984 resultados para mythic consciousness


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CONTEXT: Stroke is a frequent cause of dysphagia. OBJECTIVE: To evaluate in a tertiary care hospital the prevalence of swallowing dysfunction in stroke patients, to analyze factors associated with the dysfunction and to relate swallowing dysfunction to mortality 3 months after the stroke. METHODS: Clinical evaluation of deglutition was performed in 212 consecutive patients with a medical and radiologic diagnosis of stroke. The occurrence of death was determined 3 months after the stroke. RESULTS: It was observed that 63% of the patients had swallowing dysfunction. The variables gender and specific location of the lesion were not associated with the presence or absence of swallowing dysfunction. The patients with swallowing dysfunction had more frequently a previous stroke, had a stroke in the left hemisphere, motor and/or sensitivity alterations, difficulty in oral comprehension, alteration of oral expression, alteration of the level of consciousness, complications such as fever and pneumonia, high indexes on the Rankin scale, and low indexes on the Barthel scale. These patients had a higher mortality rate. CONCLUSIONS: Swallowing evaluation should be done in all patients with stroke, since swallowing dysfunction is associated with complications and an increased risk of death.

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Este artigo tem o objetivo de refletir sobre o diálogo no limiar, um gênero nascido do diálogo socrático, e a diatribe, um gênero retórico interno dialogado, compreendidos ambos os fenômenos, neste estudo, como instrumentos privilegiados para a construção da autoconsciência do protagonista de Uma criatura dócil, novela de Dostoiévski. Tencionamos examinar, na materialidade do texto, o partejar das ideias desenvolvido pelo diálogo no limiar no momento da crise existencial vivida pela personagem-narrador e os expedientes da diatribe que provocam a experimentação filosófico-dialógica que esse sujeito assume ao constituir a sua voz.

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O presente artigo pretende ressaltar o potencial dos jogos digitais como instrumento de assimilação do conhecimento em arquitetura patrimonial, através da pesquisa Patrimônio arquitetônico, design e educação: desenvolvimento de Sistemas Interativos Lúdicos (jogos educativos em meio digital). Nesta pesquisa foram desenvolvidos jogos digitais a partir do levantamento das características arquitetônicas dos edifícios de relevância histórica e cultural da cidade de São Carlos. Através da interação e exploração da interface digital pelo usuário, a apropriação do conhecimento ocorre de uma forma lúdica e criativa. Por meio da manipulação desses jogos, os alunos, cidadãos e visitantes podem aproximar-se da educação patrimonial adquirindo consciência histórica e aprendendo a valorizar as origens da cidade e a arquitetura do município. Ressalta-se a importância das metodologias que permitem viabilizar o desenvolvimento dos jogos eletrônicos (desenho e linguagem de programação) e que se apresentam como importantes ferramentas de representação da arquitetura. Por fim, destaca-se a importância da educação patrimonial para a formação do cidadão e preservação do patrimônio cultural.

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It has consistently been shown that agents judge the intervals between their actions and outcomes as compressed in time, an effect named intentional binding. In the present work, we investigated whether this effect is result of prior bias volunteers have about the timing of the consequences of their actions, or if it is due to learning that occurs during the experimental session. Volunteers made temporal estimates of the interval between their action and target onset (Action conditions), or between two events (No-Action conditions). Our results show that temporal estimates become shorter throughout each experimental block in both conditions. Moreover, we found that observers judged intervals between action and outcomes as shorter even in very early trials of each block. To quantify the decrease of temporal judgments in experimental blocks, exponential functions were fitted to participants’ temporal judgments. The fitted parameters suggest that observers had different prior biases as to intervals between events in which action was involved. These findings suggest that prior bias might play a more important role in this effect than calibration-type learning processes.

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The research is an itinerary from the discovery of the force of Love in the Song of Songs, where the human figure is given entirely through aesthetics, right to the agony of the other's death, where ethics, the "Severe Name of Love", is the only guard left; a journey through the contradictions of human mind, that, though aiming at Good, Beauty, Happiness, is completely immersed into the darkness of its finiteness and into evil. The consciousness leads to the creation of a world whose essential prefiguration is the Beauty; whose fundamental expression is the Good. Ethics must translate itself in responsability towards the other, in the history. This immersion into reality preserves the aesthetic and ethic dimension from the temptation of absolutizing the finite. In this work, the proximity and divergence between the aesthetic and ethic dimension is analysed, with reference to significant moments of the philosophical reflection, namely in the thought of Ingarden, Tishner and Levinas.

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L’ermeneutica filosofica di Hans-Georg Gadamer – indubbiamente uno dei capisaldi del pensiero novecentesco – rappresenta una filosofia molto composita, sfaccettata e articolata, per così dire formata da una molteplicità di dimensioni diverse che si intrecciano l’una con l’altra. Ciò risulta evidente già da un semplice sguardo alla composizione interna della sua opera principale, Wahrheit und Methode (1960), nella quale si presenta una teoria del comprendere che prende in esame tre differenti dimensioni dell’esperienza umana – arte, storia e linguaggio – ovviamente concepite come fondamentalmente correlate tra loro. Ma questo quadro d’insieme si complica notevolmente non appena si prendano in esame perlomeno alcuni dei numerosi contributi che Gadamer ha scritto e pubblicato prima e dopo il suo opus magnum: contributi che testimoniano l’importante presenza nel suo pensiero di altre tematiche. Di tale complessità, però, non sempre gli interpreti di Gadamer hanno tenuto pienamente conto, visto che una gran parte dei contributi esegetici sul suo pensiero risultano essenzialmente incentrati sul capolavoro del 1960 (ed in particolare sui problemi della legittimazione delle Geisteswissenschaften), dedicando invece minore attenzione agli altri percorsi che egli ha seguito e, in particolare, alla dimensione propriamente etica e politica della sua filosofia ermeneutica. Inoltre, mi sembra che non sempre si sia prestata la giusta attenzione alla fondamentale unitarietà – da non confondere con una presunta “sistematicità”, da Gadamer esplicitamente respinta – che a dispetto dell’indubbia molteplicità ed eterogeneità del pensiero gadameriano comunque vige al suo interno. La mia tesi, dunque, è che estetica e scienze umane, filosofia del linguaggio e filosofia morale, dialogo con i Greci e confronto critico col pensiero moderno, considerazioni su problematiche antropologiche e riflessioni sulla nostra attualità sociopolitica e tecnoscientifica, rappresentino le diverse dimensioni di un solo pensiero, le quali in qualche modo vengono a convergere verso un unico centro. Un centro “unificante” che, a mio avviso, va individuato in quello che potremmo chiamare il disagio della modernità. In altre parole, mi sembra cioè che tutta la riflessione filosofica di Gadamer, in fondo, scaturisca dalla presa d’atto di una situazione di crisi o disagio nella quale si troverebbero oggi il nostro mondo e la nostra civiltà. Una crisi che, data la sua profondità e complessità, si è per così dire “ramificata” in molteplici direzioni, andando ad investire svariati ambiti dell’esistenza umana. Ambiti che pertanto vengono analizzati e indagati da Gadamer con occhio critico, cercando di far emergere i principali nodi problematici e, alla luce di ciò, di avanzare proposte alternative, rimedi, “correttivi” e possibili soluzioni. A partire da una tale comprensione di fondo, la mia ricerca si articola allora in tre grandi sezioni dedicate rispettivamente alla pars destruens dell’ermeneutica gadameriana (prima e seconda sezione) ed alla sua pars costruens (terza sezione). Nella prima sezione – intitolata Una fenomenologia della modernità: i molteplici sintomi della crisi – dopo aver evidenziato come buona parte della filosofia del Novecento sia stata dominata dall’idea di una crisi in cui verserebbe attualmente la civiltà occidentale, e come anche l’ermeneutica di Gadamer possa essere fatta rientrare in questo discorso filosofico di fondo, cerco di illustrare uno per volta quelli che, agli occhi del filosofo di Verità e metodo, rappresentano i principali sintomi della crisi attuale. Tali sintomi includono: le patologie socioeconomiche del nostro mondo “amministrato” e burocratizzato; l’indiscriminata espansione planetaria dello stile di vita occidentale a danno di altre culture; la crisi dei valori e delle certezze, con la concomitante diffusione di relativismo, scetticismo e nichilismo; la crescente incapacità a relazionarsi in maniera adeguata e significativa all’arte, alla poesia e alla cultura, sempre più degradate a mero entertainment; infine, le problematiche legate alla diffusione di armi di distruzione di massa, alla concreta possibilità di una catastrofe ecologica ed alle inquietanti prospettive dischiuse da alcune recenti scoperte scientifiche (soprattutto nell’ambito della genetica). Una volta delineato il profilo generale che Gadamer fornisce della nostra epoca, nella seconda sezione – intitolata Una diagnosi del disagio della modernità: il dilagare della razionalità strumentale tecnico-scientifica – cerco di mostrare come alla base di tutti questi fenomeni egli scorga fondamentalmente un’unica radice, coincidente peraltro a suo giudizio con l’origine stessa della modernità. Ossia, la nascita della scienza moderna ed il suo intrinseco legame con la tecnica e con una specifica forma di razionalità che Gadamer – facendo evidentemente riferimento a categorie interpretative elaborate da Max Weber, Martin Heidegger e dalla Scuola di Francoforte – definisce anche «razionalità strumentale» o «pensiero calcolante». A partire da una tale visione di fondo, cerco quindi di fornire un’analisi della concezione gadameriana della tecnoscienza, evidenziando al contempo alcuni aspetti, e cioè: primo, come l’ermeneutica filosofica di Gadamer non vada interpretata come una filosofia unilateralmente antiscientifica, bensì piuttosto come una filosofia antiscientista (il che naturalmente è qualcosa di ben diverso); secondo, come la sua ricostruzione della crisi della modernità non sfoci mai in una critica “totalizzante” della ragione, né in una filosofia della storia pessimistico-negativa incentrata sull’idea di un corso ineluttabile degli eventi guidato da una razionalità “irrazionale” e contaminata dalla brama di potere e di dominio; terzo, infine, come la filosofia di Gadamer – a dispetto delle inveterate interpretazioni che sono solite scorgervi un pensiero tradizionalista, autoritario e radicalmente anti-illuminista – non intenda affatto respingere l’illuminismo scientifico moderno tout court, né rinnegarne le più importanti conquiste, ma più semplicemente “correggerne” alcune tendenze e recuperare una nozione più ampia e comprensiva di ragione, in grado di render conto anche di quegli aspetti dell’esperienza umana che, agli occhi di una razionalità “limitata” come quella scientista, non possono che apparire come meri residui di irrazionalità. Dopo aver così esaminato nelle prime due sezioni quella che possiamo definire la pars destruens della filosofia di Gadamer, nella terza ed ultima sezione – intitolata Una terapia per la crisi della modernità: la riscoperta dell’esperienza e del sapere pratico – passo quindi ad esaminare la sua pars costruens, consistente a mio giudizio in un recupero critico di quello che egli chiama «un altro tipo di sapere». Ossia, in un tentativo di riabilitazione di tutte quelle forme pre- ed extra-scientifiche di sapere e di esperienza che Gadamer considera costitutive della «dimensione ermeneutica» dell’esistenza umana. La mia analisi della concezione gadameriana del Verstehen e dell’Erfahrung – in quanto forme di un «sapere pratico (praktisches Wissen)» differente in linea di principio da quello teorico e tecnico – conduce quindi ad un’interpretazione complessiva dell’ermeneutica filosofica come vera e propria filosofia pratica. Cioè, come uno sforzo di chiarificazione filosofica di quel sapere prescientifico, intersoggettivo e “di senso comune” effettivamente vigente nella sfera della nostra Lebenswelt e della nostra esistenza pratica. Ciò, infine, conduce anche inevitabilmente ad un’accentuazione dei risvolti etico-politici dell’ermeneutica di Gadamer. In particolare, cerco di esaminare la concezione gadameriana dell’etica – tenendo conto dei suoi rapporti con le dottrine morali di Platone, Aristotele, Kant e Hegel – e di delineare alla fine un profilo della sua ermeneutica filosofica come filosofia del dialogo, della solidarietà e della libertà.

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La mia tesi si riallaccia al dibattito teorico-letterario contemporaneo sulla possibilità di un approccio cognitivo alla narrativa e alla letteratura in particolare. Essa si propone di esplorare il rapporto tra narrazione ed esperienza, ridefinendo il concetto di “esperienzialità” della narrativa introdotto da Monika Fludernik nel suo Towards a “Natural” Narratology (1996). A differenza di Fludernik, che ha identificato l’esperienzialità con la rappresentazione dell’esperienza dei personaggi, la mia trattazione assegna un ruolo di primo piano al lettore, cercando di rispondere alla domanda: perché leggere una storia è – o si costituisce come – un’esperienza? L’intuizione dietro tutto ciò è che le teorizzazioni dell’esperienza e della coscienza nella filosofia della mente degli ultimi venti anni possano gettare luce sull’interazione tra lettori e testi narrativi. Il mio punto di riferimento principale è la scienza cognitiva “di seconda generazione”, secondo cui l’esperienza è un relazionarsi attivo e corporeo al mondo. La prima parte del mio studio è dedicata all’intreccio tra la narrativa e quello che chiamo lo “sfondo esperienziale” di ogni lettore, un repertorio di esperienze già note ai lettori attraverso ripetute interazioni con il mondo fisico e socio-culturale. Mi soffermo inoltre sul modo in cui relazionarsi a un testo narrativo può causare cambiamenti e slittamenti in questo sfondo esperienziale, incidendo sulla visione del mondo del lettore. Mi rivolgo poi al coinvolgimento corporeo del lettore, mostrando che la narrativa può attingere allo sfondo esperienziale dei suoi fruitori anche sul piano dell’esperienza di base: le simulazioni corporee della percezione contribuiscono alla nostra comprensione delle storie, incidendo sia sulla ricostruzione dello spazio dell’ambientazione sia sulla relazione intersoggettiva tra lettori e personaggi. Infine, mi occupo del rapporto tra l’esperienza della lettura e la pratica critico-letteraria dell’interpretazione, sostenendo che – lungi dal costituire due modalità opposte di fruizione dei testi – esse sono intimamente connesse.

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(De)colonization Through Topophilia: Marjorie Kinnan Rawlings’s Life and Work in Florida attempts to reveal the author’s intimate connection to and mental growth through her place, namely the Cross Creek environs, and its subsequent effect on her writing. In 1928, Marjorie Kinnan Rawlings and her first husband Charles Rawlings came to Cross Creek, Florida. They bought the shabby farmhouse on Cross Creek Road, trying to be both, writers and farmers. However, while Charles Rawlings was unable to write in the backwoods of the Florida Interior, Rawlings found her literary voice and entered a symbiotic, reciprocal relationship with the natural world of the Cracker frontier. Her biographical preconditions – a childhood spent in the rural area of Rock Creek, outside of Washington D. C. - and a father who had instilled in her a sense of place or topophilia, enabled her to overcome severe marriage tensions and the hostile climate women writers faced during the Depression era. Nature as a helping ally and as an “undomesticated”(1) space/place is a recurrent motif throughout most of Rawlings’s Florida literature. At a time when writing the American landscape/documentary and the extraction of the self from texts was the prevalent literary genre, Marjorie Kinnan Rawlings inscribed herself into her texts. However, she knew that the American public was not yet ready for a ‘feminist revolt’, but was receptive of the longtime ‘inaudible’ voices from America’s regions, especially with regard to urban poverty and a homeward yearning during the Depression years. Fusing with the dynamic eco-consciousness of her Cracker friends and neighbors, Rawlings wrote in the literary category of regionalism enabling her to pursue three of her major aims: an individuated self, a self that assimilated with the ‘master narratives’ of her time and the recognition of the Florida Cracker and Scrub region. The first part of this dissertation briefly introduces the largely unknown and underestimated writer Marjorie Kinnan Rawlings, providing background information on her younger years, the relationship toward her family and other influential persons in her life. Furthermore, it takes a closer look at the literary category of regionalism and Rawlings’s use of ‘place’ in her writings. The second part is concerned with the ‘region’ itself, the state of Florida. It focuses on the natural peculiarities of the state’s Interior, the scrub and hammock land around her Cracker hamlet as well as the unique culture of the Florida Cracker. Part IV is concerned with the analysis of her four Florida books. The author is still widely related to the ever-popular novel The Yearling (1938). South Moon Under (1933) and Golden Apples (1935), her first two novels, have not been frequently republished and have subsequently fallen into oblivion. Cross Creek (1942), Rawlings’s last Florida book, however, has recently gained renewed popularity through its use in classes on nature writers and the non-fiction essay but it requires and is here re-evaluated as the author’s (relational) autobiography. The analysis through place is brought to completion in this work and seems to intentionally close the circle of Rawlings’s Florida writings. It exemplifies once more that detachment from place is impossible for Rawlings and that the intermingling of life and place in literature, is essential for the (re)creation of her identity. Cross Creek is therefore not only one of Rawlings’s greatest achievements; it is more importantly the key to understanding the author’s self and her fiction. Through the ‘natural’ interrelationship of place and self and by looking “mutually outward and inward,”(2) Marjorie Kinnan Rawlings finds her literary voice, a home and ‘a room of her own’ in which to write and come to consciousness. Her Florida literature is not only product but also medium and process in her assessment of her identity and self. _____________ (1) Alaimo, Stacy. Undomesticated Ground: Recasting Nature as Feminist Space (Ithaca: Cornell UP, 2000) 23. (2) Libby, Brooke. “Nature Writing as Refuge: Autobiography in the Natural World” Reading Under the Sign of Nature. New Essays in Ecocriticism. Ed. John Tallmadge and Henry Harrington. (Salt Lake City: The U of Utah P, 2000) 200.

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Die vorliegende Arbeit wurde durch die Erkenntnis motiviert, daß die Theorie der Intentionalität ohne eine Theorie der impliziten Intentionalität unvollständig ist. Die Anlage einer solchen Theorie gründet in der Annahme, daß die impliziten ("ergänzenden oder "mit-bewußten") Erfahrungsinhalte Inhalte intentional wirksam sind: daß sie zur "Konstitution" der intentionalen Objekte – im Sinne vom Husserl und Gurwitsch – beitragen. Die Bedingungen und Umstände dieser Wirksamkeit herauszuarbeiten, ist das Hauptziel der vorliegenden Untersuchungen. Dazu wurde (1) eine phänomenologische Theorie des impliziten Inhalts kritisch expliziert, und (2) diese anhand einiger aktueller Ansätze der analytischen Philosophie auf die Probe gestellt. Im phänomenologischen Teil der Arbeit wurden zuerst die methodologischen Voraussetzungen von Gurwitschs gestalttheoretischer Neuformulierung des Husserlschen Projekts unter Berücksichtigung der sogenannten Konstanzannahme kritisch untersucht. Weiterhin wurden Husserls Noema-Konzeption und seine Horizontlehre aus der Perspektive von Gurwitschs Feldtheorie des Bewußtseins expliziert, und in der Folge Gurwitschs dreifache Gliederung des Bewußtseinsfeldes – das Kopräsenz-Kohärenz-Relevanz-Schema – um die phänomenologischen Begriffe "Potentialität", "Typik" und "Motivation" erweitert. Die Beziehungen, die diesen Begriffen zugrunde liegen, erwiesen sich als "mehr denn bloß kontigent, aber als weniger denn logisch oder notwendig" (Mulligan). An Beispielen aus der analytischen Philosphie der Wahrnehmung (Dretske, Peacocke, Dennett, Kelly) und der Sprache (Sperber, Wilson, Searle) wurde das phänomenologische Konzept des impliziten Inhalts kritisch beurteilt und weiterentwickelt. Hierbei wurde(n) unter anderem (1) der Zusammenhang zwischen dem phänomenologischen Begriff "vorprädikativer Inhalt" und dem analytischen Begriff "nichtkonzeptueller Inhalt" aufgezeigt und (2) Kriterien für die Zuschreibung impliziter Überzeugungen in den typischen Fällen der prädikativen Intentionalität zusammengetragen und systematisiert.