962 resultados para Biblioteca nazionale centrale di Roma


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L'incisore Giovanni Volpato (1735 ca.-1803), allievo di Francesco Bartolozzi a Venezia e trasferitosi nel 1770 a Roma era un incisore che serviva due campi tra di loro molto diversi – da una parte era un'abile e fertile incisore di un genere di stampe che attingeva al genere popolare e al paesaggio di gusto veneziano ma la sua attività maggiormente notata si riferiva al repertorio classico di tradizione romano – riproducendo le opere di Raffaello, Michelangelo, degli Carracci e della loro scuola. La maggior fama del Volpato deriva soprattutto dalle 46 tavole che trasse dalle Logge di Raffaello pubblicate tra 1776 e 1777 delle quali esistono anche esemplari colorati a mano e che hanno profondamente influenzato il gusto della decorazione degli interni in tutta l'Europa oltre il 1800. Alessandro Verri nel 1776 scrisse a suo fratello Pietro a proposito di questa pubblicazione: "Dopo che si sono stampate in Roma le Loggie del Vaticano tutto ha cambiato di gusto. Le carrozze, i muri, gli intagli, le argenterie hanno preso gli ornamenti di quel fonte perenne di ogni varietà." La collaborazione con Gavin Hamilton per la Scholae Italia Picturae e le riproduzioni della Galleria Farnese e della Cappella Sistina come anche del Museo Pio Clementino e delle statue antiche in un repertorio per artisti rivelano il suo interesse per la formazione artistica. In un certo senso si può dire che Volpato era la contropparte di Piranesi e che ambedue effettuavano una precisa e ben meditata divisione dei compiti e di generi e interessi che comunque era al servizio del pubblico turistico che in numero crescente prendeva Roma come meta di viaggi e d'istruzione culturale e si serviva delle incisioni di facile portata di mano. L'importanza delle incisioni come merce di facile trasporto e diffusione è stata per la prima volta riconosciuta da Luigi Lanzi quando definì il Settecento "secolo di rame".

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La nostra proposta presenta alcuni aspetti e risultati di un progetto dell'Università di Berna che si occupa delle conseguenze del pensionamento sulle competenze plurilingui di immigrati italiani nella Svizzera tedesca. Rifacendoci a De Bot (2007), che ha definito come “language related major life events” i momenti nella vita rilevanti per mutamenti delle competenze linguistiche, ipotizziamo che il pensionamento possa costituire un punto di svolta nella biografia linguistica di migranti (ma non solo) anche se finora mancano gli studi sull’argomento. Nel caso delle persone prese in considerazione il pensionamento rappresenta un momento fondamentale, quasi paragonabile, per le conseguenze che implica, al momento della migrazione. Se quest'ultima è stata, nella maggior parte dei casi, caratterizzata dalla ricerca di lavoro, la nuova fase della vita dopo il pensionamento comporta mutamenti nelle reti sociali e ha conseguenze anche per l'uso delle lingue. Un punto centrale della ricerca è la domanda di come i migranti affrontino questo momento all’interno della situazione diglossica della Svizzera tedesca, in cui lo svizzero tedesco è stato imparato attraverso il contatto strumentale e accanto ad esso si è mantenuta la lingua d'origine (cfr.Berruto 1991). La metodologia applicata consiste in due fasi: nella prima si utilizzano questionari per ottenere informazioni generali sui dati demografici e sulla situazione sociale, e per elicitare autovalutazioni delle competenze linguistiche. Nella seconda si effettuano interviste semiguidate per ottenere informazioni più approfondite sulla vita e sulle biografie linguistiche. Per ottenere dati relativi alle competenze linguistiche, viene inoltre utilizzato un test di competenza dello svizzero tedesco, sviluppato all’interno del progetto sulla base del SOPI (cfr.Kenyon 2000).

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[von] G. Blustein. Con app. di Vrescenzo Del Monte per la parte contemporanea (dal 20 settembre 1870 ad oggi)

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Im Freimann-Katalog Teil der Sammelmappe "Schriften zur Geschichte der Juden in Rom, 1697-1890"

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En la segunda mitad del novecientos las zonas rurales de Italia Central Romagna, Marche, Umbria e Toscana) registraron transformaciones sociales, económicas y paisajísticas, profundas e irreversibles. En este período, a la crisis agrícola posbélica y al éxodo rural, se sumó la crisis de la aparcería, que desapareció oficialmente con posterioridad en los años sesenta. La consolidación de la conducción directa de las propiedades rurales con asalariados, la difusión de la mecanización sobre las tierras de colinas y la urbanización de las poblaciones rurales, hicieron mutar la sociedad; comenzando por la familia, que dejó de ser extensa y solamente agrícola. Nacieron formas productivas híbridas entre tradición e innovación; entre agricultura e industria (agricultores a tiempo parcial, trabajadores a domicilio, proveedores de servicios a las pequeñas fincas agrícolas) y entre agricultura y actividades terciarias (agroturismo). La casa rural, abandonada primero, fue después transformada en segunda vivienda por parte de los citadinos, también provenientes del norte de Europa. Nacieron nuevos paisajes extensivos (cerealeros) que confinaron a reducidas áreas el antiguo paisaje rural definido por la forma de aparcería.