965 resultados para clostridium difficile


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It has been shown previously that the morphology and subcellular positioning of the Golgi complex is controlled by actin microfilaments. To further characterize the association between actin microfilaments and the Golgi complex, we have used the Clostridium botulinum toxins C2 and C3, which specifically inhibit actin polymerization and cause depolymerization of F-actin in intact cells by the ADP ribosylation of G-actin monomers and the Rho small GTP-binding protein, respectively. Normal rat kidney cells treated with C2 showed that disruption of the actin and the collapse of the Golgi complex occurred concomitantly. However, when cells were treated with C3, the actin disassembly was observed without any change in the organization of the Golgi complex. The absence of the involvement of Rho was further confirmed by the treatment with lysophosphatidic acid or microinjection with the constitutively activated form of RhoA, both of which induced the stress fiber formation without affecting the Golgi complex. Immunogold electron microscopy in normal rat kidney cells revealed that β- and γ-actin isoforms were found in Golgi-associated COPI-coated buds and vesicles. Taken together, the results suggest that the Rho signaling pathway does not directly regulate Golgi-associated actin microfilaments, and that β- and γ-actins might be involved in the formation and/or transport of Golgi-derived vesicular or tubular intermediates.

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The cohesin-dockerin interaction in Clostridium thermocellum cellulosome mediates the tight binding of cellulolytic enzymes to the cellulosome-integrating protein CipA. Here, this interaction was used to study the effect of different cellulose-binding domains (CBDs) on the enzymatic activity of C. thermocellum endoglucanase CelD (1,4-β-d endoglucanase, EC3.2.1.4) toward various cellulosic substrates. The seventh cohesin domain of CipA was fused to CBDs originating from the Trichoderma reesei cellobiohydrolases I and II (CBDCBH1 and CBDCBH2) (1,4-β-d glucan-cellobiohydrolase, EC3.2.1.91), from the Cellulomonas fimi xylanase/exoglucanase Cex (CBDCex) (β-1,4-d glucanase, EC3.2.1.8), and from C. thermocellum CipA (CBDCipA). The CBD-cohesin hybrids interacted with the dockerin domain of CelD, leading to the formation of CelD-CBD complexes. Each of the CBDs increased the fraction of cellulose accessible to hydrolysis by CelD in the order CBDCBH1 < CBDCBH2 ≈ CBDCex < CBDCipA. In all cases, the extent of hydrolysis was limited by the disappearance of sites accessible to CelD. Addition of a batch of fresh cellulose after completion of the reaction resulted in a new burst of activity, proving the reversible binding of the intact complexes despite the apparent binding irreversibility of some CBDs. Furthermore, burst of activity also was observed upon adding new batches of CelD–CBD complexes that contained a CBD differing from the first one. This complementation between different CBDs suggests that the sites made available for hydrolysis by each of the CBDs are at least partially nonoverlapping. The only exception was CBDCipA, whose sites appeared to overlap all of the other sites.

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Recombinant cellulose-binding domain (CBD) derived from the cellulolytic bacterium Clostridium cellulovorans was found to modulate the elongation of different plant cells in vitro. In peach (Prunus persica L.) pollen tubes, maximum elongation was observed at 50 μg mL−1 CBD. Pollen tube staining with calcofluor showed a loss of crystallinity in the tip zone of CBD-treated pollen tubes. At low concentrations CBD enhanced elongation of Arabidopsis roots. At high concentrations CBD dramatically inhibited root elongation in a dose-responsive manner. Maximum effect on root hair elongation was at 100 μg mL−1, whereas root elongation was inhibited at that concentration. CBD was found to compete with xyloglucan for binding to cellulose when CBD was added first to the cellulose, before the addition of xyloglucan. When Acetobacter xylinum L. was used as a model system, CBD was found to increase the rate of cellulose synthase in a dose-responsive manner, up to 5-fold compared with the control. Electron microscopy examination of the cellulose ribbons produced by A. xylinum showed that CBD treatment resulted in a splayed ribbon composed of separate fibrillar subunits, compared with a thin, uniform ribbon in the control.

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Riassunto La spettrometria di massa (MS) nata negli anni ’70 trova oggi, grazie alla tecnologia Matrix-Assisted Laser Desorption Ionization-Time of Flight (MALDI-TOF), importanti applicazioni in diversi settori: biotecnologico (per la caratterizzazione ed il controllo di qualità di proteine ricombinanti ed altre macromolecole), medico–clinico (per la diagnosi di laboratorio di malattie e per lo sviluppo di nuovi trattamenti terapeutici mirati), alimentare ed ambientale. Negli ultimi anni, questa tecnologia è diventata un potente strumento anche per la diagnosi di laboratorio in microbiologia clinica, rivoluzionando il flusso di lavoro per una rapida identificazione di batteri e funghi, sostituendo l’identificazione fenotipica convenzionale basata su saggi biochimici. Attualmente mediante MALDI-TOF MS sono possibili due diversi approcci per la caratterizzazione dei microrganismi: (1) confronto degli spettri (“mass spectra”) con banche dati contenenti profili di riferimento (“database fingerprints”) e (2) “matching” di bio-marcatori con banche dati proteomiche (“proteome database”). Recentemente, la tecnologia MALDI-TOF, oltre alla sua applicazione classica nell’identificazione di microrganismi, è stata utilizzata per individuare, indirettamente, meccanismi di resistenza agli antibiotici. Primo scopo di questo studio è stato verificare e dimostrare l’efficacia identificativa della metodica MALDI-TOF MS mediante approccio di comparazione degli spettri di differenti microrganismi di interesse medico per i quali l’identificazione risultava impossibile a causa della completa assenza o presenza limitata, di spettri di riferimento all’interno della banca dati commerciale associata allo strumento. In particolare, tale scopo è stato raggiunto per i batteri appartenenti a spirochete del genere Borrelia e Leptospira, a miceti filamentosi (dermatofiti) e protozoi (Trichomonas vaginalis). Secondo scopo di questo studio è stato valutare il secondo approccio identificativo basato sulla ricerca di specifici marcatori per differenziare parassiti intestinali di interesse medico per i quali non è disponibile una banca dati commerciale di riferimento e la sua creazione risulterebbe particolarmente difficile e complessa, a causa della complessità del materiale biologico di partenza analizzato e del terreno di coltura nei quali questi protozoi sono isolati. Terzo ed ultimo scopo di questo studio è stata la valutazione dell’applicabilità della spettrometria di massa con tecnologia MALDI-TOF per lo studio delle resistenze batteriche ai carbapenemi. In particolare, è stato messo a punto un saggio di idrolisi dei carbapenemi rilevata mediante MALDI-TOF MS in grado di determinare indirettamente la produzione di carbapenemasi in Enterobacteriaceae. L’efficacia identificativa della metodica MALDI-TOF mediante l’approccio di comparazione degli spettri è stata dimostrata in primo luogo per batteri appartenenti al genere Borrelia. La banca dati commerciale dello strumento MALDI-TOF MS in uso presso il nostro laboratorio includeva solo 3 spettri di riferimento appartenenti alle specie B. burgdorferi ss, B. spielmani e B. garinii. L’implementazione del “database” con specie diverse da quelle già presenti ha permesso di colmare le lacune identificative dovute alla mancanza di spettri di riferimento di alcune tra le specie di Borrelia più diffuse in Europa (B. afzelii) e nel mondo (come ad esempio B. hermsii, e B. japonica). Inoltre l’implementazione con spettri derivanti da ceppi di riferimento di specie già presenti nel “database” ha ulteriormente migliorato l’efficacia identificativa del sistema. Come atteso, il ceppo di isolamento clinico di B. lusitaniae (specie non presente nel “database”) è stato identificato solo a livello di genere corroborando, grazie all’assenza di mis-identificazione, la robustezza della “nuova” banca dati. I risultati ottenuti analizzando i profili proteici di ceppi di Borrelia spp. di isolamento clinico, dopo integrazione del “database” commerciale, indicano che la tecnologia MALDI-TOF potrebbe essere utilizzata come rapida, economica ed affidabile alternativa ai metodi attualmente utilizzati per identificare ceppi appartenenti a questo genere. Analogamente, per il genere Leptospira dopo la creazione ex-novo della banca dati “home-made”, costruita con i 20 spettri derivati dai 20 ceppi di riferimento utilizzati, è stata ottenuta una corretta identificazione a livello di specie degli stessi ceppi ri-analizzati in un esperimento indipendente condotto in doppio cieco. Il dendrogramma costruito con i 20 MSP-Spectra implementati nella banca dati è formato da due rami principali: il primo formato dalla specie non patogena L. biflexa e dalla specie a patogenicità intermedia L. fainei ed il secondo che raggruppa insieme le specie patogene L. interrogans, L. kirschneri, L. noguchii e L. borgpetersenii. Il secondo gruppo è ulteriormente suddiviso in due rami, contenenti rispettivamente L. borgpetersenii in uno e L. interrogans, L. kirschneri e L. noguchii nell’altro. Quest’ultimo, a sua volta, è suddiviso in due rami ulteriori: il primo comprendente la sola specie L. noguchii, il secondo le specie L. interrogans e L. kirshneri non separabili tra loro. Inoltre, il dendrogramma costruito con gli MSP-Spectra dei ceppi appartenenti ai generi Borrelia e Leptospira acquisiti in questo studio, e appartenenti al genere Brachyspira (implementati in un lavoro precedentemente condotto) mostra tre gruppi principali separati tra loro, uno per ogni genere, escludendo possibili mis-identificazioni tra i 3 differenti generi di spirochete. Un’analisi più approfondita dei profili proteici ottenuti dall’analisi ha mostrato piccole differenze per ceppi della stessa specie probabilmente dovute ai diversi pattern proteici dei distinti sierotipi, come confermato dalla successiva analisi statistica, che ha evidenziato picchi sierotipo-specifici. È stato, infatti, possibile mediante la creazione di un modello statistico dedicato ottenere un “pattern” di picchi discriminanti in grado di differenziare a livello di sierotipo sia i ceppi di L. interrogans sia i ceppi di L. borgpetersenii saggiati, rispettivamente. Tuttavia, non possiamo concludere che i picchi discriminanti da noi riportati siano universalmente in grado di identificare il sierotipo dei ceppi di L. interrogans ed L. borgpetersenii; i picchi trovati, infatti, sono il risultato di un’analisi condotta su uno specifico pannello di sierotipi. È stato quindi dimostrato che attuando piccoli cambiamenti nei parametri standardizzati come l’utilizzo di un modello statistico e di un programma dedicato applicato nella routine diagnostica è possibile utilizzare la spettrometria di massa MALDI-TOF per una rapida ed economica identificazione anche a livello di sierotipo. Questo può significativamente migliorare gli approcci correntemente utilizzati per monitorare l’insorgenza di focolai epidemici e per la sorveglianza degli agenti patogeni. Analogamente a quanto dimostrato per Borrelia e Leptospira, l’implementazione della banca dati dello spettrometro di massa con spettri di riferimento di miceti filamentosi (dermatofiti) si è rilevata di particolare importanza non solo per l’identificazione di tutte le specie circolanti nella nostra area ma anche per l’identificazione di specie la cui frequenza nel nostro Paese è in aumento a causa dei flussi migratori dalla zone endemiche (M. audouinii, T. violaceum e T. sudanense). Inoltre, l’aggiornamento del “database” ha consentito di superare la mis-identificazione dei ceppi appartenenti al complesso T. mentagrophytes (T. interdigitale e T. mentagrophytes) con T. tonsurans, riscontrata prima dell’implementazione della banca dati commerciale. Il dendrogramma ottenuto dai 24 spettri implementati appartenenti a 13 specie di dermatofiti ha rivelato raggruppamenti che riflettono quelli costruiti su base filogenetica. Sulla base dei risultati ottenuti mediante sequenziamento della porzione della regione ITS del genoma fungino non è stato possibile distinguere T. interdigitale e T. mentagrophytes, conseguentemente anche gli spettri di queste due specie presentavano picchi dello stesso peso molecoalre. Da sottolineare che il dendrogramma costruito con i 12 profili proteici già inclusi nel database commerciale e con i 24 inseriti nel nuovo database non riproduce l’albero filogenetico per alcune specie del genere Tricophyton: gli spettri MSP già presenti nel database e quelli aggiunti delle specie T. interdigitale e T. mentagrophytes raggruppano separatamente. Questo potrebbe spiegare le mis-identificazioni di T. interdigitale e T. mentagrophytes con T. tonsurans ottenute prima dell’implementazione del database. L’efficacia del sistema identificativo MALDI-TOF è stata anche dimostrata per microrganismi diversi da batteri e funghi per i quali la metodica originale è stata sviluppata. Sebbene tale sistema identificativo sia stato applicato con successo a Trichomonas vaginalis è stato necessario apportare modifiche nei parametri standard previsti per l’identificazione di batteri e funghi. Le interferenze riscontrate tra i profili proteici ottenuti per i due terreni utilizzati per la coltura di questo protozoo e per i ceppi di T. vaginalis hanno, infatti, reso necessario l’utilizzo di nuovi parametri per la creazione degli spettri di riferimento (MSP-Spectra). L’importanza dello sviluppo del nuovo metodo risiede nel fatto che è possibile identificare sulla base del profilo proteico (e non sulla base di singoli marcatori) microorganismi cresciuti su terreni complessi che potrebbero presentare picchi nell'intervallo di peso molecolare utilizzato a scopo identificativo: metaboliti, pigmenti e nutrienti presenti nel terreno possono interferire con il processo di cristallizzazione e portare ad un basso punteggio identificativo. Per T. vaginalis, in particolare, la “sottrazione” di picchi dovuti a molecole riconducibili al terreno di crescita utilizzato, è stata ottenuta escludendo dall'identificazione l'intervallo di peso molecolare compreso tra 3-6 kDa, permettendo la corretta identificazione di ceppi di isolamento clinico sulla base del profilo proteico. Tuttavia, l’elevata concentrazione di parassita richiesta (105 trofozoiti/ml) per una corretta identificazione, difficilmente ottenibile in vivo, ha impedito l’identificazione di ceppi di T. vaginalis direttamente in campioni clinici. L’approccio identificativo mediante individuazione di specifici marcatori proteici (secondo approccio identificativo) è stato provato ed adottato in questo studio per l’identificazione e la differenziazione di ceppi di Entamoeba histolytica (ameba patogena) ed Entamoeba dispar (ameba non patogena), specie morfologiacamente identiche e distinguibili solo mediante saggi molecolari (PCR) aventi come bersaglio il DNA-18S, che codifica per l’RNA della subunità ribosomiale minore. Lo sviluppo di tale applicazione ha consentito di superare l’impossibilità della creazione di una banca dati dedicata, a causa della complessità del materiale fecale di partenza e del terreno di coltura impiagato per l’isolamento, e di identificare 5 picchi proteici in grado di differenziare E. histolytica da E. dispar. In particolare, l’analisi statistica ha mostrato 2 picchi specifici per E. histolytica e 3 picchi specifici per E. dispar. L’assenza dei 5 picchi discriminanti trovati per E. histolytica e E. dispar nei profili dei 3 differenti terreni di coltura utilizzati in questo studio (terreno axenico LYI-S-2 e terreno di Robinson con e senza E. coli) permettono di considerare questi picchi buoni marcatori in grado di differenziare le due specie. La corrispondenza dei picchi con il PM di due specifiche proteine di E. histolytica depositate in letteratura (Amoebapore A e un “unknown putative protein” di E. histolytica ceppo di riferimento HM-1:IMSS-A) conferma la specificità dei picchi di E. histolytica identificati mediante analisi MALDI-TOF MS. Lo stesso riscontro non è stato possibile per i picchi di E. dispar in quanto nessuna proteina del PM di interesse è presente in GenBank. Tuttavia, va ricordato che non tutte le proteine E. dispar sono state ad oggi caratterizzate e depositate in letteratura. I 5 marcatori hanno permesso di differenziare 12 dei 13 ceppi isolati da campioni di feci e cresciuti in terreno di Robinson confermando i risultati ottenuti mediante saggio di Real-Time PCR. Per un solo ceppo di isolamento clinico di E. histolytica l’identificazione, confermata mediante sequenziamento della porzione 18S-rDNA, non è stata ottenuta mediante sistema MALDI-TOF MS in quanto non sono stati trovati né i picchi corrispondenti a E. histolytica né i picchi corrispondenti a E. dispar. Per questo ceppo è possibile ipotizzare la presenza di mutazioni geno/fenotipiche a livello delle proteine individuate come marcatori specifici per E. histolytica. Per confermare questa ipotesi sarebbe necessario analizzare un numero maggiore di ceppi di isolamento clinico con analogo profilo proteico. L’analisi condotta a diversi tempi di incubazione del campione di feci positivo per E. histolytica ed E. dipar ha mostrato il ritrovamento dei 5 picchi discriminanti solo dopo 12 ore dall’inoculo del campione nel terreno iniziale di Robinson. Questo risultato suggerisce la possibile applicazione del sistema MALDI-TOF MS per identificare ceppi di isolamento clinico di E. histolytica ed E. dipar nonostante la presenza di materiale fecale che materialmente può disturbare e rendere difficile l’interpretazione dello spettro ottenuto mediante analisi MALDI-TOF MS. Infine in questo studio è stata valutata l’applicabilità della tecnologia MALDI-TOF MS come saggio fenotipico rapido per la determinazione di ceppi produttori di carbapenemasi, verificando l'avvenuta idrolisi del meropenem (carbapeneme di riferimento utilizzato in questo studio) a contatto con i ceppi di riferimento e ceppi di isolamento clinico potenzialmente produttori di carbapenemasi dopo la messa a punto di un protocollo analitico dedicato. Il saggio di idrolisi del meropenem mediante MALDI-TOF MS ha dimostrato la presenza o l’assenza indiretta di carbapenemasi nei 3 ceppi di riferimento e nei 1219 (1185 Enterobacteriaceae e 34 non-Enterobacteriaceae) ceppi di isolamento clinico inclusi nello studio. Nessuna interferenza è stata riscontrata per i ceppi di Enterobacteriaceae variamente resistenti ai tre carbapenemi ma risultati non produttori di carbapenemasi mediante i saggi fenotipici comunemente impiegati nella diagnostica routinaria di laboratorio: nessuna idrolisi del farmaco è stata infatti osservata al saggio di idrolisi mediante MALDI-TOF MS. In un solo caso (ceppo di K. pneumoniae N°1135) è stato ottenuto un profilo anomalo in quanto presenti sia i picchi del farmaco intatto che quelli del farmaco idrolizzato. Per questo ceppo resistente ai tre carbapenemi saggiati, negativo ai saggi fenotipici per la presenza di carbapenemasi, è stata dimostrata la presenza del gene blaKPC mediante Real-Time PCR. Per questo ceppo si può ipotizzare la presenza di mutazioni a carico del gene blaKPC che sebbene non interferiscano con il suo rilevamento mediante PCR (Real-Time PCR positiva), potrebbero condizionare l’attività della proteina prodotta (Saggio di Hodge modificato e Test di Sinergia negativi) riducendone la funzionalità come dimostrato, mediante analisi MALDI-TOF MS, dalla presenza dei picchi relativi sia all’idrolisi del farmaco sia dei picchi relativi al farmaco intatto. Questa ipotesi dovrebbe essere confermata mediante sequenziamento del gene blaKPC e successiva analisi strutturale della sequenza amminoacidica deducibile. L’utilizzo della tecnologia MALDI-TOF MS per la verifica dell’avvenuta idrolisi del maropenem è risultato un saggio fenotipico indiretto in grado di distinguere, al pari del test di Hodge modificato impiegato comunemente nella routine diagnostica in microbiologia, un ceppo produttore di carbapenemasi da un ceppo non produttore sia per scopi diagnostici che per la sorveglianza epidemiologica. L’impiego del MALDI-TOF MS ha mostrato, infatti, diversi vantaggi rispetto ai metodi convenzionali (Saggio di Hodge modificato e Test di Sinergia) impiegati nella routine diagnostica di laboratorio i quali richiedono personale esperto per l’interpretazione del risultato e lunghi tempi di esecuzione e di conseguenza di refertazione. La semplicità e la facilità richieste per la preparazione dei campioni e l’immediata acquisizione dei dati rendono questa tecnica un metodo accurato e rapido. Inoltre, il metodo risulta conveniente dal punto di vista economico, con un costo totale stimato di 1,00 euro per ceppo analizzato. Tutte queste considerazioni pongono questa metodologia in posizione centrale in ambito microbiologico anche nel caso del rilevamento di ceppi produttori di carbapenemasi. Indipendentemente dall’approccio identificativo utilizzato, comparato con i metodi convenzionali il MALDI-TOF MS conferisce in molti casi un guadagno in termini di tempo di lavoro tecnico (procedura pre-analititca per la preparazione dei campioni) e di tempo di ottenimento dei risultati (procedura analitica automatizzata). Questo risparmio di tempo si accentua quando sono analizzati in contemporanea un maggior numero di isolati. Inoltre, la semplicità e la facilità richieste per la preparazione dei campioni e l’immediata acquisizione dei dati rendono questo un metodo di identificazione accurato e rapido risultando più conveniente anche dal punto di vista economico, con un costo totale di 0,50 euro (materiale consumabile) per ceppo analizzato. I risultati ottenuti dimostrano che la spettrometria di massa MALDI-TOF sta diventando uno strumento importante in microbiologia clinica e sperimentale, data l’elevata efficacia identificativa, grazie alla disponibilità sia di nuove banche dati commerciali sia di aggiornamenti delle stesse da parte di diversi utenti, e la possibilità di rilevare con successo anche se in modo indiretto le antibiotico-resistenze.

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L’allevamento in cattività dei rettili è in costante crescita negli ultimi anni e richiede conoscenze mediche sempre più specialistiche per far fronte ai numerosi problemi legati a questi animali. Il corretto approccio medico prevede una profonda conoscenza delle specie prese in esame dal momento che la maggior parte delle problematiche riproduttive di questi animali sono legate ad una non corretta gestione dei riproduttori. L’apparato riproduttore dei rettili è estremamente vario a seconda delle specie prese in considerazione. Sauri ed ofidi possiedono due organi copulatori denominati emipeni e posizionati alla base della coda caudalmente alla cloaca che vengono estroflessi alternativamente durante l’accoppiamento per veicolare lo spera all’interno della cloaca della femmina. In questi animali il segmento posteriore renale è chiamato segmento sessuale, perché contribuisce alla formazione del fluido seminale. Tale porzione, durante la stagione dell’accoppiamento, diventa più voluminosa e cambia drasticamente colore, tanto che può essere confusa con una manifestazione patologica. I cheloni al contrario possiedono un unico pene che non viene coinvolto nella minzione. In questi animali. I testicoli sono due e sono situati all’interno della cavità celomatica in posizione cranioventrale rispetto ai reni. I testicoli possono variare notevolmente sia come forma che come dimensione a seconda del periodo dell’anno. Il ciclo estrale dei rettili è regolato, come pure nei mammiferi, dagli ormoni steroidei. La variazione di questi ormoni a livello ematico è stata studiato da diversi autori con il risultato di aver dimostrato come la variazione dei dosaggi degli stessi determini l’alternanza delle varie fasi del ciclo riproduttivo. La relazione tra presenza di uova (anche placentari) ed alti livelli di progesterone suggerisce che questo ormone gioca un ruolo importante nelle riproduzione delle specie ovipare per esempio stimolando la vascolarizzazione degli ovidutti durante i tre mesi in cui si ha lo sviluppo delle uova. Il 17-beta estradiolo è stato descritto come un ormone vitellogenico grazie alla sua capacità di promuovere lo sviluppo dei follicoli e la formazione di strati protettivi dell’uovo. L’aumento del livello di estradiolo osservato esclusivamente nelle femmine in fase vitellogenica è direttamente responsabile della mobilizzazione delle riserve materne in questa fase del ciclo. Va sottolineato come il progesterone sia in effetti un antagonista dell’estradiolo, riducendo la vitellogenesi e intensificando gli scambi materno fetali a livello di ovidutto. Le prostaglandine (PG) costituiscono un gruppo di molecole di origine lipidica biologicamente attive, sintetizzate sotto varie forme chimiche. Sono noti numerosi gruppi di prostaglandine ed è risputo che pesci, anfibi, rettili e mammiferi sintetizzano una o più prostaglandine partendo da acidi grassi precursori. Queste sostanze anche nei rettili agiscono sulla mucosa dell’utero aumentandone le contrazioni e sui corpi lutei determinandone la lisi. La maturità sessuale dei rettili, dipende principalmente dalla taglia piuttosto che dall’età effettiva dell’animale. In cattività, l’alimentazione e le cure dell’allevatore, possono giocare un ruolo fondamentale nel raggiungimento della taglia necessaria all’animale per maturare sessualmente. Spesso, un animale d’allevamento raggiunge prima la maturità sessuale rispetto ai suoi simili in natura. La maggior parte dei rettili sono ovipari, ovvero depongono uova con guscio sulla sabbia o in nidi creati appositamente. La condizione di ovoviviparità è riscontrabile in alcuni rettili. Le uova, in questo caso, vengono ritenute all’interno del corpo, fino alla nascita della progenie. Questa può essere considerata una strategia evolutiva di alcuni animali, che in condizioni climatiche favorevoli effettuano l’ovo deposizione, ma se il clima non lo permette, ritengono le uova fino alla nascita della prole. Alcuni serpenti e lucertole sono vivipari, ciò significa che l’embrione si sviluppa all’interno del corpo dell’animale e che è presente una placenta. I piccoli fuoriescono dal corpo dell’animale vivi e reattivi. La partenogenesi è una modalità di riproduzione asessuata, in cui si ha lo sviluppo dell’uovo senza che sia avvenuta la fecondazione. Trenta specie di lucertole e alcuni serpenti possono riprodursi con questo metodo. Cnemidophorus uniparens, C. velox e C. teselatus alternano la partenogenesi a una riproduzione sessuata, a seconda della disponibilità del maschio. La maggior parte dei rettili non mostra alcuna cura materna per le uova o per i piccoli che vengono abbandonati al momento della nascita. Esistono tuttavia eccezioni a questa regola generale infatti alcune specie di pitoni covano le uova fino al momento della schiusa proteggendole dai predatori e garantendo la giusta temperatura e umidità. Comportamenti di guardia al nido sono poi stati documentati in numerosi rettili, sia cheloni che sauri che ofidi. Nella maggior parte delle tartarughe, la riproduzione è legata alla stagione. Condizioni favorevoli, possono essere la stagione primaverile nelle zone temperate o la stagione umida nelle aree tropicali. In cattività, per riprodurre queste condizioni, è necessario fornire, dopo un periodo di ibernazione, un aumento del fotoperiodo e della temperatura. L’ atteggiamento del maschio durante il corteggiamento è di notevole aggressività, sia nei confronti degli altri maschi, con i quali combatte copiosamente, colpendoli con la corazza e cercando di rovesciare sul dorso l’avversario, sia nei confronti della femmina. Infatti prima della copulazione, il maschio insegue la femmina, la sperona, la morde alla testa e alle zampe e infine la immobilizza contro un ostacolo. Il comportamento durante la gravidanza è facilmente riconoscibile. La femmina tende ad essere molto agitata, è aggressiva nei confronti delle altre femmine e inizia a scavare buche due settimane prima della deposizione. La femmina gravida costruisce il nido in diverse ore. Scava, con gli arti anteriori, buche nel terreno e vi depone le uova, ricoprendole di terriccio e foglie con gli arti posteriori. A volte, le tartarughe possono trattenere le uova, arrestando lo sviluppo embrionale della prole per anni quando non trovano le condizioni adatte a nidificare. Lo sperma, inoltre, può essere immagazzinato nell’ovidotto fino a sei anni, quindi la deposizione di uova fertilizzate può verificarsi senza che sia avvenuto l’accoppiamento durante quel ciclo riproduttivo. I comportamenti riproduttivi di tutte le specie di lucertole dipendono principalmente dalla variazione stagionale, correlata al cambiamento di temperatura e del fotoperiodo. Per questo, se si vuole far riprodurre questi animali in cattività, è necessario valutare per ogni specie una temperatura e un’illuminazione adeguata. Durante il periodo riproduttivo, un atteggiamento caratteristico di diverse specie di lucertole è quello di riprodurre particolari danze e movimenti ritmici della testa. In alcune specie, possiamo notare il gesto di estendere e retrarre il gozzo per mettere in evidenza la sua brillante colorazione e richiamare l’attenzione della femmina. L’aggressività dei maschi, durante la stagione dell’accoppiamento, è molto evidente, in alcuni casi però, anche le femmine tendono ad essere aggressive nei confronti delle altre femmine, specialmente durante l’ovo deposizione. La fertilizzazione è interna e durante la copulazione, gli spermatozoi sono depositati nella porzione anteriore della cloaca femminile, si spostano successivamente verso l’alto, dirigendosi nell’ovidotto, in circa 24-48 ore; qui, fertilizzano le uova che sono rilasciate nell’ovidotto dall’ovario. Negli ofidi il corteggiamento è molto importante e i comportamenti durante questa fase possono essere diversi da specie a specie. I feromoni specie specifici giocano un ruolo fondamentale nell’attrazione del partner, in particolar modo in colubridi e crotalidi. La femmina di queste specie emette una traccia odorifera, percepita e seguita dal maschio. Prima dell’accoppiamento, inoltre, il maschio si avvicina alla femmina e con la sua lingua bifida o con il mento, ne percorre tutto il corpo per captare i feromoni. Dopo tale comportamento, avviene la copulazione vera e propria con la apposizione delle cloache; gli emipeni vengono utilizzati alternativamente e volontariamente dal maschio. Durante l’ovulazione, il serpente aumenterà di volume nella sua metà posteriore e contrazioni muscolari favoriranno lo spostamento delle uova negli ovidotti. In generale, se l’animale è oviparo, avverrà una muta precedente alla ovo deposizione, che avviene prevalentemente di notte. Gli spermatozoi dei rettili sono morfologicamente simili a quelli di forme superiori di invertebrati. La fecondazione delle uova, da parte di spermatozoi immagazzinati nel tratto riproduttivo femminile, è solitamente possibile anche dopo mesi o perfino anni dall’accoppiamento. La ritenzione dei gameti maschili vitali è detta amphigonia retardata e si ritiene che questa caratteristica offra molti benefici per la sopravvivenza delle specie essendo un adattamento molto utile alle condizioni ambientali quando c’è una relativa scarsità di maschi conspecifici disponibili. Nell’allevamento dei rettili in cattività un accurato monitoraggio dei riproduttori presenta una duplice importanza. Permette di sopperire ad eventuali errori di management nel caso di mancata fertilizzazione e inoltre permette di capire quale sia il grado di sviluppo del prodotto del concepimento e quindi di stabilire quale sia il giorno previsto per la deposizione. Le moderne tecniche di monitoraggio e l’esperienza acquisita in questi ultimi anni permettono inoltre di valutare in modo preciso lo sviluppo follicolare e quindi di stabilire quale sia il periodo migliore per l’accoppiamento. Il dimorfismo sessuale nei serpenti è raro e anche quando presente è poco evidente. Solitamente nei maschi, la coda risulta essere più larga rispetto a quella della femmina in quanto nel segmento post-cloacale vi sono alloggiati gli emipeni. Il maschio inoltre, è generalmente più piccolo della femmina a parità di età. Molti cheloni sono sessualmente dimorfici sebbene i caratteri sessuali secondari siano poco apprezzabili nei soggetti giovani e diventino più evidenti dopo la pubertà. In alcune specie si deve aspettare per più di 10 anni prima che il dimorfismo sia evidente. Le tartarughe di sesso maschile tendono ad avere un pene di grosse dimensioni che può essere estroflesso in caso di situazioni particolarmente stressanti. I maschi sessualmente maturi di molte specie di tartarughe inoltre tendono ad avere una coda più lunga e più spessa rispetto alle femmine di pari dimensioni e la distanza tra il margine caudale del piastrone e l’apertura cloacale è maggiore rispetto alle femmine. Sebbene la determinazione del sesso sia spesso difficile nei soggetti giovani molti sauri adulti hanno dimorfismo sessuale evidente. Nonostante tutto comunque anche tra i sauri esistono molte specie come per esempio Tiliqua scincoides, Tiliqua intermedia, Gerrhosaurus major e Pogona vitticeps che anche in età adulta non mostrano alcun carattere sessuale secondario evidente rendendone molto difficile il riconoscimento del sesso. Per garantire un riconoscimento del sesso degli animali sono state messe a punto diverse tecniche di sessaggio che variano a seconda della specie presa in esame. L’eversione manuale degli emipeni è la più comune metodica utilizzata per il sessaggio dei giovani ofidi ed in particolare dei colubridi. I limiti di questa tecnica sono legati al fatto che può essere considerata attendibile al 100% solo nel caso di maschi riconosciuti positivi. L’eversione idrostatica degli emipeni esattamente come l’eversione manuale degli emipeni si basa sull’estroflessione di questi organi dalla base della coda, pertanto può essere utilizzata solo negli ofidi e in alcuni sauri. La procedura prevede l’iniezione di fluido sterile (preferibilmente soluzione salina isotonica) nella coda caudalmente all’eventuale posizione degli emipeni. Questa tecnica deve essere eseguita solo in casi eccezionali in quanto non è scevra da rischi. L’utilizzo di sonde cloacali è il principale metodo di sessaggio per gli ofidi adulti e per i sauri di grosse dimensioni. Per questa metodica si utilizzano sonde metalliche dello spessore adeguato al paziente e con punta smussa. Nei soggetti di genere maschile la sonda penetra agevolmente al contrario di quello che accade nelle femmine. Anche gli esami radiografici possono rendersi utili per il sessaggio di alcune specie di Varani (Varanus achanturus, V. komodoensis, V. olivaceus, V. gouldi, V. salvadorii ecc.) in quanto questi animali possiedono zone di mineralizzazione dei tessuti molli (“hemibacula”) che possono essere facilmente individuate nei maschi. Diversi studi riportano come il rapporto tra estradiolo e androgeni nel plasma o nel liquido amniotico sia un possibile metodo per identificare il genere sessuale delle tartarughe. Per effettuare il dosaggio ormonale, è necessario prelevare un campione di sangue di almeno 1 ml ad animale aspetto che rende praticamente impossibile utilizzare questo metodo di sessaggio nelle tartarughe molto piccole e nei neonati. L’ecografia, volta al ritrovamento degli emipeni, sembra essere un metodo molto preciso, per la determinazione del sesso nei serpenti. Uno studio compiuto presso il dipartimento di Scienze Medico Veterinarie dell’Università di Parma, ha dimostrato come questo metodo abbia una sensibilità, una specificità e un valore predittivo positivo e negativo pari al 100%. La radiografia con mezzo di contrasto e la tomografia computerizzata possono essere utilizzate nel sessaggio dei sauri, con buoni risultati. Uno studio, compiuto dal dipartimento di Scienze Medico Veterinarie, dell’Università di Parma, ha voluto mettere a confronto diverse tecniche di sessaggio nei sauri, tra cui l’ecografia, la radiografia con e senza mezzo di contrasto e la tomografia computerizzata con e senza mezzo di contrasto. I risultati ottenuti, hanno dimostrato come l’ecografia non sia il mezzo più affidabile per il riconoscimento degli emipeni e quindi del sesso dell’animale, mentre la radiografia e la tomografia computerizza con mezzo di contrasto siano tecniche affidabili e accurate in queste specie. Un metodo valido e facilmente realizzabile per il sessaggio dei cheloni anche prepuberi è la cistoscopia. In un recente studio la cistoscopia è stata effettuata su quindici cheloni deceduti e venticinque cheloni vivi, anestetizzati. In generale, questo metodo si è dimostrato non invasivo per le tartarughe, facilmente ripetibile in diversi tipi di tartarughe e di breve durata. Tra le principali patologie riproduttive dei rettili le distocie sono sicuramente quelle che presentano una maggior frequenza. Quando si parla di distocia nei rettili, si intendono tutte quelle situazioni in cui si ha una mancata espulsione e deposizione del prodotto del concepimento entro tempi fisiologici. Questa patologia è complessa e può dipendere da diverse cause. Inoltre può sfociare in malattie sistemiche a volte molto severe. Le distocie possono essere classificate in ostruttive e non ostruttive in base alle cause. Si parla di distocia ostruttiva quando si verificano delle condizioni per cui viene impedito il corretto passaggio delle uova lungo il tratto riproduttivo (Fig.13). Le cause possono dipendere dalla madre o dalle caratteristiche delle uova. Nel caso di distocia non ostruttiva le uova rinvenute sono solitamente di dimensioni normali e la conformazione anatomica della madre è fisiologica. L’eziologia è da ricercare in difetti comportamentali, ambientali e patologici. Non esistono sintomi specifici e patognomonici di distocia. La malattia diviene evidente e conclamata solamente in presenza di complicazioni. Gli approcci terapeutici possibili sono vari a seconda della specie animale e della situazione. Fornire un’area adeguata per la nidiata: se la distocia non è ostruttiva si può cercare di incoraggiare l’animale a deporre autonomamente le uova creando un idoneo luogo di deposizione. Il trattamento medico prevede la stimolazione della deposizione delle uova ritenute mediante l’induzione con ossitocina. L’ossitocina viene somministrata alle dosi di 1/3 UI/kg per via intramuscolare. Uno studio condotto presso l’Università veterinaria di Parma ha comparato le somministrazioni di ossitocina per via intramuscolare e per via intravenosa, confrontando le tempistiche con le quali incominciano le contrazioni e avviene la completa ovodeposizione e dimostrando come per via intravenosa sia possibile somministrare dosi più basse rispetto a quelle riportate solitamente in letteratura ottenendo comunque un ottimo risultato. Nel caso in cui il trattamento farmacologico dovesse fallire o non fosse attuabile, oppure in casi di distocia ostruttiva è possibile ricorrere alla chirurgia. Per stasi follicolare si intende la incapacità di produrre sufficiente quantità di progesterone da corpi lutei perfettamente funzionanti. Come per la distocia, l’eziologia della stasi follicolare è variegata e molto ampia: le cause possono essere sia ambientali che patologiche. La diagnosi clinica viene fatta essenzialmente per esclusione. Come per la distocia, anche in questo caso l’anamnesi e la raccolta del maggior quantitativo di informazioni è fondamentale per indirizzarsi verso il riconoscimento della patologia. Per prolasso si intende la fuoriuscita di un organo attraverso un orifizio del corpo. Nei rettili, diversi organi possono prolassare attraverso la cloaca: la porzione terminale dell’apparato gastroenterico, la vescica urinaria, il pene nel maschio (cheloni) e gli ovidutti nella femmina. In sauri e ofidi gli emipeni possono prolassare dalle rispettive tasche in seguito ad eccesiva attività sessuale97. La corretta identificazione del viscere prolassato è estremamente importante e deve essere effettuata prima di decidere qualsiasi tipologia di trattamento ed intervento. Nei casi acuti e non complicati è possibile la riduzione manuale dell’organo, dopo un accurato lavaggio e attenta pulizia. Se questo non dovesse essere possibile, l’utilizzo di lubrificanti e pomate antibiotiche garantisce all’organo una protezione efficiente. Nel caso in cui non si sia potuto intervenire celermente e l’organo sia andato incontro a infezione e congestione venosa prolungata con conseguente necrosi, l’unica soluzione è l’amputazione

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Background e scopi dello studio. Il carcinoma renale rappresenta circa il 3% delle neoplasie e la sua incidenza è in aumento nel mondo. Il principale approccio terapeutico alla malattia in stadio precoce è rappresentato dalla chirurgia (nefrectomia parziale o radicale), sebbene circa il 30-40% dei pazienti vada incontro a recidiva di malattia dopo tale trattamento. La probabilità di recidivare può essere stimata per mezzo di alcuni noti modelli prognostici sviluppati integrando sia parametri clinici che anatomo-patologici. Il limite principale all’impiego nella pratica clinica di questi modelli è legata alla loro complessità di calcolo che li rende di difficile fruizione. Inoltre la stratificazione prognostica dei pazienti in questo ambito ha un ruolo rilevante nella pianificazione ed interpretazione dei risultati degli studi di terapia adiuvante dopo il trattamento chirurgico del carcinoma renale in stadio iniziale. Da un' analisi non pre-pianificata condotta nell’ambito di uno studio prospettico e randomizzato multicentrico italiano di recente pubblicazione, è stato sviluppato un nuovo modello predittivo e prognostico (“score”) che utilizza quattro semplici parametri: l’età del paziente, il grading istologico, lo stadio patologico del tumore (pT) e della componente linfonodale (pN). Lo scopo del presente studio era quello di validare esternamente tale score. Pazienti e Metodi. La validazione è stata condotta su due coorti retrospettive italiane (141 e 246 pazienti) e su una prospettica americana (1943 pazienti). Lo score testato prevedeva il confronto tra due gruppi di pazienti, uno a prognosi favorevole (pazienti con almeno due parametri positivi tra i seguenti: età < 60 anni, pT1-T3a, pN0, grading 1-2) e uno a prognosi sfavorevole (pazienti con meno di due fattori positivi). La statistica descrittiva è stata utilizzata per mostrare la distribuzione dei diversi parametri. Le analisi di sopravvivenza [recurrence free survival (RFS) e overall survival (OS)] sono state eseguite il metodo di Kaplan-Meier e le comparazioni tra i vari gruppi di pazienti sono state condotte utilizzando il Mantel-Haenszel log-rank test e il modello di regressione di Cox. Il metodo di Greenwood è stato utilizzato per stimare la varianza e la costruzione degli intervalli di confidenza al 95% (95% CI), la “C-statistic” è stata utilizzata per descrivere l’ accuratezza dello score. Risultati. I risultati della validazione dello score condotta sulle due casistiche retrospettive italiane, seppur non mostrando una differenza statisticamente significativa tra i due gruppi di pazienti (gruppo favorevole versus sfavorevole), sono stati ritenuti incoraggianti e meritevoli di ulteriore validazione sulla casistica prospettica americana. Lo score ha dimostrato di performare bene sia nel determinare la prognosi in termini di RFS [hazard ratio (HR) 1.85, 95% CI 1.57-2.17, p < 0.001] che di OS [HR 2.58, 95% CI 1.98-3.35, p < 0.001]. Inoltre in questa casistica lo score ha realizzato risultati sovrapponibili a quelli dello University of California Los Angeles Integrated Staging System. Conclusioni. Questo nuovo e semplice score ha dimostrato la sua validità in altre casistiche, sia retrospettive che prospettiche, in termini di impatto prognostico su RFS e OS. Ulteriori validazioni su casistiche internazionali sono in corso per confermare i risultati qui presentati e per testare l’eventuale ruolo predittivo di questo nuovo score.

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Objetivou-se com este trabalho avaliar o potencial agrícola do lodo de esgoto produzido no estado de São Paulo, bem como, verificar a possibilidade de interação entre a composição química e a abundância relativa de bactérias no lodo. Foram realizadas coletas de amostra de lodo de esgoto em 19 estações de tratamento de esgoto, em três épocas distintas. Nas amostras provenientes das três épocas foram determinados as concentrações dos 16 hidrocarbonetos policíclicos aromáticos (HPAs) listados como prioritários no monitoramento ambiental pela USEPA (acenafteno, acenaftileno, antraceno, benzo(a)antraceno, benzo(a)pireno, benzo(b)fluoranteno, benzo(ghi)perileno, benzo(k)fluoranteno, criseno, dibenzo(a,h)antraceno, fenantreno, fluoranteno, fluoreno, indeno(1,2,3-cd)pireno, naftaleno e pireno). Nas amostras da segunda época de coleta, além da presença de HPAs, determinou-se as concentrações de poluentes orgânicos emergentes (hormônios, produtos farmacêuticos e produtos de uso industrial), realizou-se a caracterização completa segundo a Resolução CONAMA 375/2006 (umidade, pH, N-Kjeldahl e inorgânico, carbono orgânico, cálcio, potássio, fósforo, magnésio, enxofre, boro, cobre, ferro, níquel, manganês, molibdênio, selênio, zinco, alumínio, arsênio, bário, cádmio, cromo, chumbo, mercúrio e sódio) e a caracterização da comunidade bacteriana através de metodologia independente de cultivo (sequenciamento illumina). Os macronutrientes em maiores concentrações no lodo de esgoto são: N > Ca > S > P > Mg > K. Os elementos inorgânicos Ni e Zn apresentaram concentração superior à máxima permitida para utilização agrícola pela resolução Conama 375/2006 em 1 e 3 amostras, respectivamente. A substância inorgânica que mais limita o enquadramento do lodo de esgoto como adubo orgânico (Instrução Normativa 27/2006) é o Hg. Os compostos benzilparabeno, bisfenol AF (BPAF), ácido perfluorooctanoico (PFOA) e tetrabromobisfenol A (TBBPA) não foram detectados. Por outro lado, cimetidina, metilparabeno, bisfenol A (BPA) e triclocarban foram detectados nas 19 amostras avaliadas. O composto presente em maior concentração é o triclocarban. As concentrações de hidrocarbonetos policíclicos aromáticos são baixas, de acordo com a norma Europeia. Os filos Proteobacteria e Bacteroidetes estão presentes em maior abundância relativa. Existe uma comunidade bacteriana núcleo nas estações de tratamento de esgoto do estado de São Paulo, composta por 81 gêneros, presentes nas 19 ETEs avaliadas, dos quais, os que estão em maior abundância relativa são Treponema, Clostridium, Propionibacterium, Syntrophus e Desulfobulbus. A elevação do pH a valores próximos de 12 reduz a diversidade microbiana. Considerando a abundância relativa e a composição química do lodo de esgoto, as estações podem ser agrupadas em três grupos distintos, sendo que um deles é influenciado principalmente pelos teores de Ca, Zn e Cu, o outro pelos teores de Fe e S e o terceiro grupo que foi influenciado pelos demais fatores avaliados.

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O presente estudo investigou a aplicação de dois tipos de AnSBBR (reatores anaeróbio com biofilme e operados em batelada e batelada alimentada sequenciais: com recirculação da fase líquida e com agitação) para produção de biohidrogênio tratando água residuária sintética (a base de soro de leite e lactose, respectivamente). O AnSBBR com recirculação da fase líquida, que foi o estudo principal do presente trabalho, apresentou problemas na produção de hidrogênio utilizando soro de leite como substrato. Algumas alternativas, como adaptação da biomassa com substratos puros de degradação mais fácil, controle do pH em valores muito baixos e diferentes formas de inoculação foram testadas, entretanto, sem obtenção de sucesso. A solução do problema foi obtida ao refrigerar o meio de alimentação a 4ºC para evitar a fermentação no frasco de armazenamento, retirar a ureia e a suplementação de nutrientes, e realizar lavagens periódicas do material suporte para retirada de parte da biomassa. Dessa forma eliminaram-se indícios de produção de H2S por possível ação de bactérias redutoras de sulfato (BRS) e atingiu-se uma produção estável de hidrogênio sem, entretanto, eliminar completamento o metano, que foi produzido em baixas concentrações. Depois de atingida a estabilidade, investigou-se a influência da concentração afluente de substrato, do tempo de enchimento e da temperatura na produção de biohidrogênio no AnSBBR com recirculação da fase líquida tratando soro de leite. O estudo da concentração afluente apresentou um ponto ótimo para a concentração de 5400 mgDQO.L-1, atingindo valores de 0,80 mol H2.mol-1 lactose e de 660 mL H2.L-1.d-1. O estudo do tempo de enchimento apresentou resultados similares para as condições analisadas. Com relação à temperatura, os melhores resultados foram obtidos com a temperatura mais baixa testada de 15ºC (1,12 mol H2.mol lactose-1 e 1080 mL H2.L-1.d-1), sendo que na temperatura mais alta testada (45°C) não ocorreu produção de hidrogênio. Para o AnSBBR com agitação mecânica, que foi um estudado complementar realizado pelo fato da lactose ser o principal complemento do soro de leite, o desempenho do biorreator foi avaliado de acordo com influência conjunta do tempo de ciclo (tC – 2, 3 e 4 h), da concentração afluente (CSTA – 3600-5400 mgDQO.L-1) e da carga orgânica volumétrica aplicada (COAV – 9,3, 12,3, 13,9, 18,5 e 27,8 mgDQO.L-1.d-1). Foram obtidos excelentes resultados: consumos de carboidratos (lactose), com valores médios sempre acima de 90% e uma produção estável de biohidrogênio em todas as condições estudadas, com metano em baixas concentrações apenas na condição de maior COAV. A diminuição do tC apresentou tendência clara de melhora sobre o RMCRC,n (rendimento molar entre hidrogênio produzido e carboidrato removido) apenas para as condições com menor concentração CSTA, havendo uma relação direta entre CSTA, e RMCRC,n em todos os valores de tC, exceto para o tempo de ciclo de 3 h, exatamente onde ocorreu produção de metano. O melhor valor de RMCRC,n obtido na operação com lactose (1,65 mol H2.mol Carboidrato-1) foi superior aos obtidos em outros trabalhos utilizando a mesma configuração de reator e sacarose como substrato. As análises filogenéticas mostraram que a maioria dos clones analisados foi semelhante à Clostridium. Além destes, clones filogeneticamente semelhantes com a Família Lactobacilaceae, especificamente Lactobacillus rhamnosus foram observados em menor porcentagem no reator, assim como clones com sequências semelhantes a Acetobacter indonesiensis.

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O propósito do presente estudo foi investigar e monitorar a remoção de cistos de Giardia spp. e oocistos de Cryptosporidium spp. por diferentes processos de uma estação de tratamento de esgoto (ETE) em escala plena, composta basicamente por tratamento preliminar, reator UASB e flotador por ar dissolvido, e verificar a ocorrência desses protozoários no lodo do reator UASB e do flotador. Além disso, avaliou-se a remoção desses parasitos pelo processo de flotação por ar dissolvido em escala de bancada (equipamento Flotateste). Analisou-se a qualidade das amostras a partir de variáveis físicas e químicas, e pela detecção de microrganismos indicadores - E. coli, coliformes totais e Clostridium perfringens. Os métodos de detecção de protozoários se basearam nas etapas de concentração (tripla centrifugação ou filtração em membrana seguida de tripla centrifugação); purificação por separação imunomagnética (IMS); detecção por reação de imunofluorescência direta (RID). As recuperações de cistos variaram de 32,6 a 67,0 % dependendo do método adotado, já para os oocistos as recuperações estiveram na faixa de 5,6 a 12,0 %. Na ETE-Monjolinho foram detectadas significativas quantidades de cistos de Giardia spp. em 100% das amostras de esgoto analisadas, com concentração média de 1,89 x 104 e 2,35 x 102 cistos.L-1 no esgoto bruto e tratado, respectivamente. Já os oocistos de Cryptosporidium spp. foram detectados em 39,0 % das amostras de esgoto, com concentração média de 1,35 x 102 oocistos.L-1 no esgoto bruto e 5,87 oocistos.L-1 em esgoto tratado (após flotador). A remoção global da ETE para remoção de Giardia spp. foi em média 2,03 log. O lodo do reator UASB e lodo do flotador apresentaram altas quantidade de (oo)cistos, constatando-se a tendência desses sistemas em concentrar os (oo)cistos por seus processos físicos. Algumas correlações significativas foram encontradas, como correlação entre a concentração de cistos no lodo e a variável sólidos totais, a concentração de cistos no esgoto bruto e as variáveis cor aparente, DQO total e particulada, e a concentração de cistos no efluente UASB e o microrganismo Clostridium perfringens. Diferentemente do flotador em escala plena, o processo do flotação por ar dissolvido em escala de bancada alcançou elevadas remoções médias de cistos de Giardia spp., entre 2,5 e 2,7 log nas diferentes condições de floculação estudadas.

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L'hébergement d'un enfant polyhandicapé, c'est-à-dire un enfant présentant une association de déficience motrice et intellectuelle sévère et profonde, est existant au Québec et peu connu de la population. Jusqu’à maintenant, les savoirs sur l’hébergement pédiatrique et l’expérience des parents sont peu nombreux et ne permettent pas de guider le développement d’interventions infirmières adaptées aux besoins des parents. Pour pallier cette situation, une étude d’inspiration phénoménologique a été effectuée afin d’explorer la signification de l’expérience d’être parent d’un enfant polyhandicapé hébergé en établissement de longue durée pédiatrique. Sept entretiens semi-structurés individuels ont été réalisés avec le parent d’un enfant polyhandicapé hébergé dans un établissement pédiatrique de la grande région montréalaise. Afin d’adopter une vision systémique et contextuelle au domaine des sciences infirmières, l’approche systémique familiale selon le modèle de Calgary (Wright & Leahey, 2013) a été utilisée comme cadre de référence. Cette étude d’inspiration phénoménologique a permis de faire émerger trois thèmes quant au phénomène à l’étude, soit : a) héberger son enfant : une décision difficile à accepter, b) la signification de l’hébergement : une expérience tant positive que négative et c) la réappropriation du rôle de parent. Cette étude novatrice permet de fournir des résultats inédits sur l’expérience d’être parent d’un enfant gravement handicapé hébergé. Ils permettent aussi de mettre en évidence les sentiments des parents, leurs impressions et l’adaptation de leur rôle parental lorsque leur enfant est hébergé. Ces résultats pourront influencer ou guider les infirmières dans l’application quotidienne d’interventions familiales adaptées et personnalisées au besoin des parents vivant une situation semblable.

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Ce mémoire présente les résultats d’une synthèse systématique (SS) des écrits traitant des instruments d’évaluation multidimensionnelle des troubles concomitants qui peuvent être présentés par les adolescent(e)s. La SS a permis d’identifier 11 instruments en mesure d’évaluer les troubles comorbides de l’Axe I du DSM-IV, incluant chaque fois les troubles liés à l’utilisation de substances psychoactives (TUS). Une fois les instruments répertoriés, une seconde recherche fut effectuée afin identifier les études les ayant mis à l’épreuve du point de vue de leur validité et de leur fidélité diagnostique : 57 études furent identifiées. La robustesse méthodologique de ces études fut analysée à l’aide de la grille du QUADAS-2 et 47 études furent retenues pour l’échantillon final. Les résultats sont présentés par diagnostics (troubles liés à l’utilisation des substances (TUS) (obligatoire), trouble d’anxiété généralisée (TAG), épisode dépressif majeur (ÉDM), troubles des conduites (TC), trouble du déficit de l’attention /hyperactivité (TDA/H), état de stress post-traumatique (ÉSPT) et par instrument retenu. Suite à l’analyse des données recueillies, il s’avère difficile de comparer les instruments les uns aux autres, étant donnée la très grande diversité des échelles qu’ils contiennent, ainsi que les devis fort différents des études qui les ont mis à l’épreuve. Par contre, deux instruments se distinguent par la robustesse méthodologique des études à leur sujet, ainsi que leur excellente performance globale. Il s’agit du ChIPS et du K-SADS.

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La dysplasie broncho-pulmonaire (DBP), caractérisée par un défaut de l’alvéolarisation, est une complication pathologique associée à un stress oxydant chez le nouveau-né prématuré. La DBP est présente chez près de 50 % des nouveau-nés de moins de 29 semaines de gestation. La nutrition parentérale (NP) que ces nouveau-nés reçoivent pour cause d’immaturité gastro-intestinale est une source importante de stress oxydant. En effet, leur NP est contaminée par des peroxydes, dont l’ascorbylperoxyde qui est une forme peroxydée du déshydroascorbate. La génération des peroxydes est catalysée par la lumière ambiante. La photoprotection de la NP, quoique difficile d’application en clinique, est associée à une diminution de l’incidence de la DBP chez les enfants prématurés. Chez l’animal nouveau-né, la photoprotection de la NP est associée à un meilleur développement alvéolaire. Ainsi, nous émettons l’hypothèse que l’ascorbylperoxide infusé avec la NP cause la perte d’alvéoles suite à une apoptose exagérée induite par l’oxydation du potentiel redox du glutathion. Cette oxydation du potentiel redox serait occasionnée par l’inhibition de la transformation hépatique de la méthionine en cystéine, menant à une diminution de la synthèse de glutathion au foie et dans les tissus tels que les poumons. La confirmation de cette hypothèse suggérera qu’un ajout de glutathion dans la NP permettra une meilleure détoxification de l’ascorbylperoxide par l’action de la glutathion peroxydase, et préviendra l’oxydation du potentiel redox et ainsi, la perte d'alvéoles par apoptose. Objectifs : Le but de mon projet de recherche est de comprendre les mécanismes biochimiques liant la NP et le développement de la DBP chez le nouveau-né prématuré et de proposer une alternative nutritionnelle prévenant le développement de cette complication fréquemment observée dans cette population. Les objectifs spécifiques sont : 1) d’évaluer l’impact, au poumon, de l’infusion de l’ascorbylperoxyde sur l’axe métabolique potentiel redox du glutathion - apoptose - le développement alvéolaire; 2) d’étudier l’impact de l’ascorbylperoxyde et du potentiel redox sur l’activité hépatique de la méthionine adénosyltransférase (MAT), première enzyme de la cascade métabolique transformant la méthionine en cystéine; et 3) de tenter de prévenir l’impact négatif de la NP ou de l’infusion d’ascorbylperoxyde sur le poumon en améliorant le statut en glutathion. Méthodes: Par un cathéter fixé dans la jugulaire, des cochons d’Inde de trois jours de vie (n = 8 par groupe) ont reçu en continu durant 4 jours une NP ou une solution de base (dextrose + NaCl) enrichie des différentes molécules à l’essai. Le premier objectif a été atteint en enrichissant la solution de base en ascorbylperoxyde à 0, 20, 60 et 180 μM. Ces solutions contenaient ou non 350 μM H2O2 pour se rapprocher des conditions cliniques. Le second objectif a été atteint en investiguant les mécanismes d’inhibition de la MAT dans des animaux infusés ou non avec des solutions contenant la solution de base, des peroxydes, du glutathion et la NP (dextrose + acides aminés + multivitamines + lipides). Le troisième objectif a été atteint en ajoutant ou non à une solution d’ascorbylperoxide ou à la NP 10 μM de glutathion (GSSG), afin d’obtenir une concentration plasmatique normale de glutathion. Après 4 jours, les poumons étaient prélevés et traités pour la détermination de GSH et GSSG par électrophorèse capillaire, le potentiel redox était calculé selon l'équation de Nernst et le niveau de caspase-3 actif (marqueur d’apoptose) par Western blot et l’index d’alvéolarisation quantifié par le nombre d’interceptes entre des structures histologiques et une droite calibrée. Les données étaient comparées par ANOVA, les effets étaient considérés comme significatifs si le p était inférieur à 0,05. Résultats: L’infusion de l’ascorbylperoxyde, indépendamment du H2O2, a induit une hypoalvéolarisation, une activation de la caspase-3 et une oxydation du potentiel redox de manière dose-dépendante. Ces effets ont été empêchés par l’ajout de GSSG à la NP ou à la solution d’ascorbylperoxyde (180 M). L’ascorbylperoxyde et le H2O2 ont inhibé l’activité de MAT tandis qu’elle était linéairement modulée par la valeur du potentiel redox hépatique. Conclusion : Nos résultats suggèrent que l’ascorbylperoxyde est l’agent actif de la NP conduisant au développement de la DBP. Ainsi la correction des bas niveaux de glutathion induits par les peroxydes de la NP favorise la détoxification des peroxydes et la correction du potentiel redox pulmonaire ; ce qui a protégé les poumons des effets délétères de la NP en outrepassant l’inhibition de la MAT hépatique. Nos résultats sont d'une grande importance car ils donnent de l'espoir pour une prévention possible de la DBP.

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Cette étude vise à comprendre le rôle de l’histoire dans la philosophie de Nietzsche et à faire ressortir son lien étroit avec l’articulation du corps vivant comme fil conducteur philosophique. Notre objectif principal est de montrer comment cette philosophie aphoristique a su maintenir les préoccupations historiographiques de jeunesse en permutant leur sens à l’aune de la pulsionnalité interprétative du corps. Prenant notre départ des considérations critiques écrites lors de son professorat à Bâle, nous démontrons que le sens historique se manifeste alors comme une sensibilité historique déterminée par une saisie intuitive, mais existentiellement difficile, du passé. Nous procédons ensuite à décrire comment le renouveau philosophique de sa période intermédiaire peut être vu comme une réduction pathologique de l’histoire de la métaphysique qui emprunte ses éléments critiques au scepticisme de Michel de Montaigne, à l’évolutionnisme naissant et au développement du néo-kantisme. Cette réduction, qui ramène l’expression des valeurs morales et métaphysiques au corps vécu (Leib). Par sa déconstruction de la subjectivité au profit d’une réalité pulsionnelle primordiale, mais irréductible, nous démontrons ensuite comment Nietzsche a su réinterpréter l’hérédité biologique comme une mémoire physiologique incorporée dont l’expression première est la reconduction de la notion d’espèce à celle de type. Enfin, par un retour à la sensibilité historique et notre analyse du phénomène historique en tant que tel, nous proposons de comprendre l’articulation ultime de la philosophie nietzschéenne comme une philosophie historique qui ne cherche pas à comprendre ou à expliquer le devenir, mais en opérer la synthèse par le truchement de « l’instant décisif ».

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La présente thèse entend donner sens à un concept qui occupe une place centrale au sein de la pensée de Theodor W. Adorno mais qui, parce que notoirement difficile à définir, n’a pas reçu l’attention qu’il mérite : la mimêsis (Mimesis). Il s’agira, plus exactement, de comprendre la mimêsis comme un point nodal de la critique adornienne, qui nous permet de comprendre au nom et en vue de quoi elle se déploie. Car sous toutes ses acceptions – et nous verrons qu’elles sont fort variées – la mimêsis adornienne est toujours invoquée dans le but de contrecarrer les tendances hétéronomes (c’est-à-dire : déshumanisantes) propres aux sociétés capitalistes avancées. Surtout, elle est constamment présentée comme un correctif matérialiste au type de rationalité abstraite qui sous-tend ces sociétés. Cette tâche s’avère d’autant plus lourde que, malgré son important poids normatif, la mimêsis ne fait pas l’objet, chez Adorno, d’une théorisation explicite. Il nous faudra pallier cette indétermination, en identifiant d’abord les assises normatives les plus premières de la critique adornienne (0.0. Introduction : les fondements normatifs de la critique adornienne), pour ensuite rendre compte des fonctions particulières qu’occupe la mimêsis au sein de cette critique (1.0. Les fonctions critiques de la mimêsis adornienne). Ce travail de débroussaillage exégétique et interprétatif nous permettra de constater que la mimêsis adornienne recèle trois types de potentiels critiques distincts. D’abord, en ce qu’elle est présentée – dans les travaux des années 1930 et 1940 surtout – comme une impulsion psychosomatique à même de trahir, l’instant d’une brève résistance, la violence infligée à la nature intérieure et extérieure de l’homme par les forces réificatrices de la rationalité instrumentale (Instrumentelle Vernunft), la mimêsis adornienne peut être comprise comme un mimétisme (Mimikry) bioanthropologique dont la valeur est principalement expressive (2.O. Mimikry : le potentiel bioanthropologique de la mimêsis). Ensuite, lorsqu’elle sera pensée – à partir de la fin des années 50 surtout – comme une compétence proprement épistémique qui permet au sujet connaissant de rencontrer à nouveau puis de redéterminer les objets de son expérience, la mimêsis adornienne peut être comprise comme un correctif critique à la logique appropriative de la pensée identifiante (identifizierendes Denken) (3.O. Affinität et Entäusserung : le potentiel épistémique de la mimêsis). Enfin, dans la mesure où elle informe le modus operandi de l’oeuvre d’art d’avant-garde telle que défendue par Adorno dans la Théorie esthétique, et qui consiste à détourner, en les retournant contre elles-mêmes, les contraintes imposées par le monde totalement administré (total verwaltete Welt), la mimêsis peut être comprise comme une Methexis subversive, c’est-à-dire comme une stratégie séditieuse à même de conjurer l’hétéronomie sociale en l’anticipant et en l’incorporant (4.0. Methexis subversive : le potentiel stratégique de la mimêsis). Ainsi, tout en voulant rendre justice à la très grande polysémie du concept, nous aimerions démontrer que la mimêsis adornienne pointe constamment vers une forme ou une autre de résistance : comme expression, comme extériorisation ou comme subversion.

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Il est difficile de discuter des développements intermédiaux de Star Wars sans évoquer la vision de l'instigateur de cet univers de science-fiction en constante expansion, George Lucas, qui a su mesuer l'importance qu'allait prendre le jeu vidéo (et, plus généralement, le phénomène des produits dérivés). Au-delà des considérations purement économiques,c'est d'abord par fascination personnelle que Lucas vient au 10e art. [...]