957 resultados para Hemoglobina variante


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Prima di parlare di lotto zero, credo sia opportuno inquadrare in modo più preciso il significato che riveste la Secante per Cesena. La Secante è senza dubbio l’opera più rilevante e strategica in assoluto degli ultimi decenni ed è destinata a incidere in modo profondo (almeno così ci auguriamo) sulla vita della città, contribuendo a migliorarla sensibilmente. A questa arteria è affidato il compito di raccogliere tutto il traffico di attraversamento di Cesena, e specialmente quello rappresentato dai mezzi pesanti, che gravita principalmente sulla via Emilia, creando da tempo una situazione difficile, ma che negli ultimi anni è divenuta pressoché insostenibile: sono molte migliaia i veicoli che ogni giorno percorrono questa strada che già dalla fine degli anni Sessanta ha cessato di essere periferica e che ai giorni nostri fa ormai parte del centro urbano. La Secante, una volta completata, porrà un rimedio definitivo a questa situazione: secondo le previsioni, sarà in grado di smaltire in modo efficiente circa 40mila veicoli al giorno e, quindi, di rispondere alle necessità di circolazione della città per almeno i prossimi 20-30 anni. Proprio per l’importanza che il nuovo asse di collegamento riveste, diventa fondamentale garantirne la massima fruibilità, dedicando estrema attenzione non solo alla funzionalità della struttura in sé ( per altro progettata con criteri d’avanguardia, soprattutto per la parte in galleria, che si configura come il primo eco-tunnel italiano ), ma anche al complesso delle opere di collegamento con la viabilità preesistente: svincoli, nodi stradali, nuove connessioni. È in questo quadro che si inserisce il cosiddetto “lotto zero”, cioè quel tratto stradale che prolungherà il primo lotto della Secante verso Forlì e avrà una lunghezza pari a circa 1 chilometro. Entrando nel dettaglio, questo lotto dovrà portare il traffico in uscita dalla Secante dalla via comunale San Cristoforo alla via Provinciale San Giuseppe, sicuramente più idonea a sopportare l’importante mole di traffico veicolare e meglio collegata alla viabilità principale. Il lotto zero si congiungerà con la via Emilia attraverso la già esistente rotatoria davanti al cimitero di Diegaro. Naturalmente, il nuovo tratto sarà dotato di barriere acustiche: si è pensato a strutture in lamiera di acciaio, con funzioni fonoassorbenti e fonoisolanti, per una lunghezza totale di circa 310 metri. Il costo complessivo dell’opera si aggira intorno ai 25 milioni di euro. Il Comune di Cesena considera questo intervento irrinunciabile, e per questo si stanno valutando le soluzioni più opportune per una sua realizzazione in tempi ragionevolmente brevi. Non a caso, per accelerare le procedure già nel 2004 l’Amministrazione Comunale di Cesena e l’Amministrazione Provinciale di Forlì – Cesena hanno deciso di finanziare direttamente il progetto, e sono stati avviati contatti con i ministeri delle Infrastrutture e dell’Ambiente per sollecitarne l’approvazione e la conseguente disponibilità di fondi. D’altro canto, non si può dimenticare che il lotto zero s’inserisce nella necessità più complessiva di un nuovo assetto della viabilità del territorio, che troverà una risposta definitiva con il progetto della cosiddetta via Emilia bis. Si tratta di un intervento prioritario non solo per Cesena, ma per tutta la Romagna, e che acquisisce un significato ancor più rilevante alla luce del recente progetto relativo alla Civitavecchia-Orte-Cesena-Ravenna-Mestre. In quest’ottica, il lotto zero assume una funzione indispensabile per armonizzare la grande circolazione che gravita sul nodo cesenate, destinato a diventare ancora più rilevante nel momento in cui si svilupperà la dorsale autostradale appenninica, la futura E45/E55.

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Nella protezione idraulica del territorio la previsione e il controllo delle piene sono di fondamentale importanza. I territori sono sempre più antropizzati, pertanto la riduzione dei rischi connessi a eventi idrometeorologici estremi è di notevole interesse. La previsione delle piene è resa difficile dall’innumerevole quantità di variabili che intervengono nel processo della loro formazione. Nelle attività di progettazione e nella verifica di opere idrauliche la identificazione dell’idrogramma di progetto spesso riveste un’importanza fondamentale. Un idrogramma di progetto è definito come un’onda di piena, realmente osservata o sintetica, associata ad un determinato livello di rischio, quantificato usualmente in termini di tempo di ritorno. Con il presente lavoro si cerca di verificare la possibilità di applicazione una metodologia per la stima degli idrogrammi di progetto associati ad un determinato tempo di ritorno, recentemente proposta dalla letteratura scientifica (Maione et al., 2001, Una metodologia per la stima indiretta degli idrogrammi sintetici per il progetto di opere di difesa idraulica del territorio). Il lavoro è riferito al Fiume Secchia, un affluente importante del Po che scorre tra le provincie di Modena e Reggio Emilia.

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Máster Universitario en Sistemas Inteligentes y Aplicaciones Numéricas en Ingeniería (SIANI)

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Introduzione: Negli ultimi anni, il color-power Doppler si è dimostrato un utile strumento per valutare le alterazioni della vascolarizzazione della parete intestinale nelle patologie del tratto gastro-enterico. Più di recente, i mezzi di contrasto ecografici di II generazione associati all’ecografia real-time con basso indice meccanico (CEUS) hanno permesso di valutare ecograficamente il microcircolo, consentendo la valutazione della vascolarizzazione di parete nelle patologie associate a flogosi e neoangiogenesi. Studi recenti hanno documentato i pattern Doppler e CEUS nella malattia infiammatoria intestinale. Le alterazioni della vascolarizzazione di parete nella patologia neoplastica, invece, sono state finora valutate con sola tecnica Doppler. Recenti studi basati sull’impiego di tale metodica hanno in effetti dimostrato che l’intensità del segnale vascolare di parete correla con la variante istologica della neoplasia e con il suo grado di invasione vascolare costituendo così un parametro di neoangiogenesi tumorale. Pertanto, ottenere mediante CEUS una più accurata definizione del microcircolo di parete potrebbe aiutare nella diagnosi differenziale tra patologia infiammatoria e neoplastica dello stomaco e fornire utili informazioni per valutare l’ aggressività del cancro gastrico.

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Il carcinoma polmonare rappresenta un problema socio-sanitario di grande rilievo, essendo la prima causa di morte per neoplasia. Il carcinoma polmonare non a piccole cellule (non small cell lung cancer - NSCLC) rappresenta la variante istologica più frequente (80% dei casi di tumore polmonare). Al momento della diagnosi circa il 60-70% dei pazienti presenta una malattia in stadio avanzato o metastatico non essendo suscettibile di trattamento chirurgico. Per questi pazienti il trattamento chemioterapico determina un prolungamento della sopravvivenza e un miglioramento della qualità  della vita rispetto alla sola terapia di supporto, identificandosi come standard terapeutico. L'individuazione del migliore trattamento chemioterapico per questo subset di pazienti rappresenta pertanto una delle principali sfide della ricerca oncologica. I regimi polichemioterapici si possono dividere schematicamente in tre generazioni in relazione all'introduzione nel corso degli anni di nuovi agenti chemioterapici. Con l'avvento dei regimi di terza generazione, il trattamento del NSCLC avanzato sembra aver raggiunto un plateau, mancando infatti chiare dimostrazioni di superiorità  di un regime di ultima generazione rispetto ad un altro. Tra questi l'associazione cisplatino e gemcitabina rappresenta uno dei regimi standard più utilizzati in considerazione del suo favorevole rapporto costo-beneficio. Al fine di migliorare i risultati del trattamento chemioterapico in termini di attività  ed efficacia, una possibilità  consiste nell'individuazione di parametri predittivi che ci consentano di identificare il miglior trattamento per il singolo paziente. Tra i vari parametri predittivi valutabili, un crescente interesse è stato rivolto a quelli di carattere genetico, anche grazie all'avvento di nuove tecniche di biologia molecolare e al sequenziamento del genoma umano che ha dato nuovo impulso a studi di farmacogenetica e farmacogenomica. Sulla base di queste considerazioni, in questa tesi è stato effettuato uno studio mirato a valutare l'espressione di determinanti molecolari coinvolti nel meccanismo di azione di gemcitabina e cisplatino in pazienti affetti dai due tipi istologici principali di NSCLC, adenocarcinomi e carcinomi squamocellulari. Lo studio dei livelli di espressione genica è stata effettuata in tessuti di 69 pazienti affetti da NSCLC arruolati presso l'Istituto Europeo di Oncologia di Milano. In particolare, mediante Real Time PCR è stata valutata l'espressione genica di ERCC1, hENT1, dCK, 5'-NT, CDA, RRM1 e RRM2 in 85 campioni isolati con microdissezione da biopsie provenienti dai tessuti polmonari normali o tumorali o dalle metastasi linfonodali. Le analisi di questi tessuti hanno mostrato differenze significative per i pattern di espressione genica di diversi determinanti molecolari potenzialmente utile nel predire l'efficacia di gemcitabina/cisplatino e per personalizzare i trattamenti in pazienti affetti da cancro. In conclusione, l'evoluzione delle tecniche di biologia molecolare promossa dagli studi di farmacogenetica racchiude in sè notevoli potenzialità  per quanto concerne l'ideazione di nuovi protocolli terapeutici. Identificando le caratteristiche genotipiche e i livelli di espressione geniche di determinanti molecolari implicati nella risposta ai farmaci potremmo infatti predisporre delle mappe di chemiosensibilità-chemioresistenza per ciascun paziente, nell'ottica di approntare di volta in volta le più appropriate terapie antitumorali in base alle caratteristiche genetiche del paziente e della sua patologia neoplastica.

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Con il presente lavoro, che ha ad oggetto l’istituto dello scioglimento anticipato delle Camere nell’ordinamento costituzionale italiano, il candidato si propone tre obiettivi. Il primo è quello della ricostruzione dogmatica dell’istituto che sconta inevitabilmente un grosso debito nei confronti della vasta letteratura giuridica che si è sviluppata nel corso dei decenni. Il secondo obiettivo è quello, ben più originale, dell’indagine sulla prassi che ha contraddistinto il ricorso allo scioglimento nella peculiare realtà italiana. In questo modo si viene colmando uno spazio di ricerca diretto a leggere gli avvenimenti e a ricondurli in un quadro costituzionale sistematico, anche al fine di ricavare utili riflessioni circa la conformità della prassi stessa al dato normativo, nonché sulle modalità di funzionamento concreto dell'istituto. Il terzo obiettivo, quello più ambizioso, è utilizzare le considerazioni così sviluppate per ricercare soluzioni interpretative adeguate all’evoluzione subita dall’assetto politico-istituzionale italiano negli ultimi due decenni. Quanto al metodo, la scelta del candidato è stata quella di ricorrere ad uno strumentario che pone in necessaria sequenza logica: a) i presupposti storici/comparatistici e il dibattito in Assemblea costituente, utili per l’acquisizione del patrimonio del parlamentarismo europeo del tempo e per la comprensione del substrato su cui si costruisce l’edificio costituzionale; b) il testo costituzionale, avvalendosi anche delle importanti considerazioni svolte dalla dottrina più autorevole; c) la prassi costituzionale, consistente nella fase di implementazione concreta del disposto normativo. La finalità che il candidato si pone è dimostrare la possibilità di configurare lo scioglimento secondo un modello di tipo “primoministeriale”. Per quanto riguarda la prima parte della ricerca, dalla pur sintetica descrizione dei precedenti storici (sia rispetto alle realtà europee, inglese e francese in primis, che al periodo prerepubblicano) si trae conferma che l’operatività dell’istituto è intrinsecamente influenzata dalla forma di governo. Una prima indicazione che emerge con forza è come la strutturazione del sistema partitico e il grado di legame tra Assemblea rappresentativa e Gabinetto condizionino la ratio del potere di scioglimento, la sua titolarità ed il suo effettivo rendimento. Infatti, in presenza di regimi bipartitici e di impianti istituzionali che accentuano il raccordo fiduciario, il Capo dello Stato tende all’emarginazione, e lo scioglimento acquisisce carattere di automaticità tutte le volte in cui si verificano crisi ministeriali (eventualità però piuttosto rara); più consueto è invece lo scioglimento primoministeriale libero, come arma politica vera e propria attraverso cui il Governo in carica tende a sfruttare il momento migliore per ricercare il giudizio del popolo. Al contrario, dove il sistema politico è più dinamico, e il pluralismo sociale radicalizzato, il Capo dello Stato interferisce fortemente nella vita istituzionale e, in particolare, nella formazione dell’indirizzo politico: in quest’ottica lo scioglimento viene da questi inglobato, ed il suo ricorso subordinato ad esigenze di recupero della funzionalità perduta; soprattutto, quando si verificano crisi ministeriali (invero frequenti) il ricorso alle urne non è conseguenza automatica, ma semmai gli viene preferita la via della formazione di un Gabinetto poggiante su una maggioranza alternativa. L’indagine svolta dal candidato sui lavori preparatori mostra come il Costituente abbia voluto perseguire l'obiettivo di allargare le maglie della disciplina costituzionale il più possibile, in modo da poter successivamente ammettere più soluzioni interpretative. Questa conclusione è il frutto del modo in cui si sono svolte le discussioni. Le maggiori opzioni prospettate si collocavano lungo una linea che aveva ad un estremo una tassativa preordinazione delle condizioni legittimanti, ed all’altro estremo l’esclusiva e pressoché arbitraria facoltà decisionale dello scioglimento nelle mani del Capo dello Stato; in mezzo, la via mediana (e maggiormente gradita) del potere sì presidenziale, benché circondato da tutta una serie di limiti e garanzie, nel quadro della costruzione di una figura moderatrice dei conflitti tra Esecutivo e Legislativo. Ma non bisogna tralasciare che, seppure rare, diverse voci propendevano per la delineazione di un potere governativo di scioglimento la quale impedisse che la subordinazione del Governo al Parlamento si potesse trasformare in degenerazione assemblearista. Quindi, il candidato intende sottolineare come l’adamantina prescrizione dell’art. 88 non postuli, nell’ambito dell’interpretazione teleologica che è stata data, alcuno specifico indirizzo interpretativo dominante: il che, in altri termini, è l’ammissione di una pluralità di concezioni teoricamente valide. L'analisi del dettato costituzionale non ha potuto prescindere dalla consolidata tripartizione delle teorie interpretative. Dall'analisi della letteratura emerge la preferenza per la prospettiva dualistica, anche in virtù del richiamo che la Costituzione svolge nei confronti delle competenze sia del Presidente della Repubblica (art. 88) che del Governo (art. 89), il che lo convince dell’inopportunità di imporre una visione esclusivista, come invece sovente hanno fatto i sostenitori della tesi presidenziale. Sull’altro versante ciò gli permette di riconferire una certa dignità alla tesi governativa, che a partire dal primo decennio repubblicano era stata accantonata in sede di dibattito dottrinario: in questo modo, entrambe le teoriche fondate su una titolarità esclusiva assumono una pari dignità, benchè parimenti nessuna delle due risulti persuasiva. Invece, accedere alla tesi della partecipazione complessa significa intrinsecamente riconoscere una grande flessibilità nell’esercizio del potere in questione, permettendo così una sua più adeguata idoneità a mutare le proprie sembianze in fase applicativa e a calarsi di volta in volta nelle situazioni contingenti. Questa costruzione si inserisce nella scelta costituente di rafforzare le garanzie, ed il reciproco controllo che si instaura tra Presidente e Governo rappresenta la principale forma di tutela contro potenziali abusi di potere. Ad ognuno dei due organi spettano però compiti differenti, poiché le finalità perseguite sono differenti: come l’Esecutivo agisce normalmente secondo canoni politici, in quanto principale responsabile dell’indirizzo politico, al Capo dello Stato si addice soprattutto il compito di sorvegliare il regolare svolgimento dei meccanismi istituzionali, in posizione di imparzialità. Lo schema costituzionale, secondo il candidato, sembra perciò puntare sulla leale collaborazione tra i poteri in questione, senza però predefinire uno ruolo fisso ed immutabile, ma esaltando le potenzialità di una configurazione così eclettica. Assumendo questa concezione, si ha buon gioco a conferire piena cittadinanza costituzionale all’ipotesi di scioglimento disposto su proposta del Presidente del Consiglio, che si può ricavare in via interpretativa dalla valorizzazione dell’art. 89 Cost. anche secondo il suo significato letterale. Al discorso della titolarità del potere di scioglimento, il candidato lega quello circa i presupposti legittimanti, altro nodo irrisolto. La problematica relativa alla loro definizione troverebbe un decisivo ridimensionamento nel momento in cui si ammette la compartecipazione di Governo e Presidente della Repubblica: il diverso titolo con il quale essi cooperano consentirebbe di prevenire valutazioni pretestuose circa la presenza delle condizioni legittimanti, poichè è nel reciproco controllo che entrambi gli organi individuano i confini entro cui svolgere le rispettive funzioni. Si giustificano così sia ragioni legate ad esigenze di funzionalità del sistema (le più ricorrenti in un sistema politico pluripartitico), sia quelle scaturenti dalla divaricazione tra orientamento dei rappresentati e orientamento dei rappresentanti: purchè, sottolinea il candidato, ciò non conduca il Presidente della Repubblica ad assumere un ruolo improprio di interferenza con le prerogative proprie della sfera di indirizzo politico. Il carattere aperto della disciplina costituzionale spinge inevitabilmente il candidato ad approfondire l'analisi della prassi, la cui conoscenza costituisce un fondamentale modo sia per comprendere il significato delle disposizioni positive che per apprezzare l’utilità reale ed il rendimento sistemico dell’istituto. Infatti, è proprio dall'indagine sulla pratica che affiorano in maniera prepotente le molteplici virtualità dello strumento dissolutorio, con modalità operative che, a seconda delle singole fasi individuate, trovano una strutturazione casistica variabile. In pratica: nel 1953 e nel 1958 è l'interesse del partito di maggioranza relativa ad influenzare il Governo circa la scelta di anticipare la scadenza del Senato; nel 1963 e nel 1968 invece si fa strada l'idea del consenso diffuso allo scioglimento, seppure nel primo caso l'anticipo valga ancora una volta per il solo Senato, e nel secondo ci si trovi di fronte all'unica ipotesi di fine naturale della legislatura; nel 1972, nel 1976, nel 1979, nel 1983 e nel 1987 (con una significativa variante) si manifesta con tutta la sua forza la pratica consociativa, figlia della degenerazione partitocratica che ha svuotato le istituzioni giuridiche (a partire dal Governo) e cristallizzato nei partiti politici il centro di gravità della vita pubblica; nel 1992, a chiusura della prima epoca repubblicana, caratterizzata dal dominio della proporzionale (con tutte le sue implicazioni), si presentano elementi atipici, i quali vanno a combinarsi con le consolidate tendenze, aprendo così la via all'incertezza sulle tendenze future. È con l'avvento della logica maggioritaria, prepotentemente affacciatasi per il tramite dei referendum elettorali, a sconvolgere il quadro delle relazioni fra gli organi costituzionali, anche per quanto concerne ratio e caratteristiche del potere di scioglimento delle Camere. Soprattutto, nella fase di stretta transizione che ha attraversato il quadriennio 1992-1996, il candidato mette in luce come i continui smottamenti del sistema politico abbiano condotto ad una fase di destabilizzazione anche per quanto riguarda la prassi, incrinando le vecchie regolarità e dando vita a potenzialità fino allora sconosciute, addirittura al limite della conformità a Costituzione. La Presidenza Scalfaro avvia un processo di netta appropriazione del potere di scioglimento, esercitandolo in maniera esclusiva, grazie anche alla controfirma offerta da un Governo compiacente (“tecnicco”, perciò debitore della piena fiducia quirinalizia). La piena paternità presidenziale, nel 1994, è accompagnata da un altro elemento di brusca rottura con il passato, ossia quello della ragione legittimante: infatti, per la prima volta viene addotta palesemente la motivazione del deficit di rappresentatività. Altro momento ad aver costituito da spartiacque nell’evoluzione della forma di governo è stato il mancato scioglimento a seguito della crisi del I Governo Berlusconi, in cui forti erano state le pressioni perché si adeguasse il parlamentarismo secondo i canoni del bipolarismo e del concetto di mandato di governo conferito direttamente dagli elettori ad una maggioranza (che si voleva predefinita, nonostante essa in verità non lo fosse affatto). Dopo questa parentesi, secondo il candidato la configurazione dello strumento dissolutorio si allinea su ben altri binari. Dal punto di vista della titolarità, sono i partiti politici a riprendere vigorosamente un certo protagonismo decisionale, ma con una netta differenza rispetto al passato consociativo: ora, il quadro politico pare saldamente attestato su una dinamica bipolare, per cui anche in relazione all’opzione da adottare a seguito di crisi ministeriale sono le forze della maggioranza che decidono se proseguire la legislatura (qualora trovino l’accordo tra di loro) o se sciogliere (allorchè invece si raggiunga una sorta di maggioranza per lo scioglimento). Dal punto di vista dei presupposti, sembra consolidarsi l’idea che lo scioglimento rappresenti solo l’extrema ratio, chiamando gli elettori ad esprimersi solo nel momento in cui si certifica l’assoluta impossibilità di ripristinare la funzionalità perduta. Conclusioni. Il rafforzamento della prospettiva bipolare dovrebbe postulare una riconfigurazione del potere di scioglimento tesa a valorizzare la potestà decisionale del Governo. Ciò discenderebbe dal principio secondo cui il rafforzamento del circuito che unisce corpo elettorale, maggioranza parlamentare e Governo, grazie al collante di un programma politico condiviso, una coalizione che si presenta alle elezioni ed un candidato alla Presidenza del Consiglio che incarna la perfetta sintesi di tutte queste istanze, comporta che alla sua rottura non si può che tornare al giudizio elettorale: e quindi sciogliere le Camere, evitando la composizione di maggioranze che non rappresentano la diretta volontà popolare. Il candidato però non ritiene auspicabile l’adozione di un automatismo analogo alla regola dell'aut simul stabunt aut simul cadent proprio dell’esperienza regionale post 1999, perché soluzione eccessivamente rigida, che ingesserebbe in maniera inappropriata una forma parlamentare che comunque richiede margini di flessiblità. La proposta è invece di rileggere il testo costituzionale, rebus sic stantibus, nel senso di far prevalere un potere libero di proposta da parte del Governo, cui il Capo dello Stato non potrebbe non consentire, salvo svolgere un generale controllo di costituzionalità volto ad accertare l’insussistenza di alcuna forma di abuso. Su queste conclusioni il lavoro esprime solo prime idee, che meritano di essere approfondite. Come è da approfondire un tema che rappresenta forse l’elemento di maggiore originalità: trattasi della qualificazione e descrizione di un mandato a governare, ossia della compatibilità costituzionale (si pensi, in primis, al rapporto con il divieto di mandato imperativo di cui all’art. 67 Cost.) di un compito di governo che, tramite le elezioni, gli elettori affidano ad una determinata maggioranza, e che va ad arricchire il significato del voto rispetto a quello classico della mera rappresentanza delle istanze dei cittadini (e propria del parlamentarismo ottocentesco): riflessi di tali considerazioni si avrebbero inevitabilmente anche rispetto alla concezione del potere di scioglimento, che in siffatta maniera verrebbe percepito come strumento per il ripristino del “circuito di consonanza politica” che in qualche modo si sarebbe venuto a rompere. Ad ogni buon conto, già emergono dei riflessi in questo senso, per cui la strada intrapresa dal candidato pare quella giusta affinchè l’opera risulti completa, ben argomentata ed innovativa.

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Die Morphogenese einer Pflanzenzelle wird in großem Maße durch die Dynamik kortikaler Mikrotubuli (MT) bestimmt, die auf die Zellwandsynthese Einfluß nehmen. In dieser Arbeit wurden die Transkriptmengen der alpha-Tubulin-Isotypen und des gamma-Tubulin während der Entwicklung des Gerstenblattes analysiert, um Zusammenhänge zu bereits beschriebenen Umwandlungen im kortikalen MT-Cytoskelett der Mesophyllzellen aufzudecken. Erstmals konnte bei einer höheren Pflanze die Genexpression auf RNA-Ebene innerhalb einer Tubulin-Multigenfamilie im Verlauf der Blattentwicklung umfassend dargestellt werden.Es wurden blattspezifische cDNA-Bibliotheken erstellt und mittels RT-PCR homologe DNA-Gensonden für die Screeningprozesse der cDNA-Bibliotheken hergestellt. cDNA-Sequenzen von alpha-, beta-, und gamma-Tubulin konnten isoliert werden. Weitere, weniger abundante alpha-Tubulin-Sequenzen wurden während zusätzlicher Screeningrunden über PCR-Ausschluß häufig vertretener, bereits bekannter Isotypen isoliert.Die cDNA-Sequenzen von insgesamt fünf verschiedenen Isotypen des alpha-Tubulin konnten aufgeklärt werden, drei Isotypen wiesen bis zu fünf im nicht kodierenden 3´-Bereich verkürzte Varianten auf, die aber in ihrer Anzahl deutlich unterrepräsentiert waren. Die abgeleiteten Aminosäuresequenzen umfassten bei drei Isotypen 451 Aminosäuren (AS), zwei Isotypen waren im C-Terminus um eine bzw. um zwei AS kürzer. Die fünf alpha-Tubulin-Isotypen wiesen charakteristische Expressionsmuster auf, die in drei Klassen unterteilbar waren. Die Isotypen HVATUB1 und HVATUB5 (MT-Band-Isotypen) hatten den maximalen Gehalt in Blattbereichen, in denen auch hauptsächlich Mesophyllzellen mit kortikalen MT-Bänderungen vorkommen, wobei HVATUB5 den am schwächsten exprimierte Isotyp darstellte. HVATUB3 (Random-MT-Isotyp) zeigte die stärksten Expressionsraten. Die im Meristem und meristemnahen Bereichen bereits recht hohe Abundanz erreichte erst nach der Zellstreckungszone in einer Blattzone das Maximum, in dem hauptsächlich Mesophyllzellen mit zerstreut angeordneten MT anzutreffen sind. Die Isotypen HVATUB2 und HVATUB4 (MImax-Isotypen) waren in mitotisch aktiven, basalen Blattbereichen dominant.Die cDNA-Sequenz vom gamma-Tubulin der Gerste, HVGTUB, wurde ermittelt; die abgeleitete Aminosäuresequenz bestand aus 469 AS. Das Auftreten einer im nicht kodierenden 3´-Bereich kürzeren Variante konnte erstmals bei pflanzlichem gamma-Tubulin beschrieben werden. Southernblot-Analysen ließen darauf schließen, daß gamma-Tubulin nur als Einzelkopie im Genom der Gerste vorkommt. gamma-Tubulin wurde im mitosereichen Meristem der Blattbasis am stärksten exprimiert. Da die Abnahme der Transkriptmenge weitaus langsamer verlief als die Abnahme der Zellteilungsaktivität, ist anzunehmen, daß gamma-Tubulin neben der Erfüllung von mitose- und zellteilungsspezifischen Funktionen auch eine Rolle im Zusammenhang mit der Dynamik des kortikalen MT-Cytoskeletts spielt. Einen ersten Schritt zur Aufklärung der Genfamilie des beta-Tubulin bei Gerste stellt die Isolierung drei verschiedener cDNA-Sequenzen von beta-Tubulin dar.

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Die Skelettentwicklung wird von zahlreichen genetischen Faktoren gesteuert, die bei Fehlfunktion Ursache unterschiedlichster Erkrankungen des Knorpel-/Knochengewebes sein können. Die Untersuchung von bekannten Kandidatengenen (FGFR3) sowie der Versuch der Identifizierung und Charakterisierung neuer Kandidatengene, ist Inhalt der vorliegenden Arbeit. Das humane FGFR3-Gen stellt ein bekanntes Kandidatengen dar, das bei Veränderungen zu einem Spektrum an Erkrankungen führt (Skelettentwicklungsstörungen, Kleinwuchsformen, nicht-syndromatische Kraniosynostosen, Tumorerkrankungen). Im Rahmen der vorliegenden Arbeit konnte die vollständige genomische Struktur des FGFR3-Gens aufgeklärt wurde. Hierdurch konnte ein Set von Primern generiert werden, mit dem die genomische Mutationsanalyse des kompletten FGFR3-Gens möglich war. Die Anwendung dieser umfassenden FGFR3-Diagnostik erbrachte den ersten Nachweis einer HCH-Mutation bei einer Patientin mit Hypochondroplasie (HCH) in der extrazellulären Domäne des FGFR3-Gens. Durch Computer-simulierte Strukturanalyse konnte gezeigt werden, dass die Sekundär- bzw. Tertiärstruktur dieses FGF-Rezeptors durch die Mutation mit großer Wahrscheinlichkeit nicht krankheitsverursachend verändert wird. Die Mutation betrifft jedoch eine mögliche funktionell wichtige N-Glykosylierungsstelle des Rezeptors, was den phänotypischen Effekt der Mutation erklären könnte. In der vorliegenden Arbeit wurde außerdem das Expressionsmuster der zwei bekannten Spleißvarianten (IIIb und IIIc) des Ffgfr3-Gens detailliert untersucht. Anhand von Mausschnitten unterschiedlicher Entwicklungsstadien konnte nachgewiesen werden, dass die IIIc-Variante bei der Maus in erster Linie in Knorpel-/Knochengewebe exprimiert wird, während sich die IIIb-Variante ausschließlich auf epitheliale Strukturen beschränkt. Zur Evaluierung systematischer Ansätze zur Isolation neuer knorpelspezifischer Gene wurden in einer ersten umfassenden Serie - ausgehend von einer humanen fetalen Chondrozyten-cDNA-Bank - die Möglichkeiten eines Knorpel-/Knochen-EST-Projekts untersucht und beurteilt. Die ermittelten Ergebnisse zeigen, dass 5% der untersuchten EST-Klone neue, möglicherweise knorpelspezifische Gene darstellen. Die Ergebnisse sind ein deutlicher Hinweis darauf, dass die verwendete cDNA-Bank zur Isolierung neuer, möglicherweise knorpelspezifischer Gene geeignet ist. Diese Einschätzung wurde dadurch unterstützt, dass ein Klon isoliert und charakterisiert wurde, der im Verlauf der Arbeit als Msx2-interagierender Faktor (MINT) publiziert wurde und in der Knorpel-/Knochen-Entwicklung eine wichtige Rolle spielt.In einem zweiten Versuchsansatz wurde die von Velculescu et al. (1995) veröffentliche SAGE ('serial analysis of gene expression')-Methode - ausgehend von RNA einer humanen Chondrosarkom-Zelllinie - etabliert. Die relativ aufwendige Technik konnte erfolgreich durchgeführt werden. Die Auswertung ergab, dass auch die bei dieser Versuchsreihe verwendete Strategie die Möglichkeit eröffnet, systematisch gewebsspezifische Gene zu isolieren.

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Zusammenfassung In der vorliegenden Arbeit wurden Polymerisationseigenschaften hydrophober Monomere untersucht, die mittels methyliertem b-Cyclodextrin (me-b-CD) als Wirt/Gast-Komplexe homogen in die wäßrige Phase überführt wurden. Mit diesem Verfahren steht eine neue Variante der Polymerisation hydrophober Monomere in Wasser zur Verfügung.Die Charakterisierung der Monomer/CD-Komplexe erfolgte mittels Röntgenstrukturanalyse und 1H-NMR-Spektroskopie: steigende Größe der Gast-Komponente erhöht die Wechselwirkungen zum CD. Zur Untersuchung der Polymerisationsreaktion wurden Copolymerisationsparameter von Komplexen und Übertragungskonstanten von Mercaptoverbindungen bei Polymerisationen von Komplexen ermittelt. In Abhängigkeit der Größe der Gastkomponente und ihrer Wasserlöslichkeit resultieren unterschiedliche Reaktivitäten relativ zu Polymerisationen unkomplexierter Reaktanden in organisch-wäßriger Lösung. Außerdem wurden Copolymerisationen zwischen hydrophoben, me-b-CD-komplexierten Monomeren und wasserlöslichen Monomeren untersucht wie z.B. N-Isopropylacrylamid oder Natrium-4-(acrylamido)phenyldiazosulfonat, dessen Copolymerisation mit Styrol bislang nicht möglich war. Eine weitere Aufgabe war die Herstellung wasserstoffbrückenbindender Polymere. Hierzu wurden assoziationsfähige Monomere hergestellt und mit Methylmethacrylat copolymerisiert. Lösungen der Copolymere wurden rheologisch untersucht. Die Lösungen besitzen hohe Nullscherviskositäten bei 20°C und sind strukturviskos. Die Untersuchung der Temperaturabhängigkeit der Nullscherviskositäten ergab insbesondere bei der Lösung von Poly(N-(methacryl-2-ethyl)-N'-(3-amino-(1,2,4-triazol-2-yl))harnstoff-co-methylmethacrylat) bei niedrigen Temperaturen eine hohe Fließaktivierungsenergie, die zu höheren Temperaturen sank. Die komplexe Viskosität dieser Lösung fiel mit zunehmender Temperatur zunächst ab, stieg dann wieder an und sank erneut. Mittels DSC-Messungen konnten Phasenübergänge für dieses Fließverhalten verantwortlich gemacht werden. Außerdem kann Poly(N-(methacryl-2-ethyl)-N'-(3-amino-(1,2,4-triazol-2-yl))harnstoff-co-methylmethacrylat) thermisch vernetzen.

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Le tecniche dell'informazione e i metodi della comunicazione hanno modificato il modo di redigere documenti destinati a trasmettere la conoscenza, in un processo che è a tutt'oggi in corso di evoluzione. Anche l'attività progettuale in ingegneria ed architettura, pure in un settore caratterizzato da una notevole inerzia metodologica e restio all'innovazione quale è quello dell'industria edilizia, ha conosciuto profonde trasformazioni in ragione delle nuove espressioni tecnologiche. Da tempo l'informazione necessaria per realizzare un edificio, dai disegni che lo rappresentano sino ai documenti che ne indicano le modalità costruttive, può essere gestita in maniera centralizzata mediante un unico archivio di progetto denominato IPDB (Integrated Project DataBase) pur essendone stata recentemente introdotta sul mercato una variante più operativa chiamata BIM (Building Information Modelling). Tuttavia l'industrializzazione del progetto che questi strumenti esplicano non rende conto appieno di tutti gli aspetti che vedono la realizzazione dell'opera architettonica come collettore di conoscenze proprie di una cultura progettuale che, particolarmente in Italia, è radicata nel tempo. La semantica della rappresentazione digitale è volta alla perequazione degli elementi costitutivi del progetto con l'obiettivo di catalogarne le sole caratteristiche fabbricative. L'analisi della letteratura scientifica pertinente alla materia mostra come non sia possibile attribuire ai metodi ed ai software presenti sul mercato la valenza di raccoglitori omnicomprensivi di informazione: questo approccio olistico costituisce invece il fondamento della modellazione integrata intesa come originale processo di rappresentazione della conoscenza, ordinata secondo il paradigma delle "scatole cinesi", modello evolvente che unifica linguaggi appartenenti ai differenti attori compartecipanti nei settori impiantistici, strutturali e della visualizzazione avanzata. Evidenziando criticamente i pregi e i limiti operativi derivanti dalla modellazione integrata, la componente sperimentale della ricerca è stata articolata con l'approfondimento di esperienze condotte in contesti accademici e professionali. Il risultato conseguito ha coniugato le tecniche di rilevamento alle potenzialità di "modelli tridimensionali intelligenti", dotati cioè di criteri discriminanti per la valutazione del relazionamento topologico dei componenti con l'insieme globale.

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Der Asialoglykoprotein-Rezeptor (ASGPR) vermittelt als integraler Bestandteil der Leberzellmembran die Endozytose von zirkulierenden Asialoglykoproteinen. Ziele dieser Arbeit waren proteinchemische Untersuchungen von funktionellem ASGPR aus humaner Leber aufgrund einer verbesserten Präparationsmethode und die rekombinante Darstellung der beiden Untereinheiten H1 und H2. In der denaturierenden SDS-PAGE erschienen H1 und H2 überwiegend als Monomere bei 46 und 50kD; nach Deglykosylierung ergaben sich Banden bei 34 und 32kD, wonach der Glykosidanteil etwa 28% beträgt. In der nicht-denaturierenden Größenausschluß-Chromatographie wurden im nativen ASGPR ausschließlich Trimere und Dimere gefunden. In Gegenwart von 2-Mercaptoethanol konnten funktionell eine aktive von einer nicht-aktiven Fraktion getrennt werden, wobei H2 in der nicht-aktiven Fraktion angereichert war, während sich H1 zu etwa gleichen Teilen in beiden Fraktionen befand. Durch zweidimensionale Auftrennung des deglykosylierten Rezeptors wurden auf Proteinebene vier Isoformen von H1 und zwei von H2 mit unterschiedlichen pI-Werten identifiziert. Der Vergleich von funktionellem ASGPR aus normaler Leber und den hepatischen Tumorzellinien HepG2 und Huh7 in der SDS-PAGE brachte Größenunterschiede von etwa sechs und vier Kilodalton hervor. Bei H1 konnte dies auf einen höheren Glykosylierungsgrad zurückgeführt werden, während H2 auch nach Behandlung mit N-GlykosidaseF ein größeres Molekulargewicht aufwies. Ein Antikörper gegen das Insertionspeptid im cytoplasmatischen Bereich einer Splice-Variante von H2 zeigte eine deutlich erhöhte Expression von H2 mit Insertion in Huh7-Zellen gegenüber natürlichem ASGPR. Da bisherige Kenntnisse über den humanen ASGPR vorwiegend aus kultivierten Hepatomzelllinien stammen, scheinen sie nicht ohne weiteres auf die Situation in normaler Leber übertragbar. Die Präparation von funktionellem H1 aus transfizierten cos7- und 293-Zellen führte zum gleichen Bandenmuster wie beim natürlichen ASGPR. Mit einem Enzymimmunoassay wurde die Eignung von rekombinantem H1 zur Detektion von Antikörpern gegen ASGPR in 177 von 178 Patientenseren gezeigt. Da durch Präinkubation mit rekombinantem Antigen die Reaktivität mit natürlichem Rezeptor inhibiert werden konnte, trägt H1 hauptsächlich die antigenen Stellen des ASGPR.

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Die Kenntnis immunogener Tumorantigene ist Grundlage für die rationale Entwicklung immunologisch orientierter Therapieverfahren. In der vorliegenden Arbeit wurden im autologen Melanommodell MZ7 drei neue T-zellerkannte Tumorantigene vorgestellt. Während nahezu alle bisher beschriebenen Tumorantigene mit Hilfe von T-Zellklonen (CTL) entdeckt wurden, die aus tumorreaktiven MLTCs (gemischte Lymphozyten/Tumor-Zellkulturen) generiert worden waren, wurde in dieser Arbeit versucht, wenige Wochen stimulierte MLTCs direkt zur Antigensuche zu verwenden. Als sensitives Nachweissystem wurde der IFNg-ELISPOT-Assay eingesetzt. Die Motivation dazu waren einerseits praktische Erwägungen, da CTL-Klonierungen material- und zeitaufwendig sind. Andererseits wurde vermutet, dass die Etablierung von CTL-Klonen in Langzeitkultur neben Zufallsprozessen auch Selektionsprozessen unterliegt, die CTL mit bestimmten Eigenschaften favorisieren. Eventuell eröffnete sich durch den Einsatz der MLTCs die Möglichkeit, Antigene zu entdecken, die mit Hilfe permanent kultivierter CTL aus den MLTCs nicht gefunden würden.Um beispielsweise Schwankungen im Proliferationsverhalten und in Effektorfunktionen permanent kultivierter T-Zellen zu umgehen, wurden für die Versuche in dieser Arbeit in Portionen eingefrorene T-Zellen verwendet, die zuvor zu ausreichender Menge expandiert worden waren. Es ließ sich zeigen, dass durch die Kryokonservierung der T-Zellen zu einem bestimmten Zeitpunkt nach einer Restimulation mit den Tumorzellen der Aktivierungszustand der T-Zellen konserviert wurde, und dass die T-Zellen nach dem Auftauen in ELISPOT-Assays ohne wesentliche Einbußen spezifisch auf einen erneuten Antigenkontakt reagierten. Bei der Testung von mehreren, unabhängig generierten MLTCs gegen bekannte Tumorantigene wurden T-Zellantworten gegen gp100/HLA-B7.2, Tyrosinase/HLA-A26.1, SIRT2P182L/HLA-A3.1 und, deutlich stärker, gegen die Melanomzelllinie festgestellt. Nachfolgend wurde mit Hilfe bereits etablierter CTL-Klone die peptidkodierende Region von gp100 über die Transfektion von gp100-Fragmenten in COS-7-Zellen eingegrenzt und anschließend ein synthetisches Peptid identifiziert, das von den CTL-Klonen erkannt wurde. Das zweite identifizierte Tumorantigen, Tyrosinase/HLA-A26.1, wurde nur in einer von sechs neu generierten, unabhängigen MLTCs entdeckt. Da keine Tyrosinase/HLA-A26.1-reaktiven CTL-Klone zur Verfügung standen, wurden die zur Eingrenzung der peptidkodierenden Region transfizierten COS-7-Zellen mit der MLTC selbst getestet. Anschließend wurde ein synthetisches Peptid identifiziert, das von der MLTC erkannt wurde.Die Reaktivität der MLTCs gegen die Melanomzelllinie war bei weitem nicht durch die bis dahin gefundenen T-Zellantworten erklärbar. Daher wurde mit einer der MLTCs versucht, durch cDNA-Expressionsklonierung ein neues Antigen in der cDNA-Bank aus dem MZ7-Melanom zu identifizieren. Die Reaktivität der MLTC gegen den Tumor war hauptsächlich durch einen Antikörper gegen HLA-A3 blockierbar. Daher wurde HLA-A*03011-cDNA für das „Screening“ kotransfiziert. Das Verfahren führte zur Identifizierung eines weiteren punktmutierten Tumorantigens: GPNMBG181D (GPNMBmutiert). Die Mutation führte dazu, dass ein Teil eines ungespleißten Introns Bestandteil der im Tumor entdeckten cDNA war. Ein aus der Exon/Intron-Region kodiertes synthetisches Peptid mit der ausgetauschten Aminosäure wurde von der MLTC deutlich erkannt. Durch RT-PCR-Analysen wurde im MZ7-Melanom, in fast allen getesteten weiteren Melanomen sowie in einem Teil der überprüften Nierenzellkarzinome eine Variante der GPNMB-cDNA entdeckt, in der ebenfalls das erwähnte Intron enthalten war, ohne dass die Mutation vorlag (GPNMB/INT4). Diese Spleißvariante wurde nicht in EBV-B-Zelllinien und anderen Tumorzelllinien gefunden. Zusätzlich zu dem bereits zuvor charakterisierten Tumorantigen SIRT2P182L wurden drei weitere T-zellerkannte Antigene im Melanommodell MZ7 identifiziert. T-Zellreaktivität gegen das Antigen GPNMBG181D entwickelte sich, im Gegensatz zu den anderen Antigenen, in allen getesteten MLTCs. Dies spricht für eine immunologische Dominanz des Antigens im Melanommodell MZ7. Die Tatsache, dass das „stärkste“ Antigen mit Hilfe einer MLTC identifiziert wurde, bietet die Aussicht, evtl. weitere dominante Antigene mit dem Verfahren identifizieren zu können. Die Verwendung von kurzzeitstimulierten MLTCs anstelle von permanent kultivierten CTL-Klonen stellt einen ersten Schritt auf dem Weg zur Beschleunigung der Suche nach Tumorantigenen dar. Die Verfahrensbeschleunigung ist die Voraussetzung dafür, in Zukunft Antigene nicht nur in archivierten Modellen zu suchen, sondern in Patienten zu einem frühen Zeitpunkt der malignen Erkrankung. Dann bestünde die Chance, dass die Kenntnis individueller Tumorantigene in immuntherapeutische Konzepte eingeht.

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Eine Erkrankung durch das humane Cytomegalovirus (hCMV) und ein Rezidiv des Ausgangstumors sind zwei gravierende Komplikationen im Rahmen der Therapie von Malignomen des hämatopoetischen Systems durch Knochenmarktransplantation (KMT). Eine mögliche pathogenetische Interaktion zwischen hCMV-Infektion und einem von einer Minimalen Residualen Leukämie (MRL) ausgehenden Rezidiv wurde bislang in klinischen Verlaufsstudien nach KMT noch nicht systematisch untersucht.In der vorliegenden Arbeit wurde der Einfluss von CMV auf ein Lymphom in einem Modellsystem untersucht. Dazu erweiterten wir das etablierte Modell der murinen CMV (mCMV) Infektion nach experimenteller syngener KMT mit dem Mausstamm BALB/c als Spender und Empfänger durch ein B-Zell-Lymphom als weiteren Parameter. Als Modell-Lymphom diente uns eine mit dem Reportergen lacZ transfizierte, ex tumore klonierte, in der Leber hochgradig tumorigene Variante (Klon E12E) des von BALB/c abgeleiteten B-Zell-Lymphoms A20. Die Arbeiten führten zur Erstbeschreibung einer anti-metastatischen Wirkung der mCMV-Infektion (Erlach at al., 2002; J. Virol. 76: 2857-2870).Im neu etablierten Tiermodell konnte erstmals gezeigt werden, dass eine CMV-Infektion die Ansiedelung eines murinen B-Zell-Lymphoms in der Leber deutlich verringert. Damit wurde die Entstehung einer letalen Tumorerkrankung, abhängig von der Ausgangslast an Tumorzellen signifikant verzögert oder sogar ganz verhindert. Die Suche nach Mechanismen, die diesen antitumoralen Effekt von mCMV verursachen, führte zu folgenden Ergebnissen: Im Unterschied zu onkolytischen Viren basiert die antitumorale Wirkung von mCMV nicht auf einer zytozidalen Infektion der Lymphomzellen. Darüber hinaus zeigt mCMV keine zytostatische oder Apoptose-induzierende Wirkung. Außerdem sind die rekonstituierenden Knochenmarkzellen als Effektoren für den anti-Tumoreffekt auszuschließen. Direkte zytotoxische, sowie systemische Effekte von TNF-alpha konnten als antitumorale Mechanismen ausgeschlossen werden. Die intravenöse Applikation von UV-inaktiviertem Virus zeigte ebenfalls eine Inhibition des Lymphomwachstums, so dass der antitumorale Effekt offenbar durch virale Strukturproteine (Virion-Proteine) ausgelöst wird.Auf der Basis dieser Daten vermuten wir eine Inhibition der Extravasation (transendotheliale Migration/Diapedese) der Tumorzellen aufgrund einer gestörten Kommunikation zwischen Tumorzelle und sinusoidalem Endothel der Leber. Das virale Hüll-Glykoprotein B kann aufgrund seiner signalinduzierenden Wirkung als ein guter Kandidat angesehen werden.

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Es wurden neue funktionalisierte Carbazole und anellierte Benzo[a]carbazole als potentielle pharmakologische Therapeutika durch 1,6-pi-Elektrocyclisierung auf photo-chemischem, thermischem und sonochemischem Weg synthetisiert und die Synthesemethoden der 1,6-pi-Elektrocyclisierung sowie der 2,3-Divinylindole und der 2-Aryl-3-vinylindole als entsprechende Ausgangsprodukte validiert und evaluiert. Es gelang weder das nach den Woodward-Hoffmann-Regeln erwartete primäre Cyclisierungsprodukt mit Indolochinodimethanstruktur noch die Existenz des in einer photochemischen Abfangreaktion daraus resultierenden Cycloprodukts NMR-spektroskopisch nachzuweisen, um den stereochemischen Verlauf der Cyclisierung vorherzusagen. Ergebnisse der quantenchemischen Berechnungen der Eduktmoleküle (AO-Koeffizienten der MO's, HOMO/LUMO-Energien) sowie der Übergangszustandsgeometrien der Cyclisierungen decken sich mit den experimentellen Daten. Divinyl- und 2-Aryl-3-vinylindole sind als Systeme mit Hexatriensymmetrie aufzufassen, deren Cyclisierungsverhalten sich mit den Woodward-Hoffmann-Regeln beschreiben läßt. Im Vergleich der verschiedenen 1,6-pi-Elektrocyclisierungsmethoden zeigte sich, daß die photochemische Variante eine elegante Synthesemethode darstellt, um funktionalisierte Carbazole und Benzo[a]carbazole mit unterschiedlichen pharmakologischen Aktivitäten unter schonenden Reaktionsbedingungen mit den vergleichbar höchsten Ausbeuten zu erhalten. Demgegenüber lieferten die Ultraschallreaktionen keine nachweisbaren Cyclisierungsprodukte. Die thermische Cyclisierung führte zur Gruppe der 1,2-Dihydrocarbazole. Sie bildeten sich in einer Folgereaktion durch [1,5s]-H-Verschiebung aus dem primär entstandenen Woodward-Hoffmann-Cyclisierungsprodukt. In abschließenden DNA-Bindestudien mit verschiedenen Testsystemen zeigte keine der synthetisierten Testsubstanzen DNA-Bindungsaktivität.

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Tumor-assoziierte Antigene (TAA) repräsentieren wichtige Zielstrukturen in zytotoxischen T-Zell (ZTL)-basierten Immuntherapien zur Behandlung maligner Erkrankungen. Die Tatsache, dass TAA nicht spezifisch nur in Tumoren sondern auch in nicht-transformierten Zellen vorhanden sind, kann infolge verschiedener Toleranz-Mechanismen zur Eliminierung von ZTL führen, deren T-Zell-Rezeptoren eine hohe Affinität für TAA besitzen. Entsprechend erfordert die Entwicklung effektiver Immuntherapeutika die genaue Analyse des verfügbaren T-Zell-Repertoires mit Spezifität für ein gegebenes TAA.Die Arbeit fokusierte das Tyrosinase (369-377) ZTL-Epitop, das im Komplex mit HLA-A*0201 (A2.1) auf der Zell-Oberfläche von malignen Melanomen und verschiedenen nicht-transformierten Zellen präsentiert wird. Es wurde gefunden, dass sowohl das humane als auch das murine Tyrosinase (369-377)-spezifische ZTL-Repertoire durch Selbst-Toleranz kompromittiert ist und dass diese Toleranz weder durch Verwendung einer bestimmten Peptid-Variante noch durch Interferenz mit CD4+CD25+ regulatorischen T-Zellen oder CTLA-4 umgangen werden kann. Diese Ergebnisse wurden anschließend auf ein anderes Krankheitsmodell, das Multiple Myelom (MM), adaptiert. Unter Umgehung von Selbst-Toleranz in A2.1-transgenen Mäusen wurde gezeigt, dass Transkriptionsfaktoren, die die terminale Differenzierung von B-Zellen in maligne und nicht-maligne Plasmazellen diktieren, als MM-assoziierte ZTL-Epitope dienen können.Diese Arbeit bietet einen bedeutenden und innovativen Beitrag zur Gestaltung von Tyrosinase-basierten Melanom- und MM-reaktiven Immuntherapien.