono trattati in particolare gli aspetti cinematici ed è mostrata un'applicazione della procedura nella quale vengono dapprima identificati i riferimenti fisiologici del cammino e quindi simulato il cammino in presenza di una menomazione al ginocchio (eliminazione della flessione in fase di appoggio). Viene quindi lasciato a sviluppi futuri il completamento della procedura e la sua implementazione in un codice di calcolo.

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Da 25 anni la letteratura scientifica internazionale riporta studi su varie specie di microcrostacei copepodi ciclopoidi dei generi Macrocyclops, Megacyclops e Mesocyclops predatori di larve di 1a e 2a età di culicidi. Si tratta di prove di predazione in laboratorio e in pieno campo, in diverse aree del pianeta nessuna delle quali riguarda l’Italia o il resto d’Europa, contro principalmente Aedes aegypti (L.), Ae. albopictus (Skuse) e altre specie del genere Anopheles e Culex. L’allevamento massale di copepodi ciclopoidi appare praticabile e questo, assieme alle buone prestazioni predatorie, rende tali ausiliari candidati assai interessanti contro le due principali specie di zanzare, Culex pipiens L. e Ae. albpopictus, che nelle aree urbane e periurbane italiane riescono a sfruttare raccolte d’acqua artificiali di volume variabile e a regime idrico periodico o permanente. Pertanto lo scopo dello studio è stato quello di arrivare a selezionare una o più specie di copepodi candidati per la lotta biologica e valutarne la possibilità applicativa nell’ambito dei programmi di controllo delle zanzare nocive dell’ambiente urbano. L’argomento del tutto nuovo per il nostro paese, è stato sviluppato attraverso varie fasi ciascuna delle quali propedeutica a quella successiva. •Indagine faunistica nell’area di pianura e costiera sulle specie di ciclopoidi associate a varie tipologie di raccolte d’acqua naturali e artificiali (fossi, scoline, canali, risaie e pozze temporanee). I campionamenti sono stati condotti con l’obiettivo di ottenere le specie di maggiori dimensioni (≥1 mm) in ristagni con diverse caratteristiche in termini di qualità dell’acqua e complessità biocenotica. •Prove preliminari di predazione in laboratorio con alcune specie rinvenute negli ambienti campionati, nei confronti delle larve di Ae. albopictus e Cx. pipiens. Le prestazioni di predazione sono state testate sottoponendo ai copepodi larve giovani di zanzare provenienti da allevamento e calcolato il numero giornaliero di larve attaccate. •Implementazione di un allevamento pilota della specie valutata più interessante, Macrocyclops albidus (Jurine) (Cyclopoida, Cyclopidae, Eucyclopinae), per i risultati ottenuti in laboratorio in termini di numero di larve predate/giorno e per le caratteristiche biologiche confacenti agli ambienti potenzialmente adatti ai lanci. Questa parte della ricerca è stata guidata dalla finalità di mettere a punto una tecnica di allevamento in scala in modo da disporre di stock di copepodi dalla primavera, nonchè da criteri di economicità nell’impianto e nella sua gestione. •Prove di efficacia in condizioni di semicampo e di campo in raccolte d’acqua normalmente colonizzate dai culicidi in ambito urbano: bidoni per lo stoccaggio di acqua per l’irrigazione degli orti e tombini stradali. In questo caso l’obiettivo principale è stato quello di ottenere dati sull’efficienza del controllo di M. albidus nei confronti della popolazione culicidica selvatica e sulla capacità del copepode di colonizzare stabilmente tali tipologie di focolai larvali. Risultati e conclusioni Indagine faunistica e prove di predazione in laboratorio L’indagine faunistica condotta nell’area costiera ferrarese, in quella ravennate e della pianura bolognese ha portato al rinvenimento di varie specie di ciclopoidi mantenuti in laboratorio per la conduzione delle prove di predazione. Le specie testate sono state: Acanthocyclops robustus (G. O. Sars), Macrocyclops albidus (Jurine), Thermocyclops crassus (Fischer), Megacyclops gigas (Claus). La scelta delle specie da testare è stata basata sulla loro abbondanza e frequenza di ritrovamento nei campionamenti nonché sulle loro dimensioni. Ciascuna prova è stata condotta sottoponendo a un singolo copepode, oppure a gruppi di 3 e di 5 esemplari, 50 larve di 1a età all’interno di contenitori cilindrici in plastica con 40 ml di acqua di acquedotto declorata e una piccola quantità di cibo per le larve di zanzara. Ciascuna combinazione “copepode/i + larve di Ae. albopictus”, è stata replicata 3-4 volte, e confrontata con un testimone (50 larve di Ae. albopictus senza copepodi). A 24 e 48 ore sono state registrate le larve sopravvissute. Soltanto per M. albidus il test di predazione è stato condotto anche verso Cx. pipiens. Messa a punto della tecnica di allevamento La ricerca è proseguita concentrando l’interesse su M. albidus, che oltre ad aver mostrato la capacità di predare a 24 ore quasi 30 larve di Ae. albopictus e di Cx. pipiens, dalla bibliografia risulta tollerare ampi valori di temperatura, di pH e alte concentrazioni di vari inquinanti. Dalla ricerca bibliografica è risultato che i ciclopoidi sono facilmente allevabili in contenitori di varia dimensione e foggia somministrando agli stadi di preadulto alghe unicellulari (Chlorella, Chilomonas), protozoi ciliati (Paramecium, Euplotes), rotiferi e cladoceri. Ciò presuppone colture e allevamenti in purezza di tali microrganismi mantenuti in parallelo, da utilizzare come inoculo e da aggiungere periodicamente nell’acqua di allevamento dei ciclopoidi. Nel caso di utilizzo di protozoi ciliati, occorre garantirne lo sviluppo che avviene a carico di flora batterica spontanea a sua volta cresciuta su di un substrato organico quale latte, cariossidi bollite di grano o soia, foglie di lattuga, paglia di riso bollita con cibo secco per pesci, lievito di birra. Per evitare il notevole impegno organizzativo e di manodopera nonché il rischio continuo di perdere la purezza della colonia degli organismi da utilizzare come cibo, le prove comparative di allevamento hanno portato ad un protocollo semplice ed sufficientemente efficiente in termini di copepodi ottenibili. Il sistema messo a punto si basa sull’utilizzo di una popolazione mista di ciliati e rotiferi, mantenuti nell'acqua di allevamento dei copepodi mediante la somministrazione periodica di cibo standard e pronto all’uso costituito da cibo secco per gatti. Prova di efficacia in bidoni da 220 l di capacità La predazione è stata studiata nel biennio 2007-2008 in bidoni da 220 l di capacità inoculati una sola volta in aprile 2007 con 100 e 500 esemplari di M. albidus/bidone e disposti all’aperto per la libera ovideposizione della popolazione culicidica selvatica. L’infestazione preimmaginale culicidica veniva campionata ogni due settimane fino ad ottobre, mediante un retino immanicato a maglia fitta e confrontata con quella dei bidoni testimone (senza copepodi). Nel 2007 il tasso di riduzione medio delle infestazioni di Ae. albopictus nei bidoni con copepodi, rispetto al testimone, è del 99,90% e del 100,00% rispettivamente alle dosi iniziali di inoculo di 100 e 500 copepodi/bidone; per Cx. pipiens L. tale percentuale media è risultata di 88,69% e di 84,65%. Similmente, nel 2008 si è osservato ad entrambe le dosi iniziali di inoculo una riduzione di Ae. albopictus del 100,00% e di Cx. pipiens del 73,3%. La dose di inoculo di 100 copepodi per contenitore è risultata sufficiente a garantire un rapido incremento numerico della popolazione che ha raggiunto la massima densità in agosto-settembre e un eccellente controllo delle popolazioni di Ae. albopictus. Prova di efficacia in campo in serbatoi per l’acqua irrigua degli orti La prova è stata condotta a partire dalla metà di agosto 2008 interessando 15 serbatoi di varia foggia e capacità, variabile tra 200 e 600 l, utilizzati per stoccare acqua orti famigliari nel comune di Crevalcore (BO). Ai proprietari dei serbatoi era chiesto di gestire il prelievo dell’acqua e i rifornimenti come da abitudine con l’unica raccomandazione di non svuotarli mai completamente. In 8 contenitori sono stati immessi 100 esemplari di M.albidus e una compressa larvicida a base di Bacillus thuringiensis var. israelensis (B.t.i.); nei restanti 7 è stata soltanto immessa la compressa di B.t.i.. Il campionamento larvale è stato settimanale fino agli inizi di ottobre. Dopo l’introduzione in tutti i serbatoi sono stati ritrovati esemplari di copepodi, nonostante il volume di acqua misurato settimanalmente sia variato da pochi litri, in qualche bidone, fino a valori della massima capacità, per effetto del prelievo e dell’apporto dell’acqua da parte dei gestori degli orti. In post-trattamento sono state osservate differenze significative tra le densità larvali nelle due tesi solo al 22 settembre per Ae.albopictus Tuttavia in termini percentuali la riduzione media di larve di 3a-4a età e pupe nei bidoni con copepodi, rispetto al testimone, è stata de 95,86% per Ae. albopictus e del 73,30% per Cx. pipiens. Prova di efficacia in tombini stradali Sono state condotte due prove in due differenti località, interessando 20 tombini (Marano di Castenaso in provincia di Bologna nel 2007) e 145 tombini (San Carlo in provincia di Ferrara nel 2008), quest’ultimi sottoposti a spurgo e pulizia completa nei precedenti 6 mesi l’inizio della prova. L’introduzione dei copepodi nei tombini è stata fatta all’inizio di luglio nella prova di Marano di Castenaso e alla fine di aprile e giugno in quelli di San Carlo, a dosi di 100 e 50 copepodi/tombino. Prima dell’introduzione dei copepodi e successivamente ogni 2 settimane per due mesi, in ogni tombino veniva campionata la presenza culicidica e dei copepodi con dipper immanicato. Nel 2007 dopo l’introduzione dei copepodi e per tutto il periodo di studio, mediamente soltanto nel 77% dei tombini i copepodi sono sopravvissuti. Nel periodo di prova le precipitazioni sono state scarse e la causa della rarefazione dei copepodi fino alla loro scomparsa in parte dei tombini è pertanto da ricercare non nell’eventuale dilavamento da parte della pioggia, quanto dalle caratteristiche chimico-fisiche dell’acqua. Tra queste innanzitutto la concentrazione di ossigeno che è sempre stata molto bassa (0÷1,03 mg/l) per tutta la durata del periodo di studio. Inoltre, a questo fattore probabilmente è da aggiungere l’accumulo, a concentrazioni tossiche per M. albidus, di composti organici e chimici dalla degradazione e fermentazione dell’abbondante materiale vegetale (soprattutto foglie) in condizioni di ipossia o anossia. Nel 2008, dopo il primo inoculo di M. albidus la percentuale di tombini che al campionamento presentano copepodi decresce in modo brusco fino a raggiungere il 6% a 2 mesi dall’introduzione dei copepodi. Dopo 40 giorni dalla seconda introduzione, la percentuale di tombini con copepodi è del 6,7%. Nell’esperienza 2008 è le intense precipitazioni hanno avuto probabilmente un ruolo determinante sul mantenimento dei copepodi nei tombini. Nel periodo della prova infatti le piogge sono state frequenti con rovesci in varie occasioni di forte intensità per un totale di 342 mm. Sotto questi livelli di pioggia i tombini sono stati sottoposti a un continuo e probabilmente completo dilavamento che potrebbe aver impedito la colonizzazione stabile dei copepodi. Tuttavia non si osservano influenze significative della pioggia nella riduzione percentuale dei tombini colonizzati da copepodi e ciò fa propendere all’ipotesi che assieme alla pioggia siano anche le caratteristiche fisico-chimiche dell’acqua a impedire una colonizzazione stabile da parte di M. albidus. In definitiva perciò si è dimostrato che i tombini stradali sono ambienti ostili per la sopravvivenza di M. albidus, anche se, dove il ciclopoide si è stabilito permanentemente, ha dimostrato un certo impatto nei confronti di Ae. albopictus e di Cx. pipiens, che tuttavia è risultato non statisticamente significativo all’analisi della varianza. Nei confronti delle larve di Culex pipiens il copepode non permette livelli di controllo soddisfacente, confermando i dati bibliografici. Nei confronti invece di Ae. albopictus la predazione raggiunge buoni livelli; tuttavia ciò non è compensato dalla percentuale molto alta di tombini che, dopo periodi di pioggia copiosa o singoli episodi temporaleschi o per le condizioni di anossia rimangono senza i copepodi. Ciò costringerebbe a ripetute introduzioni di copepodi i cui costi attualmente non sono inferiori a quelli per trattamenti con prodotti larvicidi. In conclusione la ricerca ha portato a considerare Macrocyclops albidus un interessante ausiliario applicabile anche nelle realtà urbane del nostro paese nell’ambito di programmi integrati di contrasto alle infestazioni di Aedes albopictus. Tuttavia il suo utilizzo non si presta a tutti i focolai larvali ma soltanto a raccolte di acqua artificiali di un certo volume come i bidoni utilizzati per stoccare acqua da impiegare per l’orto e il giardino familiare nelle situazioni in cui non è garantita la copertura ermetica, lo svuotamento completo settimanale o l’utilizzo di sostanze ad azione larvozanzaricida.

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IMPARARE LA SOSTENIBILITA’ Oggetto di questa tesi di laurea è la progettazione di un asilo nido in prossimità della scuola dell’infanzia “Coccinella” di Bertinoro (FC) per rispondere alle esigenze espresse dalla’Amministrazione Comunale, orientate a realizzare un ampliamento della struttura esistente, completando così il polo scolastico comprendente anche la scuola elementare comunale adiacente. La strategia di intervento che il progetto ha adottato prevede due scenari: uno che assume integralmente gli obiettivi dell’Amministrazione e prevede la realizzazione di una struttura per la prima infanzia ad ampliamento di quella esistente, e un secondo che invece propone anche la realizzazione di una nuova scuola materna, in sostituzione di quella attualmente presente. Il progetto ha adottato un approccio integrato dal punto di vista formale e costruttivo, mostrando particolari attenzioni alle tematiche ambientali, assunte come determinanti per ottenere elevati livelli di benessere per i fruitori. La scuola diventa così promotrice di una progettazione orientata a principi di sostenibilità ambientale, efficienza e risparmio energetico, attraverso scelte in cui, sin dalle prime fasi, tecnologia, ambiente, comfort e salute cercano un reciproco equilibrio. A scala urbana si è scelto di recuperare e ampliare il sistema di percorsi pedonali che consente il collegamento tra le diverse parti della città, valorizzando il paesaggio quale risorsa primaria. A scala locale, per garantire l’integrazione del nuovo intervento con l’ambiente e il territorio, il progetto ha richiesto un’approfondita analisi preliminare del sito, comprendente lo studio di elementi del contesto sociale, culturale, ambientale e paesaggistico. A questi si sono affiancati gli aspetti climatologici, funzionali alla scelta dell’esposizione da attribuire all’edificio in modo da mitigare gli effetti delle variazioni climatiche e ottimizzare la qualità indoor. Dal punto di vista funzionale e distributivo il progetto ha risposto a criteri di massima flessibilità e fruibilità degli ambienti interni, assecondando le esigenze di educatori e bambini. Particolare attenzione è stata rivolta alla scelta della tipologia costruttiva, adottando elementi prefabbricati in legno assemblati a secco. Questo sistema consente la realizzazione di strutture affidabili, durevoli nel tempo e rispondenti a tre criteri fondamentali nell’ottica della sostenibilità: impiego di materiali rinnovabili, minimizzazione dei rifiuti e del consumo di acqua in cantiere e possibilità di recupero tramite smontaggio. Per garantire un corretto rapporto tra costruito e contesto urbano si è deciso di utilizzare materiali da rivestimento della tradizione locale, quali la pietra, e di attenuare l’impatto visivo dell’intervento attraverso l’impiego di coperture verdi. Queste, oltre a restituire in copertura il suolo occupato dai volumi edificati, contribuiscono alla mitigazione del microclima, sia all’interno dell’edificio che nel suo intorno. Rispetto agli obiettivi di benessere degli utenti, il progetto si è posto l’obiettivo di superare i confini determinati dalla normativa sui requisiti energetici, puntando al raggiungimento di condizioni ottimali in termini di salubrità del costruito e confort abitativo. Questo intervento si propone di sperimentare un approccio ecologico di sensibilizzazione ai criteri di sostenibilità, capace di coinvolgere tutti i protagonisti della vita scolastica: i bambini, gli insegnanti, i genitori e la città. “Imparare la sostenibilità” è l’obiettivo del progetto e la linea guida della tesi, i “percorsi di sostenibilità”, rappresenta il frutto degli studi, delle analisi, delle scelte che ci hanno spinto ad ottenere lo scopo prefissato e racchiude in un significato sia fisico che metaforico i risultati finali, sia a scala urbana, che a scala dell’edificio. Il termine “percorsi” ci permette di comprendere sia la nuova rete di collegamenti tra l’area di intervento e il resto della città quali strumento di rigenerazione e di contatto con il paesaggio, ma anche il processo di crescita e formativo che il bambino, destinatario e protagonista del progetto, intraprenderà in questi luoghi. La realizzazione di edifici tecnologicamente efficienti dal punto di vista delle prestazioni energetiche (raggiungimento classe B per la struttura esistente, classe A per le ipotesi di ampliamento) ma anche dal punto di vista del confort luminoso rappresenta la premessa per la formazione di una nuova generazione più responsabile e rispettosa nei confronti dell’ambiente che la circonda.

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La tesi tratta il tema della riqualificazione sostenibile delle aree della Vallata del Torrente Setta (Comune di Castiglione dei Pepoli, Bologna) in seguito alla mutata situazione dell'assetto viario, dovuta alla costruzione di uno svincolo autostradale "Badia Nuova" e del nuovo tratto appenninico dell'Autostrada del Sole tra Bologna e Firenze. Si è partiti da una profonda analisi del territorio, cercando di capire il contesto attuale dell'Appennino Bolognese, le dinamiche si sviluppo e le prospettive e potenzialità portate dall'arrivo di una nuova infrastruttura viaria autostradale in zona. In seguito all'analisi si è optato per la realizzazione di un progetto integrato di un area di sviluppo sostenibile nelle vicinanze del casello: rispondente alle numerose istanze che erano pervenute in fase di analisi preliminare. Tra gli obiettivi primari che si è cercato di dare maggiore rilievo citiamo: - Criteri di Marketing territoriale, per migliorare l'immagine dell'Appennino Bolognese, e per un discorso commerciale relativo all'area di sviluppo; - Azioni di riqualificazione urbana conseguenti alla fase di cantierizzazione della Variante di Valico; - Attenzione allo sviluppo sostenibile, attraverso l'introduzione di accorgimenti che toccassero diverse realtà locali, quali l'agricoltura, il turismo, le possibilità imprenditoriali insediabili in zona; - Aspetti ecologici, APEA; - aspetti energetico/impiantistici: mediante l'utilizzo di impianti capaci di ottimizzare al massimo l'uso di fonti energetiche tradizionali e l'adozione di fonti energetiche rinnovabili.

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La ricerca svolta ha individuato fra i suoi elementi promotori l’orientamento determinato da parte della comunità europea di dare vita e sostegno ad ambiti territoriali intermedi sub nazionali di tipo regionale all’interno dei quali i sistemi di città potessero raggiungere le massime prestazioni tecnologiche per cogliere gli effetti positivi delle innovazioni. L’orientamento europeo si è confrontato con una realtà storica e geografica molto variata in quanto accanto a stati membri, nei quali le gerarchie fra città sono storicamente radicate e funzionalmente differenziate secondo un ordine che vede la città capitale dominante su città subalterne nelle quali la cultura di dominio del territorio non è né continua né gerarchizzata sussistono invece territori nazionali compositi con una città capitale di riconosciuto potere ma con città di minor dimensione che da secoli esprimono una radicata incisività nella organizzazione del territorio di appartenenza. Alla prima tipologia di stati appartengono ad esempio i Paesi del Nord Europa e l’Inghilterra, esprimendo nella Francia una situazione emblematica, alla seconda tipologia appartengono invece i Paesi dell’aera mediterranea, Italia in primis, con la grande eccezione della Germania. Applicando gli intendimenti comunitari alla realtà locale nazionale, questa tesi ha avviato un approfondimento di tipo metodologico e procedurale sulla possibile organizzazione a sistema di una regione fortemente policentrica nel suo sviluppo e “artificiosamente” rinata ad unità, dopo le vicende del XIX secolo: l’Emilia-Romagna. Anche nelle regioni che si presentano come storicamente organizzate sulla pluralità di centri emergenti, il rapporto col territorio è mediato da centri urbani minori che governano il tessuto cellulare delle aggregazioni di servizi di chiara origine agraria. Questo stato di cose comporta a livello politico -istituzionale una dialettica vivace fra territori voluti dalle istituzioni e territori legittimati dal consolidamento delle tradizioni confermato dall’uso attuale. La crescente domanda di capacità di governo dello sviluppo formulata dagli operatori economici locali e sostenuta dalle istituzioni europee si confronta con la scarsa capacità degli enti territoriali attuali: Regioni, Comuni e Province di raggiungere un livello di efficienza sufficiente ad organizzare sistemi di servizi adeguati a sostegno della crescita economica. Nel primo capitolo, dopo un breve approfondimento sulle “figure retoriche comunitarie”, quali il policentrismo, la governance, la coesione territoriale, utilizzate per descrivere questi fenomeni in atto, si analizzano gli strumenti programmatici europei e lo S.S.S.E,. in primis, che recita “Per garantire uno sviluppo regionale equilibrato nella piena integrazione anche nell’economia mondiale, va perseguito un modello di sviluppo policentrico, al fine di impedire un’ulteriore eccessiva concentrazione della forza economica e della popolazione nei territori centrali dell’UE. Solo sviluppando ulteriormente la struttura, relativamente decentrata, degli insediamenti è possibile sfruttare il potenziale economico di tutte le regioni europee.” La tesi si inserisce nella fase storica in cui si tenta di definire quali siano i nuovi territori funzionali e su quali criteri si basa la loro riconoscibilità; nel tentativo di adeguare ad essi, riformandoli, i territori istituzionali. Ai territori funzionali occorre riportare la futura fiscalità, ed è la scala adeguata per l'impostazione della maggior parte delle politiche, tutti aspetti che richiederanno anche la necessità di avere una traduzione in termini di rappresentanza/sanzionabilità politica da parte dei cittadini. Il nuovo governo auspicato dalla Comunità Europea prevede una gestione attraverso Sistemi Locali Territoriali (S.Lo.t.) definiti dalla combinazione di milieu locale e reti di attori che si comportano come un attore collettivo. Infatti il secondo capitolo parte con l’indagare il concetto di “regione funzionale”, definito sulla base della presenza di un nucleo e di una corrispondente area di influenza; che interagisce con altre realtà territoriali in base a relazioni di tipo funzionale, per poi arrivare alla definizione di un Sistema Locale territoriale, modello evoluto di regione funzionale che può essere pensato come una rete locale di soggetti i quali, in funzione degli specifici rapporti che intrattengono fra loro e con le specificità territoriali del milieu locale in cui operano e agiscono, si comportano come un soggetto collettivo. Identificare un sistema territoriale, è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per definire qualsiasi forma di pianificazione o governance territoriale, perchè si deve soprattutto tener conto dei processi di integrazione funzionale e di networking che si vengono a generare tra i diversi sistemi urbani e che sono specchio di come il territorio viene realmente fruito., perciò solo un approccio metodologico capace di sfumare e di sovrapporre le diverse perimetrazioni territoriali riesce a definire delle aree sulle quali definire un’azione di governo del territorio. Sin dall’inizio del 2000 il Servizio Sviluppo Territoriale dell’OCSE ha condotto un’indagine per capire come i diversi paesi identificavano empiricamente le regioni funzionali. La stragrande maggioranza dei paesi adotta una definizione di regione funzionale basata sul pendolarismo. I confini delle regioni funzionali sono stati definiti infatti sulla base di “contorni” determinati dai mercati locali del lavoro, a loro volta identificati sulla base di indicatori relativi alla mobilità del lavoro. In Italia, la definizione di area urbana funzionale viene a coincidere di fatto con quella di Sistema Locale del Lavoro (SLL). Il fatto di scegliere dati statistici legati a caratteristiche demografiche è un elemento fondamentale che determina l’ubicazione di alcuni servizi ed attrezzature e una mappa per gli investimenti nel settore sia pubblico che privato. Nell’ambito dei programmi europei aventi come obiettivo lo sviluppo sostenibile ed equilibrato del territorio fatto di aree funzionali in relazione fra loro, uno degli studi di maggior rilievo è stato condotto da ESPON (European Spatial Planning Observation Network) e riguarda l’adeguamento delle politiche alle caratteristiche dei territori d’Europa, creando un sistema permanente di monitoraggio del territorio europeo. Sulla base di tali indicatori vengono costruiti i ranking dei diversi FUA e quelli che presentano punteggi (medi) elevati vengono classificati come MEGA. In questo senso, i MEGA sono FUA/SLL particolarmente performanti. In Italia ve ne sono complessivamente sei, di cui uno nella regione Emilia-Romagna (Bologna). Le FUA sono spazialmente interconnesse ed è possibile sovrapporre le loro aree di influenza. Tuttavia, occorre considerare il fatto che la prossimità spaziale è solo uno degli aspetti di interazione tra le città, l’altro aspetto importante è quello delle reti. Per capire quanto siano policentrici o monocentrici i paesi europei, il Progetto Espon ha esaminato per ogni FUA tre differenti parametri: la grandezza, la posizione ed i collegamenti fra i centri. La fase di analisi della tesi ricostruisce l’evoluzione storica degli strumenti della pianificazione regionale analizzandone gli aspetti organizzativi del livello intermedio, evidenziando motivazioni e criteri adottati nella suddivisione del territorio emilianoromagnolo (i comprensori, i distretti industriali, i sistemi locali del lavoro…). La fase comprensoriale e quella dei distretti, anche se per certi versi effimere, hanno avuto comunque il merito di confermare l’esigenza di avere un forte organismo intermedio di programmazione e pianificazione. Nel 2007 la Regione Emilia Romagna, nell’interpretare le proprie articolazioni territoriali interne, ha adeguato le proprie tecniche analitiche interpretative alle direttive contenute nel Progetto E.S.P.O.N. del 2001, ciò ha permesso di individuare sei S.Lo.T ( Sistemi Territoriali ad alta polarizzazione urbana; Sistemi Urbani Metropolitani; Sistemi Città – Territorio; Sistemi a media polarizzazione urbana; Sistemi a bassa polarizzazione urbana; Reti di centri urbani di piccole dimensioni). Altra linea di lavoro della tesi di dottorato ha riguardato la controriprova empirica degli effettivi confini degli S.Lo.T del PTR 2007 . Dal punto di vista metodologico si è utilizzato lo strumento delle Cluster Analisys per impiegare il singolo comune come polo di partenza dei movimenti per la mia analisi, eliminare inevitabili approssimazioni introdotte dalle perimetrazioni legate agli SLL e soprattutto cogliere al meglio le sfumature dei confini amministrativi dei diversi comuni e province spesso sovrapposti fra loro. La novità è costituita dal fatto che fino al 2001 la regione aveva definito sullo stesso territorio una pluralità di ambiti intermedi non univocamente circoscritti per tutte le funzioni ma definiti secondo un criterio analitico matematico dipendente dall’attività settoriale dominante. In contemporanea col processo di rinnovamento della politica locale in atto nei principali Paesi dell’Europa Comunitaria si va delineando una significativa evoluzione per adeguare le istituzioni pubbliche che in Italia comporta l’attuazione del Titolo V della Costituzione. In tale titolo si disegna un nuovo assetto dei vari livelli Istituzionali, assumendo come criteri di riferimento la semplificazione dell’assetto amministrativo e la razionalizzazione della spesa pubblica complessiva. In questa prospettiva la dimensione provinciale parrebbe essere quella tecnicamente più idonea per il minimo livello di pianificazione territoriale decentrata ma nel contempo la provincia come ente amministrativo intermedio palesa forti carenze motivazionali in quanto l’ente storico di riferimento della pianificazione è il comune e l’ente di gestione delegato dallo stato è la regione: in generale troppo piccolo il comune per fare una programmazione di sviluppo, troppo grande la regione per cogliere gli impulsi alla crescita dei territori e delle realtà locali. Questa considerazione poi deve trovare elementi di compatibilità con la piccola dimensione territoriale delle regioni italiane se confrontate con le regioni europee ed i Laender tedeschi. L'individuazione di criteri oggettivi (funzionali e non formali) per l'individuazione/delimitazione di territori funzionali e lo scambio di prestazioni tra di essi sono la condizione necessaria per superare l'attuale natura opzionale dei processi di cooperazione interistituzionale (tra comuni, ad esempio appartenenti allo stesso territorio funzionale). A questo riguardo molto utile è l'esperienza delle associazioni, ma anche delle unioni di comuni. Le esigenze della pianificazione nel riordino delle istituzioni politico territoriali decentrate, costituiscono il punto finale della ricerca svolta, che vede confermato il livello intermedio come ottimale per la pianificazione. Tale livello è da intendere come dimensione geografica di riferimento e non come ambito di decisioni amministrative, di governance e potrebbe essere validamente gestito attraverso un’agenzia privato-pubblica dello sviluppo, alla quale affidare la formulazione del piano e la sua gestione. E perché ciò avvenga è necessario che il piano regionale formulato da organi politici autonomi, coordinati dall’attività dello stato abbia caratteri definiti e fattibilità economico concreta.

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Il presente studio riguarda l’applicazione della metodologia Life Cycle Assessment (LCA) ad una bottiglia di Passito di Pantelleria, prodotta dall’Azienda vitivinicola “Donnafugata” localizzata nel comune di Marsala in Sicilia. L’obiettivo di tale studio consiste nel quantificare e valutare le prestazioni energetico-ambientali derivanti dall’intero ciclo di vita del processo produttivo, nonché le fasi di produzione che presentano il maggiore impatto. Lo studio è stato ulteriormente approfondito effettuando una comparazione tra la produzione della singola bottiglia di Passito nei diversi anni 2007, 2008 e 2009 con lo scopo di determinare quali tra questi risulta avere il maggiore impatto ambientale. Gli impatti ambientali di un’Azienda vitivinicola risultano avere la loro particolare importanza in quanto la produzione di vino è un processo di natura complessa. Di conseguenza tali impatti possono compromettere le componenti fondamentali del processo produttivo, a partire dalle uve coltivate in vigna fino ad arrivare in cantina, dove avviene la trasformazione dell’uva in mosto e la successiva fase di vinificazione che determina il prodotto finale messo in commercio. Proprio attraverso il fluire delle seguenti fasi di trasformazione, in che misura queste consumano energia e producono emissioni? È importante sottolineare che lo studio del ciclo di vita di un prodotto può essere considerato come un supporto fondamentale allo sviluppo di schemi di etichettatura ambientale attraverso i quali è possibile indirizzare il consumatore finale verso beni più rispettosi dell’ambiente e fornire informazioni chiare e trasparenti sulle prestazioni ambientali del prodotto stesso. Allo stesso tempo tale strumento può essere adoperato dall’azienda per fornire garanzia delle credenziali ambientali del prodotto acquisendo così un vantaggio competitivo rispetto alle aziende concorrenti. Infatti, nell’ambito delle politiche comunitarie di prodotto, una delle applicazioni più significative della valutazione del ciclo di vita si ha nella dichiarazione ambientale di prodotto o EPD (Environmental Product Declaration). L’EPD è uno schema di certificazione volontaria che rappresenta un marchio di qualità ecologica per i prodotti, permettendo di comunicare informazioni oggettive, confrontabili e credibili relative alla prestazione ambientale degli stessi. Per essere convalidabili, le prestazioni ambientali presenti nelle EPD devono rispettare i requisiti stabiliti dal PCR- Product Category Rules, un documento nel quale sono presenti le regole per lo studio di una certa categoria di prodotto. Il presente lavoro può essere suddiviso in cinque step successivi. Il primo prevede la descrizione della metodologia LCA, adottata per la quantificazione dell’impatto ambientale, analizzandone singolarmente le quattro fasi principali che la caratterizzano; il secondo presenta la descrizione dell’Azienda vitivinicola e del Passito di Pantelleria, oggetto della valutazione, mettendo in evidenza anche le particolarità ambientali del territorio Pantesco in cui il prodotto prende vita; il terzo fornisce una descrizione delle caratteristiche principali dello strumento applicativo utilizzato per l’analisi, SimaPro nella versione 7.3; il quarto descrive le diverse attività di lavorazione svolte nel complesso processo di produzione della bottiglia di Passito, focalizzando l’attenzione sui componenti primari dell’oggetto di valutazione ed il quinto riguarda la descrizione dell’analisi LCA applicata alla singola bottiglia di Passito.

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Il progetto propone uno studio per verificare la fattibilita' di un piano territoriale (ideato per il bacino del Po ma di fatto estendibile a tutti i bacini fluviali) per la creazione di una filiera di colture bioenergetiche (biomasse) che, trasportate per mezzo della navigazione fluviale (uno dei mezzi di trasporto a minore emissione di CO2), alimentino una o piu' centrali a nuova tecnologia che associno alla produzione di calore (teleriscaldamento e raffreddamento) e di energia la separazione dei fumi. La CO2 catturata dalla crescita delle biomasse e recuperata dalla combustione, puo' quindi essere segregata nel sottosuolo di aree costiere subsidenti contrastando il fenomeno dell’abbassamento del suolo. Ricavando benefici in tutti i passaggi di attuazione del piano territoriale (lancio dell'agricoltura bioenergetica, rilancio della navigazione a corrente libera, avvio di una economia legata alla logistica del trasporto e dello stoccaggio delle biomasse, generazione di energia pulita, lotta alla subsidenza) il progetto, di fatto, consente di catturare ingenti quantitativi di CO2 dall'atmosfera e di segregarli nel sottosuolo, riducendo l'effetto serra. Nel corso del Dottorato e' stata sviluppata una metodologia di valutazione della sostenibilita' economica ed ambientale del progetto ad un bacino fluviale, che consta di una modulistica di raccolta dei dati di base e di una procedura informatizzata di analisi.

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Il progetto prevede l’applicazione dell’analisi del ciclo di vita al sistema integrato di raccolta, riciclaggio e smaltimento dei rifiuti urbani e assimilati. La struttura di una LCA (Life Cycle Assessment) è determinata dalla serie di norme UNI EN ISO 14040 e si può considerare come “un procedimento oggettivo di valutazione dei carichi energetici e ambientali relativi a un processo o un’attività, effettuato attraverso l’identificazione dell’energia e dei materiali usati e dei rifiuti rilasciati nell’ambiente. La valutazione include l’intero ciclo di vita del processo o attività, comprendendo l’estrazione e il trattamento delle materie prime, la fabbricazione, il trasporto, la distribuzione, l’uso, il riuso, il riciclo e lo smaltimento finale”. Questa definizione si riassume nella frase “ from cradle to grave” (dalla culla alla tomba). Lo scopo dello studio è l’applicazione di una LCA alla gestione complessiva dei rifiuti valutata in tre territori diversi individuati presso tre gestori italiani. Due di questi si contraddistinguono per modelli di raccolta con elevati livelli di raccolta differenziata e con preminenza del sistema di raccolta domiciliarizzato, mentre sul territorio del terzo gestore prevale il sistema di raccolta con contenitori stradali e con livelli di raccolta differenziata buoni, ma significativamente inferiori rispetto ai Gestori prima descritti. Nella fase iniziale sono stati individuati sul territorio dei tre Gestori uno o più Comuni con caratteristiche abbastanza simili come urbanizzazione, contesto sociale, numero di utenze domestiche e non domestiche. Nella scelta dei Comuni sono state privilegiate le realtà che hanno maturato il passaggio dal modello di raccolta a contenitori stradali a quello a raccolta porta a porta. Attuata l’identificazione delle aree da sottoporre a studio, è stato realizzato, per ognuna di queste aree, uno studio LCA dell’intero sistema di gestione dei rifiuti, dalla raccolta allo smaltimento e riciclaggio dei rifiuti urbani e assimilati. Lo studio ha posto anche minuziosa attenzione al passaggio dal sistema di raccolta a contenitori al sistema di raccolta porta a porta, evidenziando il confronto fra le due realtà, nelle fasi pre e post passaggio, in particolare sono stati realizzati tre LCA di confronto attraverso i quali è stato possibile individuare il sistema di gestione con minori impatti ambientali.