993 resultados para Lipoprotéines de faible densité


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Nelle coste dell’Adriatico nord-occidentale il manifestarsi di eventi mucillaginosi, dovuti alla microalga Gonyaulax fragilis, negli ultimi anni ha assunto andamenti più frequenti. Ciò ha creato numerose problematiche sia ambientali che legate alle attività produttive. L’obiettivo del lavoro è quello di ricercare i fattori che influenzano la comparsa, lo sviluppo e la persistenza degli aggregati mucillaginosi nella fascia di mare studiata. Sono stati analizzati (per gli anni 2002 – 2003 – 2005 - 2012) i dati registrati dalle campagne di monitoraggio della Struttura Oceanografica Daphne - ARPA ER dal Po di Goro a Cattolica. Sono stati individuati 4 transetti e 12 stazioni di monitoraggio, le più adatte allo studio per via delle loro caratteristiche e della loro distribuzione spaziale. La salinità, la temperatura, la clorofilla “a” e la profondità sono state relazionate, attraverso analisi statistiche, alla presenza/assenza dell’evento mucillaginoso, alla sua intensità ed alla sua persistenza. I risultati indicano che la salinità e la densità dell’aggregato (quest’ultima legata alla profondità) influenzano sia lo svilupparsi che il progredire dell’evento mucillaginoso a differenza della clorofilla “a” e della temperatura. Lo studio attira anche l’attenzione sull’idrodinamismo e sulle condizioni “ecologiche” che possono favorire la comparsa della dinoflagellata Gonyaulax fragilis, fattori ritenuti fondamentali sia per gli aspetti conoscitivi della dinamica del fenomeno che per quelli previsionali.

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In questo lavoro sono state studiate diverse miscele di conglomerato bituminoso riciclato a freddo, nelle quali si è inserito polverino di gomma proveniente da riciclaggio di pneumatici dismessi. Lo scopo è stato quello di valutare l’effetto del polverino di gomma all’interno di miscele, contenenti il 100% di fresato, confezionate a freddo con emulsione di bitume e cemento, analizzandone gli effetti sulla lavorabilità, sulla resistenza a trazione indiretta, sui moduli di rigidezza e sulle resistenze a fatica. Nel capitolo primo è introdotto il concetto di sviluppo sostenibile con particolare attenzione al campo delle pavimentazioni stradali. Sono analizzati i più recenti dati riguardanti la produzione di rifiuti di demolizione e ricostruzione in Europa e in Italia. Segue una descrizione del materiale di risulta da scarifica delle pavimentazioni stradali, dei pneumatici e delle modalità di recupero degli stessi. Nel capitolo secondo sono riportati i principali riferimenti legislativi a livello comunitario, nazionale e locale riguardanti le attività coinvolte nel processo di riciclaggio dei rifiuti per la loro utilizzazione nella costruzione di opere stradali, accompagnati dai principali documenti ausiliari, quali sentenze e disposizioni applicative a completamento del suddetto quadro normativo. Nel capitolo terzo vengono descritte le principali tecniche di riciclaggio del fresato. Particolare attenzione viene posta nella descrizione delle procedure operative e dei macchinari adottati nelle operazioni di riciclaggio in sito. Infine vengono valutati i pregi e i difetti delle tecniche di riciclaggio a freddo analizzando i vantaggi economici ed ambientali rispetto a quelle tradizionali a caldo. Nel capitolo quarto sono analizzate le singole costituenti della miscela: Emulsione Bituminosa, Cemento, Aggregati, Polverino di Gomma e Acqua, definendone per ciascuna il ruolo e le caratteristiche meccaniche e fisiche che le contraddistinguono. Nel capitolo quinto, viene sviluppato il programma sperimentale, sono definiti gli obbiettivi e descritte in modo approfondito le cinque fasi nelle quali si articola. Nella fase uno, vengono introdotte le miscele che dovranno essere studiate. Segue una caratterizzazione dei principali costituenti alla base di tali miscele: fresato , polverino di gomma, cemento, filler,emulsione bituminosa. Nella fase due avviene il confezionamento dei provini mediante compattazione con pressa giratoria. Al termine della realizzazione dei campioni, vengono descritte e analizzate le proprietà volumetriche del materiale quali il grado di addensamento, la densità, la lavorabilità. Nelle fasi tre, quattro e cinque, vengono eseguiti in successione test per la valutazione delle resistenze a trazione indiretta ITS, test per la determinazione dei moduli di rigidezza ITSM ed infine test per la valutazione delle durate dei materiali a fatica ITFT. Per ognuno dei test, sono descritte le procedure operative sulla base delle normative di riferimento vigenti. Segue l’analisi dei risultati di ciascuna prova e la valutazione dell’effetto che i singoli costituenti hanno sulle caratteristiche meccaniche della miscela.

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Il tomografo sonico è uno strumento di recente applicazione nell’analisi morfo-sintomatica delle alberature. Si tratta di uno strumento che sfrutta la propagazione delle onde sonore nel legno per determinarne la densità e le possibili alterazioni interne. Oltre all’applicazione su larga scala in un parco di Imola, per effettuare una valutazione approfondita di tutti gli esemplari, lo strumento è stato applicato per scopi diversi. In prima analisi è stato utilizzato per valutare stadi precoci di alterazione e l’evoluzione delle patologie interne nel tempo. Successivamente si voleva identificare il percorso di sostanze liquide iniettate con mezzi endoterapici nel tronco, attraverso l’applicazione di tomografia sonica sopra e sotto il punto di iniezione. In ultima analisi è stato effettuato un confronto tra tomografia sonica e risonanza magnetica nucleare per identificare patologie invisibili ai normali strumenti utilizzati nell’analisi della stabilità delle piante.

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Presentazione del lavoro svolto per la realizzazione dell'ipertesto, avente come argomento matematico: il Calcolo della probabilità. L'ipertesto si trova all'indirizzo: http://progettomatematica.dm.unibo.it/Prob2/index.html ed è una continuazione del lavoro svolto durante il tirocinio, che si trova all'indirizzo: http://progettomatematica.dm.unibo.it/ProbElem/index.html

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Questa tesi nasce dall’idea di sfruttare i recenti sviluppi della tecnica nell’ambito delle elaborazioni tridimensionali su immagini interne al corpo umano per creare nuovi strumenti di diagnosi e controllo utili ai fini medici. In particolare, si cercherà un nuovo strumento di diagnosi per una malattia, ampiamente diffusa tra la popolazione, che colpisce l’orecchio interno: la cupololitiasi, anche nota come vertigine parossistica posizionale benigna. Il presente studio, che fa parte di un più ampio progetto di ricerca, è volto a definire un protocollo sia di misure antropometriche che di densità di tessuti e alla verifica di parametri, su un numero limitato di campioni, la cui presenza consente di rilevare la malattia. Si cercano misure che diano valori differenti tra orecchi interni sani e malati, cioè segnali inequivocabili della presenza della cupololitiasi. Si utilizzano immagini provenienti da TAC effettuate a pazienti sofferenti di cupololitiasi per scopi diagnostici; si elaborano in 3D e si misurano con il programma di Materializze: MIMICS.

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La Colonia Reggiana, situata a Riccione presso la foce del fiume Marano, è stata costruita nel 1934, dal progetto dell’arch. C. Costantini. Nata come colonia marina per i bambini di Reggio Emilia, ha mantenuto la sua funzione fino agli anni ‘80, quando, in seguito al passaggio di proprietà dalla regione Emilia Romagna al comune di Riccione, è caduta in disuso. Dal 1989 una parte dell’edificio ha ospitato associazioni di sport acquatici fino all’estate del 2012, quando è stato vietato l’accesso alla colonia a scopo cautelativo, a causa dell’attività sismica che ha colpito la regione Emilia Romagna. La Colonia si inserisce in una porzione periferica del comune di Riccione. La zona del Marano, caratterizzata da una concentrazione elevata di colonie marine, si trova in un’area di confine tra i comuni di Riccione e di Rimini, caratterizzata da un’interruzione del waterfront, da una minore densità di edifici e da una natura urbanistica irrisolta, nonostante la posizione strategica di ‘porta della città’ e il pregio di essere una delle ultime zone libere lungo la costa. In particolare, l’ambito di interesse è l’area delimitata a est dal mare, a ovest dalla linea ferroviaria, a sud dal fiume Marano e a nord dal confine comunale, che coincide con il Rio dell’Asse. La pianificazione comunale, in accordo con le indicazioni di livello sovraordinato, prevede la riqualificazione degli ampi spazi lasciati incolti e il potenziamento della zona attraverso uno sviluppo di carattere alberghiero, ma anche residenziale e di servizi di vicinato. L’area dovrebbe perdere il suo carattere isolato dal resto della città e il progetto presentato da questa tesi, riportando le indicazioni comunali per lo sfruttamento delle aree verdi secondo piani già approvati, propone per la Colonia Reggiana una funzione diversa da quella alberghiera prevista. Mantenendo il carattere ricettivo richiesto dalla pianificazione urbanistica, il progetto si prefigge di riqualificare l’edificio convertendolo in una residenza socio-assistenziale per anziani. La funzione risulta adatta alla tipologia della colonia, nata come residenza estiva per bambini a scopo curativo, oltre che ricreativo, rispondendo quindi alla natura dell’edificio. La posizione, inoltre, appare positiva e piacevole per la permanenza di persone anziane che, nel periodo più avanzato della propria vita, possono godere del paesaggio e dell’aria marina, invece di ritrovarsi in edifici isolati. Il progetto di recupero della colonia consiste nel restauro o sostituzione delle parti degradate, conservando l’immagine e la natura del progetto, e nel miglioramento delle prestazioni dell’involucro in modo tale che, inserendo un sistema impiantistico adeguato, si possa raggiungere una buona prestazione energetica. La tesi si propone di valutare la possibilità di recuperare la colonia sia dal punto funzionale che da quello energetico, nel rispetto delle normative vigenti.

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Lo studio della turbolenza è di fondamentale importanza non solo per la fluidodinamica teorica ma anche perchè viene riscontrata in una moltitudine di problemi di interesse ingegneristico. All'aumentare del numero di Reynolds, le scale caratteristiche tendono a ridurre le loro dimensioni assolute. Nella fluidodinamica sperimentale già da lungo tempo si è affermata l'anemometria a filo caldo, grazie ad ottime caratteristiche di risoluzione spaziale e temporale. Questa tecnica, caratterizzata da un basso costo e da una relativa semplicità, rende possibile la realizzazione di sensori di tipo artigianale, che hanno il vantaggio di poter essere relizzati in dimensioni inferiori. Nonostante l'ottima risoluzione spaziale degli hot-wire, infatti, si può verificare, ad alto numero di Reynolds, che le dimensioni dell'elemento sensibile siano superiori a quelle delle piccole scale. Questo impedisce al sensore di risolvere correttamente le strutture più piccole. Per questa tesi di laurea è stato allestito un laboratorio per la costruzione di sensori a filo caldo con filo di platino. Sono in questo modo stati realizzati diversi sensori dalle dimensioni caratteristiche inferiori a quelle dei sensori disponibili commercialmente. I sensori ottenuti sono quindi stati testati in un getto turbolento, dapprima confrontandone la risposta con un sensore di tipo commerciale, per verificarne il corretto funzionamento. In seguito si sono eseguite misure più specifiche e limitate ad alcune particolari zone all'interno del campo di moto, dove è probabile riscontrare effetti di risoluzione spaziale. Sono stati analizzati gli effetti della dimensione fisica del sensore sui momenti statistici centrali, sugli spettri di velocità e sulle funzioni di densità di probabilità.

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Il lavoro di tesi, svolto presso l’Istituto di Scienza e Tecnologia dei Materiali Ceramici (ISTEC-CNR, Faenza, RA), ha affrontato la produzione e la caratterizzazione di ceramici a base di boruro di zirconio (ZrB2) con lo scopo di valutare l’efficacia delle fibre corte di carbonio come potenziale rinforzo. Il boruro di zirconio appartiene a una famiglia di materiali noti come UHTC (Ultra-High Temperature Ceramics) caratterizzati da elevato punto di fusione e in grado di mantenere la resistenza meccanica e operare con limitata ossidazione a temperature superiori ai 2000°C. Il principale ostacolo nella produzione dei materiali a base di ZrB2 è il processo di sintesi, infatti, a causa della loro elevata temperatura di fusione, per ottenere un materiale completamente denso è necessario utilizzare processi a temperatura e pressione elevati (T > 2000°C e P > 30 MPa), condizioni che vanno ad influenzare la microstruttura della matrice e delle fibre e di conseguenza le proprietà meccaniche del materiale. L’aggiunta di additivi di sinterizzazione idonei permette di ottenere materiali perfettamente densi anche a temperature e pressioni inferiori. Tuttavia lo ZrB2 non viene ampiamente utilizzato per applicazioni strutturali a causa della sua fragilità, per far fronte alla sua bassa tenacità il materiale viene spesso rinforzato con una fase allungata (whiskers o fibre). È già oggetto di studi l’utilizzo di fibre corte e whiskers di SiC per tenacizzare lo ZrB2, tuttavia la forte interfaccia che viene a crearsi tra fibra e matrice, che non permette il pull-out delle fibre, ci porta a credere che una fibra che non tenda a reagire con la matrice, presentando un’interfaccia più debole, possa portare ad una tenacizzazione più efficace. Per questo scopo sono stati realizzati mediante pressatura a caldo due materiali rinforzati con fibre corte di carbonio: ZrB2 + 5% vol MoSi2 + 8% vol fibre di carbonio e [ZrB2 + 2 % peso C] + 8% vol fibre di carbonio, indicati rispettivamente con Z5M_Cf e Z2C_Cf. Sono stati analizzati e discussi diversi aspetti del materiale rinforzato tra cui: il comportamento di densificazione durante la pressatura a caldo, l’evoluzione della microstruttura della matrice, la distribuzione e la morfologia delle fibre, l’influenza del rinforzo sulle proprietà meccaniche di durezza e tenacità e sulla resistenza all’ossidazione. L’elaborato è strutturato come segue: inizialmente sono state introdotte le caratteristiche generali dei ceramici avanzati tra cui le proprietà, la produzione e le applicazioni; successivamente è stata approfondita la descrizione dei materiali a base di boruro di zirconio, in particolare i processi produttivi e l’influenza degli additivi di sinterizzazione sulla densificazione e sulle proprietà; ci si è poi concentrati sull’effetto di una seconda fase allungata per il rinforzo del composito. Per quanto riguarda la parte sperimentale vengono descritte le principali fasi della preparazione e caratterizzazione dei materiali: le materie prime, disperse in un solvente, sono state miscelate mediante ball-milling, successivamente è stato evaporato il solvente e la polvere ottenuta è stata formata mediante pressatura uniassiale. I campioni, dopo essere stati sinterizzati mediante pressatura uniassiale a caldo, sono stati tagliati e lucidati a specchio per poter osservare la microstruttura. Quest’ultima è stata analizzata al SEM per studiare l’effetto dell’additivo di sinterizzazione (MoSi2 e carbonio) e l’interfaccia tra matrice e fase rinforzante. Per approfondire l’effetto del rinforzo sulle proprietà meccaniche sono state misurate la durezza e la tenacità del composito; infine è stata valutata la resistenza all’ossidazione mediante prove in aria a 1200°C e 1500°C. L’addizione di MoSi2 ha favorito la densificazione a 1800°C mediante formazione di una fase liquida transiente, tuttavia il materiale è caratterizzato da una porosità residua di ~ 7% vol. L’addizione del carbonio ha favorito la densificazione completa a 1900°C grazie alla reazione dall’additivo con gli ossidi superficiali dello ZrB2. La microstruttura delle matrici è piuttosto fine, con una dimensione media dei grani di ~ 2 μm per entrambi i materiali. Nel caso del materiale con Z5M_Cf sono presenti nella matrice particelle di SiC e fasi MoB derivanti dalla reazione dell’additivo con le fibre e con la matrice; invece nel materiale Z2C_Cf sono presenti grani di carbonio allungati tra i bordi grano, residui delle reazioni di densificazione. In entrambi i materiali le fibre sono distribuite omogeneamente e la loro interfaccia con la matrice è fortemente reattiva. Nel caso del materiale Z5M_Cf si è formata una struttura core-shell con lo strato più esterno formato da SiC, formato dalla reazione tra il siliciuro e la fibra di C. Nel caso del materiale Z2C_Cf non si forma una vera e propria interfaccia, ma la fibra risulta fortemente consumata per via dell’alta temperatura di sinterizzazione. I valori di durezza Vickers dei materiali Z5M_Cf e Z2C_Cf sono rispettivamente 11 GPa e 14 GPa, valori inferiori rispetto al valore di riferimento di 23 GPa dello ZrB2, ma giustificati dalla presenza di una fase meno dura: le fibre di carbonio e, nel caso di Z5M_Cf, anche della porosità residua. I valori di tenacità dei materiali Z5M_Cf e Z2C_Cf, misurati con il metodo dell’indentazione, sono rispettivamente 3.06 MPa·m0.5 e 3.19 MPa·m0.5. L’osservazione, per entrambi i materiali, del fenomeno di pull-out della fibra, sulla superficie di frattura, e della deviazione del percorso della cricca, all’interno della fibra di carbonio, lasciano supporre che siano attivi questi meccanismi tenacizzanti a contributo positivo, unitamente al contributo negativo legato allo stress residuo. La resistenza all’ossidazione dei due materiali è confrontabile a 1200°C, mentre dopo esposizione a 1500°C il materiale Z5M_Cf risulta più resistente rispetto al materiale Z2C_Cf grazie alla formazione di uno strato di SiO2 protettivo, che inibisce la diffusione dell’ossigeno all’interno della matrice. Successivamente, sono stati considerati metodi per migliorare la densità finale del materiale e abbassare ulteriormente la temperatura di sinterizzazione in modo da minimizzare la degenerazione della fibra. Da ricerca bibliografica è stato identificato il siliciuro di tantalio (TaSi2) come potenziale candidato. Pertanto è stato prodotto un terzo materiale a base di ZrB2 + Cf contenente una maggiore quantità di siliciuro (10% vol TaSi2) che ha portato ad una densità relativa del 96% a 1750°C. Questo studio ha permesso di approcciare per la prima volta le problematiche legate all’introduzione delle fibre di carbonio nella matrice di ZrB2. Investigazioni future saranno mirate alla termodinamica delle reazioni che hanno luogo in sinterizzazione per poter analizzare in maniera più sistematica la reattività delle fibre nei confronti della matrice e degli additivi. Inoltre riuscendo ad ottenere un materiale completamente denso e con fibre di carbonio poco reagite si potrà valutare la reale efficacia delle fibre di carbonio come possibili fasi tenacizzanti.

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This doctoral dissertation presents a new method to asses the influence of clearancein the kinematic pairs on the configuration of planar and spatial mechanisms. The subject has been widely investigated in both past and present scientific literature, and is approached in different ways: a static/kinetostatic way, which looks for the clearance take-up due to the external loads on the mechanism; a probabilistic way, which expresses clearance-due displacements using probability density functions; a dynamic way, which evaluates dynamic effects like the actual forces in the pairs caused by impacts, or the consequent vibrations. This dissertation presents a new method to approach the problem of clearance. The problem is studied from a purely kinematic perspective. With reference to a given mechanism configuration, the pose (position and orientation) error of the mechanism link of interest is expressed as a vector function of the degrees of freedom introduced in each pair by clearance: the presence of clearance in a kinematic pair, in facts, causes the actual pair to have more degrees of freedom than the theoretical clearance-free one. The clearance-due degrees of freedom are bounded by the pair geometry. A proper modelling of clearance-affected pairs allows expressing such bounding through analytical functions. It is then possible to study the problem as a maximization problem, where a continuous function (the pose error of the link of interest) subject to some constraints (the analytical functions bounding clearance- due degrees of freedom) has to be maximize. Revolute, prismatic, cylindrical, and spherical clearance-affected pairs have been analytically modelled; with reference to mechanisms involving such pairs, the solution to the maximization problem has been obtained in a closed form.

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Numerosi incidenti verificatisi negli ultimi dieci anni in campo chimico e petrolchimico sono dovuti all’innesco di sostanze infiammabili rilasciate accidentalmente: per questo motivo gli scenari incidentali legati ad incendi esterni rivestono oggigiorno un interesse crescente, in particolar modo nell’industria di processo, in quanto possono essere causa di ingenti danni sia ai lavoratori ed alla popolazione, sia alle strutture. Gli incendi, come mostrato da alcuni studi, sono uno dei più frequenti scenari incidentali nell’industria di processo, secondi solo alla perdita di contenimento di sostanze pericolose. Questi eventi primari possono, a loro volta, determinare eventi secondari, con conseguenze catastrofiche dovute alla propagazione delle fiamme ad apparecchiature e tubazioni non direttamente coinvolte nell’incidente primario; tale fenomeno prende il nome di effetto domino. La necessità di ridurre le probabilità di effetto domino rende la mitigazione delle conseguenze un aspetto fondamentale nella progettazione dell’impianto. A questo scopo si impiegano i materiali per la protezione passiva da fuoco (Passive Fire Protection o PFP); essi sono sistemi isolanti impiegati per proteggere efficacemente apparecchiature e tubazioni industriali da scenari di incendio esterno. L’applicazione dei materiali per PFP limita l’incremento di temperatura degli elementi protetti; questo scopo viene raggiunto tramite l’impiego di differenti tipologie di prodotti e materiali. Tuttavia l’applicazione dei suddetti materiali fireproofing non può prescindere da una caratterizzazione delle proprietà termiche, in particolar modo della conducibilità termica, in condizioni che simulino l’esposizione a fuoco. Nel presente elaborato di tesi si è scelto di analizzare tre materiali coibenti, tutti appartenenti, pur con diversità di composizione e struttura, alla classe dei materiali inorganici fibrosi: Fibercon Silica Needled Blanket 1200, Pyrogel®XT, Rockwool Marine Firebatt 100. I tre materiali sono costituiti da una fase solida inorganica, differente per ciascuno di essi e da una fase gassosa, preponderante come frazione volumetrica. I materiali inorganici fibrosi rivestono una notevole importanza rispetto ad altri materiali fireproofing in quanto possono resistere a temperature estremamente elevate, talvolta superiori a 1000 °C, senza particolari modifiche chimico-fisiche. Questo vantaggio, unito alla versatilità ed alla semplicità di applicazione, li rende leader a livello europeo nei materiali isolanti, con una fetta di mercato pari circa al 60%. Nonostante l’impiego dei suddetti materiali sia ormai una realtà consolidata nell’industria di processo, allo stato attuale sono disponibili pochi studi relativi alle loro proprietà termiche, in particolare in condizioni di fuoco. L’analisi sperimentale svolta ha consentito di identificare e modellare il comportamento termico di tali materiali in caso di esposizione a fuoco, impiegando nei test, a pressione atmosferica, un campo di temperatura compreso tra 20°C e 700°C, di interesse per applicazioni fireproofing. Per lo studio delle caratteristiche e la valutazione delle proprietà termiche dei tre materiali è stata impiegata principalmente la tecnica Transient Plane Source (TPS), che ha consentito la determinazione non solo della conducibilità termica, ma anche della diffusività termica e della capacità termica volumetrica, seppure con un grado di accuratezza inferiore. I test sono stati svolti su scala di laboratorio, creando un set-up sperimentale che integrasse opportunamente lo strumento Hot Disk Thermal Constants Analyzer TPS 1500 con una fornace a camera ed un sistema di acquisizione dati. Sono state realizzate alcune prove preliminari a temperatura ambiente sui tre materiali in esame, per individuare i parametri operativi (dimensione sensori, tempi di acquisizione, etc.) maggiormente idonei alla misura della conducibilità termica. Le informazioni acquisite sono state utilizzate per lo sviluppo di adeguati protocolli sperimentali e per effettuare prove ad alta temperatura. Ulteriori significative informazioni circa la morfologia, la porosità e la densità dei tre materiali sono state ottenute attraverso stereo-microscopia e picnometria a liquido. La porosità, o grado di vuoto, assume nei tre materiali un ruolo fondamentale, in quanto presenta valori compresi tra 85% e 95%, mentre la frazione solida ne costituisce la restante parte. Inoltre i risultati sperimentali hanno consentito di valutare, con prove a temperatura ambiente, l’isotropia rispetto alla trasmissione del calore per la classe di materiali coibenti analizzati, l’effetto della temperatura e della variazione del grado di vuoto (nel caso di materiali che durante l’applicazione possano essere soggetti a fenomeni di “schiacciamento”, ovvero riduzione del grado di vuoto) sulla conducibilità termica effettiva dei tre materiali analizzati. Analoghi risultati, seppure con grado di accuratezza lievemente inferiore, sono stati ottenuti per la diffusività termica e la capacità termica volumetrica. Poiché è nota la densità apparente di ciascun materiale si è scelto di calcolarne anche il calore specifico in funzione della temperatura, di cui si è proposto una correlazione empirica. I risultati sperimentali, concordi per i tre materiali in esame, hanno mostrato un incremento della conducibilità termica con la temperatura, da valori largamente inferiori a 0,1 W/(m∙K) a temperatura ambiente, fino a 0,3÷0,4 W/(m∙K) a 700°C. La sostanziale similitudine delle proprietà termiche tra i tre materiali, appartenenti alla medesima categoria di materiali isolanti, è stata riscontrata anche per la diffusività termica, la capacità termica volumetrica ed il calore specifico. Queste considerazioni hanno giustificato l’applicazione a tutti i tre materiali in esame dei medesimi modelli per descrivere la conducibilità termica effettiva, ritenuta, tra le proprietà fisiche determinate sperimentalmente, la più significativa nel caso di esposizione a fuoco. Lo sviluppo di un modello per la conducibilità termica effettiva si è reso necessario in quanto i risultati sperimentali ottenuti tramite la tecnica Transient Plane Source non forniscono alcuna informazione sui contributi offerti da ciascun meccanismo di scambio termico al termine complessivo e, pertanto, non consentono una facile generalizzazione della proprietà in funzione delle condizioni di impiego del materiale. La conducibilità termica dei materiali coibenti fibrosi e in generale dei materiali bi-fasici tiene infatti conto in un unico valore di vari contributi dipendenti dai diversi meccanismi di scambio termico presenti: conduzione nella fase gassosa e nel solido, irraggiamento nelle superfici delle cavità del solido e, talvolta, convezione; inoltre essa dipende fortemente dalla temperatura e dalla porosità. Pertanto, a partire dal confronto con i risultati sperimentali, tra cui densità e grado di vuoto, l’obiettivo centrale della seconda fase del progetto è stata la scelta, tra i numerosi modelli a disposizione in letteratura per materiali bi-fasici, di cui si è presentata una rassegna, dei più adatti a descrivere la conducibilità termica effettiva nei materiali in esame e nell’intervallo di temperatura di interesse, fornendo al contempo un significato fisico ai contributi apportati al termine complessivo. Inizialmente la scelta è ricaduta su cinque modelli, chiamati comunemente “modelli strutturali di base” (Serie, Parallelo, Maxwell-Eucken 1, Maxwell-Eucken 2, Effective Medium Theory) [1] per la loro semplicità e versatilità di applicazione. Tali modelli, puramente teorici, hanno mostrato al raffronto con i risultati sperimentali numerosi limiti, in particolar modo nella previsione del termine di irraggiamento, ovvero per temperature superiori a 400°C. Pertanto si è deciso di adottare un approccio semi-empirico: è stato applicato il modello di Krischer [2], ovvero una media pesata su un parametro empirico (f, da determinare) dei modelli Serie e Parallelo, precedentemente applicati. Anch’esso si è rivelato non idoneo alla descrizione dei materiali isolanti fibrosi in esame, per ragioni analoghe. Cercando di impiegare modelli caratterizzati da forte fondamento fisico e grado di complessità limitato, la scelta è caduta sui due recenti modelli, proposti rispettivamente da Karamanos, Papadopoulos, Anastasellos [3] e Daryabeigi, Cunnington, Knutson [4] [5]. Entrambi presentavano il vantaggio di essere stati utilizzati con successo per materiali isolanti fibrosi. Inizialmente i due modelli sono stati applicati con i valori dei parametri e le correlazioni proposte dagli Autori. Visti gli incoraggianti risultati, a questo primo approccio è seguita l’ottimizzazione dei parametri e l’applicazione di correlazioni maggiormente idonee ai materiali in esame, che ha mostrato l’efficacia dei modelli proposti da Karamanos, Papadopoulos, Anastasellos e Daryabeigi, Cunnington, Knutson per i tre materiali analizzati. Pertanto l’obiettivo finale del lavoro è stato raggiunto con successo in quanto sono stati applicati modelli di conducibilità termica con forte fondamento fisico e grado di complessità limitato che, con buon accordo ai risultati sperimentali ottenuti, consentono di ricavare equazioni predittive per la stima del comportamento, durante l’esposizione a fuoco, dei materiali fireproofing in esame. Bologna, Luglio 2013 Riferimenti bibliografici: [1] Wang J., Carson J.K., North M.F., Cleland D.J., A new approach to modelling the effective thermal conductivity of heterogeneous materials. International Journal of Heat and Mass Transfer 49 (2006) 3075-3083. [2] Krischer O., Die wissenschaftlichen Grundlagen der Trocknungstechnik (The Scientific Fundamentals of Drying Technology), Springer-Verlag, Berlino, 1963. [3] Karamanos A., Papadopoulos A., Anastasellos D., Heat Transfer phenomena in fibrous insulating materials. (2004) Geolan.gr http://www.geolan.gr/sappek/docs/publications/article_6.pdf Ultimo accesso: 1 Luglio 2013. [4] Daryabeigi K., Cunnington G. R., and Knutson J. R., Combined Heat Transfer in High-Porosity High-Temperature Fibrous Insulation: Theory and Experimental Validation. Journal of Thermophysics and Heat Transfer 25 (2011) 536-546. [5] Daryabeigi K., Cunnington G.R., Knutson J.R., Heat Transfer Modeling for Rigid High-Temperature Fibrous Insulation. Journal of Thermophysics and Heat Transfer. AIAA Early Edition/1 (2012).

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Tuta absoluta (Meyrick) è un lepidottero originario dell’America meridionale, infeudato a pomodoro e ad altre solanacee coltivate e spontanee. Con l’attività trofica le larve causano mine fogliari e gallerie nei frutti, con conseguenti ingenti danni alle colture. T. absoluta è stato segnalato per la prima volta in Italia nel 2008 e in Piemonte nel 2009. Pertanto le ricerche sono state condotte per rilevarne la distribuzione in Piemonte, studiarne l’andamento di popolazione in condizioni naturali e controllate, e valutare l’efficacia di differenti mezzi di lotta al fine di definire le strategie di difesa. Il monitoraggio, condotto nel 2010, ha evidenziato come T. absoluta sia ormai largamente diffuso sul territorio regionale già pochi mesi dopo la segnalazione. L’insetto ha mostrato di prediligere condizioni climatiche più miti; infatti è stato ritrovato con maggiore frequenza nelle aree più calde. Il fitofago ha raggiunto densità di popolazione elevate a partire dalla seconda metà dell’estate, a ulteriore dimostrazione che, in una regione a clima temperato come il Piemonte, T. absoluta dà origine a infestazioni economicamente rilevanti solo dopo il culmine della stagione estiva. Per definire le strategie di lotta, sono state condotte prove in laboratorio, semi-campo e campo volte a valutare la tossicità nei confronti del lepidottero di preparati a base di emamectina benzoato, rynaxypyr, spinosad e Bacillus thuringiensis Berliner. In campo è stata verificata anche l’efficacia del miride dicifino Macrolophus pygmaeus (Rambur), reperibile in commercio. In tutte le prove, è stata riscontrata una maggiore efficacia di rynaxypyr ed emamectina benzoato. In campo M. pygmaeus ha mostrato difficoltà d’insediamento ed è stato in grado di contenere efficacemente il fitofago soltanto con bassi livelli d’infestazione. Per contro è stata costantemente osservata la presenza naturale di un altro miride dicifino Dicyphus errans (Wolff), che in laboratorio ha mostrato di non essere particolarmente disturbato dalle sostanze saggiate.

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Dal 1999 presso il laboratorio del Centro Agricoltura Ambiente “G. Nicoli” a Crevalcore (BO) è in corso una sperimentazione finalizzata a verificare la possibilità di attuare la tecnica del maschio sterile (SIT) in Italia contro Aedes albopictus. Alcuni aspetti per migliorare l’efficienza di questa struttura pilota, oggetto della presente ricerca, sono stati: 1) studio degli effetti di determinati costituenti della dieta larvale a) sullo sviluppo larvale stesso, per individuare intervalli limite di densità larvale e di concentrazione di cibo in cui è possibile lo sviluppo di tale specie, e b) sulla qualità dei maschi adulti ottenuti; 2) la valutazione di attrezzatura per l’allevamento massale e 3) la possibilità di migliorare la dieta larvale mediante integrazione di carboidrati. Dalle prove di valutazione della dieta larvale si è potuto osservare che, per quanto riguarda i parametri larvali, le due diete denominate “IAEA” (1 e 2) sono risultate più efficaci rispetto alla dieta standard “CAA”. Tali diete sono perciò da preferirsi nel loro possibile impiego in biofabbriche per l’allevamento massale. Le prove condotte sugli adulti allevati con le diverse diete hanno suggerito la necessità di valutare una possibile integrazione di componenti per migliorarne la longevità. Risulta altresì opportuno continuare la ricerca per ottimizzare la dieta larvale così da ottenere maschi di elevata qualità. Grazie ai risultati ottenuti dalle prove per valutare l’impiego di attrezzatura massale (vassoi di grandi dimensioni e carrello) si è potuto definire un modello per l’allevamento di Ae. albopictus con parametri standardizzati di densità larvale, dose di dieta, temperatura dell’acqua di allevamento, percentuale di maschi passati al setacciamento e rendimento di allevamento. Prove future saranno necessarie per testare altri componenti della dieta ricchi in carboidrati, quali saccarosio, da aggiungere alla dieta larvale per migliorare le qualità degli adulti ottenuti senza provocare effetti negativi sui parametri dello sviluppo larvale.

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Lo scopo della tesi risiede nel caratterizzare film sottili di Rubrene cresciuti per mezzo dell’epitassia molecolare. In particolare si è studiata la densità di stati di trappola con il fine di determinare il grado di purezza di questi campioni. Partendo dalle caratteristiche I-V (Corrente-Tensione) in temperatura è stato possibile utilizzare il modello TM-SCLC (Temperature Modulated Space Charge Limited Current)concludendo che i campioni così cresciuti raggiungono un grado di purezza maggiore rispetto al Rubrene bulk ed escludendo la presenza di difetti estrinseci.

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Sebbene studiati a fondo, i processi che hanno portato alla formazione ed alla evoluzione delle galassie così come sono osservate nell'Universo attuale non sono ancora del tutto compresi. La visione attuale della storia di formazione delle strutture prevede che il collasso gravitazionale, a partire dalle fluttuazioni di densità primordiali, porti all'innesco della formazione stellare; quindi che un qualche processo intervenga e la interrompa. Diversi studi vedono il principale responsabile di questa brusca interruzione della formazione stellare nei fenomeni di attività nucleare al centro delle galassie (Active Galactic Nuclei, AGN), capaci di fornire l'energia necessaria a impedire il collasso gravitazionale del gas e la formazione di nuove stelle. Uno dei segni della presenza di un tale fenomeno all'interno di una galassia e l'emissione radio dovuta ai fenomeni di accrescimento di gas su buco nero. In questo lavoro di tesi si è studiato l'ambiente delle radio sorgenti nel campo della survey VLA-COSMOS. Partendo da un campione di 1806 radio sorgenti e 1482993 galassie che non presentassero emissione radio, con redshift fotometrici e fotometria provenienti dalla survey COSMOS e dalla sua parte radio (VLA-COSMOS), si è stimata la ricchezza dell'ambiente attorno a ciascuna radio sorgente, contando il numero di galassie senza emissione radio presenti all'interno di un cilindro di raggio di base 1 Mpc e di altezza proporzionale all'errore sul redshift fotometrico di ciascuna radio sorgente, centrato su di essa. Al fine di stimare la significatività dei risultati si è creato un campione di controllo costituito da 1806 galassie che non presentassero emissione radio e si è stimato l'ambiente attorno a ciascuna di esse con lo stesso metodo usato per le radio sorgenti. I risultati mostrano che gli ammassi di galassie aventi al proprio centro una radio sorgente sono significativamente più ricchi di quelli con al proprio centro una galassia senza emissione radio. Tale differenza in ricchezza permane indipendentemente da selezioni basate sul redshift, la massa stellare e il tasso di formazione stellare specifica delle galassie del campione e mostra che gli ammassi di galassie con al proprio centro una radio sorgente dovuta a fenomeni di AGN sono significativamente più ricchi di ammassi con al proprio centro una galassia senza emissione radio. Questo effetto e più marcato per AGN di tipo FR I rispetto ad oggetti di tipo FR II, indicando una correlazione fra potenza dell'AGN e formazione delle strutture. Tali risultati gettano nuova luce sui meccanismi di formazione ed evoluzione delle galassie che prevedono una stretta correlazione tra fenomeni di AGN, formazione stellare ed interruzione della stessa.

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Questa tesi è una panoramica di alcuni concetti base su cui si fonda la dinamica delle galassie. Nel primo capitolo vengono messi in evidenza i concetti più generali dal punto di vista morfologico- strutturale attraverso la classificazione di Hubble. Nel secondo capitolo si mette in evidenza come un sistema possa essere definito non collisionale (attraverso la stima del tempo di rilassamento ai due corpi) e le conseguenze che ne derivano come, per esempio, l' anisotropia dello stesso sistema che conferisce alla galassia la sua classica forma “schiacciata”. Vengono poi descritti la collisional Boltzmann equation (CBE) e il teorema del viriale in forma tensoriale . Integrando la CBE nello spazio delle velocità otteniamo tre equazioni note come equazioni di Jeans: queste hanno una struttura del tutto identica a quelle della fluidodinamica ma con alcune eccezioni significative che non permettono di descrivere completamente la dinamica delle galassie attraverso la fluidodinamica. Il terzo capitolo è un excursus generale sulle galassie ellittiche: dalla loro struttura alla loro dinamica. Dall' applicazione del teorema del viriale ad un sistema ellittico si può notare come la forma “schiacciata” delle galassie sia una conseguenza dell' anisotropia del sistema e sia dovuta solo in minima parte alla rotazione. Successivamente viene presentato un modello galattico (quello di Jeans), che ci permette di calcolare una distribuzione di massa del sistema attraverso un' equazione che purtroppo non ha soluzione unica e quindi ci rende impossibile calcolare il rapporto massa- luminosità. Infine viene descritto il fundamental plane che è una relazione empirica tale per cui ad ogni galassia viene associato un determinato valore di raggio effettivo, dispersione di velocità e luminosità. Nel quarto ed ultimo capitolo viene trattata la dinamica delle parti più esterne di una galassia: disco e bracci. La dinamica del disco è descritta attraverso la curva di rotazione che, come vedremo, ha delle caratteristiche abbastanza diverse da una curva di rotazione di tipo kepleriano (quella che ad esempio descrive l' andamento della velocità in funzione della distanza nel nostro sistema solare). Infine viene descritta la dinamica dei bracci e la teoria delle onde di densità di Lin e Shu, due astronomi americani, che riesce a descrivere compiutamente la nascita e l' evoluzione dei bracci a spirale.