973 resultados para alpine herbs
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This doctoral thesis focuses on ground-based measurements of stratospheric nitric acid (HNO3)concentrations obtained by means of the Ground-Based Millimeter-wave Spectrometer (GBMS). Pressure broadened HNO3 emission spectra are analyzed using a new inversion algorithm developed as part of this thesis work and the retrieved vertical profiles are extensively compared to satellite-based data. This comparison effort I carried out has a key role in establishing a long-term (1991-2010), global data record of stratospheric HNO3, with an expected impact on studies concerning ozone decline and recovery. The first part of this work is focused on the development of an ad hoc version of the Optimal Estimation Method (Rodgers, 2000) in order to retrieve HNO3 spectra observed by means of GBMS. I also performed a comparison between HNO3 vertical profiles retrieved with the OEM and those obtained with the old iterative Matrix Inversion method. Results show no significant differences in retrieved profiles and error estimates, with the OEM providing however additional information needed to better characterize the retrievals. A final section of this first part of the work is dedicated to a brief review on the application of the OEM to other trace gases observed by GBMS, namely O3 and N2O. The second part of this study deals with the validation of HNO3 profiles obtained with the new inversion method. The first step has been the validation of GBMS measurements of tropospheric opacity, which is a necessary tool in the calibration of any GBMS spectra. This was achieved by means of comparisons among correlative measurements of water vapor column content (or Precipitable Water Vapor, PWV) since, in the spectral region observed by GBMS, the tropospheric opacity is almost entirely due to water vapor absorption. In particular, I compared GBMS PWV measurements collected during the primary field campaign of the ECOWAR project (Bhawar et al., 2008) with simultaneous PWV observations obtained with Vaisala RS92k radiosondes, a Raman lidar, and an IR Fourier transform spectrometer. I found that GBMS PWV measurements are in good agreement with the other three data sets exhibiting a mean difference between observations of ~9%. After this initial validation, GBMS HNO3 retrievals have been compared to two sets of satellite data produced by the two NASA/JPL Microwave Limb Sounder (MLS) experiments (aboard the Upper Atmosphere Research Satellite (UARS) from 1991 to 1999, and on the Earth Observing System (EOS) Aura mission from 2004 to date). This part of my thesis is inserted in GOZCARDS (Global Ozone Chemistry and Related Trace gas Data Records for the Stratosphere), a multi-year project, aimed at developing a long-term data record of stratospheric constituents relevant to the issues of ozone decline and expected recovery. This data record will be based mainly on satellite-derived measurements but ground-based observations will be pivotal for assessing offsets between satellite data sets. Since the GBMS has been operated for more than 15 years, its nitric acid data record offers a unique opportunity for cross-calibrating HNO3 measurements from the two MLS experiments. I compare GBMS HNO3 measurements obtained from the Italian Alpine station of Testa Grigia (45.9° N, 7.7° E, elev. 3500 m), during the period February 2004 - March 2007, and from Thule Air Base, Greenland (76.5°N 68.8°W), during polar winter 2008/09, and Aura MLS observations. A similar intercomparison is made between UARS MLS HNO3 measurements with those carried out from the GBMS at South Pole, Antarctica (90°S), during the most part of 1993 and 1995. I assess systematic differences between GBMS and both UARS and Aura HNO3 data sets at seven potential temperature levels. Results show that, except for measurements carried out at Thule, ground based and satellite data sets are consistent within the errors, at all potential temperature levels.
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Negli ultimi anni si è sviluppata una forte sensibilità nei confronti del rischio che il dissesto idrogeologico comporta per il territorio, soprattutto in un paese come il nostro, densamente abitato e geologicamente fragile. Il rischio idrogeologico In Italia infatti è diffuso in modo capillare e si presenta in modo differente a seconda dell’assetto geomorfologico del territorio. Tra i fattori naturali che predispongono il nostro territorio a frane ed alluvioni, rientra la conformazione geologica e geomorfologica, caratterizzata da un’orografia giovane e da rilievi in via di sollevamento. A seguito del verificarsi di una serie di eventi calamitosi (Piemonte 1994, Campania 1998 e 1999, Sovereto 2000, Alpi centrali 2000 e 2002) sono state emanate leggi specifiche finalizzate all’individuazione e all’applicazione di norme, volte a prevenire e contenere i gravi effetti derivanti dai fenomeni di dissesto. Si fa riferimento in particolare, alle leggi n°267 del 3/08/1998 e 365/2000 che hanno integrato la legge 183/1989. In questo modo gli enti territoriali (Regioni, Autorità di bacino) sono stati obbligati a predisporre una adeguata cartografia con perimetrazione delle aree a differente pericolosità e rischio. Parallelamente continuano ad essere intrapresi, promossi e finanziati numerosi studi scientifici volti allo studio dei fenomeni ed alla definizione più puntuale delle condizioni di rischio, oltre alle iniziative volte alla creazione di un efficace sistema di allertamento e di sorveglianza dei fenomeni e alla messa a punto di una pianificazione di emergenza volta a coordinare in modo efficace la risposta delle istituzioni agli eventi. In questo contesto gli studi su validi approcci metodologici per l’analisi e la valutazione del rischio possono fornire un supporto al processo decisionale delle autorità preposte alla gestione del territorio, identificando gli scenari di rischio e le possibili strategie di mitigazione, e individuando la soluzione migliore in termini di accettabilità sociale e convenienza economica. Nel presente elaborato si vuole descrivere i temi relativi alla valutazione della pericolosità, del rischio e della sua gestione, con particolare attenzione ai fenomeni di instabilità dei versanti e nello specifico ai fenomeni di crollo da pareti rocciose che interessano il territorio della Provincia Autonoma di Bolzano. Il fenomeno della caduta massi infatti è comunemente diffuso in tutte le regioni di montagna e lungo le falesie costiere, ed in funzione dell’elevata velocità con cui si manifesta può costituire una costante fonte di pericolo per le vite, i beni e le attività umane in zone generalmente molto attive dal punto di vista del turismo e delle grandi vie di comunicazione. Il territorio della Provincia Autonoma di Bolzano è fortemente interessato da questo problema, sia per la morfologia montuosa della provincia che per le infrastrutture che sempre più occupano zone di territorio un tempo poco urbanizzate. Al fine di pervenire ad una legittima programmazione delle attività di previsione e prevenzione, il Dipartimento dei Lavori Pubblici della Provincia, ha scelto di utilizzare una strategia che prevedesse un insieme di attività dirette allo studio ed alla determinazione delle cause dei fenomeni calamitosi, alla identificazione dei rischi, ed alla determinazione delle zone del territorio soggette ai rischi stessi. E’ nato così, con l’operatività dell’Ufficio Geologia e Prove Materiali, il supporto del Dipartimento Opere Pubbliche e della Ripartizione Protezione Civile e la collaborazione scientifica del DISTART – Università degli Studi di Bologna, Alma Mater Studiorum, il progetto VISO che riguarda i pericoli generati da frane di crollo, ribaltamento, scivolamento di porzioni di pareti rocciose e caduta massi. Il progetto ha come scopo la valutazione del pericolo, della vulnerabilità e del rischio e dell’effettiva funzionalità delle opere di protezione contro la caduta massi lungo la strada statale del Brennero. Il presente elaborato mostra l’iter per l’individuazione del rischio specifico che caratterizza un particolare tratto stradale, così come è stato pensato dalla Provincia Autonoma di Bolzano all’interno di una strategia di previsione e prevenzione, basata su metodi il più possibile oggettivi, ed estesa all’intera rete stradale di competenza provinciale. Si esamina l’uso di metodologie diverse per calcolare l’intensità di un fenomeno franoso che potrebbe potenzialmente svilupparsi su un versante e si osserva in che modo la presenza di opere di protezione passiva influisce sull’analisi di pericolosità. Nel primo capitolo viene presentata una panoramica sui fenomeni di crollo descrivendo i fattori principali che li originano e gli interventi di protezione posti a difesa del versante. Si esaminano brevemente le tipologie di intervento, classificate in opere attive e passive, con particolare attenzione alle barriere paramassi., che si collocano tra gli interventi di difesa passivi e che stanno diventando il tipo di intervento più frequentemente utilizzato. Nel capitolo vengono descritte dal punto di vista progettuale, prendendo in esame anche la normativa di riferimento nonché le nuove linee guida per la certificazione CE delle barriere, nate negli ultimi anni per portare ad una facile comparabilità dei vari prodotti sottoposti ad impatti normalizzati, definendo con chiarezza i livelli energetici ai quali possono essere utilizzati i vari prodotti e, nel contempo, fornendo informazioni assolutamente indispensabili per la buona progettazione degli stessi. Nel capitolo successivo si prendono in esame i temi relativi alla valutazione della pericolosità e del rischio, l’iter procedurale di analisi del rischio adottato dalla Provincia Autonoma di Bolzano in relazione alle frane da crollo che investono le strade della rete provinciale ed in particolare viene descritto il progetto VISO (Viability Information Operating System), nato allo scopo di implementare un catasto informatizzato che raccolga indicazioni sul patrimonio delle opere di protezione contro la caduta massi e di rilevare e valutare il pericolo, la vulnerabilità, il rischio e l’effettiva funzionalità delle opere di protezione contro la caduta massi lungo le strade statali e provinciali. All’interno dello stesso capitolo si espone come, nell’ambito del progetto VISO e grazie alla nascita del progetto europeo Paramount ” (Improved accessibility reliability and safety of Alpine tran sport infrastructure related to mountainous hazard in a changing climate) si è provveduto, con l’aiuto di una collega del corso di laurea, a raccogliere i dati relativi all’installazione delle barriere paramassi sul territorio della Provincia Autonoma di Bolzano. Grazie ad un’analisi di archivio effettuata all’interno delle diverse sedi del servizio strade della Provincia Autonoma di Bolzano, si è presa visione (laddove presenti) delle schede tecniche delle barriere collocate sul territorio, si sono integrati i dettagli costruttivi contattando le principali ditte fornitrici e si è proceduto con una classificazione delle opere, identificando alcuni modelli di “barriere-tipo che sono stati inseriti nel database PARAMOUNT, già creato per il progetto VISO. Si è proseguito associando a tali modelli le barriere provviste di documentazione fotografica rilevate in precedenza dall’istituto di Geologia della Provincia Autonoma di Bolzano e inserite in VISO e si è valutata la corrispondenza dei modelli creati, andando a verificare sul posto che le barriere presenti sul territorio ed inserite nel database (tramite modello), effettivamente coincidessero, nelle misure e per le caratteristiche geometrico-costruttive, ai modelli a cui erano state associate. Inoltre sono stati considerati i danni tipici a cui può essere soggetta una barriera paramassi durante il suo periodo di esercizio poiché tali difetti andranno ad incidere sulla valutazione dell’utilità del sistema di difesa e di conseguenza sulla valutazione della pericolosità del versante(H*). Nel terzo capitolo si è esposta una possibile integrazione, mediante il software di calcolo RocFall, della procedura di valutazione dell’analisi di pericolosità di un versante utilizzata nell’ambito del progetto VISO e già analizzata in dettaglio nel secondo capitolo. Il software RocFall utilizza un metodo lumped mass su schema bidimensionale basato su ipotesi semplificative e consente di effettuare simulazioni probabilistiche di fenomeni di caduta massi, offrendo importanti informazioni sull’energia che si sviluppa durante il crollo, sulle velocità raggiunte e sulle altezze di rimbalzo lungo tutto il versante considerato, nonché sulla distanza di arresto dei singoli massi. Si sono realizzati dei profili-tipo da associare al versante, considerando il pendio suddiviso in tre parti : parete verticale (H = 100 m) lungo la quale si sviluppa il movimento franoso; pendio di altezza H = 100 m e angolo pari ai quattro valori medi della pendenza indicati nella scheda di campagna; strada (L = 10 m). Utilizzando il software Cad si sono realizzati 16 profili associando la pendenza media del versante a 4 morfologie individuate grazie all’esperienza dell’Istituto di Geologia e Prove materiali della Provincia Autonoma di Bolzano; si è proceduto importando tali profili in RocFall dove sono state aggiunte informazioni riguardanti la massa del blocco e l’uso del suolo, ottenendo 256 profili-tipo ai quali è stata associata una sigla definita come segue : morfologia (1, 2, 3, 4) _ pendenza (37, 53, 67, 83 gradi) _ uso del suolo (A, B, C, D) _ massa (a,b,c,d). Fissando i parametri corrispondenti al peso del masso ( inserito al solo scopo di calcolare la velocità rotazionale e l’energia cinetica ) e considerando, per ogni simulazione, un numero di traiettorie possibili pari a 1000, avendo osservato che all’aumentare di tale numero (purchè sufficientemente elevato) non si riscontrano variazioni sostanziali nei risultati dell’analisi, si è valutato come i parametri uso del suolo (A;B;C;D), morfologia (1;2;3;4) e pendenza (37°;53°;67°;83°) incidano sulla variazione di energia cinetica, di altezza di rimbalzo e sulla percentuale di massi che raggiunge la strada, scegliendo come punto di riferimento il punto di intersezione tra il pendio e la strada. Al fine di realizzare un confronto tra un profilo reale e un profilo-tipo, sono stati utilizzati 4 profili posti su un versante situato nel Comune di Laives, noto per le frequenti cadute di massi che hanno raggiunto in molti casi la strada. Tali profili sono stati visionati in sede di sopralluogo dove si è provveduto alla compilazione delle schede di campagna (impiegate per valutare l’intensità del fenomeno che potenzialmente si sviluppa dal versante) e all’individuazione dei profili-tipo corrispondenti. Sono state effettuate analisi di simulazione per entrambe le tipologie di profilo, e sono stati confrontati i risultati ottenuti in termini di Energia cinetica; altezza di rimbalzo e percentuale dei blocchi in corrispondenza della strada. I profili reali sono stati importati in RocFal in seguito ad estrapolazione dal modello digitale del terreno (ottenuto da analisi con Laser Scanner) utilizzando l’ estensione Easy Profiler nel software Arcmap. Infine si è valutata la possibilità di collocare eventuali barriere paramassi su un profilo reale, si è proceduto effettuando una analisi di simulazione di caduta massi in RocFall, importando in excel i valori corrispondenti all’andamento dei massimi dell’Energia cinetica e dell’altezza di rimbalzo lungo il pendio che forniscono una buona indicazione circa l´idonea ubicazione delle opere di protezione.
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A finite-strain study in the Gran Paradiso massif of the Italian Western Alps has been carried out to elucidate whether ductile strain shows a relationship to nappe contacts and to shed light on the nature of the subhorizontal foliation typical of the gneiss nappes in the Alps. The Rf/_ and Fry methods used on feldspar porphyroclasts from 143 augengneiss and 11 conglomerate samples of the Gran Paradiso unit (upper tectonic unit of the Gran Paradiso massif), as well as, 9 augengneiss (Erfaulet granite) and 3 quartzite conglomerate samples from the underlying Erfaulet unit (lower unit of the Gran Paradiso massif), and 1 sample from mica schist. Microstructures and thermobarometric data show that feldspar ductility at temperatures >~450°C occurred only during high-pressure metamorphism, when the rocks were underplated beneath the overriding Adriatic plate. Therefore, the finite-strain data can be related to high-pressure metamorphism in the Alpine subduction zone. The augen gneiss was heterogeneously deformed and axial ratios of the strain ellipse in XZ sections range from 2.1 to 69.8. The long axes of the finite-strain ellipsoids trend W/WNW and the short axes are subvertical associated with a subhorizontal foliation. The strain magnitudes do not increase towards the nappe contacts. Geochemical work shows that the accumulation of finite strain was not associated with any significant volume strain. Hence, the data indicate flattening strain type in the Gran Paradiso unit and constrictional strain type in the Erfaulet unit and prove deviations from simple shear. In addition, electron microprobe work was undertaken to determine if the analysed fabrics formed during high-P metamorphism. The chemistry of phengites in the studied samples suggests that deformation and final structural juxtaposition of the Gran Paradiso unit against the Erfaulet took place during high-pressure metamorphism. On the other hand, nappe stacking occurred early during subduction probably by brittle imbrication and that ductile strain was superimposed on and modified the nappe structure during high-pressure underplating in the Alpine subduction zone. The accumulation of ductile strain during underplating was not by simple shear and involved a component of vertical shortening, which caused the subhorizontal foliation in the Gran Paradiso massif. It is concluded that this foliation formed during thrusting of the nappes onto each other suggesting that nappe stacking was associated with vertical shortening. The primary evidence for this interpretation is an attenuated metamorphic section with high-pressure metamorphic rocks of the Gran Paradiso unit juxtaposed against the Erfaulet unit. Therefore, the exhumation during high-pressure metamorphism in the Alpine subduction zone involved a component of vertical shortening, which is responsible for the subhorizontal foliation within the nappes.
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In dieser Arbeit werden geochronologische und isotopen-geochemische Daten zur Entwicklung der Zentralen Westlichen Karpathen präsentiert. Die Karpathen bilden die östliche Fortsetzung der Alpen und können in drei Alpine Grundgebirgsdecken unterteilt werden, von denen zwei, die Veporische und die Gemerische, bearbeitet wurden. In der Veporischen Einheit wurden polymetamorphe Grundgebirgseinheiten untersucht, um deren genaue Altersstellung zu definieren und sie isotopengeochemisch zu klassifizieren. Dagegen wurde in der der Gemerischen Einheit, welche die Veporische Einheit überlagert, ein spezialisierter S-Typ Granit im Detail untersucht, um die petrogenetischen Prozesse, die zur magmatischen Entwicklung dieses Granits geführt haben, zu identifizieren. U-Pb Datierungen an Zirkonen der Veporischen Grundgebirgseinheiten zeigen für die gesamte Veporische Einheit ordovizische Entsehungsalter an (440-470 Ma). Diese Datierungen revidieren publizierte kambrische Entstehungsalter dieses Grundgebirges. Die Isotopensignatur (epsilon Nd und 87Sr/86Sr) der ordovizischen Grundgebirgseinheiten, bestehend aus stark überprägten Amphiboliten und Gneissen, ist von der Signatur der sich im Norden anschliessenden Tatrischen Einheit gut unterscheidbar. Die Bleiisotopenzusammensetzung dieser Gesteine ist stark krustal geprägt und überschneidet sich mit der der Tatrischen Einheit. Zusammen mit den T-DM Altern sind diese Einheiten vergleichbar mit prävariskischen Einheiten der Alpen. Somit kann das ordovizische Grundgebirge zu den peri-Gondwana Terranen gezählt werden, die an einem aktiven Kontinentalrand im Norden von Gondwana gebildet wurden. In den Gesteinen der Veporischen Einheit wurde im Weiteren eine starke metamorphe überprägung und intensiver felsischer Magmatismus karbonischen Alters erkannt (320-350 Ma). Dieses Ereignis ist zeitgleich mit dem Magmatismus, welcher hauptsächlich in der sich im Norden anschliessenden Tatrischen Einheit beobachtet wird. Dieser gehört der variskischen Orogenese an. Intensive alpine Deformation und Metamorphose konnte in der südlichen Veporischen Einheit anhand der Einzelzirkondatierungen und der Isotopendaten der ordovizischen Einheiten nachgewiesen werden. Am Dlha Dolina Granit in der Gemerischen Einheit können starke Fraktionierungs- und Auto-Metasomatose-Effekte beobachtet werden. Durch die magmatische Fraktionierung wird eine Anreicherung der SEE erzeugt, wogegen die Metasomatose die SEE stark verarmt. Es kommt sogar zur Ausbildung eines Tetraden Effektes im SEE Muster, welche den starken Einfluss von Fluiden während der spät-magmatischen Phase belegt. Gesamtgesteins Pb-Pb Daten beschränken das minimale Intrusionsalter dieses Granites auf 240 Ma. Dieses Alter ist in guter übereinstimmung mit den Sr-Isotopendaten der magmatisch dominierten Gesteine, wohingegen die stark metasomatisch geprägten Gesteine ein zu radiogenes 87Sr/86Sri aufweisen. Während dieser Arbeit wurde intensiv mit der Blei-Isotopenzusammensetzung von Gesamtgesteinsproben gearbeitet. Um die Auswertung dieser Daten optimieren zu können wurde ein Computerscript für das GPL Programm Octave erstellt. Die Hauptaufgabe dieses Scripts besteht darin, Regressionen für geochronologische Anwendungen gemäss York (1969) zu berechnen. Ausserdem können mu und kappa-Werte für diese Regressionen berechnet und eine Hauptkomponentenanalyse, welche hilfreich für den Vergleich von zwei Datensätzen ist, durchgeführt werden. Am Ende der vorliegenden Arbeit wird die analytische Methode für einen Mikrowellen beschleunigten Säureaufschluss von granitoidem Material zur Bestimmung der Sr- und Nd-Isotopenzusammensetzung und der Elementkonzentrationen vorgestellt. Diese kombinierte Methode nutzt ein TIMS für die Sr und Nd Isotopenmessungen und eine Einzelkollektor-ICPMS zur Bestimmung der SEE, Rb und Sr Konzentrationen, welche mithilfe von relativen Sensitivitätsfaktoren gegenüber einem internen Standard quantifiziert werden. Diese Methode wird durch Messungen von internationalen Referenzmaterialien bewertet. Die Ergebnisse zeigen eine Reproduzierbarkeit von <10% für die Elementkonzentrationen und von <5% für Elementverhältnisse.
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This research focuses on reproductive biology and pollination ecology of entomophilous angiosperms, with particular concern to reproductive success in small and isolated populations of species that occur at their distribution limits or are endemic. I considered three perennial herbs as model species: Primula apennina Widmer, Dictamnus albus L. and Convolvulus lineatus L. I carried out field work on natural populations and performed laboratory analyses on specific critical aspects (resource allocation, pollen viability, stigmatic receptivity, physiological self-incompatibility, seed viability), through which I analysed different aspects related to plant fitness, such as production of viable seed, demographic structure of populations, type and efficiency of plant-pollinator system, and limiting factors.
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The present work concerns with the study of debris flows and, in particular, with the related hazard in the Alpine Environment. During the last years several methodologies have been developed to evaluate hazard associated to such a complex phenomenon, whose velocity, impacting force and inappropriate temporal prediction are responsible of the related high hazard level. This research focuses its attention on the depositional phase of debris flows through the application of a numerical model (DFlowz), and on hazard evaluation related to watersheds morphometric, morphological and geological characterization. The main aims are to test the validity of DFlowz simulations and assess sources of errors in order to understand how the empirical uncertainties influence the predictions; on the other side the research concerns with the possibility of performing hazard analysis starting from the identification of susceptible debris flow catchments and definition of their activity level. 25 well documented debris flow events have been back analyzed with the model DFlowz (Berti and Simoni, 2007): derived form the implementation of the empirical relations between event volume and planimetric and cross section inundated areas, the code allows to delineate areas affected by an event by taking into account information about volume, preferential flow path and digital elevation model (DEM) of fan area. The analysis uses an objective methodology for evaluating the accuracy of the prediction and involve the calibration of the model based on factors describing the uncertainty associated to the semi empirical relationships. The general assumptions on which the model is based have been verified although the predictive capabilities are influenced by the uncertainties of the empirical scaling relationships, which have to be necessarily taken into account and depend mostly on errors concerning deposited volume estimation. In addition, in order to test prediction capabilities of physical-based models, some events have been simulated through the use of RAMMS (RApid Mass MovementS). The model, which has been developed by the Swiss Federal Institute for Forest, Snow and Landscape Research (WSL) in Birmensdorf and the Swiss Federal Institute for Snow and Avalanche Research (SLF) takes into account a one-phase approach based on Voellmy rheology (Voellmy, 1955; Salm et al., 1990). The input file combines the total volume of the debris flow located in a release area with a mean depth. The model predicts the affected area, the maximum depth and the flow velocity in each cell of the input DTM. Relatively to hazard analysis related to watersheds characterization, the database collected by the Alto Adige Province represents an opportunity to examine debris-flow sediment dynamics at the regional scale and analyze lithologic controls. With the aim of advancing current understandings about debris flow, this study focuses on 82 events in order to characterize the topographic conditions associated with their initiation , transportation and deposition, seasonal patterns of occurrence and examine the role played by bedrock geology on sediment transfer.
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In dieser Arbeit wurden im Rahmen der UTOPIHAN- und HOHPEX04-Projekte Peroxid- und Formaldehydmessungen in der Troposphäre durchgeführt und wissenschaftlich interpretiert. Die Messungen während UTOPIHAN fanden dabei an Bord eines für Forschungszwecke umgerüsteten Flugzeuges (Learjet 35A) im Wesentlichen in der freien, insbesondere in der oberen Troposphäre über Europa statt. Die Messungen während HOHPEX04 waren hingegen als Bodenmessungen an der sich abwechselnd in der bodennahen Grenzschicht und in von dieser Schicht entkoppelten Luftmassen liegenden Bergstation Hohenpeißenberg (bayerisches Voralpenland) konzipiert. Um eine quantitative Auswertbarkeit der Messungen sicherzustellen, wurden die verwendeten, auf chemischer Derivatisierung und fluorimetrischer Detektion basierenden Messgeräte AL 2001CA (Peroxide) und AL 4021 (Formaldehyd) (AEROLASER) genau charakterisiert. Dabei wurde speziell die bekannte Ozoninterferenz beider Geräte in einer großen Zahl von Laborexperimenten mit unterschiedlichen Randbedingungen bezüglich Wasserdampf- und Kohlenwasserstoffgehalt der Luft untersucht. Für beide Verbindungen wurden Höhen- sowie Breitenprofile erstellt und mit Ergebnissen eines 3D-Chemie-Transport-Modells (CTM) sowie früherer Studien verglichen. In einem weiteren Kapitel werden Ergebnisse einer quantitativen Studie zum Einfluss hochreichender Konvektion auf das HCHO-Budget in der mittleren und oberen Troposphäre präsentiert. Diese Studie kommt zu dem Schluss, dass der rasche Aufwärtstransport von Vorläufergasen von HCHO und HOx wie Methanol, Aceton und sogar gut löslicher Spurengase wie CH3OOH beziehungsweise H2O2 aus der Grenzschicht einen signifikanten, auf Grund der längeren Lebensdauer von NOx über mehrere Tage andauernden und damit großräumigen Einfluss auf die Budgets von HCHO, HOx und auch O3 in der oberen Troposphäre haben kann. Die Befunde der Studie legen desweiteren nahe, dass fehlerhafte Modellvorhersagen für die NO-Mischungsverhältnisse in der Tropopausenregion, die zum Beispiel mit Mängeln des Modells bezüglich der Höhe der Konvektion und des Stratosphären-Troposphären-Austauschs zu tun haben, hauptverantwortlich sind für gefundene Differenzen zwischen Messdaten und dem verwendeten 3D-Chemie-Transport-Modell. Um die Signifikanz der Aussagen zu erhöhen, wurde eine Sensitivitätsstudie durchgeführt, in der die Konzentration einiger chemischer Verbindungen sowie die Photolyseraten variiert wurden. Eine weitere Studie zum Einfluss verschiedener Parameter auf das CH3OOH/H2O2-Verhältnis kommt zu dem Schluss, dass dieses Verhältnis keinen idealen Indikator für Wolkenprozessierung von Luftmassen darstellt, während eine signifikant positive Abweichung vom H2O2/H2O-Verhältnis in der oberen Troposphäre ein guter Indikator für rasch aufwärts transportierte Luftmassen sein kann. Im Rahmen dieser Studie werden auch Höhen- und Breitenprofile des CH3OOH/H2O2-Verhältnisses diskutiert. In einer letzten Untersuchung zu HCHO-Messungen am Observatorium Hohenpeißenberg im Sommer 2004 werden für die in zwei Windrichtungssektoren eingeteilten Daten Korrelationen anderer Spurengase wie O3, PAN, CO, NOy und Isopren mit HCHO interpretiert. In diesem Zusammenhang wird auch versucht, den beobachteten Tagesgang von HCHO zu erklären.
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Das Attisch-Kykladische Massiv ist Teil der Helleniden, einem Gebirgszug im östlichen Mittelmeerraum zwischen Alpen und Himalaya. Seit dem späten Mesozoikum unterlag diese Region dem Einfluß der alpidischen Orogenphasen. Die vorliegende Arbeit befasst sich mit den präalpidischen Grundgebirgseinheiten der Kykladen, die durch grünschieferfaziell überprägte Gneise und Marmore repräsentiert werden. Diese wurden geochemisch und isotopisch analysiert. Geochemisch stellen sie granitische und granodioritische Orthogneise subalkalinen, peraluminösen Charakters dar. Ihre Haupt- und Spurenelementsignaturen deuten auf die Existenz separater Schmelzen ähnlicher krustaler Zusammensetzung hin. Dies reflektiert auch die Rb/Sr- und Sm/Nd-Isotopie mit Errorchronenaltern von ca. 310 Ma. Die 87Sr/86Sri-Zusammensetzung besitzt einen rel. niedrigen Mittelwert von 0.7072±0.0019. Das 143Nd/144Ndi-Verhältnis von 0.51187±0.00011 korrespondiert mit leicht erhöhten eNd-Werten zwischen -8 und –7, was auf komplex zusammengesetzte Ausgangsschmelzen deutet (Hybridtyp "Hs" ). Zirkonanalysen liefern magmatische Intrusionsalter von 300 Ma, ererbte Körner bis zu 2305±1 Ma, was die Beteiligung alter Kontinentalkruste belegt. Das Tectonic Setting befindet sich im aktiven Kontinentalrand und wird als VAG klassifiziert. Ausgewählte Marmore von Naxos weisen ein relativ niedriges 87Sr/86Sr-Verhältnis von 0.707295±0.000012 auf, das mit dem des Meerwassers während des Mittleren Juras übereinstimmt und mit dem Pb/Pb-Isochronenalter von 172±17 Ma korreliert
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The study of the objects LaTène type found in middle-eastern alpine region (Trentino Alto Adige-Südtirol, Engadina, North Tirol, Voralberg and Villach basin) is aimed to a better comprehension of the complex net of relationships established among the Celts, settled both in the central Europe territories and, since the IV century b.C., in the Po Plain, and the local populations. The ancient authors, who called the inhabitants of this area Raeti, propose for this territory the usual pattern according to which, the population of a region was formed consequently to a migration or was caused by the hunting of pre-existing peoples. The archaeologists, in the last thirty years, recognized a cultural facies typical of the middle-eastern alpine territory during the second Iron Age, and defined that as Fritzens-Sanzeno culture (from the sites of Fritzens, Inn valley, and Sanzeno, Non Valley). The so-called Fritzens-Sanzeno culture spread out without breaks from the material culture of the final Bronze Age and the first Iron Age. This local substratum, characterized by a ceramic repertoire strongly standardized, by peculiar architectural solutions and by a particular typology of rural sacred places (Brandopferplätze), accepted, above all during the second Iron Age, the strong influences coming from the Etruscan world and from the Celtic one (evident in the presence of objects of ornament, of glass artefacts, of elements of the weaponry and of coins). The objects LaTène type become, with different degrees of reliability, important markers of the relationships existing between the Celts and the Raeti, although the ways of interaction (cultural influence, people's movements, commercial exchanges, gifts among élites etc.) is not still clear. The revision of published data and the study of unpublished materials allows to define a rich and articulated picture both to chronological level and to territorial one.
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Spannungsumlagerungen in Mineralen und Gesteinen induzieren in geologisch aktiven Bereichen mikromechanische und seismische Prozesse, wodurch eine schwache natürliche elektromagnetische Strahlung im Niederfrequenzbereich emittiert wird. Die elektromagnetischen Emissionen von nichtleitenden Mineralen sind auf dielektrische Polarisation durch mehrere physikalische Effekte zurückzuführen. Eine gerichtete mechanische Spannung führt zu einer ebenso gerichteten elektromagnetischen Emission. Die Quellen der elektromagnetischen Emissionen sind bekannt, jedoch können sie noch nicht eindeutig den verschiedenen Prozessen in der Natur zugeordnet werden, weshalb im Folgenden von einem seismo-elektromagnetischen Phänomen (SEM) gesprochen wird. Mit der neuentwickelten NPEMFE-Methode (Natural Pulsed Electromagnetic Field of Earth) können die elektromagnetischen Impulse ohne Bodenkontakt registriert werden. Bereiche der Erdkruste mit Spannungsumlagerungen (z.B. tektonisch aktive Störungen, potenzielle Hangrutschungen, Erdfälle, Bergsenkungen, Firstschläge) können als Anomalie erkannt und abgegrenzt werden. Basierend auf dem heutigen Kenntnisstand dieser Prozesse wurden Hangrutschungen und Locker- und Festgesteine, in denen Spannungsumlagerungen stattfinden, mit einem neuentwickelten Messgerät, dem "Cereskop", im Mittelgebirgsraum (Rheinland-Pfalz, Deutschland) und im alpinen Raum (Vorarlberg, Österreich, und Fürstentum Liechtenstein) erkundet und die gewonnenen Messergebnisse mit klassischen Verfahren aus Ingenieurgeologie, Geotechnik und Geophysik in Bezug gesetzt. Unter Feldbedingungen zeigte sich großenteils eine gute Übereinstimmung zwischen den mit dem "Cereskop" erkundeten Anomalien und den mit den konventionellen Verfahren erkundeten Spannungszonen. Auf Grundlage der bisherigen Kenntnis und unter Einbeziehung von Mehrdeutigkeiten werden die Messergebnisse analysiert und kritisch beurteilt.
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This dissertation presents for the first time a survey of bird pollinated (ornithophilous) Salvia species. Within the approximately 1000 species of the worldwide distributed genus roughly 20% (186 spp.) are bird pollinated. Excepting four species in the Old World (South Africa and Madagascar), ornithophilous species are restricted to the New World where they represent about one third of the species. They occur mainly in higher altitudes (1500-3000m) and usually grow as shrubs or perennial herbs (97%). The bilabiate to tubular flowers are often red (at least 49%), averaging 35mm (7-130mm) in length and produce a large to medium volume of nectar with rather low sugar concentration. Pollination by sunbirds and white-eyes is documented in a South African species, and that by hummingbirds in 16 species of the New World (USA, Mexico, Guatemala and Bolivia). Beside pollinator observations, the functionality of the staminal levers, the process of pollen transfer and the fitting between flowers and birds are tested by inserting museum skins and metal rods into fresh flowers. The most surprising result is the finding of two different main pollen transfer mechanisms. In at least 54% of the species an active staminal lever mechanism enables pollen deposition on the birds body. This is illustrated in detail in the South African S. lanceolata at which birds were observed to release the lever mechanism and became dusted with pollen. In contrast, the lever mechanism in about 35% of the New World species is reduced in different ways. Pollen transfer by inactive ‘levers’ is demonstrated in detail in S. haenkei in Bolivia, at which four pollinating hummingbird species could be observed. The tubular corolla forced the birds in a specific position, thereby causing pollen transfer from the exserted pollen-sacs to the birds body. With respect to the floral diversity and systematic affiliation of the species, parallel evolution of ornithophily and lever reduction is likely. Considering that bird pollinated species might have derived from bee pollinated species and that the staminal levers have become secondarily inactive, it is concluded that the shift in pollinators induced phenotypic changes even disabling such a sophisticated structure as the staminal lever mechanism.
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Die Verifikation numerischer Modelle ist für die Verbesserung der Quantitativen Niederschlagsvorhersage (QNV) unverzichtbar. Ziel der vorliegenden Arbeit ist die Entwicklung von neuen Methoden zur Verifikation der Niederschlagsvorhersagen aus dem regionalen Modell der MeteoSchweiz (COSMO-aLMo) und des Globalmodells des Europäischen Zentrums für Mittelfristvorhersage (engl.: ECMWF). Zu diesem Zweck wurde ein neuartiger Beobachtungsdatensatz für Deutschland mit stündlicher Auflösung erzeugt und angewandt. Für die Bewertung der Modellvorhersagen wurde das neue Qualitätsmaß „SAL“ entwickelt. Der neuartige, zeitlich und räumlich hoch-aufgelöste Beobachtungsdatensatz für Deutschland wird mit der während MAP (engl.: Mesoscale Alpine Program) entwickelten Disaggregierungsmethode erstellt. Die Idee dabei ist, die zeitlich hohe Auflösung der Radardaten (stündlich) mit der Genauigkeit der Niederschlagsmenge aus Stationsmessungen (im Rahmen der Messfehler) zu kombinieren. Dieser disaggregierte Datensatz bietet neue Möglichkeiten für die quantitative Verifikation der Niederschlagsvorhersage. Erstmalig wurde eine flächendeckende Analyse des Tagesgangs des Niederschlags durchgeführt. Dabei zeigte sich, dass im Winter kein Tagesgang existiert und dies vom COSMO-aLMo gut wiedergegeben wird. Im Sommer dagegen findet sich sowohl im disaggregierten Datensatz als auch im COSMO-aLMo ein deutlicher Tagesgang, wobei der maximale Niederschlag im COSMO-aLMo zu früh zwischen 11-14 UTC im Vergleich zu 15-20 UTC in den Beobachtungen einsetzt und deutlich um das 1.5-fache überschätzt wird. Ein neues Qualitätsmaß wurde entwickelt, da herkömmliche, gitterpunkt-basierte Fehlermaße nicht mehr der Modellentwicklung Rechnung tragen. SAL besteht aus drei unabhängigen Komponenten und basiert auf der Identifikation von Niederschlagsobjekten (schwellwertabhängig) innerhalb eines Gebietes (z.B. eines Flusseinzugsgebietes). Berechnet werden Unterschiede der Niederschlagsfelder zwischen Modell und Beobachtungen hinsichtlich Struktur (S), Amplitude (A) und Ort (L) im Gebiet. SAL wurde anhand idealisierter und realer Beispiele ausführlich getestet. SAL erkennt und bestätigt bekannte Modelldefizite wie das Tagesgang-Problem oder die Simulation zu vieler relativ schwacher Niederschlagsereignisse. Es bietet zusätzlichen Einblick in die Charakteristiken der Fehler, z.B. ob es sich mehr um Fehler in der Amplitude, der Verschiebung eines Niederschlagsfeldes oder der Struktur (z.B. stratiform oder kleinskalig konvektiv) handelt. Mit SAL wurden Tages- und Stundensummen des COSMO-aLMo und des ECMWF-Modells verifiziert. SAL zeigt im statistischen Sinne speziell für stärkere (und damit für die Gesellschaft relevante Niederschlagsereignisse) eine im Vergleich zu schwachen Niederschlägen gute Qualität der Vorhersagen des COSMO-aLMo. Im Vergleich der beiden Modelle konnte gezeigt werden, dass im Globalmodell flächigere Niederschläge und damit größere Objekte vorhergesagt werden. Das COSMO-aLMo zeigt deutlich realistischere Niederschlagsstrukturen. Diese Tatsache ist aufgrund der Auflösung der Modelle nicht überraschend, konnte allerdings nicht mit herkömmlichen Fehlermaßen gezeigt werden. Die im Rahmen dieser Arbeit entwickelten Methoden sind sehr nützlich für die Verifikation der QNV zeitlich und räumlich hoch-aufgelöster Modelle. Die Verwendung des disaggregierten Datensatzes aus Beobachtungen sowie SAL als Qualitätsmaß liefern neue Einblicke in die QNV und lassen angemessenere Aussagen über die Qualität von Niederschlagsvorhersagen zu. Zukünftige Anwendungsmöglichkeiten für SAL gibt es hinsichtlich der Verifikation der neuen Generation von numerischen Wettervorhersagemodellen, die den Lebenszyklus hochreichender konvektiver Zellen explizit simulieren.
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Die Marantaceae (550 Arten) sind eine weltweit verbreitete Familie von Stauden und Lianen aus dem Unterwuchs tropischer Tieflandregenwälder. Der morphologisch-ökologische Vergleich des basal abzweigenden Sarcophrynium-Astes mit dem in abgeleiteter Position stehenden Marantochloa-Ast, soll beispielhaft evolutionäre Muster in der Familie beleuchten. So wird in der Doktorarbeit zum ersten Mal ein Überblick über die Blütenbiologie und Phylogenie von rund 30 der 40 afrikanischen Marantaceae Arten präsentiert. Die Analysen basieren auf Daten von drei mehrmonatigen Feldaufenthalten in Gabun jeweils zwischen September und Januar. Vier Blütentypen werden beschrieben, die jeweils mit einer spezifischen Bestäubergilde verbunden sind (kleine, mittlere, große Bienen bzw. Vögel). Bestäubungsexperimente belegen, dass 18 Arten selbstkompatibel, aber nur zwei Arten autogam sind, also keine Bestäubungsvermittler benötigen. Der Fruchtansatz ist generell gering (10 -30 %). Die komplexe Synorganisation der Blüte ermöglicht in den Marantaceae einen explosiven Bestäubungsmechanismus. Um dessen ökologische Funktionalität zu verstehen, werden die Blüten von 66 Arten, alle wichtigen Äste der Marantaceae abdeckend, unter einem morphologisch-funktionalen Gesichtspunkt untersucht. Es gibt große Übereinstimmungen zwischen allen untersuchten Arten im Zusammenspiel (Synorganisation) der wichtigsten Bauelemente (Griffel, Kapuzenblatt, Schwielenblatt), die eine präzise Pollenübertragung ermöglichen. Basierend auf Daten von nrDNA (ITS, 5S) und cpDNA (trnL-F) wird für ein nahezu komplettes Artenspektrum die Phylogenie der zwei afrikanischen Äste erstellt. Hierauf werden morphologische und ökologische Merkmale sowie geographischer Verbreitungsmuster nach dem Parsimonieprinzip rekonstruiert, um so deren evolutionäre Bedeutung für die Marantaceae abschätzen zu können. Die Ergebnisse weisen auf die Beteiligung einer Vielzahl verschiedener Artbildungsfaktoren hin.