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Leaf rust caused by Puccinia triticina is a serious disease of durum wheat (Triticum durum) worldwide. However, genetic and molecular mapping studies aimed at characterizing leaf rust resistance genes in durum wheat have been only recently undertaken. The Italian durum wheat cv. Creso shows a high level of resistance to P. triticina that has been considered durable and that appears to be due to a combination of a single dominant gene and one or more additional factors conferring partial resistance. In this study, the genetic basis of leaf rust resistance carried by Creso was investigated using 176 recombinant inbred lines (RILs) from the cross between the cv. Colosseo (C, leaf rust resistance donor) and Lloyd (L, susceptible parent). Colosseo is a cv. directly related to Creso with the leaf rust resistance phenotype inherited from Creso, and was considered as resistance donor because of its better adaptation to local (Emilia Romagna, Italy) cultivation environment. RILs have been artificially inoculated with a mixture of 16 Italian P. triticina isolates that were characterized for virulence to seedlings of 22 common wheat cv. Thatcher isolines each carrying a different leaf rust resistance gene, and for molecular genotypes at 15 simple sequence repeat (SSR) loci, in order to determine their specialization with regard to the host species. The characterization of the leaf rust isolates was conducted at the Cereal Disease Laboratory of the University of Minnesota (St. Paul, USA) (Chapter 2). A genetic linkage map was constructed using segregation data from the population of 176 RILs from the cross CL. A total of 662 loci, including 162 simple sequence repeats (SSRs) and 500 Diversity Arrays Technology markers (DArTs), were analyzed by means of the package EasyMap 0.1. The integrated SSR-DArT linkage map consisted of 554 loci (162 SSR and 392 DArT markers) grouped into 19 linkage blocks with an average marker density of 5.7 cM/marker. The final map spanned a total of 2022 cM, which correspond to a tetraploid genome (AABB) coverage of ca. 77% (Chapter 3). The RIL population was phenotyped for their resistance to leaf rust under artificial inoculation in 2006; the percentage of infected leaf area (LRS, leaf rust susceptibility) was evaluated at three stages through the disease developmental cycle and the area under disease progress curve (AUDPC) was then calculated. The response at the seedling stage (infection type, IT) was also investigated. QTL analysis was carried out by means of the Composite Interval Mapping method based on a selection of markers from the CL map. A major QTL (QLr.ubo-7B.2) for leaf rust resistance controlling both the seedling and the adult plant response, was mapped on the distal region of chromosome arm 7BL (deletion bin 7BL10-0.78-1.00), in a gene-dense region known to carry several genes/QTLs for resistance to rusts and other major cereal fungal diseases in wheat and barley. QLr.ubo-7B.2 was identified within a supporting interval of ca. 5 cM tightly associated with three SSR markers (Xbarc340.2, Xgwm146 e Xgwm344.2), and showed an R2 and an LOD peak value for the AUDPC equal to 72.9% an 44.5, respectively. Three additional minor QTLs were also detected (QLr.ubo-7B.1 on chr. 7BS; QLr.ubo-2A on chr. 2AL and QLr.ubo-3A on chr. 3AS) (Chapter 4). The presence of the major QTL (QLr.ubo-7B.2) was validated by a linkage disequilibrium (LD)-based test using field data from two different plant materials: i) a set of 62 advanced lines from multiple crosses involving Creso and his directly related resistance derivates Colosseo and Plinio, and ii) a panel of 164 elite durum wheat accessions representative of the major durum breeding program of the Mediterranean basin. Lines and accessions were phenotyped for leaf rust resistance under artificial inoculation in two different field trials carried out at Argelato (BO, Italy) in 2006 and 2007; the durum elite accessions were also evaluated in two additional field experiments in Obregon (Messico; 2007 and 2008) and in a green-house experiment (seedling resistance) at the Cereal Disease Laboratory (St. Paul, USA, 2008). The molecular characterization involved 14 SSR markers mapping on the 7BL chromosome region found to harbour the major QTL. Association analysis was then performed with a mixed-linear-model approach. Results confirmed the presence of a major QTL for leaf rust resistance, both at adult plant and at seedling stage, located between markers Xbarc340.2, Xgwm146 and Xgwm344.2, in an interval that coincides with the supporting interval (LOD-2) of QLr.ubo-7B.2 as resulted from the RIL QTL analysis. (Chapter 5). The identification and mapping of the major QTL associated to the durable leaf rust resistance carried by Creso, together with the identification of the associated SSR markers, will enhance the selection efficiency in durum wheat breeding programs (MAS, Marker Assisted Selection) and will accelerate the release of cvs. with durable resistance through marker-assisted pyramiding of the tagged resistance genes/QTLs most effective against wheat fungal pathogens.

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I RAEE (Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche) costituiscono un problema prioritario a livello europeo per quanto riguarda la loro raccolta, stoccaggio, trattamento, recupero e smaltimento, essenzialmente per i seguenti tre motivi: Il primo riguarda le sostanze pericolose contenute nei RAEE. Tali sostanze, nel caso non siano trattate in modo opportuno, possono provocare danni alla salute dell’uomo e all’ambiente. Il secondo è relativo alla vertiginosa crescita relativa al volume di RAEE prodotti annualmente. La crescita è dovuta alla continua e inesorabile commercializzazione di prodotti elettronici nuovi (è sufficiente pensare alle televisioni, ai cellulari, ai computer, …) e con caratteristiche performanti sempre migliori oltre all’accorciamento del ciclo di vita di queste apparecchiature elettriche ed elettroniche (che sempre più spesso vengono sostituiti non a causa del loro malfunzionamento, ma per il limitato livello di performance garantito). Il terzo (ed ultimo) motivo è legato all’ambito economico in quanto, un corretto trattamento dei RAEE, può portare al recupero di materie prime secondarie (alluminio, ferro, acciaio, plastiche, …) da utilizzare per la realizzazione di nuove apparecchiature. Queste materie prime secondarie possono anche essere vendute generando profitti considerevoli in ragione del valore di mercato di esse che risulta essere in costante crescita. Questo meccanismo ha portato a sviluppare un vasto quadro normativo che regolamenta tutto l’ambito dei RAEE dalla raccolta fino al recupero di materiali o al loro smaltimento in discarica. È importante inoltre sottolineare come lo smaltimento in discarica sia da considerarsi come una sorta di ‘ultima spiaggia’, in quanto è una pratica piuttosto inquinante. Per soddisfare le richieste della direttiva l’obiettivo dev’essere quello di commercializzare prodotti che garantiscano un minor impatto ambientale concentrandosi sul processo produttivo, sull’utilizzo di materiali ‘environmentally friendly’ e sulla gestione consona del fine vita. La Direttiva a livello europeo (emanata nel 2002) ha imposto ai Paesi la raccolta differenziata dei RAEE e ha definito anche un obiettivo di raccolta per tutti i suoi Stati Membri, ovvero 4 kg di RAEE raccolti annualmente da ogni abitante. Come riportato di seguito diversi paesi hanno raggiunto l’obiettivo sopra menzionato (l’Italia vi è riuscita nel 2010), ma esistono anche casi di paesi che devono necessariamente migliorare il proprio sistema di raccolta e gestione dei RAEE. Più precisamente in Italia la gestione dei RAEE è regolamentata dal Decreto Legislativo 151/2005 discusso approfonditamente in seguito ed entrato in funzione a partire dal 1° Gennaio 2008. Il sistema italiano è basato sulla ‘multi consortilità’, ovvero esistono diversi Sistemi Collettivi che sono responsabili della gestione dei RAEE per conto dei produttori che aderiscono ad essi. Un altro punto chiave è la responsabilità dei produttori, che si devono impegnare a realizzare prodotti durevoli e che possano essere recuperati o riciclati facilmente. I produttori sono coordinati dal Centro di Coordinamento RAEE (CDC RAEE) che applica e fa rispettare le regole in modo da rendere uniforme la gestione dei RAEE su tutto il territorio italiano. Il documento che segue sarà strutturato in quattro parti. La prima parte è relativa all’inquadramento normativo della tematica dei RAEE sia a livello europeo (con l’analisi della direttiva ROHS 2 sulle sostanze pericolose contenute nei RAEE e la Direttiva RAEE), sia a livello italiano (con un’ampia discussione sul Decreto Legislativo 151/2005 e Accordi di Programma realizzati fra i soggetti coinvolti). La seconda parte tratta invece il sistema di gestione dei RAEE descrivendo tutte le fasi principali come la raccolta, il trasporto e raggruppamento, il trattamento preliminare, lo smontaggio, il riciclaggio e il recupero, il ricondizionamento, il reimpiego e la riparazione. La terza definisce una panoramica delle principali metodologie di smaltimento dei 5 raggruppamenti di RAEE (R1, R2, R3, R4, R5). La quarta ed ultima parte riporta i risultati a livello italiano, europeo ed extra-europeo nella raccolta dei RAEE, avvalendosi dei report annuali redatti dai principali sistemi di gestione dei vari paesi considerati.

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ZusammenfassungDie Bildung von mittelozeanischen Rückenbasalten (MORB) ist einer der wichtigsten Stoffflüsse der Erde. Jährlich wird entlang der 75.000 km langen mittelozeanischen Rücken mehr als 20 km3 neue magmatische Kruste gebildet, das sind etwa 90 Prozent der globalen Magmenproduktion. Obwohl ozeanische Rücken und MORB zu den am meisten untersuchten geologischen Themenbereichen gehören, existieren weiterhin einige Streit-fragen. Zu den wichtigsten zählt die Rolle von geodynamischen Rahmenbedingungen, wie etwa Divergenzrate oder die Nähe zu Hotspots oder Transformstörungen, sowie der absolute Aufschmelzgrad, oder die Tiefe, in der die Aufschmelzung unter den Rücken beginnt. Diese Dissertation widmet sich diesen Themen auf der Basis von Haupt- und Spurenelementzusammensetzungen in Mineralen ozeanischer Mantelgesteine.Geochemische Charakteristika von MORB deuten darauf hin, dass der ozeanische Mantel im Stabilitätsfeld von Granatperidotit zu schmelzen beginnt. Neuere Experimente zeigen jedoch, dass die schweren Seltenerdelemente (SEE) kompatibel im Klinopyroxen (Cpx) sind. Aufgrund dieser granatähnlichen Eigenschaft von Cpx wird Granat nicht mehr zur Erklärung der MORB Daten benötigt, wodurch sich der Beginn der Aufschmelzung zu geringeren Drucken verschiebt. Aus diesem Grund ist es wichtig zu überprüfen, ob diese Hypothese mit Daten von abyssalen Peridotiten in Einklang zu bringen ist. Diese am Ozeanboden aufgeschlossenen Mantelfragmente stellen die Residuen des Aufschmelz-prozesses dar, und ihr Mineralchemismus enthält Information über die Bildungs-bedingungen der Magmen. Haupt- und Spurenelementzusammensetzungen von Peridotit-proben des Zentralindischen Rückens (CIR) wurden mit Mikrosonde und Ionensonde bestimmt, und mit veröffentlichten Daten verglichen. Cpx der CIR Peridotite weisen niedrige Verhältnisse von mittleren zu schweren SEE und hohe absolute Konzentrationen der schweren SEE auf. Aufschmelzmodelle eines Spinellperidotits unter Anwendung von üblichen, inkompatiblen Verteilungskoeffizienten (Kd's) können die gemessenen Fraktionierungen von mittleren zu schweren SEE nicht reproduzieren. Die Anwendung der neuen Kd's, die kompatibles Verhalten der schweren SEE im Cpx vorhersagen, ergibt zwar bessere Resultate, kann jedoch nicht die am stärksten fraktionierten Proben erklären. Darüber hinaus werden sehr hohe Aufschmelzgrade benötigt, was nicht mit Hauptelementdaten in Einklang zu bringen ist. Niedrige (~3-5%) Aufschmelzgrade im Stabilitätsfeld von Granatperidotit, gefolgt von weiterer Aufschmelzung von Spinellperidotit kann jedoch die Beobachtungen weitgehend erklären. Aus diesem Grund muss Granat weiterhin als wichtige Phase bei der Genese von MORB betrachtet werden (Kapitel 1).Eine weitere Hürde zum quantitativen Verständnis von Aufschmelzprozessen unter mittelozeanischen Rücken ist die fehlende Korrelation zwischen Haupt- und Spuren-elementen in residuellen abyssalen Peridotiten. Das Cr/(Cr+Al) Verhältnis (Cr#) in Spinell wird im Allgemeinen als guter qualitativer Indikator für den Aufschmelzgrad betrachtet. Die Mineralchemie der CIR Peridotite und publizierte Daten von anderen abyssalen Peridotiten zeigen, dass die schweren SEE sehr gut (r2 ~ 0.9) mit Cr# der koexistierenden Spinelle korreliert. Die Auswertung dieser Korrelation ergibt einen quantitativen Aufschmelz-indikator für Residuen, welcher auf dem Spinellchemismus basiert. Damit kann der Schmelzgrad als Funktion von Cr# in Spinell ausgedrückt werden: F = 0.10×ln(Cr#) + 0.24 (Hellebrand et al., Nature, in review; Kapitel 2). Die Anwendung dieses Indikators auf Mantelproben, für die keine Ionensondendaten verfügbar sind, ermöglicht es, geochemische und geophysikalischen Daten zu verbinden. Aus geodynamischer Perspektive ist der Gakkel Rücken im Arktischen Ozean von großer Bedeutung für das Verständnis von Aufschmelzprozessen, da er weltweit die niedrigste Divergenzrate aufweist und große Transformstörungen fehlen. Publizierte Basaltdaten deuten auf einen extrem niedrigen Aufschmelzgrad hin, was mit globalen Korrelationen im Einklang steht. Stark alterierte Mantelperidotite einer Lokalität entlang des kaum beprobten Gakkel Rückens wurden deshalb auf Primärminerale untersucht. Nur in einer Probe sind oxidierte Spinellpseudomorphosen mit Spuren primärer Spinelle erhalten geblieben. Ihre Cr# ist signifikant höher als die einiger Peridotite von schneller divergierenden Rücken und ihr Schmelzgrad ist damit höher als aufgrund der Basaltzusammensetzungen vermutet. Der unter Anwendung des oben erwähnten Indikators ermittelte Schmelzgrad ermöglicht die Berechnung der Krustenmächtigkeit am Gakkel Rücken. Diese ist wesentlich größer als die aus Schweredaten ermittelte Mächtigkeit, oder die aus der globalen Korrelation zwischen Divergenzrate und mittels Seismik erhaltene Krustendicke. Dieses unerwartete Ergebnis kann möglicherweise auf kompositionelle Heterogenitäten bei niedrigen Schmelzgraden, oder auf eine insgesamt größere Verarmung des Mantels unter dem Gakkel Rücken zurückgeführt werden (Hellebrand et al., Chem.Geol., in review; Kapitel 3).Zusätzliche Informationen zur Modellierung und Analytik sind im Anhang A-C aufgeführt

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Die vorliegende Arbeit beschäftigt sich mit Rubinen der drei derzeit bedeutendsten Vorkommen in Nord-Vietnam, mit ihrer Entstehung, ihrer Charakterisierung, ihrem Edelsteinpotential und ihren Materialeigenschaften im Kontext mit handelsüblichen Synthesen. Zur Erstellung der hierfür erforderlichen Datenbanken wurden sowohl phasenanalytische wie chemisch-analytische als auch spektroskopische Methoden benutzt und die Ergebnisse mit den Erkenntnissen klassischer gemmologischer Untersuchungsmethoden interpretiert. Die natürlichen Bildungsbedingungen der Rubine werden der granulit-faziellen Metamorphose der Day Nui Con Voi - Zone innerhalb der Red River Ailao Shan - Region Südostasiens zugerechnet. Marmore, Gneise und Mobilisationszonen zwischen sehr unterschiedlichen Gesteinen sind dabei zu Trägern von oxidischen Edelsteinmineralen wie Rubin und Spinell geworden, gleichzeitig entstandene Magmatite führen silikatische Edelsteinminerale wie Turmalin und Topas.Mit IR-, Ramanspektroskopie, Elektronstrahl-Mikrosonde und Edelsteinmikroskop werden Kaolinit, Boehmit, Glimmer, Diaspor, Calcit, Zirkon, Turmalin, Graphit, Rutil als charakterisierende Mineraleinschlüsse in vietnamesischen Rubinen bestimmt. Die chemische Zusammensetzung vietnamesischer und synthetischer Rubine wurde mit der Elektronenstrahl-Mikrosonde untersucht. Die vietnamesischen Rubine von Yen Bai, Luc Yen und Nghe An sind aufgrund spezieller Spurenelement-Kombinationen und auch durch Absolutgehalte bestimmter Elemente relativ sicher von Synthesen jeglicher Art zu unterscheiden; selbst die qualitativ besten Synthesen (Douros), die mit klassischen Methoden nur schwer als solche zu identifizieren sind, können von hochwertigen natürlichen Rubinen differenziert werden. Polarisierte Absorptionsspektren vietnamesischer Rubine zeigen die typischen Banden des Cr3+ in der Kristallstruktur des Rubins bei 17953 cm-1; 24570 cm-1 (E?c) sowie 17985 cm-1 und 25125 cm-1 (E//c). Sie entsprechen den Spinübergängen 4A2g?4T2g(4F) und 4A2g?4T1g(4F); eine zu beobachtende Verschiebung der Spektrenkante bei 32500 cm-1 zu 35000 cm-1 nach Temperaturbehandlung wird wahrscheinlich von V3+ verursacht. Mit Laser-Fluoreszenzspektroskopie wurden polarisierte Emissionsspektren von ausgewählten Rubinen mit spezieller Spurenelementchemie aufgenommen; dabei konnte die Schwächung der Fluoreszenzintensität von Cr durch Fe festgestellt werden. Die Emissionsspektren bestehen aus dem charakteristischen Chromdublett (R1 und R2 Linien bei etwa 693 nm und 694 nm), Seitenbanden in Stoke und anti Stoke-Bereich und n-Linien, die auf die Emission benachbarter, farbwirksamer Ionenpaare zurückzuführen sind. Das Verhältnis der Intensitäten der n-Linien bei 702 nm und 705 nm zu den Seitenbandenlinien bei 713 nm zeigt im untersuchten Cr3+-Konzentrationsbereich eine nahezu lineare Abhängigkeit zur Cr3+-Konzentration, unabhängig von der Anregungswellenlänge und der Fe-Konzentration. Die in vietnamesischen Rubinen häufig vorkommenden blauen Farbzonen werden durch elektronische Wechselwirkung von Fe2+/Fe3+ und Fe2+/Ti4+ -Kombinationen verursacht und können für den Edelstein schadlos durch geeignete Temperaturbehandlung eliminiert werden.

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Therapeutisches Drug Monitoring (TDM) wird zur individuellen Dosiseinstellung genutzt, um die Effizienz der Medikamentenwirkung zu steigern und das Auftreten von Nebenwirkungen zu senken. Für das TDM von Antipsychotika und Antidepressiva besteht allerdings das Problem, dass es mehr als 50 Medikamente gibt. Ein TDM-Labor muss dementsprechend über 50 verschiedene Wirkstoffe und zusätzlich aktive Metaboliten messen. Mit der Flüssigchromatographie (LC oder HPLC) ist die Analyse vieler unterschiedlicher Medikamente möglich. LC mit Säulenschaltung erlaubt eine Automatisierung. Dabei wird Blutserum oder -plasma mit oder ohne vorherige Proteinfällung auf eine Vorsäule aufgetragen. Nach Auswaschen von störenden Matrixbestandteilen werden die Medikamente auf einer nachgeschalteten analytischen Säule getrennt und über Ultraviolettspektroskopie (UV) oder Massenspektrometrie (MS) detektiert. Ziel dieser Arbeit war es, LC-Methoden zu entwickeln, die die Messung möglichst vieler Antipsychotika und Antidepressiva erlaubt und die für die TDM-Routine geeignet ist. Eine mit C8-modifiziertem Kieselgel gefüllte Säule (20 µm 10x4.0 mm I.D.) erwies sich in Vorexperimenten als optimal geeignet bezüglich Extraktionsverhalten, Regenerierbarkeit und Stabilität. Mit einer ersten HPLC-UV-Methode mit Säulenschaltung konnten 20 verschiedene Psychopharmaka einschließlich ihrer Metabolite, also insgesamt 30 verschiedene Substanzen quantitativ erfasst werden. Die Analysenzeit betrug 30 Minuten. Die Vorsäule erlaubte 150 Injektionen, die analytische Säule konnte mit mehr als 300 Plasmainjektionen belastet werden. Abhängig vom Analyten, musste allerdings das Injektionsvolumen, die Flussrate oder die Detektionswellenlänge verändert werden. Die Methode war daher für eine Routineanwendung nur eingeschränkt geeignet. Mit einer zweiten HPLC-UV-Methode konnten 43 verschiedene Antipsychotika und Antidepressiva inklusive Metaboliten nachgewiesen werden. Nach Vorreinigung über C8-Material (10 µm, 10x4 mm I.D.) erfolgte die Trennung auf Hypersil ODS (5 µm Partikelgröße) in der analytischen Säule (250x4.6 mm I.D.) mit 37.5% Acetonitril im analytischen Eluenten. Die optimale Flussrate war 1.5 ml/min und die Detektionswellenlänge 254 nm. In einer Einzelprobe, konnten mit dieser Methode 7 bis 8 unterschiedliche Substanzen gemessen werden. Für die Antipsychotika Clozapin, Olanzapin, Perazin, Quetiapin und Ziprasidon wurde die Methode validiert. Der Variationskoeffizient (VK%) für die Impräzision lag zwischen 0.2 und 6.1%. Im erforderlichen Messbereich war die Methode linear (Korrelationskoeffizienten, R2 zwischen 0.9765 und 0.9816). Die absolute und analytische Wiederfindung lagen zwischen 98 und 118 %. Die für das TDM erforderlichen unteren Nachweisgrenzen wurden erreicht. Für Olanzapin betrug sie 5 ng/ml. Die Methode wurde an Patienten für das TDM getestet. Sie erwies sich für das TDM als sehr gut geeignet. Nach retrospektiver Auswertung von Patientendaten konnte erstmalig ein möglicher therapeutischer Bereich für Quetiapin (40-170 ng/ml) und Ziprasidon (40-130 ng/ml) formuliert werden. Mit einem Massenspektrometer als Detektor war die Messung von acht Neuroleptika und ihren Metaboliten möglich. 12 Substanzen konnten in einem Lauf bestimmt werden: Amisulprid, Clozapin, N-Desmethylclozapin, Clozapin-N-oxid, Haloperidol, Risperidon, 9-Hydroxyrisperidon, Olanzapin, Perazin, N-Desmethylperazin, Quetiapin und Ziprasidon. Nach Vorreinigung mit C8-Material (20 µm 10x4.0 mm I.D.) erfolgte die Trennung auf Synergi MAX-RP C12 (4 µm 150 x 4.6 mm). Die Validierung der HPLC-MS-Methode belegten einen linearen Zusammenhang zwischen Konzentration und Detektorsignal (R2= 0,9974 bis 0.9999). Die Impräzision lag zwischen 0.84 bis 9.78%. Die für das TDM erforderlichen unteren Nachweisgrenzen wurden erreicht. Es gab keine Hinweise auf das Auftreten von Ion Suppression durch Matrixbestandteile. Die absolute und analytische Wiederfindung lag zwischen 89 und 107 %. Es zeigte sich, dass die HPLC-MS-Methode ohne Modifikation erweitert werden kann und anscheinend mehr als 30 verschiedene Psychopharmaka erfasst werden können. Mit den entwickelten flüssigchromatographischen Methoden stehen neue Verfahren für das TDM von Antipsychotika und Antidepressiva zur Verfügung, die es erlauben, mit einer Methode verschiedene Psychopharmaka und ihre aktiven Metabolite zu messen. Damit kann die Behandlung psychiatrischer Patienten insbesondere mit Antipsychotika verbessert werden.

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Introduction – Although imatinib (IM) is a recognized gold standard in chronic myeloid leukemia (CML) therapy, resistance has emerged in a significant proportion of patients. Aim – The aim of this study was: (1) to investigate the role of genetic variants in genes encoding for IM transporters, as candidate of IM responsiveness and (2) to test the influence of miRNAs on IM response, focusing on efflux transporters. Methods – As a first step, a panel of polymorphisms (SNPs) was genotyped in a subgroup population of 189 patients enrolled in the Tyrosine Kinase Inhibitor Optimization and Selectivity (TOPS) trial. The association with cytogenetic response and molecular response (MR) was assessed for each SNP. As a second step, an in vitro IM-resistant model (K-562 CML cell line) was established. miRNAs profiles were analyzed using Taqman arrays and in silico search was performed for miRNAs deregulated after IM treatment. mRNA and protein expression were quantified using TaqMan realtime PCR and Western blotting, respectively. Results – (1) Among Caucasian patients, ABCB1 rs60023214 significantly correlated with complete MR (P = 0.005). Concerning SNPs combination in IM uptake transporters, the associations with treatment outcomes were statistically significant for both major and complete MR (P = 0.005 and P = 0.01, respectively). (2) ABCB1 protein was not expressed under any conditions of treatment, differently from ABCG2. Two deregulated miRNAs, namely miR-212 and miR-328, were identified to be inversely correlated with ABCG2 (r2= 0.57; p=0.03 and r2=0.47; p=0.06, respectively). Experiments of loss and gain of function confirmed the functional influence of these miRNAs on ABCG2. Conclusion – The multiple candidate gene approach identified single and combination of SNPs that can be proposed as predictor of IM response. The in vitro study suggested that IM resistance could be mediated by miRNA-dependent mechanism. Further studies are needed to validate these preliminary findings.

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Background/Aims. Uremic Neuropathy (UN) highly limits the individual self-sufficiency causing near-continuous pain. An estimation of the actual UN prevalence among hemodialysis patients was the aim of the present work. Methods. We studied 225 prevalent dialysis patients from two Italian Centres. The Michigan Neuropathy Score Instrument (MNSI), already validated in diabetic neuropathy, was used for the diagnosis of UN. It consisted of a questionnaire (MNSI_Q) and a physical-clinical evaluation (MNSI_P). Patients without any disease possibly inducing secondary neuropathy and with MNSI score  3 have been diagnosed as affected by UN. Electroneurographic (ENG) lower limbs examination was performed in these patients to compare sensory conduction velocities (SCV) and sensory nerve action potentials (SNAP) with the MNSI results. Results. Thirtyseven patients (16.4%) were identified as being affected by UN, while 9 (4%) presented a score <3 in spite of neuropathic symptoms. In the 37 UN patients a significant correlation was found between MNSI_P and SCV (r2 = 0.1959; p<0.034) as well as SNAP (r2 = 0.3454; p=0.027) both measured by ENG. Conclusions. UN is an underestimated disease among the dialysis population even though it represents a huge problem in terms of pain and quality of life. MNSI could represent a valid and simple clinical-instrumental screening test for the early diagnosis of UN in view of an early therapeutic approach.

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Nell’ambito del presente lavoro sperimentale sono state prese in considerazione differenti tecniche, tradizionali ed innovative, per la determinazione del contenuto di acqua presente negli oli extravergine di oliva. Seppur presente nell'olio in quantità limitata, l'acqua é in grado di favorire la dissoluzione e veicolare componenti minori idrofilici (come le molecole a struttura fenolica e polifenolica) all'interno di micelle inverse che si creano nella matrice lipidica quando alla superficie acqua-olio si aggregano composti anfifilici (come i digliceridi, i monogliceridi, gli acidi grassi liberi, i fosfolipidi etc.) che danno luogo alla formazione di aggregati colloidali. I risultati ottenuti su un set di 60 campioni hanno evidenziato come esistano correlazioni positive e soddisfacenti tra le diverse metodiche analitiche tradizionali quali la titolazione titrimetrica di Karl Fisher e quelle gravimetriche per essiccamento in stufa o mediante termobilancia. La migliore correlazione in termini di R2 con valore pari a circa 0,82 è stata ottenuta tra i metodi Karl Fisher ed essiccamento in stufa, mentre per esempio quella tra i due metodi gravimetrici (stufa e termobilancia) ha fatto registrare un valore inferiore (0,70). Pur essendosi verificate delle soddisfacenti correlazioni tra le tre tecniche tradizionali, i valori del contenuto in acqua dei campioni si sono presentati variabili in funzione dell'utilizzo di una modalità di misurazione rispetto all'altra. Tale variabilità é funzione di diversi fattori: la difficoltà di determinare l'acqua fortemente legata nel caso dei metodi per essiccamento; la perdita in peso causata anche da altri componenti in grado di volatilizzare alle condizioni analitiche adottate; la possibilità di formazione di composti non originariamente presenti come risultato di modificazioni chimiche indotte dall'elevata temperatura. Il contenuto di acqua è stato quindi stimato anche mediante una tecnica innovativa a basso costo basata su misure dielettriche. Considerato che l’olio extravergine di oliva è noto essere un ottimo isolante, il fenomeno dielettrico osservato risulta essere di natura capacitiva. Il risultato di correlazione ottenuto su un set di 23 oli extravergini di oliva applicando in parallelo questa tecnica rapida e la misura gravimetrica con stufa (che é un metodo ISO), è da considerarsi soddisfacente, con un R2 pari anche in questo caso a 0,82. In conclusione, le tecniche attualmente utilizzate per la determinazione del contenuto di acqua in oli extravergine di oliva risultano tra loro correlate. Considerando che tali tecniche tradizionali sono dispendiose o in termini di tempo (gravimetrico mediante stufa) o in termini di consumo di reagenti e solventi (titrimetrico con reattivo di Karl Fischer), il nuovo approccio sperimentato mediante misure capacitive può essere considerato molto interessante anche se, sicuramente, sarà da applicare ad un numero più ampio di campioni per rendere l'evidenza sperimentale più robusta.

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Iodine chemistry plays an important role in the tropospheric ozone depletion and the new particle formation in the Marine Boundary Layer (MBL). The sources, reaction pathways, and the sinks of iodine are investigated using lab experiments and field observations. The aims of this work are, firstly, to develop analytical methods for iodine measurements of marine aerosol samples especially for iodine speciation in the soluble iodine; secondly, to apply the analytical methods in field collected aerosol samples, and to estimate the characteristics of aerosol iodine in the MBL. Inductively Coupled Plasma – Mass Spectrometry (ICP-MS) was the technique used for iodine measurements. Offline methods using water extraction and Tetra-methyl-ammonium-hydroxide (TMAH) extraction were applied to measure total soluble iodine (TSI) and total insoluble iodine (TII) in the marine aerosol samples. External standard calibration and isotope dilution analysis (IDA) were both conducted for iodine quantification and the limits of detection (LODs) were both 0.1 μg L-1 for TSI and TII measurements. Online couplings of Ion Chromatography (IC)-ICP-MS and Gel electrophoresis (GE)-ICP-MS were both developed for soluble iodine speciation. Anion exchange columns were adopted for IC-ICP-MS systems. Iodide, iodate, and unknown signal(s) were observed in these methods. Iodide and iodate were separated successfully and the LODs were 0.1 and 0.5 μg L-1, respectively. Unknown signals were soluble organic iodine species (SOI) and quantified by the calibration curve of iodide, but not clearly identified and quantified yet. These analytical methods were all applied to the iodine measurements of marine aerosol samples from the worldwide filed campaigns. The TSI and TII concentrations (medians) in PM2.5 were found to be 240.87 pmol m-3 and 105.37 pmol m-3 at Mace Head, west coast of Ireland, as well as 119.10 pmol m-3 and 97.88 pmol m-3 in the cruise campaign over the North Atlantic Ocean, during June – July 2006. Inorganic iodine, namely iodide and iodate, was the minor iodine fraction in both campaigns, accounting for 7.3% (median) and 5.8% (median) in PM2.5 iodine at Mace Head and over the North Atlantic Ocean, respectively. Iodide concentrations were higher than iodate in most of the samples. In the contrast, more than 90% of TSI was SOI and the SOI concentration was correlated significantly with the iodide concentration. The correlation coefficients (R2) were both higher than 0.5 at Mace Head and in the first leg of the cruise. Size fractionated aerosol samples collected by 5 stage Berner impactor cascade sampler showed similar proportions of inorganic and organic iodine. Significant correlations were obtained in the particle size ranges of 0.25 – 0.71 μm and 0.71 – 2.0 μm between SOI and iodide, and better correlations were found in sunny days. TSI and iodide existed mainly in fine particle size range (< 2.0 μm) and iodate resided in coarse range (2.0 – 10 μm). Aerosol iodine was suggested to be related to the primary iodine release in the tidal zone. Natural meteorological conditions such as solar radiation, raining etc were observed to have influence on the aerosol iodine. During the ship campaign over the North Atlantic Ocean (January – February 2007), the TSI concentrations (medians) ranged 35.14 – 60.63 pmol m-3 among the 5 stages. Likewise, SOI was found to be the most abundant iodine fraction in TSI with a median of 98.6%. Significant correlation also presented between SOI and iodide in the size range of 2.0 – 5.9 μm. Higher iodate concentration was again found in the higher particle size range, similar to that at Mace Head. Airmass transport from the biogenic bloom region and the Antarctic ice front sector was observed to play an important role in aerosol iodine enhancement. The TSI concentrations observed along the 30,000 km long cruise round trip from East Asia to Antarctica during November 2005 – March 2006 were much lower than in the other campaigns, with a median of 6.51 pmol m-3. Approximately 70% of the TSI was SOI on average. The abundances of inorganic iodine including iodine and iodide were less than 30% of TSI. The median value of iodide was 1.49 pmol m-3, which was more than four fold higher than that of iodate (median, 0.28 pmol m-3). Spatial variation indicated highest aerosol iodine appearing in the tropical area. Iodine level was considerably lower in coastal Antarctica with the TSI median of 3.22 pmol m-3. However, airmass transport from the ice front sector was correlated with the enhance TSI level, suggesting the unrevealed source of iodine in the polar region. In addition, significant correlation between SOI and iodide was also shown in this campaign. A global distribution in aerosol was shown in the field campaigns in this work. SOI was verified globally ubiquitous due to the presence in the different sampling locations and its high proportion in TSI in the marine aerosols. The correlations between SOI and iodide were obtained not only in different locations but also in different seasons, implying the possible mechanism of iodide production through SOI decomposition. Nevertheless, future studies are needed for improving the current understanding of iodine chemistry in the MBL (e.g. SOI identification and quantification as well as the update modeling involving organic matters).

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This study was aimed to correlate the results of relative germination from in vitro tests by trifloxystrobin with those of qPCR on a wide range of V. inaequalis populations and monoconidial isolates. Samples were collected in Italian and Turkish distinct locations from orchards with different scab management. In this study, an allele-specific qPCR with primer sets designed was successfully developed to quantitatively determine the frequency of QoI-resistant allele G143A in populations and monoconidial isolates of V. inaequalis. qPCR followed a similar pattern to that obtained using in vitro conidial germination test in very sensitive and very resistant populations. However, the variability between two test results was observed in hetereogenous populations. Therefore, the results of correlations between in vitro and qPCR showed a positive but not very high correlation for Venturia inaequalis populations (R2=0.70). On the contrary, this correlation between two assessment methods was very high for monoconidial isolates (R2=0.92). Results obtained in quantitative PCR and from traditional spore germination assay differed for the same fungal population and in some cases, it is difficult to assess the resistance in the field by only qPCR. It was concluded that it is not always possible to correlate the frequency of detection of the mutation with biological assessment. In such situations, monitoring by molecular techniques must be supported by standard in vitro resistance assessments and observation of field performance in order to have correct conclusions.

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Wasserlösliche organische Verbindungen (WSOCs) sind Hauptbestandteile atmosphärischer Aerosole, die bis zu ~ 50% und mehr der organischen Aerosolfraktion ausmachen. Sie können die optischen Eigenschaften sowie die Hygroskopizität von Aerosolpartikeln und damit deren Auswirkungen auf das Klima beeinflussen. Darüber hinaus können sie zur Toxizität und Allergenität atmosphärischer Aerosole beitragen.In dieser Studie wurde Hochleistungsflüssigchromatographie gekoppelt mit optischen Diodenarraydetektion und Massenspektrometrie (HPLC-DAD-MS und HPLC-MS/MS) angewandt, um WSOCs zu analysieren, die für verschiedene Aerosolquellen und -prozesse charakteristisch sind. Niedermolekulare Carbonsäuren und Nitrophenole wurden als Indikatoren für die Verbrennung fossiler Brennstoffe und die Entstehung sowie Alterung sekundärer organischer Aerosole (SOA) aus biogenen Vorläufern untersucht. Protein-Makromoleküle wurden mit Blick auf den Einfluss von Luftverschmutzung und Nitrierungsreaktionen auf die Allergenität primärer biologischer Aerosolpartikel – wie Pollen und Pilzsporen – untersucht.rnFilterproben von Grob- und Feinstaubwurden über ein Jahr hinweg gesammelt und auf folgende WSOCs untersucht: die Pinen-Oxidationsprodukte Pinsäure, Pinonsäure und 3-Methyl-1,2,3-Butantricarbonsäure (3-MBTCA) sowie eine Vielzahl anderer Dicarbonsäuren und Nitrophenole. Saisonale Schwankungen und andere charakteristische Merkmale werden mit Blick auf Aerosolquellen und -senken im Vergleich zu Daten anderen Studien und Regionen diskutiert. Die Verhätlnisse von Adipinsäure und Phthalsäure zu Azelainsäure deuten darauf hin, dass die untersuchten Aerosolproben hauptsächlich durch biogene Quellen beeinflusst werden. Eine ausgeprägte Arrhenius-artige Korrelation wurde zwischen der 3-MBTCA-¬Konzentration und der inversen Temperatur beobachtet (R2 = 0.79, Ea = 126±10 kJ mol-1, Temperaturbereich 275–300 K). Modellrechnungen zeigen, dass die Temperaturabhängigkeit auf eine Steigerung der photochemischen Produktionsraten von 3-MBTCA durch erhöhte OH-Radikal-Konzentrationen bei erhöhten Temperaturen zurückgeführt werden kann. Im Vergleich zur chemischen Reaktionskinetik scheint der Einfluss von Gas-Partikel-Partitionierungseffekten nur eine untergeordnete Rolle zu spielen. Die Ergebnisse zeigen, dass die OH-initiierte Oxidation von Pinosäure der geschwindigkeitsbestimmende Schritt der Bildung von 3-MBTCA ist. 3-MBTCA erscheint somit als Indikator für die chemische Alterung von biogener sekundärer organischer Aerosole (SOA) durch OH-Radikale geeignet. Eine Arrhenius-artige Temperaturabhängigkeit wurde auch für Pinäure beobachtet und kann durch die Temperaturabhängigkeit der biogenen Pinen-Emissionen als geschwindigkeitsbestimmender Schritt der Pinsäure-Bildung erklärt werden (R2 = 0.60, Ea = 84±9 kJ mol-1).rn rnFür die Untersuchung von Proteinnitrierungreaktionen wurde nitrierte Protein¬standards durch Flüssigphasenreaktion von Rinderserumalbumin (BSA) und Ovalbumin (OVA) mit Tetranitromethan (TNM) synthetisiert.Proteinnitrierung erfolgt vorrangig an den Resten der aromatischen Aminosäure Tyrosin auf, und mittels UV-Vis-Photometrie wurde der Proteinnnitrierungsgrad (ND) bestimmt. Dieser ist definiert als Verhältnis der mittleren Anzahl von Nitrotyrosinresten zur Tyrosinrest-Gesamtzahl in den Proteinmolekülen. BSA und OVA zeigten verschiedene Relationen zwischen ND und TNM/Tyrosin-Verhältnis im Reaktionsgemisch, was vermutlich auf Unterschiede in den Löslichkeiten und den molekularen Strukturen der beiden Proteine zurück zu führen ist.rnDie Nitrierung von BSA und OVA durch Exposition mit einem Gasgemisch aus Stickstoffdioxid (NO2) und Ozon (O3) wurde mit einer neu entwickelten HPLC-DAD-¬Analysemethode untersucht. Diese einfache und robuste Methode erlaubt die Bestimmung des ND ohne Hydrolyse oder Verdau der untersuchten Proteine und ernöglicht somit eine effiziente Untersuchung der Kinetik von Protein¬nitrierungs-Reaktionen. Für eine detaillierte Produktstudien wurden die nitrierten Proteine enzymatisch verdaut, und die erhaltenen Oligopeptide wurden mittels HPLC-MS/MS und Datenbankabgleich mit hoher Sequenzübereinstimmung analysiert. Die Nitrierungsgrade individueller Nitrotyrosin-Reste (NDY) korrelierten gut mit dem Gesamt-Proteinnitrierungsgrad (ND), und unterschiedliche Verhältnisse von NDY zu ND geben Aufschluss über die Regioselektivität der Reaktion. Die Nitrierungmuster von BSA und OVA nach Beahndlung mit TNM deuten darauf hin, dass die Nachbarschaft eines negativ geladenen Aminosäurerestes die Tyrosinnitrierung fördert. Die Behandlung von BSA durch NO2 und O3 führte zu anderend Nitrierungemustern als die Behandlung mit TNM, was darauf hindeutet, dass die Regioselektivität der Nitrierung vom Nitrierungsmittel abhängt. Es zeigt sich jedoch, dass Tyrosinreste in Loop-Strukturen bevorzugt und unabhängig vom Reagens nitriert werden.Die Methoden und Ergebnisse dieser Studie bilden eine Grundlage für weitere, detaillierte Untersuchungen der Reaktionskinetik sowie der Produkte und Mechanismen von Proteinnitrierungreaktionen. Sie sollen helfen, die Zusammenhänge zwischen verkehrsbedingten Luftschadstoffen wie Stickoxiden und Ozon und der Allergenität von Luftstaub aufzuklären.rn

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In wheat, stem rust is known to rapidly evolve new virulence to resistance genes. While more than 50 stem rust resistance (Sr) loci have been identified in wheat, only a few remain effective, particularly against the highly virulent race Ug99 (TTKSK race) and a mixture of durum-specific races. An association mapping (AM) study based on 183 durum wheat accessions was utilized to identify resistance loci for stem rust response in Ethiopia over four seasons and artificial inoculation with Ug99 (TTKSK race) and a mixture of durum-specific races under field conditions as well as in greenhouse test at seedling stage under controlled conditions for resistance to four highly virulent stem rust races: TRTTF, TTTTF, (TTKSK (Ug99) and JRCQC. The panel was profiled with 1,253 SSR and DArT markers. Twelve QTL-tagging markers were significant (P < 0.05) across three to four seasons. The role of Sr13, Sr9, Sr14, Sr17, and Sr28 was confirmed. Thirteen significant markers were in regions with no Sr genes/QTLs. The results under controlled conditions showed that 15, 20, 19 and 19 chromosome regions harbored markers that showed significant effects for races TRTTF, TTTTF, TTKSK and JRCQC, respectively. These genomic regions showed marker R2 values ranging from 1.13 to 8.34, 1.92 to 17.64, 1.75 to 23.12 and 1.51 to 15.33% for races TRTTF, TTTTF, TTKSK and JRCQC, respectively. The study demonstrates that stem rust resistance in durum wheat is governed in part by shared loci and in part by race-specific ones. The QTLs identified in this study through AM will be useful in the marker-assisted development of durum wheat cultivars with durable stem rust resistance.