999 resultados para Debate de Bologna


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Intorno alla metà degli anni trenta la Spagna diventò il centro dell’attenzione del mondo e tutte le grandi potenze internazionali, vecchie e nuove, vennero coinvolte, in misura diversa, nella guerra civile. Già nell’agosto del 1936, un mese dopo l’esplosione del conflitto, tutti gli Stati più rappresentativi caldeggiavano l’ipotesi di una politica comune di “non intervento”. Il ruolo guida in tal senso venne assunto dal governo inglese, capace di dissuadere, in tempi estremamente rapidi, il governo frontista francese di Leon Blum dall’intento di sostenere economicamente e militarmente il legittimo governo repubblicano spagnolo. La preoccupazione che il conflitto potesse degenerare in uno scontro più generale fu quindi la ragione principale per la quale qualche settimana dopo nacque il “Comitato di Non Intervento”, cui aderirono ben ventisette nazioni europee tra cui Francia, Inghilterra, URSS, Italia, Germania e Portogallo. Il mio progetto di ricerca dottorale esamina il ruolo, le scelte ed i relativi dibattiti in merito all’unica grande potenza, gli Stati Uniti d’America, che, pur scegliendo di rimanere neutrale, si astenne dal partecipare al suddetto Comitato. In ambito statunitense particolare rilievo assumono due aspetti del dibattito politico sulla Spagna: il primo maturato in seno all’Amministrazione Roosevelt, il secondo elaborato dalla componente Liberal della coalizione del New Deal attraverso i settimanali, “The Nation” e “The New Republic”. Il confronto pubblico acceso dalla guerra civile spagnola fu infatti l’occasione per la società civile americana per dibattere apertamente e francamente circa l’opportunità e la capacità della nazione di assumere o meno un ruolo internazionale corrispondente al prestigio socio-economico in via di acquisizione a livello mondiale. Approfondire ed esaminare il dibattito sulla guerra civile spagnola negli USA significa dunque andare alla ricerca delle radici culturali di quello che sarà uno dei più vasti ed articolati confronti politici e teorici del ventesimo secolo: l’internazionalismo americano.

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Abbiamo analizzato compiutamente la conformazione attuale della città di Bologna, individuandone gli elementi caratterizzanti, i punti di forza e le criticità, per riuscire a riconnetterla sia al tessuto del centro storico sia a quello rurale. Il tipo di metodo scelto riprende in parte quello utilizzato nell’analisi delle mappe storiche, lavorando attorno a tre temi fondamentali: spazi aperti, tessuto urbano e viabilità. La consapevolezza profonda della realtà e delle dinamiche presenti ci ha portato ad individuare la soluzione che riteniamo essere più funzionale per la riconnessione delle differenti zone, utilizzando la fascia come filtro tra campagna e città. L’obiettivo individuato è quello di sfruttare la linea ferroviaria in disuso convertendola in una linea di tram-treno, una infrastruttura elettrica e a basso impatto ambientale che funzioni in modo agile e puntuale contribuendo in maniera significativa alla mobilità da e verso il centro storico di Bologna, con fermate nei principali fatti urbani come il complesso fieristico, la nuova sede comunale, il centro di ricerca, il polo universitario, i centri sportivi e commerciali. Parte della stessa linea ferroviaria, in particolare il tratto ovest, verrà riqualificato creando un parco lineare sulla sede della linea stessa, come realizzato a Parigi per la “promenade plantée” o a New York con la “highline”, restituendo ai bolognesi un percorso cittadino che valorizzi la natura, la riflessione ed il benessere. Un collegamento tra diverse aree urbane caratterizzato da un flusso più lento esclusivo dei pedoni e dei ciclisti, che trova una sua continuità naturalistica ad ovest andando a collegarsi al parco fluviale del canale Reno, proseguendo invece ad est parallelamente alla linea di tram-treno, creando una continuità di percorsi ciclo-pedonali che si integrano agli esistenti raggiungendo le zone centrali della città. L’intento è quello di incanalare il flusso non carrabile proveniente dalle aree rurali e dalla tangenziale, anche attraverso parcheggi scambiatori, in un percorso privilegiato, funzionale e naturalistico che permetta di raggiungere il centro storico e anche la zona collinare risalendo lungo il parco fluviale, dando ai fruitori la possibilità di osservare Bologna con più tranquillità e da un punto di vista nuovo.

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La questione energetica ha assunto, negli ultimi anni, un ruolo centrale nel dibattito mondiale in relazione a quattro fattori principali: la non riproducibilità delle risorse naturali, l’aumento esponenziale dei consumi, gli interessi economici e la salvaguardia dell'equilibrio ambientale e climatico del nostro Pianeta. E’ necessario, dunque, cambiare il modello di produzione e consumo dell’energia soprattutto nelle città, dove si ha la massima concentrazione dei consumi energetici. Per queste ragioni, il ricorso alle Fonti Energetiche Rinnovabili (FER) si configura ormai come una misura necessaria, opportuna ed urgente anche nella pianificazione urbanistica. Per migliorare la prestazione energetica complessiva del sistema città bisogna implementare politiche di governo delle trasformazioni che escano da una logica operativa “edificio-centrica” e ricomprendano, oltre al singolo manufatto, le aggregazioni di manufatti e le loro relazioni/ interazioni in termini di input e output materico-energetiche. La sostituzione generalizzata del patrimonio edilizio esistente con nuovi edifici iper-tecnologici, è improponibile. In che modo quindi, è possibile ridefinire la normativa e la prassi urbanistica per generare tessuti edilizi energeticamente efficienti? La presente ricerca propone l’integrazione tra la nascente pianificazione energetica del territorio e le più consolidate norme urbanistiche, nella generazione di tessuti urbani “energy saving” che aggiungano alle prestazioni energetico-ambientali dei singoli manufatti quelle del contesto, in un bilancio energetico complessivo. Questo studio, dopo aver descritto e confrontato le principali FER oggi disponibili, suggerisce una metodologia per una valutazione preliminare del mix di tecnologie e di FER più adatto per ciascun sito configurato come “distretto energetico”. I risultati di tale processo forniscono gli elementi basilari per predisporre le azioni necessarie all’integrazione della materia energetica nei Piani Urbanistici attraverso l’applicazione dei principi della perequazione nella definizione di requisiti prestazionali alla scala insediativa, indispensabili per un corretto passaggio alla progettazione degli “oggetti” e dei “sistemi” urbani.

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Numerosi studi mostrano che gli intervalli temporali sono rappresentati attraverso un codice spaziale che si estende da sinistra verso destra, dove gli intervalli brevi sono rappresentati a sinistra rispetto a quelli lunghi. Inoltre tale disposizione spaziale del tempo può essere influenzata dalla manipolazione dell’attenzione-spaziale. La presente tesi si inserisce nel dibattito attuale sulla relazione tra rappresentazione spaziale del tempo e attenzione-spaziale attraverso l’uso di una tecnica che modula l’attenzione-spaziale, ovvero, l’Adattamento Prismatico (AP). La prima parte è dedicata ai meccanismi sottostanti tale relazione. Abbiamo mostrato che spostando l’attenzione-spaziale con AP, verso un lato dello spazio, si ottiene una distorsione della rappresentazione di intervalli temporali, in accordo con il lato dello spostamento attenzionale. Questo avviene sia con stimoli visivi, sia con stimoli uditivi, nonostante la modalità uditiva non sia direttamente coinvolta nella procedura visuo-motoria di AP. Questo risultato ci ha suggerito che il codice spaziale utilizzato per rappresentare il tempo, è un meccanismo centrale che viene influenzato ad alti livelli della cognizione spaziale. La tesi prosegue con l’indagine delle aree corticali che mediano l’interazione spazio-tempo, attraverso metodi neuropsicologici, neurofisiologici e di neuroimmagine. In particolare abbiamo evidenziato che, le aree localizzate nell’emisfero destro, sono cruciali per l’elaborazione del tempo, mentre le aree localizzate nell’emisfero sinistro sono cruciali ai fini della procedura di AP e affinché AP abbia effetto sugli intervalli temporali. Infine, la tesi, è dedicata allo studio dei disturbi della rappresentazione spaziale del tempo. I risultati ci indicano che un deficit di attenzione-spaziale, dopo danno emisferico destro, provoca un deficit di rappresentazione spaziale del tempo, che si riflette negativamente sulla vita quotidiana dei pazienti. Particolarmente interessanti sono i risultati ottenuti mediante AP. Un trattamento con AP, efficace nel ridurre il deficit di attenzione-spaziale, riduce anche il deficit di rappresentazione spaziale del tempo, migliorando la qualità di vita dei pazienti.

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Il Soprintendente Alfredo Barbacci fu uomo di poliedrica formazione, perito nell’uso di metodiche innovative di restauro ed esperto delle tecniche di ricomposizione delle forme architettoniche dei complessi monumentali, danneggiati dai bombardamenti del secondo conflitto mondiale. Quel che, questo studio ha inteso indagare e comprendere, attraverso un approccio critico, sostanziato dalle carte d’archivio, è fondamentalmente il contributo, da egli ha offerto circa la valenza storica e architettonica del tessuto connettivo di base della città, da cui si originava - negli anni della sua attività - l’idea ancora inedita di un bene culturale e sociale nuovo: il centro storico tutto, con annessi monumenti, complessi architettonici nobili ed edilizia minore, di base. Dando avvio all’analisi sistematica delle teorie e della prassi di Alfredo Barbacci e alla lettura puntuale dei suoi scritti, sono stati razionalizzati il significato, le valenze e le implicazioni del termine edilizia minore all’interno del più ampio contesto del restauro dell’edilizia monumentale e alla luce degli elementi di tendenza, portati all’attenzione dal dibattito delle diverse scuole di pensiero sul restauro, a partire dai primi anni del sec. XX fino agli anni Settanta dello scorso secolo. Concretamente vi si evidenziano interessanti intuizioni e dichiarazioni, afferenti la necessità di un restauro del tipo integrato, da intendersi come strumento privilegiato di intervento sul tessuto nobile e meno nobile della città antica. Al termine della sua carriera, il contributo del Soprintendente Barbacci al dibattito scientifico si documenta da sé, nella compilazione a sua firma di quella parte della Relazione Franceschini, in cui si dava proposta di un corpo normativo alla necessità di guardare alla città storica come a un bene culturale e sociale, insistendo come al suo interno era d’uopo mantenere, nel corso di interventi restaurativi, un razionale equilibrio tra monumento ed edilizia minore già storicizzata e che non escludesse anche l’apparato paesaggistico di contorno.

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Il primo capitolo di questo lavoro è dedicato all’opera svolta dagli amministratori locali e da un ente governativo come la Camera di commercio per arrivare a decifrare le effettive caratteristiche del quadro locale dal punto di vista economico, sociale, della percezione e del significato che assumono i consumi e gli spazi urbani ad essi dedicati. La caratteristica più originale rilevata dagli amministratori (che contano tra le proprie fila studiosi come Ardigò, Zangheri e Bellettini) è quella di una notevole omogeneità politica e culturale del quadro sociale. E questo, nonostante le massicce immigrazioni che sono, in proporzione, seconde solo quelle di Milano, ma per la stragrande maggioranza provenienti dalla stessa provincia o, al massimo, dalla regione e da analoghi percorsi di socializzazione e di formazione. Fondando essenzialmente su questa omogeneità (capitolo secondo), gli enti bolognesi cercarono di governare la trasformazione della città e anche l’espansione dei consumi che appariva colpita da eccessi e distorsioni. Facendo leva sulle pesanti crisi del 1963-1965 e del 1973-1977, gli amministratori locali puntarono ad ottenere la propria legittimazione fondandola proprio sui consumi, sulla base di una precisa cognizione del nuovo che arrivava, ma schierandosi decisamente a contenerne gli effetti dirompenti sul tessuto locale e indirizzando gli sforzi acquisitivi dei bolognesi sulla base di una temperante razionalizzazione nutrita di pianificazione urbanistica. Ritardi, spinte dal basso, ostacoli burocratici e legislativi resero questi percorsi difficili, o comunque assai poco lineari; fino a che l’ingresso negli anni Ottanta non ne modificò sensibilmente il corso. Ma questo, allo stato attuale delle conoscenze, è già tema per nuova ricerca. Il terzo capitolo è dedicato alla visualizzazione cartografica (GIS) dell’espansione degli spazi commerciali urbani durante le fasi più significative del miracolo.

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Il complesso residenziale “Pilastro” costruito tra il 1962 e il 1985 si trova a Bologna, a nord del quartiere San Donato, oltre la linea tracciata dalla tangenziale e si è costituito in tre fasi, corrispondenti ai tre comparti di intervento: il nucleo di prima realizzazione, il “Virgolone” e le torri. Il tema affrontato in questa tesi, elaborato all’interno del laboratorio di sintesi finale Architettura sostenibile, riguarda la definizione di strategie di intervento per la riqualificazione del comparto di “Primo impianto” che attualmente presenta molteplici criticità: - debole coesione sociale ed episodi di disagio e micro-criminalità - inadeguatezza sismica - scarse prestazioni energetiche degli edifici Il progetto si è proposto l’obbiettivo di ricucire e rifunzionalizzare l’intero comparto, investendo in modo integrato gli aspetti urbanistico, architettonico e tecnologico, in modo da influire positivamente sulle condizioni socio-economiche dell’insediamento.

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La tesi qui presentata è stata svolta all’interno del Laboratorio di Sintesi Finale “Architettura sostenibile" e propone la riqualificazione di un edificio ACER, sito a Bologna in via Gandusio, un’area strategicamente centrale a ridosso del centro storico e al contempo inserita all’interno delle dinamiche urbane della prima periferia. Si tratta di un complesso di edilizia residenziale sociale e, perciò, è stato necessario elaborare preliminarmente una sorta di quadro conoscitivo per individuare le problematiche e le tendenze comuni sia a casistiche italiane che europee. Dopo un inquadramento generale sulla situazione dei modelli famigliari e dell’abitare; è stata effettuata una panoramica su alcuni interventi europei, dai quali si è cercato di attingere e elaborare soluzioni e metodologie di intervento innovative, prendendo in considerazione sia elementi di rigenerazione del tessuto urbano, sia soluzioni tecnologiche e costruttive applicate a casi specifici. La situazione dell’edilizia residenziale sociale, attualmente, vede una forte scarsità di alloggi, tale da non riuscire a soddisfare tutte le richieste della popolazione. Negli ultimi trenta anni, la quota di produzione di alloggi di edilizia sociale è progressivamente calata, contrariamente agli altri paesi europei, caratterizzati da un andamento costante. Al contempo, si è registrato l’aumento di persone in condizioni di disagio abitativo e sociale. Il progetto risponde alle eterogenee esigenze dei rinnovati modelli famigliari contemporanei, prevedendo opere di completamento funzionale e una diversificazione dell’offerta tipologica degli alloggi, unita all’integrazione di nuovi servizi per gli abitanti e alla rivalorizzazione dell’identità dell’edificio in quanto manufatto polarizzante. Il progetto adotta il metodo della riqualificazione sostenibile e delle tematiche ad essa inerenti, approfondite durante il percorso di lavoro svolto all’interno del Laboratorio di Sintesi Finale “Architettura Sostenibile”. Tutti gli interventi eseguiti sul manufatto sono stati incentrati sul tema della sostenibilità, per ridurre l’uso dei materiali e l’uso del territorio. Sono stati ridotti i deficit tecnologici e soprattutto energetici dell’involucro edilizio, combinando all’applicazione di soluzioni tecnologiche la riqualificazione dello spazio urbano e della funzionalità degli spazi dell’abitare. Questo lavoro si propone di confrontarsi con la condizione attuale dell’housing sociale, cercando di rispondere alle esigenze abitative contemporanee, riqualificando e ripensando gli spazi e migliorandone il comportamento strutturale in caso di evento sismico. Per evitare di trattarlo come un episodio sporadico, un’anomalia, l’intervento ha cercato di collocarsi all’interno del contesto urbano e del tessuto insediativo, dialogando con essi per fornire risposte a problematiche concrete e reali. Per questo si è deciso di intervenire anche sulle aree adiacenti, provando a fornire soluzioni alle dinamiche incompiute e alle esigenze sociali del quartiere.

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Il tema dei prodotti agroalimentari di qualità ha ormai assunto un ruolo rilevante all’interno del dibattito riguardante l’agricoltura e l’economia agroalimentare, ponendosi al centro dell’interesse delle politiche europee (PAC post 2013, Pacchetto Qualità). La crescente attenzione verso le produzioni con marchio Dop\Igp mette però in luce la sostanziale carenza di informazioni dettagliate relativamente alle aziende che operano in questo comparto. Da questo punto di vista il VI° Censimento generale dell’agricoltura costituisce una preziosa fonte di informazioni statistiche. L’obiettivo di questo lavoro è quello di utilizzare i dati, ancora provvisori, del censimento per analizzare la struttura delle aziende con produzioni di qualità, ponendola in confronto con quella delle aziende convenzionali. Inoltre è stata fatta una classificazione delle aziende con prodotti Dop\Igp, in base alla rilevanza di queste produzioni sul reddito lordo aziendale. Le aziende sono quindi state classificate come “Specializzate” e “Miste”, con un’ulteriore distinzione di queste ultime tra quelle “Prevalentemente Dop\Igp” e quelle “Prevalentemente non Dop\Igp”. Tale ripartizione ha consentito una definizione dettagliata degli orientamenti produttivi delle aziende analizzate.

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Il lavoro è una riflessione sugli sviluppi della nozione di definizione nel recente dibattito sull'analiticità. La rinascita di questa discussione, dopo le critiche di Quine e un conseguente primo abbandono della concezione convenzionalista carnapiana ha come conseguenza una nuova concezione epistemica dell'analiticità. Nella maggior parte dei casi le nuove teorie epistemiche, tra le quali quelle di Bob Hale e Crispin Wright (Implicit Definition and the A priori, 2001) e Paul Boghossian (Analyticity, 1997; Epistemic analyticity, a defence, 2002, Blind reasoning, 2003, Is Meaning Normative ?, 2005) presentano il comune carattere di intendere la conoscenza a priori nella forma di una definizione implicita (Paul Horwich, Stipulation, Meaning, and Apriority, 2001). Ma una seconda linea di obiezioni facenti capo dapprima a Horwich, e in seguito agli stessi Hale e Wright, mettono in evidenza rispettivamente due difficoltà per la definizione corrispondenti alle questioni dell'arroganza epistemica e dell'accettazione (o della stipulazione) di una definizione implicita. Da questo presupposto nascono diversi tentativi di risposta. Da un lato, una concezione della definizione, nella teoria di Hale e Wright, secondo la quale essa appare come un principio di astrazione, dall'altro una nozione della definizione come definizione implicita, che si richiama alla concezione di P. Boghossian. In quest'ultima, la definizione implicita è data nella forma di un condizionale linguistico (EA, 2002; BR, 2003), ottenuto mediante una fattorizzazione della teoria costruita sul modello carnapiano per i termini teorici delle teorie empiriche. Un'analisi attenta del lavoro di Rudolf Carnap (Philosophical foundations of Physics, 1966), mostra che la strategia di scomposizione rappresenta una strada possibile per una nozione di analiticità adeguata ai termini teorici. La strategia carnapiana si colloca, infatti, nell'ambito di un tentativo di elaborazione di una nozione di analiticità che tiene conto degli aspetti induttivi delle teorie empiriche

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A 30 anni dalla Dichiarazione di Alma Ata, l'Organizzazione Mondiale della Sanità, sia nei lavori della Commissione sui Determinanti Sociali della Salute che nel corso della sua 62^ Assemblea (2009) ha posto nuovamente la sua attenzione al tema dei determinanti sociali della salute e allo sviluppo di una sanità secondo un approccio "Primary Health Care", in cui la partecipazione ai processi decisionali è uno dei fattori che possono incidere sull'equità in salute tra e nelle nazioni. Dopo una presentazione dei principali elementi e concetti teorici di riferimento della tesi: Determinanti Sociali della Salute, partecipazione ed empowerment partecipativo (Cap. 1 e 2), il lavoro di tesi, a seguito dell'attività di ricerca di campo svolta in Zambia (Lusaka, Kitwe e Ndola) e presso EuropeAid (Bruxelles), si concentra sui processi di sviluppo e riforma del settore sanitario (Cap. 3), sulle politiche di cooperazione internazionale (Cap.4) e sull'azione (spesso sperimentale) della società civile in Zambia, considerando (Cap. 5): le principali criticità e limiti della/alla partecipazione, la presenza di strumenti e strategie specifiche di empowerment partecipativo, le politiche di decentramento e accountability, le buone prassi e proposte emergenti dalla società civile, le linee e i ruoli assunti dai donatori internazionali e dal Governo dello Zambia. Con questa tesi di dottorato si è voluto evidenziare e interpretare sia il dibattito recente rispetto alla partecipazione nel settore sanitario che i diversi e contraddittori gradi di attenzione alla partecipazione delle politiche di sviluppo del settore sanitario e l'emergere delle istanze e pratiche della società civile. Tutto questo incide su spazi e forme di partecipazione alla governance e ai processi decisionali nel settore sanitario, che influenzano a loro volta le politiche e condizioni di equità in salute. La metodologia adottata è stata di tipo qualitativo articolata in osservazione, interviste, analisi bibliografica e documentale.

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La ricerca in oggetto ha analizzato le relazioni tra migrazione e salute mentale nel Distretto di Pianura Est dell'AUSL di Bologna. Attraverso un dispositivo d’indagine multi-disciplinare basato sui quadri teorici dell'Antropologia Medica Critica, della Salute Pubblica e della Psichiatria, la ricerca si è inserita nell’ampio contesto di sperimentazione di un innovativo modello di assistenza per pazienti migranti, denominato Centro di Consultazione Socio- Culturale. L'architettura dello studio si rifà a un modello di Ricerca-Azione Partecipata e Multi-Situata fondato su un approccio analitico e auto-riflessivo, il quale ha consentito di problematizzare, oltre alle azioni e alle traiettorie dei vari soggetti che operano nel campo della ricerca, anche le categorie oggetto della ricerca stessa. L'analisi, profondamente radicata nel dato empirico, è stata condotta a partire dall'esperienza degli attori sociali coinvolti. Le esperienze, le informazioni e le rappresentazioni reciproche sono state co-costruite in forma partecipativa attraverso l'uso combinato di metodologie quali-quantitative proprie sia delle discipline sanitarie sia di quelle sociali. Come materiali della ricerca sono stati utilizzati: dati primari e secondari prodotti dalle istituzioni e dalle organizzazioni del territorio stesso; informazioni provenienti dall'osservazione partecipante; colloqui con informatori-chiave; interviste semi-strutturate con decisori politici, amministratori, organizzazioni del territorio, operatori dei servizi, cittadini e pazienti. La ricerca ha dimostrato la validità delle prospettive teoriche utilizzate e delle strategie di lavoro proposte. Il modello di lavoro multi-disciplinare e multi-metodologico si è rivelato produttivo nell'indagare congiuntamente le prospettive degli attori coinvolti insieme alle loro traiettorie, alle reciproche interconnessioni e alle relazioni tra processi locali e globali. L’analisi auto-riflessiva ha consentito di analizzare le attività del Centro di Consultazione evidenziandone vantaggi e limiti. Infine, la collaborazione tra Salute Pubblica e Antropologia Medica Critica ha dimostrato una grande potenzialità e produttività sia sul versante della ricerca scientifica sia su quello dell'assistenza sanitaria.