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Il grafene è un cristallo bidimensionale di atomi di carbonio, isolato per la prima volta nel 2004 da due fisici che per questo risultato vinsero il premio Nobel per la Fisica nel 2010. Il grafene possiede proprietà chimiche e fisiche superiori, quali un’elevata resistenza chimica e meccanica e un’eccellente conducibilità termica ed elettrica. Inoltre possiede altre due caratteristiche che lo rendono particolarmente promettente in diversi ambiti applicativi: leggerezza e trasparenza ottica. In questo elaborato ho descritto le attività svolte seguendo le ricerche che vengono svolte al CNR-IMM di Bologna, dove questo materiale viene prodotto tramite la tecnica di Chemical Vapor Deposition e studiato per l’integrazione in dispositivi elettronici ed elettro-meccanici innovativi. Durante la mia esperienza di laboratorio all’IMM ho seguito i procedimenti che portano al trasferimento del grafene sintetizzato su substrati catalitici di rame sui substrati finali per la successiva integrazione nella tecnologia del silicio. Nell’elaborato vengono da prima descritte la struttura cristallina ed elettronica e successivamente presentate alcune proprietà di cui gode e messe in relazione con i materiali attualmente in uso. Segue una breve trattazione bibliografica di alcune delle principali tecniche di produzione del grafene, trattando più nel dettaglio la tecnica CVD attualmente in uso per la sintesi di grafene all’interno dei laboratori del CNR-IMM di Bologna. La parte principale di questa esperienza di laboratorio è stato di seguire in prima persona le attuali ricerche del gruppo di lavoro per la messa a punto di un metodo alternativo che utilizza il ciclododecano per il trasferimento del grafene sintetizzato su rame al posto del classico strato sacrificale polimerico di PMMA. Nell’elaborato il confronto tra le due tecniche viene eseguito confrontando i risultati del trasferimento analizzando la morfologia dei campioni finali con tecniche di microscopia elettronica in scansione

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In questo lavoro si è tentato di fornire un metodo per la calibrazione di modelli numerici in analisi dinamiche spettrali. Attraverso una serie di analisi time history non lineari sono stati ottenuti gli spostamenti relativi orizzontali che nascono, in corrispondenza della connessione trave-pilastro di tipo attritivo, quando una struttura prefabbricata monopiano viene investita dalla componente orizzontale e verticale del sisma. Con un procedimento iterativo su varie analisi spettrali sono state calibrate delle rigidezze equivalenti che hanno permesso di ottenere, con buona approssimazione, gli stessi risultati delle analisi time history. Tali rigidezze sono state poi restituite in forma grafica. Per riprodurre gli spostamenti relativi orizzontali con un’analisi dinamica spettrale è quindi possibile collegare le travi ai pilastri con degli elementi elastici aventi rigidezza Kcoll. I valori di rigidezza restituiti da questo studio valgono per un’ampia gamma di prefabbricati monopiano (periodo proprio 0.20s < T < 2.00s) e tre differenti livelli di intensità sismica; inoltre è stata data la possibilità di considerare la plasticizzazione alla base dei pilastri e di scegliere fra due diverse posizioni nei confronti della rottura di faglia (Near Fault System o Far Fault System). La diminuzione di forza d’attrito risultante (a seguito della variazione dell’accelerazione verticale indotta dal sisma) è stata presa in considerazione utilizzando un modello in cui fra trave e pilastro è posto un isolatore a pendolo inverso (opportunamente calibrato per funzionare come semplice appoggio ad attrito). Con i modelli lineari equivalenti si riescono ad ottenere buoni risultati in tempi relativamente ridotti: è possibile così compiere delle valutazioni approssimate sulla perdita di appoggio e sulle priorità d’intervento in una determinata zona sismica.

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Uno degli aspetti più influenti sulla qualità chimica e biologica dell’acqua di laghi e invasi, caratteristico del bacino di Ridracoli, è rappresentato dalla stratificazione termica, un processo di formazione di volumi d’acqua a diversa densità che può verificarsi allorquando, in alcune circostanze e, nello specifico, durante la stagione estiva, si instauri una condizione stabile in cui l’acqua riscaldata dalla radiazione solare sovrasta quella più fredda e densa del fondo. Una delle conseguenze di tali variazioni termiche è che esse inducono cambiamenti nei livelli di ossigeno disciolto, favorendo l’instaurarsi di processi di degradazione anaerobica della materia organica e determinando la formazione di un chimismo ostile per l’attività biologica. I cicli stagionali, redox-dipendenti, di Ferro e Manganese tra la colonna d’acqua e i sedimenti sono caratteristici di questi ambienti ed una loro risospensione in forma disciolta è stato rilevato nell’ipolimnio dell’invaso di Ridracoli, stagionalmente anossico. Questo studio, collocato all’interno di un ampio progetto finanziato da Romagna Acque Società delle Fonti S.p.A. con la Facoltà di Scienze Ambientali – Campus di Ravenna ed il CNR-ISMAR, si è posto come obiettivo l’individuazione dei fattori che controllano la distribuzione e la mobilità degli elementi chimici all’interno del sistema acqua-sedimento dell’invaso di Ridracoli ed è articolato in tre diverse fasi: • Indagine della composizione chimica del sedimento; • Analisi ed interpretazione della composizione chimica delle acque interstiziali • Stima del flussi attraverso l’interfaccia acqua-sedimento mediante l’utilizzo di una camera bentica e l’applicazione della prima legge di Fick sulla diffusione. Al termine del lavoro è stato possibile ricostruire un quadro diagenetico generale contraddistinto da una deplezione degli accettori di elettroni principali (O2 e NO3-) entro i primi millimetri di sedimento, da un consumo immediato di SO42- e da una graduale riduzione degli ossidi di Mn (IV) e Fe (III), con formazione di gradienti negativi ed il rilascio di sostanze disciolte nella colonna d’acqua.

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1944/1945 wurde in Cham-Hagendorn eine Wassermühle ausgegraben, die dank ihrer aussergewöhnlich guten Holzerhaltung seit langem einen prominenten Platz in der Forschung einnimmt. 2003 und 2004 konnte die Kantonsarchäologie Zug den Platz erneut archäologisch untersuchen. Dabei wurden nicht nur weitere Reste der Wassermühle, sondern auch Spuren älterer und jüngerer Anlagen geborgen: eine ältere und eine jüngere Schmiedewerkstatt (Horizont 1a/Horizont 3) sowie ein zweiphasiges Heiligtum (Horizonte 1a/1b). All diese Anlagen lassen sich nun in das in den neuen Grabungen erkannte stratigraphische Gerüst einhängen (s. Beil. 2). Dank der Holzerhaltung können die meisten Phasen dendrochronologisch datiert werden (s. Abb. 4.1/1a): Horizont 1a mit Schlagdaten zwischen 162(?)/173 und 200 n. Chr., Horizont 1b um 215/218 n. Chr. und Horizont 2 um 231 n. Chr. Ferner konnten in den neuen Grabungen Proben für mikromorphologische und archäobotanische Untersuchungen entnommen werden (Kap. 2.2; 3.11). In der vorliegenden Publikation werden der Befund und die Baustrukturen vorgelegt, (Kap. 2), desgleichen sämtliche stratifizierten Funde und eine umfassende Auswahl der 1944/1945 geborgenen Funde (Kap. 3). Dank anpassender Fragmente, sog. Passscherben, lassen sich diese zum Teil nachträglich in die Schichtenabfolge einbinden. Die mikromorphologischen und die archäobotanischen Untersuchungen (Kap. 2.2; 3.11) zeigen, dass der Fundplatz in römischer Zeit inmitten einer stark vom Wald und dem Fluss Lorze geprägten Landschaft lag. In unmittelbarer Nähe können weder eine Siedlung noch einzelne Wohnbauten gelegen haben. Die demnach nur gewerblich und sakral genutzten Anlagen standen an einem Bach, der vermutlich mit jenem Bach identisch ist, der noch heute das Groppenmoos entwässert und bei Cham-Hagendorn in die Lorze mündet (s. Abb. 2.4/1). Der antike Bach führte wiederholt Hochwasser ─ insgesamt sind fünf grössere Überschwemmungsphasen auszumachen (Kap. 2.2; 2.4). Wohl anlässlich eines Seehochstandes durch ein Überschwappen der Lorze in den Bach ausgelöst, müssen diese Überschwemmungen eine enorme Gewalt entwickelt haben, der die einzelnen Anlagen zum Opfer fielen. Wie die Untersuchung der Siedlungslandschaft römischer Zeit rund um den Zugersee wahrscheinlich macht (Kap. 6 mit Abb. 6.2/2), dürften die Anlagen von Cham-Hagendorn zu einer in Cham-Heiligkreuz vermuteten Villa gehören, einem von fünf grösseren Landgütern in diesem Gebiet. Hinweise auf Vorgängeranlagen fehlen, mit denen die vereinzelten Funde des 1. Jh. n. Chr. (Kap. 4.5) in Verbindung gebracht werden könnten. Diese dürften eher von einer der Überschwemmungen bachaufwärts weggerissen und nach Cham-Hagendorn eingeschwemmt worden sein. Die Nutzung des Fundplatzes (Horizont 1a; s. Beil. 6) setzte um 170 n. Chr. mit einer Schmiedewerkstatt ein (Kap. 2.5.1). Der Fundanfall, insbesondere die Schmiedeschlacken (Kap. 3.9) belegen, dass hier nur hin und wieder Geräte hergestellt und repariert wurden (Kap. 5.2). Diese Werkstatt war vermutlich schon aufgelassen und dem Verfall preisgegeben, als man 200 n. Chr. (Kap. 4.2.4) auf einer Insel zwischen dem Bach und einem Lorzearm ein Heiligtum errichtete (Kap. 5.3). Beleg für den sakralen Status dieser Insel ist in erster Linie mindestens ein eigens gepflanzter Pfirsichbaum, nachgewiesen mit Pollen, einem Holz und über 400 Pfirsichsteinen (Kap. 3.11). Die im Bach verlaufende Grenze zwischen dem sakralen Platz und der profanen Umgebung markierte man zusätzlich mit einer Pfahlreihe (Kap. 2.5.3). In diese war ein schmaler Langbau integriert (Kap. 2.5.2), der an die oft an Temenosmauern antiker Heiligtümer angebauten Portiken erinnert und wohl auch die gleiche Funktion wie diese gehabt hatte, nämlich das Aufbewahren von Weihegaben und Kultgerät (Kap. 5.3). Das reiche Fundmaterial, das sich in den Schichten der ersten Überschwemmung fand (s. Abb. 5./5), die um 205/210 n. Chr. dieses Heiligtum zerstört hatte, insbesondere die zahlreiche Keramik (Kap. 3.2.4), und die zum Teil auffallend wertvollen Kleinfunde (Kap. 3.3.3), dürften zum grössten Teil einst in diesem Langbau untergebracht gewesen sein. Ein als Glockenklöppel interpretiertes, stratifiziertes Objekt spricht dafür, dass die fünf grossen, 1944/1945 als Stapel aufgefundenen Eisenglocken vielleicht auch dem Heiligtum zuzuweisen sind (Kap. 3.4). In diesen Kontext passen zudem die überdurchschnittlich häufig kalzinierten Tierknochen (Kap. 3.10). Nach der Überschwemmung befestigte man für 215 n. Chr. (Kap. 4.2.4) das unterspülte Bachufer mit einer Uferverbauung (Kap. 2.6.1). Mit dem Bau eines weiteren, im Bach stehenden Langbaus (Kap. 2.6.2) stellte man 218 n. Chr. das Heiligtum auf der Insel in ähnlicher Form wieder her (Horizont 1b; s. Beil. 7). Von der Pfahlreihe, die wiederum die sakrale Insel von der profanen Umgebung abgrenzte, blieben indes nur wenige Pfähle erhalten. Dennoch ist der sakrale Charakter der Anlage gesichert. Ausser dem immer noch blühenden Pfirsichbaum ist es ein vor dem Langbau aufgestelltes Ensemble von mindestens 23 Terrakottafigurinen (s. Abb. 3.6/1), elf Veneres, zehn Matres, einem Jugendlichen in Kapuzenmantel und einem kindlichen Risus (Kap. 3.6; s. auch Kap. 2.6.3). In den Sedimenten der zweiten Überschwemmung, der diese Anlage um 225/230 n. Chr. zum Opfer gefallen war, fanden sich wiederum zahlreiche Keramikgefässe (Kap. 3.2.4) und zum Teil wertvolle Kleinfunde wie eine Glasperle mit Goldfolie (Kap. 3.8.2) und eine Fibel aus Silber (Kap. 3.3.3), die wohl ursprünglich im Langbau untergebracht waren (Kap. 5.3.2 mit Abb. 5/7). Weitere Funde mit sicherem oder möglichem sakralem Charakter finden sich unter den 1944/1945 geborgenen Funden (s. Abb. 5/8), etwa ein silberner Fingerring mit Merkurinschrift, ein silberner Lunula-Anhänger, eine silberne Kasserolle (Kap. 3.3.3), eine Glasflasche mit Schlangenfadenauflage (Kap. 3.8.2) und einige Bergkristalle (Kap. 3.8.4). Im Bereich der Terrakotten kamen ferner mehrere Münzen (Kap. 3.7) zum Vorschein, die vielleicht dort niedergelegt worden waren. Nach der zweiten Überschwemmung errichtete man um 231 n. Chr. am Bach eine Wassermühle (Horizont 2; Kap. 2.7; Beil. 8; Abb. 2.7/49). Ob das Heiligtum auf der Insel wieder aufgebaut oder aufgelassen wurde, muss mangels Hinweisen offen bleiben. Für den abgehobenen Zuflusskanal der Wassermühle verwendete man mehrere stehen gebliebene Pfähle der vorangegangenen Anlagen der Horizonte 1a und 1b. Obwohl die Wassermühle den 28 jährlichen Überschwemmungshorizonten (Kap. 2.2) und den Funden (Kap. 4.3.2; 4.4.4; 45) zufolge nur bis um 260 n. Chr., während gut einer Generation, bestand, musste sie mindestens zweimal erneuert werden – nachgewiesen sind drei Wasserräder, drei Mühlsteinpaare und vermutlich drei Podeste, auf denen jeweils das Mahlwerk ruhte. Grund für diese Umbauten war wohl der weiche, instabile Untergrund, der zu Verschiebungen geführt hatte, so dass das Zusammenspiel von Wellbaum bzw. Sternnabe und Übersetzungsrad nicht mehr funktionierte und das ganze System zerbrach. Die Analyse von Pollen aus dem Gehhorizont hat als Mahlgut Getreide vom Weizentyp nachgewiesen (Kap. 3.11.4). Das Abzeichen eines Benefiziariers (Kap. 3.3.2 mit Abb. 3.3/23,B71) könnte dafür sprechen, dass das verarbeitete Getreide zumindest zum Teil für das römische Militär bestimmt war (s. auch Kap. 6.2.3). Ein im Horizont 2 gefundener Schreibgriffel und weitere stili sowie eine Waage für das Wägen bis zu 35-40 kg schweren Waren aus dem Fundbestand von 1944/1945 könnten davon zeugen, dass das Getreide zu wägen und zu registrieren war (Kap. 3.4.2). Kurz nach 260 n. Chr. fiel die Wassermühle einem weiteren Hochwasser zum Opfer. Für den folgenden Horizont 3 (Beil. 9) brachte man einen Kiesboden ein und errichtete ein kleines Gebäude (Kap. 2.8). Hier war wohl wiederum eine Schmiede untergebracht, wie die zahlreichen Kalottenschlacken belegen (Kap. 3.9), die im Umfeld der kleinen Baus zum Vorschein kamen. Aufgrund der Funde (Kap. 4.4.4; 4.5) kann diese Werkstatt nur kurze Zeit bestanden haben, höchstens bis um 270 n. Chr., bevor sie einem weiteren Hochwasser zum Opfer fiel. Von der jüngsten Anlage, die wohl noch in römische Zeit datiert (Horizont 4; Beil. 10), war lediglich eine Konstruktion aus grossen Steinplatten zu fassen (Kap. 2.9.1). Wozu sie diente, muss offen bleiben. Auch der geringe Fundanfall spricht dafür, dass die Nutzung des Platzes, zumindest für die römische Zeit, allmählich ein Ende fand (Kap. 4.5). Zu den jüngsten Strukturen gehören mehrere Gruben (Kap. 2.9.2), die vielleicht der Lehmentnahme dienten. Mangels Funden bleibt ihre Datierung indes ungewiss. Insbesondere wissen wir nicht, ob sie noch in römische Zeit datieren oder jünger sind. Spätestens mit der fünften Überschwemmung, die zur endgültigen Verlandung führte und wohl schon in die frühe Neuzeit zu setzen ist, wurde der Platz aufgelassen und erst mit dem Bau der bestehenden Fensterfabrik Baumgartner wieder besetzt.

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"Pochi autori come il Tasso hanno suscitato interpretazioni tanto differenziate e, in molti casi, discordanti. Posto di volta in volta a chiusura di un'epoca, quella manieristica, o come anticipatore della successiva temperie barocca, egli pare aver scontato il prezzo di un'esemplarità sin troppo manifesta rispetto al proprio Zeitgeist, una stagione che vede, nella vulgata storiografica, la regola prevalere sull'afflato creativo. 'Era già critico prima di esser poeta', sentenziò il De Sanctis, che arrivava a circoscriverne pure l'esperienza biografica nel perimetro di un implacabile autodafé, definendolo 'più crudele inquisitore di sé che il tribunale dell'Inquisizione'. A ciò poi si aggiungeva l'estrinsecità della corte quale destinataria e quasi principio informativo del mondo tassiano, che sembrava legittimare, da Croce in avanti, tutta una serie di giudizi limitativi sulla sua poesia, orientati ad accentuarne la natura encomiastica, aneddotica, addirittura frivola. La critica più recente ha compiuto un'imponente e fondamentale opera di scavo all'interno della cultura tassiana, delle sue letture, della sua poetica, ma il tentativo di rettificare il profilo complessivo dell'autore mostra esiti ancora incerti. In risposta alla vecchia immagine di un Tasso sconfitto dalla cultura controriformistica e alla fine assoggettato alle sue leggi, se ne sono di recente aggiunte altre..." (Dall'introduzione)

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O povo Maxakali fala uma língua do tronco linguístico Macro-Gé e habita a Terra Indígena Maxakali e duas Reservas Indígenas localizadas no nordeste do Estados de Minas Gerais. Tratarei aquí do imaginário presente nos yâmîyxop, termo que designa a um só tempo o colectivo dos espíritos animais e dos ancestrais, bem como os rituais e cantos realizados em honra destes. Da análise dos yâmîyxop se despreende um conhecimento quase enciclopédico do seres da Mata Atlântica, mesmo após os colonizadores brasileiros terem posto a floresta abaixo no início do século XX, deixando somente capim em seu lugar. Ademais, há nos yâmîyxop imagens relacionadas ao mundo do colonizador, tais como: as viagens feitas pelos aviôes, as bebedeiras propiciadas pelo álcool, as cercas que protegem as propriedades. Em suma, os yâmîyxop evidenciam um universo rico e plural, no qual a "natureza" dos seres é apreendida de forma distinta do conhecimentocientífico ocidental.

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Este trabalho investiga as possibilidades e os limites do serviço de apoio educacional especializado na construção de uma escola inclusiva. Atualmente, ao se falar em inclusão escolar é possível verificar, tanto nas produções teóricas quanto na legislação nacional e internacional, duas tendências divergentes: inclusão total e continuum de serviços. O serviço de apoio educacional especializado está presente nas duas propostas, porém com nuances diferenciadas. A pesquisa empírica buscou estabelecer um paralelo entre as concepções que embasam essas propostas e o serviço de apoio educacional especializado no município estudado. Trata-se de um estudo de caso do tipo etnográfico, em que foram utilizados como instrumentos de pesquisa: observação participante, análise documental, aplicação de questionários e entrevistas semi-estruturadas com professoras itinerantes. Foram convidadas para contribuir com esse estudo, através da resposta aos questionários e participação nas entrevistas, professoras habilitadas em educação especial/deficiência mental, que atuam em sala de recursos nos quatro primeiros anos do ensino fundamental de uma rede municipal. Verificou-se que o serviço de apoio especializado no município estudado é oferecido a partir da perspectiva de um continuum de serviços. Nesse contexto, os alunos matriculados nas classes comuns, geralmente, são aqueles que conseguem, de alguma forma, adaptar-se ao que está posto, não exigindo mudanças na estrutura curricular. Cabe ao professor itinerante contribuir no ajuste do aluno ao que é estabelecido. Apesar dessa constatação é possível ver como possibilidade para a atuação desse profissional, sua contribuição para a o acesso e permanência de alunos que historicamente foram excluídos do ensino regular. (AU)

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Este trabalho investiga as possibilidades e os limites do serviço de apoio educacional especializado na construção de uma escola inclusiva. Atualmente, ao se falar em inclusão escolar é possível verificar, tanto nas produções teóricas quanto na legislação nacional e internacional, duas tendências divergentes: inclusão total e continuum de serviços. O serviço de apoio educacional especializado está presente nas duas propostas, porém com nuances diferenciadas. A pesquisa empírica buscou estabelecer um paralelo entre as concepções que embasam essas propostas e o serviço de apoio educacional especializado no município estudado. Trata-se de um estudo de caso do tipo etnográfico, em que foram utilizados como instrumentos de pesquisa: observação participante, análise documental, aplicação de questionários e entrevistas semi-estruturadas com professoras itinerantes. Foram convidadas para contribuir com esse estudo, através da resposta aos questionários e participação nas entrevistas, professoras habilitadas em educação especial/deficiência mental, que atuam em sala de recursos nos quatro primeiros anos do ensino fundamental de uma rede municipal. Verificou-se que o serviço de apoio especializado no município estudado é oferecido a partir da perspectiva de um continuum de serviços. Nesse contexto, os alunos matriculados nas classes comuns, geralmente, são aqueles que conseguem, de alguma forma, adaptar-se ao que está posto, não exigindo mudanças na estrutura curricular. Cabe ao professor itinerante contribuir no ajuste do aluno ao que é estabelecido. Apesar dessa constatação é possível ver como possibilidade para a atuação desse profissional, sua contribuição para a o acesso e permanência de alunos que historicamente foram excluídos do ensino regular. (AU)

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A arte sempre esteve presente entre os humanos como um grande mistério. Sua característica polissêmica nos desafia a pensá-la como algo sempre aberto. Isto é, livre para que os indivíduos a experimentem de formas diversas. Nossa intenção, ao escolher a tela Menino morto do pintor Cândido Portinari, é mostrar que o encontro com uma obra de arte é forçosamente atual, vivo, surpreendente, extraordinário... Não apenas como um mero objeto de prazer, mas, sobretudo, como possibilidades de desvelar experiências originárias, abrindo gamas de sentidos que ajudam os seres humanos a significar a própria existência. Para seguir na investigação, privilegiam-se, nesta dissertação, os estudos sobre as artes do teólogo Paul Tillich e do filósofo Martin Heidegger. Para Tillich, numa obra de arte deve-se buscar o que se esconde no inaparente, pois é aí que reside a sua substância. Assim, na arte, como em qualquer manifestação cultural, por mais secular que aparente ser, se expressa sempre uma preocupação última. Para Heidegger, a arte é fonte de revelação da verdade. Todavia, essa revelação traz em si o ocultamento da mesma verdade, posto que a verdade e a não-verdade acontecem simultaneamente na obra de arte. Portanto, à luz dos estudos feitos por esses dois autores, tentamos captar o desnudar de Menino morto .(AU)

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A arte sempre esteve presente entre os humanos como um grande mistério. Sua característica polissêmica nos desafia a pensá-la como algo sempre aberto. Isto é, livre para que os indivíduos a experimentem de formas diversas. Nossa intenção, ao escolher a tela Menino morto do pintor Cândido Portinari, é mostrar que o encontro com uma obra de arte é forçosamente atual, vivo, surpreendente, extraordinário... Não apenas como um mero objeto de prazer, mas, sobretudo, como possibilidades de desvelar experiências originárias, abrindo gamas de sentidos que ajudam os seres humanos a significar a própria existência. Para seguir na investigação, privilegiam-se, nesta dissertação, os estudos sobre as artes do teólogo Paul Tillich e do filósofo Martin Heidegger. Para Tillich, numa obra de arte deve-se buscar o que se esconde no inaparente, pois é aí que reside a sua substância. Assim, na arte, como em qualquer manifestação cultural, por mais secular que aparente ser, se expressa sempre uma preocupação última. Para Heidegger, a arte é fonte de revelação da verdade. Todavia, essa revelação traz em si o ocultamento da mesma verdade, posto que a verdade e a não-verdade acontecem simultaneamente na obra de arte. Portanto, à luz dos estudos feitos por esses dois autores, tentamos captar o desnudar de Menino morto .(AU)

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Como Ortega, antes, na Nicarágua, agora Chávez busca o posto e a aura de Fidel. Missão impossivel.

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O objetivo deste estudo foi interpretar a realidade social e política, na qual se estabelece o cuidado intercultural vivenciado por indivíduos na zona de intermedicalidade de uma aldeia, partindo da perspectiva dos usuários indígenas e dos profissionais de saúde ameríndios e não-indígenas. As bases teóricas que ancoraram a coleta e análise interpretativa dos dados incluíram: a Etnografia, Antropologia Interpretativa, Modelos explanatórios e abordagem cultural safety. Mediante aprovação do Comitê Nacional de Ética em Pesquisa, procedeu-se trabalho de campo na Terra Indígena Buriti, localizada nos munícipios Sidrolândia e Dois Irmãos do Buriti, Mato Grosso do Sul, Brasil. Realizou-se observação participante nas unidades de saúde e no cotidiano das famílias nas aldeias, bem como no Pólo de Sidrolândia. Realizaram-se entrevistas semiestruturadas com 16 indígenas usuários do serviço, 12 profissionais de saúde terenas e seis trabalhadores de saúde não-indígenas. A análise dos dados, simultânea à coleta, ocorreu na perspectiva da Hermenêutica Dialética por meio da análise temática. Os preceitos éticos foram seguidos. Neste estudo, identificaram-se dois temas: 1) \"Doença é pior que a morte: explicações sobre o processo de adoecimento\" retrata como o processo saúde-doença é interpretado pelos participantes. Saúde, para os terenas, é um aspecto primordial na vida deles. O processo de adoecer envolve a perda e/ou a redução da disposição física, psíquica e espiritual para desenvolver atividades cotidianas. Espiritualidade, higiene, alimentação e a questão da posse de terra impactam o processo de adoecimento terena. 2) \"A intermedicalidade do sistema de cuidado em saúde terena\" que retrata os significados atribuídos pelos participantes à coexistência e intercomunicações (intermedicalidade) entre as formas de cuidados em saúde terena: medicina terena, espiritualidade, modo de vida e o serviço oficial de atenção à saúde (sistema Pólo/Posto). O sistema de cuidado dos terenas revela o processo de indigenização dos serviços de saúde. A medicina terena é entendida sob dois âmbitos: um centralizado no conhecimento tradicional indígena, que inclui uso de ervas, atividades de parteiras e de \"puxadores de pernas\"; e outro nos aspectos místicos e sobrenaturais para sua execução: rezas e prática da pajelança, com destaque para redução do número de pajés. A espiritualidade como opção terapêutica é representada pela fé do terena em Deus, concretizada pela oração. O modo de vida do terena engloba principalmente dois aspectos: centralidade na família e o cuidado com higiene individual e ambiental. O sistema Polo/Posto é procurado pelo terena conforme a cartela de serviços ofertada pelas unidades e segundo suas necessidades peculiares, os casos que o terena \"não consegue resolver\". Neste âmbito de cuidado, há a produção de encontros do cuidado pautados pelo vínculo, confiança, diálogo e agir dos profissionais culturalmente sensível. Há, também, desencontros do cuidado favorecidos por prioridades estabelecidas em metas, atendimento queixa-conduta e precária infraestrutura. Observou-se um processo maciço do uso de medicação. Os aspectos identificados nos relatos dos participantes sobre o sistema de cuidado terena são atravessados pela historicidade do povo terena, questão da posse de terra, medicalização da sociedade, higienismo, integração entre corpo, cosmos e terra, espiritualidade com diversidade religiosa, cultura terena centrada na família, atividades programáticas de saúde na atenção básica, biomedicina, transporte precário e baixa resolutividade. Diabetes e hipertensão arterial foram as doenças registradas pelo Pólo e significadas pelos participantes como as principais enfermidades da população. Há a coexistência de medicinas híbridas em todos âmbitos de cuidado em saúde terena. É importante que a intermedicalidade ocorra nos espaços do sistema Pólo/Posto sem sobreposição do saber médico e/ou da lógica institucional à sabedoria terena

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As análises biplot que utilizam os modelos de efeitos principais aditivos com inter- ação multiplicativa (AMMI) requerem matrizes de dados completas, mas, frequentemente os ensaios multiambientais apresentam dados faltantes. Nesta tese são propostas novas metodologias de imputação simples e múltipla que podem ser usadas para analisar da- dos desbalanceados em experimentos com interação genótipo por ambiente (G×E). A primeira, é uma nova extensão do método de validação cruzada por autovetor (Bro et al, 2008). A segunda, corresponde a um novo algoritmo não-paramétrico obtido por meio de modificações no método de imputação simples desenvolvido por Yan (2013). Também é incluído um estudo que considera sistemas de imputação recentemente relatados na literatura e os compara com o procedimento clássico recomendado para imputação em ensaios (G×E), ou seja, a combinação do algoritmo de Esperança-Maximização com os modelos AMMI ou EM-AMMI. Por último, são fornecidas generalizações da imputação simples descrita por Arciniegas-Alarcón et al. (2010) que mistura regressão com aproximação de posto inferior de uma matriz. Todas as metodologias têm como base a decomposição por valores singulares (DVS), portanto, são livres de pressuposições distribucionais ou estruturais. Para determinar o desempenho dos novos esquemas de imputação foram realizadas simulações baseadas em conjuntos de dados reais de diferentes espécies, com valores re- tirados aleatoriamente em diferentes porcentagens e a qualidade das imputações avaliada com distintas estatísticas. Concluiu-se que a DVS constitui uma ferramenta útil e flexível na construção de técnicas eficientes que contornem o problema de perda de informação em matrizes experimentais.

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Esta pesquisa aponta alguns dos efeitos subjetivos e estratégias singulares de resistência frente à desigualdade racial no nosso país, abordando as vicissitudes de inscrição no laço social de mulheres negras e pobres. É fruto de uma intervenção clínico-política com um grupo de adolescentes em uma Escola Municipal de Ensino Fundamental de São Paulo na qual foi se evidenciando, para nós, a necessidade de cada um desses adolescentes de defender intransigentemente a honra e o valor de suas mães frente aos outros membros do grupo. Tanto pelo seu excesso como pela sua repetição, essa situação nos sugeria um mal-estar e um não dito referido às configurações familiares e à posição destas mulheres nesta comunidade escolar, que nos levou a escutá-las. Tomando a indicação freudiana de que a psicologia individual seria também psicologia social e a formulação lacaniana de que podemos considerar o Inconsciente como sendo a Política, acreditamos ser indispensável escutar o sujeito levando em consideração o Outro, entendido tanto do ponto de vista sócio-histórico, como libidinal. Isso significa que não poderíamos escutar estas mulheres sem considerar o campo de desigualdades sociais e raciais no qual estavam inscritas discursivamente, o que nos exigiu uma interlocução fundamental tanto com pesquisas da antropologia social e da sociologia, como da história. A fala destas mulheres foi nos revelando que, além de outras identificações contingentes, o fato de serem reconhecidas e se reconhecerem como mulheres negras era um elemento fundamental nas suas vivências cotidianas. Uma vez que nosso passado escravista não teria sido suficientemente lembrado e admitido, alguns traços se fariam presentes através de uma transmissão simbólica, pelos subterrâneos da cultura, de uma posição de servidão a elas atribuída. Permaneceria de uma forma atualizada e insidiosa uma divisão racializada da nossa sociedade, ancorada na herança de uma cisão entre a mulher mundana cujo corpo seria visto como um corpo de gozo, mas sem valor social, a mucama, e a que seria valorizada socialmente à custa de um corpo assexuado, casta e educada, esposa do senhor de escravos. Apesar de tantos avanços, as conquistas femininas das últimas décadas não seriam totalmente estendidas a essas mulheres, negras e pobres, que seguiriam, frequentemente, apresentando no imaginário social um corpo ao qual se atribuiria a capacidade de satisfazer os desejos mais inconfessáveis de um homem à custa de ser visto como propriedade e domínio deste. A atitude racista se faria presente em relação a elas, entendida como o ato de segregação do gozo inadmitido de um sujeito no corpo de um outro, ou ainda, como Lacan apontou, impondo a um outro, seu modo de gozo. Mais do que uma identidade das mulheres negras, consideramos fundamental conceber a particularidade de um laço que se estabeleceria na relação com elas, na medida em que seu corpo seria capaz de despertar e revelar a relação do sujeito com o mais íntimo e insuportável de si mesmo: ela seria a estrangeira frente a um homem, por ser mulher; e seria estrangeira frente a uma mulher ou homem branco, por ser negra. A sua condição de estrangeira a deixaria assim como figura paradigmática de um Outro sexo, um sexo Outro, um gozo Outro, recaindo sobre ela as reações mais violentas de extirpação desse gozo. As estratégias de como manter o que seria próprio do gozo feminino não balizado pelo gozo fálico, posto que seria suplementar a ele frente a essa injunção de segregação e depreciação, seriam sempre singulares. Apresentamos um caso clínico, Silvana, apontando suas estratégias de resistência frente a um discurso social que a desqualificaria tentando lhe impor um estreitamento de sua vida erótica e sua redução a um modo único de gozo

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O direito à razoável duração do processo, inserido expressamente no ordenamento jurídico brasileiro a partir do advento da Emenda Constitucional 45/2004, já poderia ser inferido desde a incorporação da Convenção Americana de Direitos Humanos, bem como ser considerado um corolário da garantia do devido processo legal. Todo indivíduo tem o direito a um processo sem dilações indevidas, em especial aquele que se encontre submetido a uma prisão preventiva, medida cautelar pessoal de extrema gravosidade. Nesse contexto, exsurge o direito que o indivíduo preso preventivamente tem de que o seu processo seja julgado em um prazo razoável ou de que ele seja desencarcerado, caso preso além da necessidade fática contida no caso concreto. Entretanto, a interpretação da garantia não pode restar somente à livre vontade dos aplicadores do direito, sendo necessária uma regulamentação legal efetiva da duração da prisão preventiva, por meio de prazos concretos nos quais o sujeito deverá ser posto em liberdade, ante a desídia estatal. Incorporando experiências estrangeiras, deve o legislador pátrio adotar marcos temporais legais, em que a prisão preventiva deverá cessar, caso excessivamente prolongada. Muito embora no ano de 2011 tenha sido reformada a tutela das medidas cautelares pessoais no Código de Processo Penal, o legislador ordinário não aprovou a imposição de limites de duração da prisão preventiva, permanecendo ao livre arbítrio das autoridades judiciárias a interpretação da garantia em referência. Assim, o Projeto de Lei do Novo Código de Processo Penal, atualmente em trâmite no Congresso Nacional, ao prever limites máximos de duração da prisão preventiva, dá uma efetiva regulamentação à garantia da duração razoável do imputado preso, devendo ser, espera-se, mantido no eventual texto final aprovado.