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Ziel der vorliegenden Dissertation war die Untersuchung der Liefergebiete und Ablagerungsräume sedimentärer Gesteine aus ausgewählten Gebieten der inneren Helleniden Griechenlands. Die untersuchten Sedimente Nordgriechenlands gehören zu den Pirgadikia und Vertiskos Einheiten des Serbo-Makedonische Massifs, zu den Examili, Melissochori und Prinochori Formationen der östlichen Vardar Zone und zur Makri Einheit und Melia Formation des östlichen Zirkum-Rhodope-Gürtels in Thrakien. In der östlichen Ägäis lag der Schwerpunkt bei den Sedimenten der Insel Chios. Der Metamorphosegrad der untersuchten Gesteine variiert von der untersten Grünschieferfazies bis hin zur Amphibolitfazies. Das stratigraphische Alter reicht vom Ordovizium bis zur Kreide. Zur Charakterisierung der Gesteine und ihrer Liefgebiete wurden Haupt- und Spurenelementgehalte der Gesamtgesteine bestimmt, mineralchemische Analysen durchgeführt und detritische Zirkone mit U–Pb datiert. An ausgewählten Proben wurden außerdem biostratigraphische Untersuchungen zur Bestimmung des Sedimentationsalters durchgeführt. Die Untersuchungsergebnisse dieser Arbeit sind von großer Bedeutung für paläogeographische Rekonstruktionen der Tethys. Die wichtigsten Ergebnisse lassen sich wie folgt zusammenfassen: Die ältesten Sedimente Nordgriechenlands gehören zur Pirgadikia Einheit des Serbo-Makedonischen Massifs. Es sind sehr reife, quarzreiche, siliziklastische Metasedimente, die auf Grund ihrer Maturität und ihrer detritischen Zirkone mit ordovizischen overlap-Sequenzen vom Nordrand Gondwanas korreliert werden können. Die Metasedimente der Vertiskos Einheit besitzen ein ähnliches stratigraphisches Alter, haben aber einen anderen Ablagerungsraum. Das Altersspektrum detritischer Zirkone lässt auf ein Liefergebiet im Raum NW Afrikas (Hun Superterrane) schließen. Die Gesteinsassoziation der Vertiskos Einheit wird als Teil einer aktiven Kontinentalrandabfolge gesehen. Die ältesten biostratigraphisch datierten Sedimente Griechenlands sind silurische bis karbonische Olistolithe aus einer spätpaläozoischen Turbidit-Olistostrom Einheit auf der Insel Chios. Die Alter detritischer Zirkone und die Liefergebietsanalyse der fossilführenden Olistolithe lassen den Schluss zu, dass die klastischen Sedimente von Chios Material vom Sakarya Mikrokontinent in der West-Türkei und faziellen Äquivalenten zu paläozoischen Gesteinen der Istanbul Zone in der Nord-Türkei und der Balkan Region erhalten haben. Während der Permotrias wurde die Examili Formation der östlichen Vardar Zone in einem intrakontinentalen, sedimentären Becken, nahe der Vertiskos Einheit abgelagert. Untergeordnet wurde auch karbonisches Grundgebirgsmaterial eingetragen. Im frühen bis mittleren Jura wurde die Melissochori Formation der östlichen Vardar Zone am Abhang eines karbonatführenden Kontinentalrandes abgelagert. Der Großteil des detritischen Materials kam von permokarbonischem Grundgebirge vulkanischen Ursprungs, vermutlich von der Pelagonischen Zone und/oder der unteren tektonischen Einheit des Rhodope Massifs. Die Makri Einheit in Thrakien besitzt vermutlich ein ähnliches Alter wie die Melissochori Formation. Beide sedimentären Abfolgen ähneln sich sehr. Der Großteil des detritischen Materials für die Makri Einheit kam vom Grundgebirge der Pelagonischen Zone oder äquivalenten Gesteinen. Während der frühen Kreide wurde die Prinochori Formation der östlichen Vardar Zone im Vorfeld eines heterogenen Deckenstapels abgelagert, der ophiolitisches Material sowie Grundgebirge ähnlich zu dem der Vertiskos Einheit enthielt. Ebenfalls während der Kreidezeit wurde in Thrakien, vermutlich im Vorfeld eines metamorphen Deckenstapels mit Affinitäten zum Grundgebirge der Rhodopen die Melia Formation abgelagert. Zusammenfassend kann festgehalten werden, dass die Subduktion eines Teiles der Paläotethys und die anschließende Akkretion vom Nordrand Gondwanas stammender Mikrokontinente (Terranes) nahe dem südlichen aktiven Kontinentalrand Eurasiens den geodynamischen Rahmen für die Schüttung des detritischen Materials der Sedimente der inneren Helleniden im späten Paläozoikum bildeten. Die darauf folgenden frühmesozoischen Riftprozesse leiteten die Bildung von Ozeanbecken der Neotethys ein. Intraozeanische Subduktion und die Obduzierung von Ophioliten prägten die Zeit des Jura. Die spätjurassische und frühkretazische tektonische Phase wurde durch die Ablagerung von mittelkretazischen Kalksteinen besiegelt. Die endgültige Schließung von Ozeanbecken der Neotethys im Bereich der inneren Helleniden erfolgte schließlich in der späten Kreide und im Tertiär.

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Questa tesi punta a ricostruire il pensiero politico di Bell tra il secondo dopoguerra e la metà degli anni Settanta. In tale arco cronologico, la riflessione politica di Bell si profila, per usare una formula di Jean-François Lyotard, come una «grande narrazione» del capitalismo. Nel complesso, cioè, l’opera di Bell appare come una storia sociologica del capitalismo, che nella fine delle ideologie registra l’apogeo del fordismo e, in seguito, ne mette in luce le trasformazioni in senso post-industriale, indagando le ricadute che tali mutamenti implicano sul piano dei rapporti di potere e della legittimazione del sistema. Nell’ottica di Bell, pertanto, il capitalismo non costituisce soltanto un sistema economico, ma la forma specifica attraverso cui si dispiega la società nel suo complesso, attivando una serie di rapporti di potere mediante i quali gli individui vengono coordinati e subordinati. Una siffatta concezione del capitalismo agisce immediatamente la questione del potere e solleva un interrogativo a esso connesso: «che cosa tiene insieme una società?». Una domanda che attraversa la traiettoria intellettuale di Bell e, sia pure declinata mediante una terminologia sociologica, riflette in realtà l’ambizione delle scienze sociali di farsi teoria politica. Esse si presentano quindi come teoria politica della modernità, nella misura in cui distinguono il potere sociale dal potere politico e, al tempo stesso, instaurano tra i due poli una tensione dialettica produttiva. Mettendo a fuoco la concettualizzazione del potere nell’opera di Bell si analizzeranno le mutazioni nel rapporto tra Stato e società negli Stati Uniti durante la Golden Age del capitalismo. In particolare, si metterà in luce nella grande narrazione di Bell l’ascesa e il declino di un ordine istituzionale che, alla metà degli anni Settanta, appare percorso da molteplici tensioni politiche e sociali che preannunciano l’avvento dell’età globale e il bisogno di una nuova “scala” di governo.

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La relazione interdisciplinare tra letteratura e fotografia, nella rilettura della storia recente del Mozambico, è l’oggetto di studio della presente tesi. Il presupposto coincide in primo luogo con la disamina interna della dialettica esistente tra archivio coloniale e oralità, modalità narrativa in parte transitata nella estória, declinazione lusofona della forma breve che permette di recuperare l’eredità popolare del racconto tradizionale. Il dialogo tra verbale e visuale consente a sua volta di stabilire nuovi paradigmi interpretativi nel dibattito postcoloniale tra memoria, trauma e rappresentazione. L’analisi comparativa tra la narrativa di João Paulo Borges Coelho e la fotografia di Ricardo Rangel rivela sguardi diversi sul mondo circostante, ma anche convergenze contemplative che si completano nell’incorporazione reciproca delle “omologie strutturali” comuni alle due modalità espressive. La fotografia colma delle lacune fornendoci delle visioni del passato, ma, in quanto “rappresentazione”, ci mostra il mondo per come appare e non per come funziona. Il testo letterario, grazie al suo approccio dialogico-narrativo, consente la rielaborazione museologica della complessa pletora di interferenze semantiche e culturali racchiuse nelle immagini, in altre parole fornisce degli “indizi di verità” da cui (ri)partire per l’elaborazione di nuovi archetipi narrativi tra l’evento rappresentato e la Storia di cui fa parte. Il punto di tangenza tra i due linguaggi è la cornice, espediente fotografico e narrativo che permette di tracciare i confini tra l’indicibile e l’invisibile, ma anche tra ciò che si narra e ciò che sta fuori dalla narrazione, ovvero fuori dalla storia. La tensione dialettica che si instaura tra questi due universi è seminale per stabilire le ragioni della specificità letteraria mozambicana perché, come afferma Luandino Vieira, “nel contesto postcoloniale gli scrittori sono dei satelliti che ruotano intorno ai «buchi neri della storia» la cui forza di attrazione permette la riorganizzazione dell’intero universo letterario.

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Per Viollet-le-Duc lo “stile” «è la manifestazione di un ideale fondato su un principio» dove per principio si intende il principio d’ordine della struttura, quest’ultimo deve rispondere direttamente alla Legge dell’”unità” che deve essere sempre rispettata nell’ideazione dell’opera architettonica. A partire da questo nodo centrale del pensiero viollettiano, la presente ricerca si è posta come obiettivo quello dell’esplorazione dei legami fra teoria e prassi nell’opera di Viollet-le-Duc, nei quali lo “stile” ricorre come un "fil rouge" costante, presentandosi come una possibile inedita chiave di lettura di questa figura protagonista della storia del restauro e dell’architettura dell’Ottocento. Il lavoro di ricerca si é dunque concentrato su una nuova lettura dei documenti sia editi che inediti, oltre che su un’accurata ricognizione bibliografica e documentaria, e sullo studio diretto delle architetture. La ricerca archivistica si é dedicata in particolare sull’analisi sistematica dei disegni originali di progetto e delle relazioni tecniche delle opere di Viollet-le- Duc. A partire da questa prima ricognizione, sono stati selezionati due casi- studio ritenuti particolarmente significativi nell’ambito della tematica scelta: il progetto di restauro della chiesa della Madeleine a Vézelay (1840-1859) e il progetto della Maison Milon in rue Douai a Parigi (1857-1860). Attraverso il parallelo lavoro di analisi dei casi-studio e degli scritti di Viollet- le-Duc, si è cercato di verificare le possibili corrispondenze tra teoria e prassi operativa: confrontando i progetti sia con le opere teoriche, sia con la concreta testimonianza degli edifici realizzati.

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„Ich bin, weil du bist“ – so lautet eines der Schlüsselzitate in What I Loved, dem 2003 erschienenen dritten Roman der zeitgenössischen amerikanischen Autorin Siri Hustvedt. Die Bedeutung von Beziehung und Interaktion für die Identitätsbildung spielt eine zentrale Rolle nicht nur in diesem Roman, sondern auch in ihrem Gesamtwerk, das vier Romane, ein memoir, drei Essay-Sammlungen und einen Lyrikband umfasst. Hustvedt erforscht die Identität als ein vielschichtiges Produkt bewusster und unbewusster Verknüpfungen innerhalb der sozialen und biologischen Umwelt. Das Bewusstsein wird als eine dialogisch geprägte Entität gezeigt, dessen Identität erst durch die Beziehung auf ein Anderes geformt werden kann. Um dem Mysterium der menschlichen Identitätsfindung nachzuspüren, bedient sich Hustvedt sowohl philosophischer, psychoanalytischer, biologischer als auch kunsttheoretischer Diskurse. In ihren Romanen stellt sich die Frage nach der Erklärung von Identität als komplexe Problematik dar: Ist die Beziehung zu anderen Menschen vor allem durch unsere Entwicklung als Kind und die Nähe zu Bezugspersonen geprägt? In welchem Ausmaß ist das Empfinden von Subjektivität beeinflusst von körperlichen und unbewussten Mechanismen? Inwiefern ist die Wahrnehmung visueller Kunst eine Kooperation zwischen Betrachter und Künstler? rnDiesen und anderen Fragen geht diese Dissertation nach, indem sie Hustvedts Werk als Anlass für eine Analyse intersubjektiver Strukturen der Identität nimmt. Die Intersubjektivitätsphiloso¬phien von Hegel, Buber, Bakhtin, Husserl, und Merleau-Ponty dienen hierbei als Ausgangspunkt für die Interpretation von relationaler Identität in Hustvedts Werken. Die Dissertation konzentriert sich auf Hustvedts Darstellung der Beziehung zwischen Selbst und Anderem in der Photographie und in der Malerei, der Überschreitung von Körpergrenzen in Hysterie und Anorexie sowie der Auswirkung des Verlustes von Bezugspersonen auf die persönliche Identität. Entscheidend für den Hustvedtschen Kunstbegriff ist das Zusammenspiel von Kunstobjekt, Künstler und Betrachter. Die Grenzen zwischen Innerem und Äußeren werden aufgelöst: mal wird der Rezipient Teil des Kunstwerks, mal verschmilzt der Künstler förmlich mit seinem Objekt. Auch hier wird wiederum deutlich, dass Identität nur in Wechselbeziehung und als zwischenmenschliche Kooperation entsteht. Hustvedt betritt durch ihre einzigartige Auseinandersetzung mit den Wechselbeziehungen und fragilen Grenzen zwischen Ich und Umwelt Neuland auf dem Gebiet der literarischen Identitätsforschung, da sie ihr Prinzip des „mixing,“ des unausweichlichen Eindringens fremder Substanz in die eigene Identität, aus dem Blickwinkel dieser verschiedenen Erklärungsansätze beleuchtet. rn