994 resultados para Atmosphäre-Ozean Austausch, globale Modellierung, Troposphärenchemie, Erdsystemmodell
Resumo:
La ricerca svolta ha individuato fra i suoi elementi promotori l’orientamento determinato da parte della comunità europea di dare vita e sostegno ad ambiti territoriali intermedi sub nazionali di tipo regionale all’interno dei quali i sistemi di città potessero raggiungere le massime prestazioni tecnologiche per cogliere gli effetti positivi delle innovazioni. L’orientamento europeo si è confrontato con una realtà storica e geografica molto variata in quanto accanto a stati membri, nei quali le gerarchie fra città sono storicamente radicate e funzionalmente differenziate secondo un ordine che vede la città capitale dominante su città subalterne nelle quali la cultura di dominio del territorio non è né continua né gerarchizzata sussistono invece territori nazionali compositi con una città capitale di riconosciuto potere ma con città di minor dimensione che da secoli esprimono una radicata incisività nella organizzazione del territorio di appartenenza. Alla prima tipologia di stati appartengono ad esempio i Paesi del Nord Europa e l’Inghilterra, esprimendo nella Francia una situazione emblematica, alla seconda tipologia appartengono invece i Paesi dell’aera mediterranea, Italia in primis, con la grande eccezione della Germania. Applicando gli intendimenti comunitari alla realtà locale nazionale, questa tesi ha avviato un approfondimento di tipo metodologico e procedurale sulla possibile organizzazione a sistema di una regione fortemente policentrica nel suo sviluppo e “artificiosamente” rinata ad unità, dopo le vicende del XIX secolo: l’Emilia-Romagna. Anche nelle regioni che si presentano come storicamente organizzate sulla pluralità di centri emergenti, il rapporto col territorio è mediato da centri urbani minori che governano il tessuto cellulare delle aggregazioni di servizi di chiara origine agraria. Questo stato di cose comporta a livello politico -istituzionale una dialettica vivace fra territori voluti dalle istituzioni e territori legittimati dal consolidamento delle tradizioni confermato dall’uso attuale. La crescente domanda di capacità di governo dello sviluppo formulata dagli operatori economici locali e sostenuta dalle istituzioni europee si confronta con la scarsa capacità degli enti territoriali attuali: Regioni, Comuni e Province di raggiungere un livello di efficienza sufficiente ad organizzare sistemi di servizi adeguati a sostegno della crescita economica. Nel primo capitolo, dopo un breve approfondimento sulle “figure retoriche comunitarie”, quali il policentrismo, la governance, la coesione territoriale, utilizzate per descrivere questi fenomeni in atto, si analizzano gli strumenti programmatici europei e lo S.S.S.E,. in primis, che recita “Per garantire uno sviluppo regionale equilibrato nella piena integrazione anche nell’economia mondiale, va perseguito un modello di sviluppo policentrico, al fine di impedire un’ulteriore eccessiva concentrazione della forza economica e della popolazione nei territori centrali dell’UE. Solo sviluppando ulteriormente la struttura, relativamente decentrata, degli insediamenti è possibile sfruttare il potenziale economico di tutte le regioni europee.” La tesi si inserisce nella fase storica in cui si tenta di definire quali siano i nuovi territori funzionali e su quali criteri si basa la loro riconoscibilità; nel tentativo di adeguare ad essi, riformandoli, i territori istituzionali. Ai territori funzionali occorre riportare la futura fiscalità, ed è la scala adeguata per l'impostazione della maggior parte delle politiche, tutti aspetti che richiederanno anche la necessità di avere una traduzione in termini di rappresentanza/sanzionabilità politica da parte dei cittadini. Il nuovo governo auspicato dalla Comunità Europea prevede una gestione attraverso Sistemi Locali Territoriali (S.Lo.t.) definiti dalla combinazione di milieu locale e reti di attori che si comportano come un attore collettivo. Infatti il secondo capitolo parte con l’indagare il concetto di “regione funzionale”, definito sulla base della presenza di un nucleo e di una corrispondente area di influenza; che interagisce con altre realtà territoriali in base a relazioni di tipo funzionale, per poi arrivare alla definizione di un Sistema Locale territoriale, modello evoluto di regione funzionale che può essere pensato come una rete locale di soggetti i quali, in funzione degli specifici rapporti che intrattengono fra loro e con le specificità territoriali del milieu locale in cui operano e agiscono, si comportano come un soggetto collettivo. Identificare un sistema territoriale, è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per definire qualsiasi forma di pianificazione o governance territoriale, perchè si deve soprattutto tener conto dei processi di integrazione funzionale e di networking che si vengono a generare tra i diversi sistemi urbani e che sono specchio di come il territorio viene realmente fruito., perciò solo un approccio metodologico capace di sfumare e di sovrapporre le diverse perimetrazioni territoriali riesce a definire delle aree sulle quali definire un’azione di governo del territorio. Sin dall’inizio del 2000 il Servizio Sviluppo Territoriale dell’OCSE ha condotto un’indagine per capire come i diversi paesi identificavano empiricamente le regioni funzionali. La stragrande maggioranza dei paesi adotta una definizione di regione funzionale basata sul pendolarismo. I confini delle regioni funzionali sono stati definiti infatti sulla base di “contorni” determinati dai mercati locali del lavoro, a loro volta identificati sulla base di indicatori relativi alla mobilità del lavoro. In Italia, la definizione di area urbana funzionale viene a coincidere di fatto con quella di Sistema Locale del Lavoro (SLL). Il fatto di scegliere dati statistici legati a caratteristiche demografiche è un elemento fondamentale che determina l’ubicazione di alcuni servizi ed attrezzature e una mappa per gli investimenti nel settore sia pubblico che privato. Nell’ambito dei programmi europei aventi come obiettivo lo sviluppo sostenibile ed equilibrato del territorio fatto di aree funzionali in relazione fra loro, uno degli studi di maggior rilievo è stato condotto da ESPON (European Spatial Planning Observation Network) e riguarda l’adeguamento delle politiche alle caratteristiche dei territori d’Europa, creando un sistema permanente di monitoraggio del territorio europeo. Sulla base di tali indicatori vengono costruiti i ranking dei diversi FUA e quelli che presentano punteggi (medi) elevati vengono classificati come MEGA. In questo senso, i MEGA sono FUA/SLL particolarmente performanti. In Italia ve ne sono complessivamente sei, di cui uno nella regione Emilia-Romagna (Bologna). Le FUA sono spazialmente interconnesse ed è possibile sovrapporre le loro aree di influenza. Tuttavia, occorre considerare il fatto che la prossimità spaziale è solo uno degli aspetti di interazione tra le città, l’altro aspetto importante è quello delle reti. Per capire quanto siano policentrici o monocentrici i paesi europei, il Progetto Espon ha esaminato per ogni FUA tre differenti parametri: la grandezza, la posizione ed i collegamenti fra i centri. La fase di analisi della tesi ricostruisce l’evoluzione storica degli strumenti della pianificazione regionale analizzandone gli aspetti organizzativi del livello intermedio, evidenziando motivazioni e criteri adottati nella suddivisione del territorio emilianoromagnolo (i comprensori, i distretti industriali, i sistemi locali del lavoro…). La fase comprensoriale e quella dei distretti, anche se per certi versi effimere, hanno avuto comunque il merito di confermare l’esigenza di avere un forte organismo intermedio di programmazione e pianificazione. Nel 2007 la Regione Emilia Romagna, nell’interpretare le proprie articolazioni territoriali interne, ha adeguato le proprie tecniche analitiche interpretative alle direttive contenute nel Progetto E.S.P.O.N. del 2001, ciò ha permesso di individuare sei S.Lo.T ( Sistemi Territoriali ad alta polarizzazione urbana; Sistemi Urbani Metropolitani; Sistemi Città – Territorio; Sistemi a media polarizzazione urbana; Sistemi a bassa polarizzazione urbana; Reti di centri urbani di piccole dimensioni). Altra linea di lavoro della tesi di dottorato ha riguardato la controriprova empirica degli effettivi confini degli S.Lo.T del PTR 2007 . Dal punto di vista metodologico si è utilizzato lo strumento delle Cluster Analisys per impiegare il singolo comune come polo di partenza dei movimenti per la mia analisi, eliminare inevitabili approssimazioni introdotte dalle perimetrazioni legate agli SLL e soprattutto cogliere al meglio le sfumature dei confini amministrativi dei diversi comuni e province spesso sovrapposti fra loro. La novità è costituita dal fatto che fino al 2001 la regione aveva definito sullo stesso territorio una pluralità di ambiti intermedi non univocamente circoscritti per tutte le funzioni ma definiti secondo un criterio analitico matematico dipendente dall’attività settoriale dominante. In contemporanea col processo di rinnovamento della politica locale in atto nei principali Paesi dell’Europa Comunitaria si va delineando una significativa evoluzione per adeguare le istituzioni pubbliche che in Italia comporta l’attuazione del Titolo V della Costituzione. In tale titolo si disegna un nuovo assetto dei vari livelli Istituzionali, assumendo come criteri di riferimento la semplificazione dell’assetto amministrativo e la razionalizzazione della spesa pubblica complessiva. In questa prospettiva la dimensione provinciale parrebbe essere quella tecnicamente più idonea per il minimo livello di pianificazione territoriale decentrata ma nel contempo la provincia come ente amministrativo intermedio palesa forti carenze motivazionali in quanto l’ente storico di riferimento della pianificazione è il comune e l’ente di gestione delegato dallo stato è la regione: in generale troppo piccolo il comune per fare una programmazione di sviluppo, troppo grande la regione per cogliere gli impulsi alla crescita dei territori e delle realtà locali. Questa considerazione poi deve trovare elementi di compatibilità con la piccola dimensione territoriale delle regioni italiane se confrontate con le regioni europee ed i Laender tedeschi. L'individuazione di criteri oggettivi (funzionali e non formali) per l'individuazione/delimitazione di territori funzionali e lo scambio di prestazioni tra di essi sono la condizione necessaria per superare l'attuale natura opzionale dei processi di cooperazione interistituzionale (tra comuni, ad esempio appartenenti allo stesso territorio funzionale). A questo riguardo molto utile è l'esperienza delle associazioni, ma anche delle unioni di comuni. Le esigenze della pianificazione nel riordino delle istituzioni politico territoriali decentrate, costituiscono il punto finale della ricerca svolta, che vede confermato il livello intermedio come ottimale per la pianificazione. Tale livello è da intendere come dimensione geografica di riferimento e non come ambito di decisioni amministrative, di governance e potrebbe essere validamente gestito attraverso un’agenzia privato-pubblica dello sviluppo, alla quale affidare la formulazione del piano e la sua gestione. E perché ciò avvenga è necessario che il piano regionale formulato da organi politici autonomi, coordinati dall’attività dello stato abbia caratteri definiti e fattibilità economico concreta.
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Die Nichtlineare Dynamik verallgemeinert Aussagen über dynamische Systeme durch Abstraktion von konkreten Systemen. In der Technik sind Maschinen dagegen sehr konkret und die Behandlung auftretender Probleme mit Methoden der theoretischen Physik ist nicht trivial. Diese Arbeit versucht einige der Schwierigkeiten einer technischen Anwendung der nichtlinearen Theorie zu lokalisieren. Am Beispiel von vier Klassen von Modellansätzen, werden Anwendungsschnittstellen beleuchtet und systematisiert. Die Anwendung von Modellen, die explizit auf bekannten physikalischen Gesetzmäßigkeiten aufbauen, findet Grenzen in der Anzahl der Freiheitsgrade und den Nebenbedingungen konkreter Systeme. Solche Modelle liefern jedoch wichtige Hinweise auf die Vielfalt der nichtlinearen Phänomene und tragen zu ihrem Verständnis bei. Daher sind sie für die Konstruktionspraxis wichtig. Es werden typisch nichtlineare Phänomene und ihre zugrundeliegenden Mechanismen vorgestellt und klassifiziert, sowie grundsätzliche Probleme der Berechenbarkeit analytisch formulierter Modelle betrachtet. Eine zweite Schnittstelle bieten die Darstellungen des Systemverhaltens als überlagerung spezieller Funktionen, diez.B. Symmetrieeigenschaften des betrachteten Systems besonders deutlich widerspiegeln. Gegenüber der klassischen Fourierzerlegung nach Frequenz und Phase bringt die Analyse nach Detaillierungsgrad und Position von Waveletfunktionen wichtige Vorteile für die nichtlineare zustandsraumbasierte Datenanalyse. Viele Verfahren der Nichtlinearen Datenanalyse beruhen auf metrischen Eigenschaften der dynamischen Systeme. Als dritte Gruppe werden demgegenüber topologische Methoden beleuchtet. Die Konstruktion von Simplexen aus Zeitreihen mittels der Zeitversatzmethode ist die Grundlage für eine Triangulation der Zustandsräume. Die Methoden, z.B. Templateverfahren, die auf der Einbettung von eindimensionalen Trajektorien in den R^3 basieren, lassen sich hingegen nicht einfach auf hochdimensionale Zustandsmannigfaltigkeiten anwenden. Schließlich werden stochastische Aspekte behandelt. Schwankungen des Systemverhaltens können auf Schwankungen der Anfangswerte und/oder auf Schwankungen der eigentlichen Systemdynamik beruhen. Die Einordnung des konkreten Anwendungsfalles setzt jedoch ein sicheres Verständnis stochastischer Prozesse voraus. Am Beispiel der Rekonstruktion der stochastischen Dynamik über eine eindimensionale Fokker-Planck-Gleichung zeigen sich deutlich die praktischen Grenzen solcher Ansätze.
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Poröse Medien spielen in der Hydrosphäre eine wesentliche Rolle bei der Strömung und beim Transport von Stoffen. In diesem Raum finden komplexe Prozesse statt: Advektion, Kon-vektion, Diffusion, hydromechanische Dispersion, Sorption, Komplexierung, Ionenaustausch und Abbau. Die strömungsmechanischen- und die Transportverhältnisse in porösen Medien werden direkt durch die Geometrie des Porenraumes selbst und durch die Eigenschaften der transportierten (oder strömenden) Medien bestimmt. In der Praxis wird eine Vielzahl von empirischen Modellen verwendet, die die Eigenschaften des porösen Mediums in repräsentativen Elementarvolumen wiedergeben. Die Ermittlung der in empirischen Modellen verwendeten Materialparameter erfolgt über Labor- oder Feldbestimmungsmethoden. Im Rahmen dieser Arbeit wurde das Computer-modell PoreFlow entwickelt, welches die hydraulischen Eigenschaften eines korngestützten porösen Mediums aus der mikroskopischen Modellierung des Fluidflusses und Transportes ableitet. Das poröse Modellmedium wird durch ein dreidimensionales Kugelpackungsmodell, zusam-mengesetzt aus einer beliebigen Kornverteilung, dargestellt. Im Modellporenraum wird die Strömung eines Fluids basierend auf einer stationären Lösung der Navier-Stokes-Gleichung simuliert. Die Ergebnisse der Modellsimulationen an verschiedenen Modellmedien werden mit den Ergebnissen von Säulenversuchen verglichen. Es zeigt sich eine deutliche Abhängigkeit der Strömungs- und Transportparameter von der Porenraumgeometrie sowohl in den Modell-simulationen als auch in den Säulenexperimenten.
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Diese Arbeit versteht sich als Beitrag zur Modellierung von Parallelrechnern. Ein solcher Parallelrechner kann als makroskopisches physikalisches dynamisches System mit einer sehr großen Anzahl von Freiheitsgraden, diskretem Zustandsraum und diskreter Zeit aufgefasst werden. Derartige Systeme werden von der Nichtlinearen Dynamik behandelt. Jede modellmäßige Behandlung eines Systems mit derart differenzierten Wechselwirkungen muss sich auf bestimmte, dem Ziel und Zweck der Untersuchung angepasste Aspekte beschränken. Dabei müssen sowohl allgemeine Vorstellungen als auch konkretes Wissen in ein mathematisch behandelbares Modell umgesetzt werden. Die in dieser Arbeit vorgestellten Beiträge zur Modellierung von Parallelrechnern dienen mehreren Zielen. Zum einen wird ein Modell kritisch untersucht und weiterentwickelt, das dazu dienen soll, die Ausführungszeit eines konkreten parallelen Programmes auf einem konkreten Parallelrechner brauchbar vorherzusagen. Zum anderen soll die Untersuchung eines konkreten Problems aus dem Bereich von Computerwissenschaft und -technik dazu genutzt werden, ein tieferes Verständnis für das zu modellierende System zu entwickeln und daraus neue Aspekte für die Modellierung dynamischer Systeme im Allgemeinen zu gewinnen. In dieser Arbeit wird gezeigt, dass es bei der Modellierung von Parallelrechnern notwendig ist, viele technische Konstruktionseigenschaften in das Modell zu integrieren. Diese aber folgen der sehr raschen Entwicklung der Technik auf diesem Gebiet. Damit Formulierung, Test und Validierung des Modells mit der Entwicklung des Objektbereiches Schritt halten können, müssen in Zukunft neue Modellierungsverfahren entwickelt und angewendet werden, die bei Änderungen im Objektbereich eine rasche Anpassung ermöglichen. Diese Untersuchung entspricht einem interdisziplinären Ansatz, in dem einerseits Inhalte der Computerwissenschaften und andererseits Grundmethoden der experimentellen Physik verwendet werden. Dazu wurden die Vorhersagen der abstrakten Modelle mit den experimentell gewonnen Messergebnissen von realen Systemen verglichen. Auf dieser Basis wird gezeigt, dass der hierarchische Aufbau des Speichers Einflüsse von mehreren Größenordnungen auf die Ausführungsgeschwindigkeit einer Anwendung ausüben kann. Das im Rahmen der vorliegenden Arbeit entwickelte Modell der einzelnen Rechenknoten eines Parallelrechners gibt diese Effekte innerhalb eines relativen Vorhersagefehlers von nur wenigen Prozent korrekt wieder.
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ZusammenfassungDie Bildung von mittelozeanischen Rückenbasalten (MORB) ist einer der wichtigsten Stoffflüsse der Erde. Jährlich wird entlang der 75.000 km langen mittelozeanischen Rücken mehr als 20 km3 neue magmatische Kruste gebildet, das sind etwa 90 Prozent der globalen Magmenproduktion. Obwohl ozeanische Rücken und MORB zu den am meisten untersuchten geologischen Themenbereichen gehören, existieren weiterhin einige Streit-fragen. Zu den wichtigsten zählt die Rolle von geodynamischen Rahmenbedingungen, wie etwa Divergenzrate oder die Nähe zu Hotspots oder Transformstörungen, sowie der absolute Aufschmelzgrad, oder die Tiefe, in der die Aufschmelzung unter den Rücken beginnt. Diese Dissertation widmet sich diesen Themen auf der Basis von Haupt- und Spurenelementzusammensetzungen in Mineralen ozeanischer Mantelgesteine.Geochemische Charakteristika von MORB deuten darauf hin, dass der ozeanische Mantel im Stabilitätsfeld von Granatperidotit zu schmelzen beginnt. Neuere Experimente zeigen jedoch, dass die schweren Seltenerdelemente (SEE) kompatibel im Klinopyroxen (Cpx) sind. Aufgrund dieser granatähnlichen Eigenschaft von Cpx wird Granat nicht mehr zur Erklärung der MORB Daten benötigt, wodurch sich der Beginn der Aufschmelzung zu geringeren Drucken verschiebt. Aus diesem Grund ist es wichtig zu überprüfen, ob diese Hypothese mit Daten von abyssalen Peridotiten in Einklang zu bringen ist. Diese am Ozeanboden aufgeschlossenen Mantelfragmente stellen die Residuen des Aufschmelz-prozesses dar, und ihr Mineralchemismus enthält Information über die Bildungs-bedingungen der Magmen. Haupt- und Spurenelementzusammensetzungen von Peridotit-proben des Zentralindischen Rückens (CIR) wurden mit Mikrosonde und Ionensonde bestimmt, und mit veröffentlichten Daten verglichen. Cpx der CIR Peridotite weisen niedrige Verhältnisse von mittleren zu schweren SEE und hohe absolute Konzentrationen der schweren SEE auf. Aufschmelzmodelle eines Spinellperidotits unter Anwendung von üblichen, inkompatiblen Verteilungskoeffizienten (Kd's) können die gemessenen Fraktionierungen von mittleren zu schweren SEE nicht reproduzieren. Die Anwendung der neuen Kd's, die kompatibles Verhalten der schweren SEE im Cpx vorhersagen, ergibt zwar bessere Resultate, kann jedoch nicht die am stärksten fraktionierten Proben erklären. Darüber hinaus werden sehr hohe Aufschmelzgrade benötigt, was nicht mit Hauptelementdaten in Einklang zu bringen ist. Niedrige (~3-5%) Aufschmelzgrade im Stabilitätsfeld von Granatperidotit, gefolgt von weiterer Aufschmelzung von Spinellperidotit kann jedoch die Beobachtungen weitgehend erklären. Aus diesem Grund muss Granat weiterhin als wichtige Phase bei der Genese von MORB betrachtet werden (Kapitel 1).Eine weitere Hürde zum quantitativen Verständnis von Aufschmelzprozessen unter mittelozeanischen Rücken ist die fehlende Korrelation zwischen Haupt- und Spuren-elementen in residuellen abyssalen Peridotiten. Das Cr/(Cr+Al) Verhältnis (Cr#) in Spinell wird im Allgemeinen als guter qualitativer Indikator für den Aufschmelzgrad betrachtet. Die Mineralchemie der CIR Peridotite und publizierte Daten von anderen abyssalen Peridotiten zeigen, dass die schweren SEE sehr gut (r2 ~ 0.9) mit Cr# der koexistierenden Spinelle korreliert. Die Auswertung dieser Korrelation ergibt einen quantitativen Aufschmelz-indikator für Residuen, welcher auf dem Spinellchemismus basiert. Damit kann der Schmelzgrad als Funktion von Cr# in Spinell ausgedrückt werden: F = 0.10×ln(Cr#) + 0.24 (Hellebrand et al., Nature, in review; Kapitel 2). Die Anwendung dieses Indikators auf Mantelproben, für die keine Ionensondendaten verfügbar sind, ermöglicht es, geochemische und geophysikalischen Daten zu verbinden. Aus geodynamischer Perspektive ist der Gakkel Rücken im Arktischen Ozean von großer Bedeutung für das Verständnis von Aufschmelzprozessen, da er weltweit die niedrigste Divergenzrate aufweist und große Transformstörungen fehlen. Publizierte Basaltdaten deuten auf einen extrem niedrigen Aufschmelzgrad hin, was mit globalen Korrelationen im Einklang steht. Stark alterierte Mantelperidotite einer Lokalität entlang des kaum beprobten Gakkel Rückens wurden deshalb auf Primärminerale untersucht. Nur in einer Probe sind oxidierte Spinellpseudomorphosen mit Spuren primärer Spinelle erhalten geblieben. Ihre Cr# ist signifikant höher als die einiger Peridotite von schneller divergierenden Rücken und ihr Schmelzgrad ist damit höher als aufgrund der Basaltzusammensetzungen vermutet. Der unter Anwendung des oben erwähnten Indikators ermittelte Schmelzgrad ermöglicht die Berechnung der Krustenmächtigkeit am Gakkel Rücken. Diese ist wesentlich größer als die aus Schweredaten ermittelte Mächtigkeit, oder die aus der globalen Korrelation zwischen Divergenzrate und mittels Seismik erhaltene Krustendicke. Dieses unerwartete Ergebnis kann möglicherweise auf kompositionelle Heterogenitäten bei niedrigen Schmelzgraden, oder auf eine insgesamt größere Verarmung des Mantels unter dem Gakkel Rücken zurückgeführt werden (Hellebrand et al., Chem.Geol., in review; Kapitel 3).Zusätzliche Informationen zur Modellierung und Analytik sind im Anhang A-C aufgeführt
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In dieser Arbeit wird ein neu entwickeltes Spektralradiometer zur Messung des solaren aktinischen Strahlungsflusses, speziell bei bewölkter Atmosphäre, vorgestellt. Das Meßsystem benutzt ein spezielles neu entwickeltes optisches Empfangssystem mit winkelunabhängiger Empfindlichkeit über den gesamten Raum (4pisr). Das Spektrometer besteht aus einem Gitterspektrographen und einer CCD-Kamera als Detektor, wodurch die schnelle simultane Messung eines Wellenlängenbereiches von 300nm bis 660nm ermöglicht wird. Zudem können Spektren von drei Empfangssystemen gleichzeitig aufgenommen werden, was zur höhenaufgelösten Messung des aktinischen Flusses verwendet wird. Photolysefrequenzen von Ozon, Stickstoffdioxid, und anderen für die troposphärische Chemie interessanten Molekülen werden mit Literaturdaten des molekularen Absorptionsquerschnitts und der Quantenausbeute und dem gemessenen aktinischen Strahlungsfluß berechnet. Zudem werden anhand von Spektren des aktinischen Flusses, die bei der Feldmeßkampagne BERLIOZ (BERLIn OZonexperiment) und bei Feldmessungen an einem 107m hohen Turm auf einem Berg (753m NN, Hunsrück) aufgenommen wurden, die Effekte unterschiedlicher Bewölkungssituationen untersucht. Als Ergebnis dieser Arbeit wurden verschiedene wellenlängenabhängige Effekte deutlich: bei partieller Bewölkung ist der aktinische Fluß am Erdboden gegenüber dem wolkenfreien Fall teilweise reduziert, aber auch erhöht, wobei diese Effekte mit zunehmender Wellenlänge größer werden. Oberhalb von Wolken ist der aktinische Fluß gegenüber dem wolkenfreien Fall erhöht. Dieser Effekt nimmt mit abnehmender Wellenlänge zu.
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Im der vorliegenden Arbeit wurden die Einflüsse verschiedener wasserwirtschaftlicher und forstwirtschaftlicher Maßnahmen auf das Abflussverhalten von bewaldeten Gebieten untersucht. Der Schwerpunkt lag auf der Erfassung der Veränderungen im natürlichen System durch die jeweilige Maßnahme. Der Wassertransport wurde dabei auf der Prozessebene im Hangmaßstab betrachtet. Wichtige Erkenntnisse hinsichtlich der Hochwasserentstehung in bewaldeten Gebieten wurden gewonnen. Daraus abgeleitet wurde eine Bewertung sowohl der natürlich gegebenen Systemgrößen als auch der einzelnen Maßnahmen bezüglich einer Hochwasservorsorge in Wäldern.Berücksichtigt wurden Änderungen in der Bestockung und in der Feinerschließung der bewaldeten Flächen durch Wege und Wirtschaftstrecken. Die Wassertransportprozesse wurden im Gelände untersucht und in Abhängigkeit der globalen klimatischen Randbedingungen sowie den bodenhydraulischen und landnutzungsspezifischen Parameter mit dem Niederschlag-Abfluss-Modell CATFLOW simuliert.Die Abflussdynamik wird im untersuchten Maßstab im wesentlichen durch die gegebene Bodenhydraulik, die Vorfeuchte des Bodens bei einem Niederschlag und durch die Niederschlagsintensität bestimmt. Die vergleichende Untersuchung von zwei rheinland-pfälzischen Waldstandorten ergab, dass im Bereich Soonwald ein relativ hohes Hochwasserrisiko besteht. Hier wirken sich Eingriffe durch forstwirtschaftliche Bewirtschaftungsmaßnahmen stark aus. Im Bereich des Pfälzerwaldes ist nur ein sehr geringes Hochwasserrisiko gegeben, da hier die natürlichen Gebietseigenschaften die Eingriffe durch Bewirtschaftungsmaßnahmen überprägen.
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- ZUSAMMENFASSUNG:Die vorliegende Dissertation befasst sich mit der Bestimmung der chemischen und physikalischen Eigenschaften von Aerosolpartikeln im Amazonasbecken, die während Zeiten mit Biomasseverbrennung und bei Hintergrundbedingungen bestimmt wurden. Die Messungen wurden während zwei Kampagnen im Rahmen des europäischen Beitrags zum LBA-EUSTACH Experiment in Amazonien. Die Daten umfassen Messungen der Anzahlkonzentrationen, Größenverteilungen, optischen Eigenschaften sowie Elementzusammensetzungen und Kohlenstoffgehalte der gesammelten Aerosole. Die Zusammensetzung des Aerosols wies auf folgende drei Quellen hin: natürlichen biogenen, Mineralstaub, und pyrogenes Aerosol. Aller drei Komponenten trugen signifikant zur Extinktion des Sonnenlichts bei. Insgesamt ergab sich eine Steigerung der Meßwerte um ca. das Zehnfache während der Trockenzeit im Vergleich zur Regenzeit, was auf eine massive Einbringung von Rauchpartikeln im Submikrometerbereich in die Atmosphäre während der Trockenzeit zurückzuführen ist. Dementsprechend sank die Einzelstreualbedo von ca. 0,97 auf 0,91. Der Brechungsindex der Aerosolpartikel wurde mit einer neuen iterative Methoden, basierend auf der Mie-Theorie berechnet. Es ergaben sich durchschnittliche Werte von 1,42 0,006i für die Regenzeit und 1,41 0,013i für die Trockenperiode. Weitere klimatisch relevante Parameterergaben für Hintergrundaerosole und für Aerosole aus Biomasseverbrennung folgende Werte: Asymmetrieparameter von 0,63 ± 0,02 bzw. 0,70 ± 0,03 und Rückstreuungsverhältnisse von 0,12 ± 0,01 bzw. 0,08 ± 0,01. Diese Veränderungen haben das Potential, das regionale und globale Klima über die Variierung der Extinktion der Sonneneinstrahlung als auch der Wolkeneigenschaften zu beeinflussen.