996 resultados para Allo-antigène
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Il metodo Hartree-Fock permette di determinare approssimativamente la funzione d'onda e l'energia per atomi a più elettroni in uno stato stazionario. Più in generale, si applica a sistemi quantistici a N-corpi, per studiare, ad esempio, gli elettroni nelle molecole e nei solidi. Il punto di partenza di questo metodo è il modello della particella indipendente; sotto questa ipotesi, ogni elettrone del sistema è descritto dalla propria funzione d'onda. Il contributo di D. R. Hartree allo studio della struttura di atomi complessi consiste nell'aver formulato le equazioni per le funzioni d'onda dei singoli elettroni usando argomentazioni intuitive e nell'avere inoltre proposto, per la loro risoluzione, una procedura iterativa basata sul requisito di autoconsistenza. La generalizzazione del suo metodo, che tiene conto del requisito di antisimmetria imposto dal principio di esclusione di Pauli, fu formulata da V. A. Fock e J. C. Slater. Con tale tecnica si assume che la funzione d'onda totale a N-elettroni sia un determinante di Slater, ovvero un prodotto antisimmetrico di orbitali relativi a singoli elettroni. Il determinante di Slater ottimale si ottiene usando il metodo variazionale per individuare i migliori spin-orbitali.
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Il presente lavoro si propone di sviluppare una analogia formale tra sistemi dinamici e teoria della computazione in relazione all’emergenza di proprietà biologiche da tali sistemi. Il primo capitolo sarà dedicato all’estensione della teoria delle macchine di Turing ad un più ampio contesto di funzioni computabili e debolmente computabili. Mostreremo quindi come un sistema dinamico continuo possa essere elaborato da una macchina computante, e come proprietà informative quali l’universalità possano essere naturalmente estese alla fisica attraverso questo ponte formale. Nel secondo capitolo applicheremo i risultati teorici derivati nel primo allo sviluppo di un sistema chimico che mostri tali proprietà di universalità, ponendo particolare attenzione alla plausibilità fisica di tale sistema.
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Effettuando un’analisi della condizione attuale del parco edilizio che costituisce le nostre città e periferie, ciò che si può rilevare è che questo, allo stato attuale, risulta in condizioni di grave degrado tecnologico, energetico, sociale ed architettonico. Diviene pertanto necessario intervenire su questa ampia porzione di città. A tal fine possono essere attuati due metodi di intervento: la trasformazione dell’esistente attraverso la completa sostituzione dei manufatti edilizi, oppure la riqualificazione dell’esistente con opere mirate. Questo secondo modello di intervento ha il pregio di riconoscere il valore culturale del tessuto edilizio esistente, puntando a criteri di sviluppo sostenibile, e guardando ai manufatti esistenti riconoscendone il potenziale economico ed architettonico. Allo stato attuale pertanto la disciplina punta a questo secondo metodo di intervento ricercando soluzioni in grado di modificare le prestazioni dell’edificio fino a renderle soddisfacenti in rapporto alle nuove esigenze ambientali, economiche, del vivere contemporaneo dell’individuo e della collettività nel suo complesso. Tra le opere che possono essere attuate al fine di riqualificare queste preziose aree, oltre a quelle di riqualificazione che mirano al miglioramento del comportamento energetico e della qualità architettonica dell’edificio esistente, si considera anche l’intervento per addizione, che permette la densificazione dei tessuti esistenti attraverso l’aumento del numero di alloggi sociali e l’implementazione dei servizi. In questo modo si va ad implementare e completare la gamma di prestazioni di un manufatto edilizio che non è più in grado di soddisfare tutte quelle esigenze del vivere contemporaneo. Il risultato finale è quindi un sistema edilizio che, grazie all’intervento, può vantare una valorizzazione complessiva del patrimonio immobiliare, grazie agli elevati livelli di prestazione energetica, alle condizioni di vivibilità eccellenti raggiunte e alla migliorata qualità architettonica.
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* naissance 18.6.1876 à Zofingue,décès 15.10.1960 à Zofingue, prot., de Zofingue. Fils de Johann Franz Emil, imprimeur, et d'Elisabeth Caroline Steiner. ∞ 1) Ida Brack, 2) Emmy Mathys. Apprentissage d'imprimeur. R. reprit la petite entreprise de son père en 1898. Il en fit la principale imprimerie et maison d'édition de Suisse en adoptant et développant le procédé de l'héliogravure. R. édita de nombreuses revues et journaux, dont la Schweizer Illustrierte Zeitung dès 1911 (Schweizer Illustrierte depuis 1965), L'Illustré à partir de 1921 et le Blick dès 1959. Bibliographie – B. Meier, T. Häussler, Zwischen Masse, Markt und Macht, 2009
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Joint hemorrhages are very common in patients with severe hemophilia. Inhibitors in patients with hemophilia are allo-antibodies that neutralize the activity of the clotting factor. After total knee replacement, rare intra-articular bleeding complications might occur that do not respond to clotting factor replacement. We report a 40-year-old male with severe hemophilia A and high responding inhibitors presenting with recurrent knee joint hemorrhage after bilateral knee prosthetic surgery despite adequate clotting factor treatment. There were two episodes of marked postoperative hemarthrosis requiring extensive use of substitution therapy. Eleven days postoperatively, there was further hemorrhage into the right knee. Digital subtraction angiography diagnosed a complicating pseudoaneurysm of the inferior lateral geniculate artery and embolization was successfully performed. Because clotting factor replacement therapy has proved to be excessively expensive and prolonged, especially in patients with inhibitors, we recommend the use of cost-effective early angiographic embolization.
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Acute or even hyperacute humoral graft rejection, mediated by classical pathway complement activation, occurs in allo- and xenotransplantation due to preformed anti-graft antibodies. Intravenous immunoglobulin (IVIg) preparations can prevent complement-mediated tissue injury and delay hyperacute xenograft rejection. It is known that IgM-enriched IVIg (IVIgM) has a higher capacity to block complement than IVIgG. Different IVIgs were therefore tested for specificity of complement inhibition and effect on anti-bacterial activity of human serum. IVIgM-I (Pentaglobin), 12% IgM), IVIgM-II (IgM-fraction of IVIgM-I, 60% IgM), and three different IVIgG (all >95% IgG) were used. The known complement inhibitor dextran sulfate was used as control. Hemolytic assays were performed to analyze pathway-specificity of complement inhibition. Effects of IVIg on complement deposition on pig cells and Escherichia coli were assessed by flow cytometry and cytotoxicity as well as bactericidal assays. Complement inhibition by IVIgM was specific for the classical pathway, with IC50 values of 0.8 mg/ml for IVIgM-II and 1.7 mg/ml for IVIgM-I in the CH50 assay. Only minimal inhibition of the lectin pathway was seen with IVIgM-II (IC50 15.5 mg/ml); no alternative pathway inhibition was observed. IVIgG did not inhibit complement in any hemolytic assay. Classical pathway complement inhibition by IVIgM was confirmed in an in vitro xenotransplantation model with PK15 cells. In contrast, IVIgM did not inhibit (mainly alternative pathway mediated) killing of E. coli by human serum. In conclusion, IgM-enriched IVIg is a specific inhibitor of the classical complement pathway, leaving the alternative pathway intact, which is an important natural anti-bacterial defense, especially for immunosuppressed patients.
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Zusammenfassung: Der Zürcher Universalgelehrte Konrad Gessner (1516-1565) war die zentrale Figur einer Welle der Bergbegeisterung, die knapp zweihundert Jahre vor Albrecht von Hallers Epoche machendem Lehrgedicht 'Die Alpen' theologische, philologische und naturwissenschaftliche Lebensentwürfe verband und sich an den Wundern der Gebirgsland-schaft berauschte. In diesen Umkreis gehört der Bericht des Berner Humanisten Benedikt Aretius über die Besteigung der beiden Voralpengipfel Stockhorn und Niesen im Jahr 1557. Die nachfolgenden Überlegungen zu den darin genannten Namen für den Berg Niesen (Nessus, Niesen, Jesen, Stalden, Zum wilden Andres) zeigen, dass Aretius Ausführungen hauptsächlich als Hommage an den Zeitgeist und an den Freund Konrad Gessner zu lesen sind – auch und vor allem die darin enthaltenen etymologischen Versuche und Anspielungen.
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1944/1945 wurde in Cham-Hagendorn eine Wassermühle ausgegraben, die dank ihrer aussergewöhnlich guten Holzerhaltung seit langem einen prominenten Platz in der Forschung einnimmt. 2003 und 2004 konnte die Kantonsarchäologie Zug den Platz erneut archäologisch untersuchen. Dabei wurden nicht nur weitere Reste der Wassermühle, sondern auch Spuren älterer und jüngerer Anlagen geborgen: eine ältere und eine jüngere Schmiedewerkstatt (Horizont 1a/Horizont 3) sowie ein zweiphasiges Heiligtum (Horizonte 1a/1b). All diese Anlagen lassen sich nun in das in den neuen Grabungen erkannte stratigraphische Gerüst einhängen (s. Beil. 2). Dank der Holzerhaltung können die meisten Phasen dendrochronologisch datiert werden (s. Abb. 4.1/1a): Horizont 1a mit Schlagdaten zwischen 162(?)/173 und 200 n. Chr., Horizont 1b um 215/218 n. Chr. und Horizont 2 um 231 n. Chr. Ferner konnten in den neuen Grabungen Proben für mikromorphologische und archäobotanische Untersuchungen entnommen werden (Kap. 2.2; 3.11). In der vorliegenden Publikation werden der Befund und die Baustrukturen vorgelegt, (Kap. 2), desgleichen sämtliche stratifizierten Funde und eine umfassende Auswahl der 1944/1945 geborgenen Funde (Kap. 3). Dank anpassender Fragmente, sog. Passscherben, lassen sich diese zum Teil nachträglich in die Schichtenabfolge einbinden. Die mikromorphologischen und die archäobotanischen Untersuchungen (Kap. 2.2; 3.11) zeigen, dass der Fundplatz in römischer Zeit inmitten einer stark vom Wald und dem Fluss Lorze geprägten Landschaft lag. In unmittelbarer Nähe können weder eine Siedlung noch einzelne Wohnbauten gelegen haben. Die demnach nur gewerblich und sakral genutzten Anlagen standen an einem Bach, der vermutlich mit jenem Bach identisch ist, der noch heute das Groppenmoos entwässert und bei Cham-Hagendorn in die Lorze mündet (s. Abb. 2.4/1). Der antike Bach führte wiederholt Hochwasser ─ insgesamt sind fünf grössere Überschwemmungsphasen auszumachen (Kap. 2.2; 2.4). Wohl anlässlich eines Seehochstandes durch ein Überschwappen der Lorze in den Bach ausgelöst, müssen diese Überschwemmungen eine enorme Gewalt entwickelt haben, der die einzelnen Anlagen zum Opfer fielen. Wie die Untersuchung der Siedlungslandschaft römischer Zeit rund um den Zugersee wahrscheinlich macht (Kap. 6 mit Abb. 6.2/2), dürften die Anlagen von Cham-Hagendorn zu einer in Cham-Heiligkreuz vermuteten Villa gehören, einem von fünf grösseren Landgütern in diesem Gebiet. Hinweise auf Vorgängeranlagen fehlen, mit denen die vereinzelten Funde des 1. Jh. n. Chr. (Kap. 4.5) in Verbindung gebracht werden könnten. Diese dürften eher von einer der Überschwemmungen bachaufwärts weggerissen und nach Cham-Hagendorn eingeschwemmt worden sein. Die Nutzung des Fundplatzes (Horizont 1a; s. Beil. 6) setzte um 170 n. Chr. mit einer Schmiedewerkstatt ein (Kap. 2.5.1). Der Fundanfall, insbesondere die Schmiedeschlacken (Kap. 3.9) belegen, dass hier nur hin und wieder Geräte hergestellt und repariert wurden (Kap. 5.2). Diese Werkstatt war vermutlich schon aufgelassen und dem Verfall preisgegeben, als man 200 n. Chr. (Kap. 4.2.4) auf einer Insel zwischen dem Bach und einem Lorzearm ein Heiligtum errichtete (Kap. 5.3). Beleg für den sakralen Status dieser Insel ist in erster Linie mindestens ein eigens gepflanzter Pfirsichbaum, nachgewiesen mit Pollen, einem Holz und über 400 Pfirsichsteinen (Kap. 3.11). Die im Bach verlaufende Grenze zwischen dem sakralen Platz und der profanen Umgebung markierte man zusätzlich mit einer Pfahlreihe (Kap. 2.5.3). In diese war ein schmaler Langbau integriert (Kap. 2.5.2), der an die oft an Temenosmauern antiker Heiligtümer angebauten Portiken erinnert und wohl auch die gleiche Funktion wie diese gehabt hatte, nämlich das Aufbewahren von Weihegaben und Kultgerät (Kap. 5.3). Das reiche Fundmaterial, das sich in den Schichten der ersten Überschwemmung fand (s. Abb. 5./5), die um 205/210 n. Chr. dieses Heiligtum zerstört hatte, insbesondere die zahlreiche Keramik (Kap. 3.2.4), und die zum Teil auffallend wertvollen Kleinfunde (Kap. 3.3.3), dürften zum grössten Teil einst in diesem Langbau untergebracht gewesen sein. Ein als Glockenklöppel interpretiertes, stratifiziertes Objekt spricht dafür, dass die fünf grossen, 1944/1945 als Stapel aufgefundenen Eisenglocken vielleicht auch dem Heiligtum zuzuweisen sind (Kap. 3.4). In diesen Kontext passen zudem die überdurchschnittlich häufig kalzinierten Tierknochen (Kap. 3.10). Nach der Überschwemmung befestigte man für 215 n. Chr. (Kap. 4.2.4) das unterspülte Bachufer mit einer Uferverbauung (Kap. 2.6.1). Mit dem Bau eines weiteren, im Bach stehenden Langbaus (Kap. 2.6.2) stellte man 218 n. Chr. das Heiligtum auf der Insel in ähnlicher Form wieder her (Horizont 1b; s. Beil. 7). Von der Pfahlreihe, die wiederum die sakrale Insel von der profanen Umgebung abgrenzte, blieben indes nur wenige Pfähle erhalten. Dennoch ist der sakrale Charakter der Anlage gesichert. Ausser dem immer noch blühenden Pfirsichbaum ist es ein vor dem Langbau aufgestelltes Ensemble von mindestens 23 Terrakottafigurinen (s. Abb. 3.6/1), elf Veneres, zehn Matres, einem Jugendlichen in Kapuzenmantel und einem kindlichen Risus (Kap. 3.6; s. auch Kap. 2.6.3). In den Sedimenten der zweiten Überschwemmung, der diese Anlage um 225/230 n. Chr. zum Opfer gefallen war, fanden sich wiederum zahlreiche Keramikgefässe (Kap. 3.2.4) und zum Teil wertvolle Kleinfunde wie eine Glasperle mit Goldfolie (Kap. 3.8.2) und eine Fibel aus Silber (Kap. 3.3.3), die wohl ursprünglich im Langbau untergebracht waren (Kap. 5.3.2 mit Abb. 5/7). Weitere Funde mit sicherem oder möglichem sakralem Charakter finden sich unter den 1944/1945 geborgenen Funden (s. Abb. 5/8), etwa ein silberner Fingerring mit Merkurinschrift, ein silberner Lunula-Anhänger, eine silberne Kasserolle (Kap. 3.3.3), eine Glasflasche mit Schlangenfadenauflage (Kap. 3.8.2) und einige Bergkristalle (Kap. 3.8.4). Im Bereich der Terrakotten kamen ferner mehrere Münzen (Kap. 3.7) zum Vorschein, die vielleicht dort niedergelegt worden waren. Nach der zweiten Überschwemmung errichtete man um 231 n. Chr. am Bach eine Wassermühle (Horizont 2; Kap. 2.7; Beil. 8; Abb. 2.7/49). Ob das Heiligtum auf der Insel wieder aufgebaut oder aufgelassen wurde, muss mangels Hinweisen offen bleiben. Für den abgehobenen Zuflusskanal der Wassermühle verwendete man mehrere stehen gebliebene Pfähle der vorangegangenen Anlagen der Horizonte 1a und 1b. Obwohl die Wassermühle den 28 jährlichen Überschwemmungshorizonten (Kap. 2.2) und den Funden (Kap. 4.3.2; 4.4.4; 45) zufolge nur bis um 260 n. Chr., während gut einer Generation, bestand, musste sie mindestens zweimal erneuert werden – nachgewiesen sind drei Wasserräder, drei Mühlsteinpaare und vermutlich drei Podeste, auf denen jeweils das Mahlwerk ruhte. Grund für diese Umbauten war wohl der weiche, instabile Untergrund, der zu Verschiebungen geführt hatte, so dass das Zusammenspiel von Wellbaum bzw. Sternnabe und Übersetzungsrad nicht mehr funktionierte und das ganze System zerbrach. Die Analyse von Pollen aus dem Gehhorizont hat als Mahlgut Getreide vom Weizentyp nachgewiesen (Kap. 3.11.4). Das Abzeichen eines Benefiziariers (Kap. 3.3.2 mit Abb. 3.3/23,B71) könnte dafür sprechen, dass das verarbeitete Getreide zumindest zum Teil für das römische Militär bestimmt war (s. auch Kap. 6.2.3). Ein im Horizont 2 gefundener Schreibgriffel und weitere stili sowie eine Waage für das Wägen bis zu 35-40 kg schweren Waren aus dem Fundbestand von 1944/1945 könnten davon zeugen, dass das Getreide zu wägen und zu registrieren war (Kap. 3.4.2). Kurz nach 260 n. Chr. fiel die Wassermühle einem weiteren Hochwasser zum Opfer. Für den folgenden Horizont 3 (Beil. 9) brachte man einen Kiesboden ein und errichtete ein kleines Gebäude (Kap. 2.8). Hier war wohl wiederum eine Schmiede untergebracht, wie die zahlreichen Kalottenschlacken belegen (Kap. 3.9), die im Umfeld der kleinen Baus zum Vorschein kamen. Aufgrund der Funde (Kap. 4.4.4; 4.5) kann diese Werkstatt nur kurze Zeit bestanden haben, höchstens bis um 270 n. Chr., bevor sie einem weiteren Hochwasser zum Opfer fiel. Von der jüngsten Anlage, die wohl noch in römische Zeit datiert (Horizont 4; Beil. 10), war lediglich eine Konstruktion aus grossen Steinplatten zu fassen (Kap. 2.9.1). Wozu sie diente, muss offen bleiben. Auch der geringe Fundanfall spricht dafür, dass die Nutzung des Platzes, zumindest für die römische Zeit, allmählich ein Ende fand (Kap. 4.5). Zu den jüngsten Strukturen gehören mehrere Gruben (Kap. 2.9.2), die vielleicht der Lehmentnahme dienten. Mangels Funden bleibt ihre Datierung indes ungewiss. Insbesondere wissen wir nicht, ob sie noch in römische Zeit datieren oder jünger sind. Spätestens mit der fünften Überschwemmung, die zur endgültigen Verlandung führte und wohl schon in die frühe Neuzeit zu setzen ist, wurde der Platz aufgelassen und erst mit dem Bau der bestehenden Fensterfabrik Baumgartner wieder besetzt.
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Luigi Vincenzi ; con app. allo scritto di Massimo d'Azeglio sull'emancipazione degl'israeliti
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Drugs may stimulate the immune system by forming stable new antigenic complexes consisting of the drug or drug metabolite which is covalently bound to a protein or peptide (hapten-carrier complex). Both, B- and T-cell immunity may arise, the latter directed to hapten modified peptides presented by HLA molecules. Beside this immunological stimulation, drugs can also stimulate the immune system through binding by non-covalent bonds to proteins like immune receptors. This so-called “pharmacological interaction with immune receptors” concept (“p-i concept”) may occur with HLA or TCR molecules themselves (p-i HLA or p-i TCR), and not the immunogenic peptide. It is a type of “off-target” activity of the drug on immune receptors, but more complex as various cell types, cell interactions and functionally different T cells are involved. In this review the conditions which lead to activation of T cells by p-i are discussed: important factors for a functional consequence of drug binding is the location of binding (p-i HLA or p-i TCR); the exact site within these immune receptors; the affinity of binding and the finding that p-i HLA can stimulate the immune system like an allo-allele. The p-i concept is able to solve some puzzles of drug hypersensitivity reactions and are a basis to better treat and potentially avoid drug hypersensitivity reactions. Moreover, the p-i concept shows that in contrast to previous beliefs small molecules do interact with immune receptors with functional consequence. But these interactions are not based on “immune recognition”, are at odds with some immunological concepts, but may nevertheless open new possibilities to understand and even treat immune reactions
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Small chemicals like drugs tend to bind to proteins via noncovalent bonds, e.g. hydrogen bonds, salt bridges or electrostatic interactions. Some chemicals interact with other molecules than the actual target ligand, representing so-called 'off-target' activities of drugs. Such interactions are a main cause of adverse side effects to drugs and are normally classified as predictable type A reactions. Detailed analysis of drug-induced immune reactions revealed that off-target activities also affect immune receptors, such as highly polymorphic human leukocyte antigens (HLA) or T cell receptors (TCR). Such drug interactions with immune receptors may lead to T cell stimulation, resulting in clinical symptoms of delayed-type hypersensitivity. They are assigned the 'pharmacological interaction with immune receptors' (p-i) concept. Analysis of p-i has revealed that drugs bind preferentially or exclusively to distinct HLA molecules (p-i HLA) or to distinct TCR (p-i TCR). P-i reactions differ from 'conventional' off-target drug reactions as the outcome is not due to the effect on the drug-modified cells themselves, but is the consequence of reactive T cells. Hence, the complex and diverse clinical manifestations of delayed-type hypersensitivity are caused by the functional heterogeneity of T cells. In the abacavir model of p-i HLA, the drug binding to HLA may result in alteration of the presenting peptides. More importantly, the drug binding to HLA generates a drug-modified HLA, which stimulates T cells directly, like an allo-HLA. In the sulfamethoxazole model of p-i TCR, responsive T cells likely require costimulation for full T cell activation. These findings may explain the similarity of delayed-type hypersensitivity reactions to graft-versus-host disease, and how systemic viral infections increase the risk of delayed-type hypersensitivity reactions.
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IMMUNOLOGICAL MECHANISMS OF EXTRACORPOREAL PHOTOPHERESIS IN CUTANEOUS T CELL LYMPHOMA AND GRAFT VERSUS HOST DISEASE Publication No.___________ Lisa Harn-Ging Shiue, B.S. Supervisory Professor: Madeleine Duvic, M.D. Extracorporeal photopheresis (ECP) is an effective, low-risk immunomodulating therapy for leukemic cutaneous T cell lymphoma (L-CTCL) and graft versus host disease (GVHD), but whether the mechanism(s) of action in these two diseases is (are) identical or different is unclear. To determine the effects of ECP in vivo, we studied regulatory T cells (T-regs), cytotoxic T lymphocytes (CTLs), and dendritic cells (DCs) by immunofluorescence flow cytometry in 18 L-CTCL and 11 GVHD patients before and after ECP at Day 2, 1 month, 3 months, and 6 months. In this study, ECP was effective in 12/18 L-CTCL patients with a 66.7% overall response rate (ORR) and 6/11 GVHD patients with a 54.5% ORR. Prior to ECP, the percentages of CD4+Foxp3+ T cells in 9 L-CTCL patients were either lower (L-CTCL-Low, n=2) or higher (L-CTCL-High, n=7) than normal. Five of the 7 GVHD patients had high percentages of CD4+Foxp3+ T cells (GVHD-High). Six of 7 L-CTCL-High patients had >80% CD4+Foxp3+ T cells which were correlated with tumor cells, and were responders. Both L-CTCL-High and GVHD-High patients had decreased percentages of CD4+Foxp3+ and CD4+Foxp3+CD25- T cells after 3 months of treatment. CD4+Foxp3+CD25+ T cells increased in GVHD-High patients but decreased in L-CTCL-High patients after 3 months of ECP. In addition, numbers of CTLs were abnormal. We confirmed that numbers of CTLs were low in L-CTCL patients, but high in GVHD patients prior to ECP. After ECP, CTLs increased after 1 month in 4/6 L-CTCL patients whereas CTLs decreased after 6 months in 3/3 GVHD patients. Myeloid (mDCs) and plasmacytoid DCs (pDCs) were also low at baseline in L-CTCL and GVHD patients confirming the DC defect. After 6 months of ECP, numbers and percentages of mDCs and pDCs increased in L-CTCL and GVHD. MDCs were favorably increased in 8/12 L-CTCL responders whereas pDCs were favorably increased in GVHD patients. These data suggest that ECP is favorably modulating the DC subsets. In L-CTCL patients, the mDCs may orchestrate Th1 cell responses to overcome immune suppression and facilitate disease regression. However, in GVHD patients, ECP is favorably down-regulating the immune system and may be facilitating immune tolerance to auto-or allo-antigens. In both L-CTCL and GVHD patients, DCs are modulated, but the T cell responses orchestrated by the DCs are different, suggesting that ECP modulates depending on the immune milieu. _______________
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The cruise with RV Tydeman was devoted to study permanently stratified plankton systems in the (sub)tropical ocean, which are characterised by a deep chlorophyll peak between 80 and 150 m. To minimise lateral effects by horizontal transport of nutrients and organic matter from river outflow and upwelling regions, stations were selected in the middle of the North Atlantic Ocean between the continents of America and Africa. (5 - 35° N and 50 - 15° W). Here the vertical distributions of light and nutrients control the abundance and growth of autotrophic algae in the thermically stratified water column. This phytoplankton is numerically dominated by the prokaryotic picoplankters Synechococcus spp. and Prochlorococcus spp., which are smaller than 2 ?m. The productivity of the 100 to 150 m deep euphotic zone can be high, because a high heterotrophic/autotrophic biomass ratio induces a rapid regeneration of nutrients and inorganic carbon. Primary grazers are mainly micro-organisms such as heterotrophic nannoflagellates and ciliates, which feed on the small algae and on bacteria. Heterotrophic bacteria can outnumber the autotrophic algae, because their number is related to the substrate pools of dissolved and particulate dead organic matter. These DOC and detritus pools reach equilibrium at a concentration, where the rate of their production (proportional to algal biomass) equals their mineralisation and sinking rate (proportional to the concentration and weight of POC and detritus). At a relatively low value of the weight-specific loss rates, the equilibrium concentration of these carbon pools and their load of bacteria can be high. The bacterial productivity is proportional to the mineralisation rate, which in a steady state can never be higher than the rate of primary production. Hence the ratio in turnover rate of bacteria and autotrophs tends to be reciprocally proportional to their biomass ratio.
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Diatoms are the major marine primary producers on the global scale and, recently, several methods have been developed to retrieve their abundance or dominance from satellite remote sensing data. In this work, we highlight the importance of the Southern Ocean (SO) in developing a global algorithm for diatom using an Abundance Based Approach (ABA). A large global in situ data set of phytoplankton pigments was compiled, particularly with more samples collected in the SO. We revised the ABA to take account of the information on the penetration depth (Zpd) and to improve the relationship between diatoms and total chlorophyll-a (TChla). The results showed that there is a distinct relationship between diatoms and TChla in the SO, and a new global model (ABAZpd) improved the estimation of diatoms abundance by 28% in the SO compared with the original ABA model. In addition, we developed a regional model for the SO which further improved the retrieval of diatoms by 17% compared with the global ABAZpd model. As a result, we found that diatom may be more abundant in the SO than previously thought. Linear trend analysis of diatom abundance using the regional model for the SO showed that there are statistically significant trends, both increasing and decreasing, in diatom abundance over the past eleven years in the region.
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Phytoplankton taxonomic pigments and primary production were measured at the JGOFS-France time-series station DYFAMED in the northwestern Mediterranean Sea during May 1995 to investigate changes in phytoplankton composition and the biogeochemical implications (DYNAPROC experiment). The study period covered the transitional situation from late spring bloom to pre-oligotrophic. The late spring bloom situation, occurring at the beginning of the study, revealed high chlorophyll a concentrations (maximum 3 mg/m**3 at 30 m) and high primary production (maximum 497 mg C/m**2/ 14 h). At the end of the experiment, the trophic regime shifted towards pre-oligotrophic and was characterized by lower chlorophyll a concentrations (<1 mg/m**3), although primary production still remained high (659 mg C/m**2/ 14 h). At termination of the spring bloom, the phytoplankton community was composed of chromophyte nanoflagellates (38±4%), diatoms (29±2%), cryptophytes (12±1%) and cyanobacteria (8±1%). During the transition to the pre-oligotrophic period, the contribution of small cells increased (e.g. cyanobacteria 18±2%, green flagellates 5±1%). Vertical profiles of pigments revealed a partition of the phytoplankton groups: cyanobacteria were most abundant in the surface layer, nanoflagellates containing 19'-HF+19'BF at the depth of chlorophyll maximum, whereas diatoms were located below the chlorophyll maximum. At termination of the spring bloom, a wind event induced vertical transport of nutrients into the euphotic layer. Phytoplankton groups responded differently to the event: initially, diatom concentrations increased (for 24 h) then rapidly decreased. In contrast, all others groups decreased just after the event. The long-term effect was a decrease of biomass of dominant groups (diatoms and chromophyte nanoflagellates), which accelerated the community succession and hence contributed to the oligotrophic transition.